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Rassegna Stampa del 19/01/2019

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Un enorme business con la Cina

Italia Oggi

PIERPAOLO ALBRICCI

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Quale può essere la via più sicura per lo sviluppo dell’ export italiano e dell’ internazionalizzazione delle aziende italiane, soprattutto di quelle piccole medie? Il sottosegretario Michele Geraci, con delega del settore nel ministro dello sviluppo economico, non ha dubbi come ha dichiarato nei giorni scorsi a Class Cnbc e a questo giornale: «Il futuro per lo sviluppo delle aziende italiane e quindi dell’ intero Paese è verso la Cina, lungo la nuova Via della Seta, che attraversa oltre 65 paesi. Il presidente Xi Jinping con Belt & road initiative (Bri) o Nuova Via della seta, ha concepito e lanciato il più grande progetto di sviluppo della storia». Dalla Cina all’ Africa, che parla sempre più cinese, sono già in realizzazione investimenti infrastrutturali per 5 mila miliardi di dollari e questi investimenti sono solo la premessa per poter far sì che i traffici commerciali, il dialogo fra i popoli, lo sviluppo della tecnologia si trasformi in nuova ricchezza e quindi in miglior benessere per i cittadini del continente euroasiatico e di quello africano. Per cogliere questa straordinaria opportunità, le aziende, le banche, gli imprenditori, i professionisti italiani, devono però essere informati in generale, e, in particolare, devono conoscere i singoli progetti, i bandi lanciati dagli Stati, l’ evoluzione delle economie dei Paesi coinvolti, ricevere assistenza finanziaria, politica e di training. Per consentire tutto ciò il governo cinese ha mosso il principale gruppo multimediale del Paese, direttamente controllato dallo Stato. È così che Xinhua news agency e CEIS/China Economic Information Service, la sua diramazione che lavora per le aziende come aveva richiesto il creatore della Nuova Cina, Deng Xiaoping, ha risposto prontamente. E ha realizzato una formidabile piattaforma digitale di informazione e consulenza, che ha preso il nome proprio dalla via della seta, www.classxhsilkroad.it. Xinhua ha poi proposto a Class editori, la casa editrice con più, e più qualificati, rapporti con la Cina, di essere partner esclusivo della Piattaforma per la Via della Seta. Che da lunedì 21 comincia a trasmettere anche in italiano. «È un onore essere partner del principale gruppo editoriale cinese posseduto dallo Stato e così poter partecipare all’ avventura straordinaria di Bri», dice Paolo Panerai, editor in chief e ceo di Class Editori». Nel dicembre del 1978 l’ Italia, grazie alla lungimiranza del ministro Rinaldo Ossola, fu il primo Paese del mondo occidentale a finanziare la Cina di Deng, rinsaldando il rapporto storico di Marco Polo e Padre Ricci. Oggi il sistema Italia ha l’ occasione di poter diventare il partner più autorevole e più importante della Cina. Siamo felici di poter partecipare a questa straordinaria avventura e di aiutare in maniera decisiva al successo delle aziende italiane». © Riproduzione riservata.

Un piano per incentivare la lettura

Italia Oggi

* DELEGATO ITALIANO ALLA PROPRIETÀ INTELLETTUALE

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Il settore dell’ editoria è nel nostro Paese da tempo in crisi; una crisi che viene da lontano e ha anticipato quella comune a tutti i Paesi industriali dovuta all’ esplosione di internet. Per darne un’ idea, secondo l’ ultima indagine annuale del Censis, le vendite di quotidiani da noi diminuiscono di circa il 10% annuo (-10,7% nel 2017). Le cause della crisi italiana sono molte e in gran parte, per così dire, autoctone, a iniziare da un mercato storicamente ristretto e angusto e, soprattutto, da una strutturale bassa propensione alla lettura. Quest’ ultima tendenza è confermata anche dai dati, sempre del Censis, relativi alla lettura di libri dai quali risulta che la percentuale di lettori di libri «tout-court» cioè coloro che leggono sia su supporti cartacei che digitali, è addirittura scesa di oltre 7 punti in quattro anni dal 2013 al 2017 e questo perché i lettori di libri cartacei sono diminuiti di oltre 10 punti mentre quelli che leggono e-book sono cresciuti di soli 3 punti. Il libro elettronico da noi attira molto meno che in altri Paesi (dove i tassi di crescita medi annuali nel triennio sono stati superiori al 10%), anzi il lettore di e-book italiano ha un profilo molto simile a quello del lettore di libri cartacei: donne, persone scolarizzate, giovani e giovani adulti. In altre parole in Italia, a differenza di quanto avviene ad esempio negli Usa, Gb o Francia, legge in digitale chi già legge in cartaceo e non aggiunge quindi nuova linfa alla domanda di lettura. Sulla propensione alla lettura molto possono incidere invece interventi mirati sui cicli scolastici (solo per fare un esempio, in vari Paesi europei esiste un’ ora dedicata alla lettura in tutti i gradi di scuola, dall’ asilo alle superiori) nonché un profondo ripensamento della filiera distributiva in modo da avvicinare i prodotti editoriali alla gente. Un sistema di interventi coordinati che la Spagna ha adottato nel 2007 con la legge «”Plan de fomento de la lectura» ottenendo un notevole e concreto successo (oggi la Spagna ha in media tassi di lettori di circa 20 punti percentuali superiori a quelli italiani). * * * Una affezionata lettrice mi chiede: «Ma quanto è affidabile Wikipedia?». Wikipedia è nata tra il 2000 e il 2001 da un’ idea di Jimmy Wales e Larry Sanger e ha, in pochi anni, raggiunto circa 45 milioni di voci in 280 lingue. Ora però il ciclone «fake-news» ha messo in discussione il meccanismo di alimentazione dal basso e sostanzialmente privo di controlli con cui è cresciuta e che la caratterizza. Peraltro, il tema dell’ affidabilità di una enciclopedia scritta direttamente dal pubblico non è nuovo; ricordo in proposito un fulminante articolo di Umberto Eco («Come copiare da Internet», l’ Espresso 16/1/2006) di ben 13 anni fa; purtuttavia le circostanze attuali rendono impellente una chiarificazione. Questa dovrebbe partire dall’ assunto che se si ritengono i social in qualche modo responsabili della diffusione incontrollata delle «fake-news» (e delle conseguenti distorsioni che queste generano) Wikipedia lo è altrettanto e quindi va posta – come si sta giustamente facendo con Facebook, Twitter ecc. – sul banco degli imputati. C’ è inoltre da aggiungere che Wikipedia si è sviluppata anche sottolineando di avere nel proprio sistema una capacità di autocorrezione (nel senso che tutti potevano intervenire per correggere degli errori o presunti tali) semplice e diretta quando poi nei fatti la possibilità di intervenire per modificare notizie o riferimenti è affidata a una procedura estremamente complessa e tortuosa (come chiunque può constatare direttamente) dagli esiti incerti. © Riproduzione riservata.

Radio, un Eldorado per Gedi

Italia Oggi

CLAUDIO PLAZZOTTA

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Quando qualcuno si stupisce dei recenti pesanti investimenti di Mediaset nel comparto radiofonico, dovrebbe semplicemente analizzare i conti del gruppo Gedi, il primo grande polo editoriale a credere, con enorme lungimiranza, nel mezzo radio già 30 anni fa. La radio, infatti, ha una marginalità altissima: nei primi sei mesi del 2018, ad esempio, le tre radio del gruppo Gedi (Deejay, m2o e Capital) hanno assicurato un risultato operativo positivo per nove milioni di euro su 31,8 milioni di fatturato: un rapporto del 28,3%. Nel 2017 l’ area radio a chiuso complessivamente con ricavi per 59 milioni e un risultato operativo pari a 15,5 milioni: un rapporto del 26,2%. E sempre l’ area radio, nel 2017, ha distribuito all’ azionista Gedi dividendi per 11,2 milioni di euro, manna dal cielo per un consolidato Gedi 2017 con un risultato ante imposte totale positivo per 19 milioni di euro. A fine 2018, anche se i conti Gedi non sono ancora stati approvati, in base alle stime, sarà sempre il comparto radiofonico a brillare particolarmente. Un business, quello radiofonico, che brilla rispetto alle altre attività di Gedi: la stampa nazionale, ovvero il sistema Repubblica-La Stampa, ha certo ricavi molto più alti (123,7 milioni nei primi sei mesi del 2018), ma perde soldi (risultato operativo negativo per quasi dieci milioni di euro), mentre il sistema delle news locali è quello col fatturato più grande del gruppo (128 milioni di euro nei primi sei mesi 2018), ma con un risultato operativo positivo (8,8 mln) che assicura una marginalità neanche lontanamente paragonabile a quella della radio (6,8% rispetto al 28,3% di Deejay e co.). Insomma, il vero gioiellino di tutta Gedi è la controllata Elemedia, che dal novembre 2017 è completamente dedicata alle attività dei brand radiofonici del gruppo (comprese quelle dei marchi sui social e sul web), avendo trasferito tutte le altre attività digitali di Gedi, e 125 dipendenti su 243, nella nuova società Gedi digital. E senza dimenticare che nel perimetro di Gedi c’ è anche il business di Radio Italia (partecipata al 10%), la cui pubblicità, pari a circa 30 milioni di euro, è raccolta dalla concessionaria Manzoni controllata da Gedi. Dal 1° gennaio 2019 i canali tv di Capital e di m2o sono disponibili solo in streaming sui siti web delle due emittenti, essendo usciti dal bouquet di Sky, dopo aver lasciato anche gli lcn del digitale terrestre nell’ ottobre del 2016. Deejay tv, invece, dal gennaio 2018 è sull’ lcn 69 del digitale terrestre ed è disponibile pure su Sky. Piattaforma alla quale Elemedia confeziona pure il servizio Sky Music con 25 canali tv tematici. Tenuto conto della grande redditività del business, ci sono ipotesi di crescere con ulteriori acquisizioni? Carlo Ottino, direttore generale della divisione radio e tv di Gedi, così aveva risposto alcune settimane fa a ItaliaOggi: «Come editore Gedi non avrebbe problemi di Antitrust per acquistare altre emittenti ed allargare il suo peso. Ma al momento non c’ è nessun dossier sui nostri tavoli, e la partnership con Radio Italia funziona benissimo così come è». Ultimissime novità: Albertino è appena stato nominato nuovo direttore artistico di m2o, mentre il prossimo 24 gennaio, al teatro Franco Parenti di Milano, ci sarà la presentazione dei palinsesti di Radio Capital a cura del direttore editoriale Massimo Giannini. © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi



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Fieg, confronto con gli edicolanti ma nel rispetto delle regole. Con riferimento alla iniziativa promossa a Roma dal Sinagi (Sindacato giornalai italiani) e programmata per il prossimo 28 gennaio, tra il presidio a Montecitorio e la chiusura delle edicole, gli editori riuniti nella Fieg (Federazione italiana editori giornali, presieduta da Andrea Riffeser Monti) hanno ribadito ieri di essersi impegnati in un confronto con le organizzazioni sindacali degli edicolanti per il rinnovo dell’ accordo nazionale della rete di vendita, perché convinti della sua fondamentale e insostituibile funzione per avvicinare i cittadini alla lettura dei giornali. Nell’ ultimo incontro del confronto era stata espressa da tutti i sindacati dei rivenditori, nessuno escluso, la disponibilità, poi anche confermata con un comunicato stampa unitario delle organizzazioni sindacali, a proseguire il confronto, anche in attesa di conoscere gli interventi di sostegno concreto alla rete delle edicole promessi da parte del governo. Adesso Fieg conferma la disponibilità alle organizzazioni degli edicolanti a continuare il confronto, a condizione che sia riconfermata anche la volontà a proseguirlo con serietà, nel rispetto delle regole e degli affidamenti dati, evitando iniziative che costituiscono unicamente un ostacolo alla soluzione dei problemi del settore. Di Maio, focus contro precariato giornalisti e a favore dell’ equo compenso. «Ho colto nelle dichiarazioni del presidente Carlo Verna la comune volontà di poter lavorare insieme per il bene dei giornalisti»: lo ha dichiarato ieri con una nota il ministro del lavoro e dello sviluppo economico Luigi Di Maio, aggiungendo di «essere pronto a confrontarmi e a lavorare con l’ Ordine dei giornalisti sulle problematiche del lavoro precario e dell’ equo compenso. Auspico che ciò possa avvenire al più presto». Reuters Italia, Vagnoni nuovo direttore. Giselda Vagnoni è il nuovo direttore della redazione italiana dell’ agenzia stampa Reuters, testata al momento impegnata in un piano di esodi incentivati. Reuters ha dichiarato, lo scorso novembre, 16 esuberi tra i giornalisti, pari a oltre un terzo dell’ intero organico. L’ intenzione è avviare una riorganizzazione che porti a unificare i servizi in italiano e in inglese, finora affidati a due strutture differenti. Askanews, incontro col Dipartimento editoria sulla crisi dell’ agenzia stampa. «Nei prossimi giorni, con i vertici del Dipartimento per l’ informazione e l’ editoria, per un aggiornamento ci sarà l’ incontro dei vertici di Askanews. A rivelarlo è stata ieri la stessa casa editrice che fa capo a Luigi Abete, che ha risposto all’ accusa mossa dalla redazione di aver interrotto ogni forma di dialogo per il rilancio dell’ agenzia stampa. La casa editrice «si è impegnata a fare il possibile per garantire continuità alle attività di Askanews e per tutelare il futuro dei lavoratori, fin dall’ inizio del contenzioso con il dipartimento per l’ informazione e l’ editoria». Rai Parlamento, partono i nuovi tg quotidiani. Da lunedì prossimo la rete tv diretta da Antonio Preziosi lancia tre edizioni quotidiane dei notiziari in onda sui tre canali generalisti targati Rai: alle 9.35 su Rai1, alle 15.15 su Rai3 e alle 18 su Rai2. Viene invece confermato lo spazio notturno in onda all’ una di notte su Rai3, che prenderà il nome di Rai Parlamento Magazine. Il suo nuovo posizionamento editoriale vuole essere quello di uno spazio di approfondimento quotidiano, dal lunedì a venerdì, flessibile nel saper diventare un telegiornale in diretta, qualora si verifichino avvenimenti importanti o straordinari. Libri, il Salone della cultura torna a Milano. Riapre oggi e domani a Milano il Salone della cultura, presso SuperStudio Più in via Tortona. A disposizione del pubblico ci sono libri nuovi e usati, moderni e d’ antiquariato, artigianali e non riuniti da oltre 200 editori e librai espositori. Per i più piccoli ma anche per gli adulti sono stati pensati vari laboratori. Cinema, l’ export francese in caduta libera senza Luc Besson. Nel 2018 scende a quota 40 milioni di euro, lo stesso livello del 2016, già definito anno nero, il fatturato delle esportazioni delle produzioni transalpine per il grande schermo. Nonostante sia considerato un settore competitivo, senza i titoli di Luc Besson (molto forte negli Usa, per esempio), il cinema francese ha subito un forte calo. Nel 2017, per esempio, era stato Valerian e la città dei mille pianeti a sostenere il flusso commerciale oltreconfine. Di recente Europacorp di Besson ha chiuso la divisione specializzata in distribuzione, che finora ha generato il 18% dei suoi ricavi. Di base tra Parigi e Beverly Hills, la casa di produzione del regista francese (in queste settimane al centro di accuse per molestie sessuali) è in difficoltà anche sul fronte della produzione, l’ altro ramo di attività.

Tim, lo scontro tra i grandi soci fa scappare gli investitori in Borsa giù del 7%

La Repubblica

LUCA PAGNI

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milano Soci che litigano, titolo in caduta libera a Piazza Affari e risultati industriali negativi: se associati a Telecom Italia non farebbero nemmeno più notizia. Se non fosse che gli operatori di Borsa non sono comuni lettori: poi si mettono a far di conto e devono decidere se continuare a investire o meno. Così ieri, hanno reagito negativamente all’ ennesima revisione al ribasso del conto economico e dei risultati industriali dell’ ex monopolista. Nonché alla nuova puntata della telenovela che vede nella veste di duellanti il gruppo francese Vivendi ( lo stesso che ha tentato di insidiare Silvio Berlusconi nel controllo di Mediaset) contrapposto al fondo di investimento Elliott ( lo stesso che ha rilevato il Milan, per 30 anni di proprietà della famiglia Berlusconi, salvandolo dalla disavventura cinese). Ieri, a Piazza Affari, Telecom ha chiuso la seduta in calo del 7,2% a 0,48 euro di valore per azione, dopo essere arrivata a perdere fino al 10 per cento. Non è il minimo storico ( 0,47 euro per azione toccato nell’ estate del 2013), ma ci manca veramente pochissimo. Secondo quanto riferiscono alcune fonti finanziarie, più che la revisione al ribasso dei conti definitivi per il 2018 ( con il redditività calata a 8,1 miliardi) e l’ inevitabile rallentamento delle risorse disponibili per investimenti e nuove iniziative, a spingere i fondi di investimento a vendere il titolo è stato proprio il reiterarsi dello scontro tra gli azionisti; un clima che non è il massimo per favorire i guadagni di una impresa. Come dire: hanno preferito mettersi alla finestra, aspettando che prima o poi arrivino buone notizie. Dovrà portarle soprattutto Luigi Gubitosi. Manager di lungo corso ( ex Alitalia, ultimo incarico prima di Telecom, ex dg della Rai, ex direttore finanziario Fiat) viene considerato un operativo più che un uomo di strategie. Non per nulla il suo primo atto è stato di comunicare al mercato che le cose non vanno bene come si pensava e come temevano gli analisti. «Un atto di chiarezza benvenuto » , ha commentato la banca svizzera Ubs, mentre gli americani di Bernstein hanno apprezzato che la società ha «fatto i conti con la realtà». Una pulizia nei conti – primo atto tipico di manager che arrivano chiamati a risolvere situazioni ingarbugliate – che chiama in causa le responsabilità dell’ ex ad Amos Genish. Il quale era stato nominato quando il controllo di Telecom era in mano a Vivendi (primo socio on il 24% delle azioni), ma confermato l’ anno scorso dopo il ribaltone che ha visto Elliott ( 8%) allearsi con la Cassa Depositi Prestiti (5%) e raccogliere il consenso della maggioranza dei fondi presenti in assemblea. Vivendi ieri è tornata ad accusare il cda di scaricare colpe su Genish, dopo non averlo sostenuto nel suo piano di rilancio. E di aver comunicato dati sensibili che hanno fatto cadere il titolo, sottolineando come le azioni siano calate del 45% dal maggio scorso. Puntando ancora il dito sul prodotto finanziario sottoscritto da Elliott con la banca Jp Morgan: secondo Vivendi è un modo per guadagnare anche quando il titolo perde per trovar soldi da reinvestire in Telecom. Per Elliott è solo un modo per limitare le perdite. Lo scontro non finisce certo qui. A fine febbraio, Gubitosi presenta il nuovo piano e il 29 marzo si terrà una nuova assemblea dei soci in cui Vivendi proverà a ribaltare gli equilibri in cda. E in ogni caso avvisa che le repliche continueranno: « Qualunque sia l’ esito dell’ assemblea del 29 marzo, riaffermiamo con forza il diritto di convocare una assemblea in estate qualora i risultati non economici non miglioreranno significativamente». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

In Italia gli abbonati sono 1,5 milioni

Milano Finanza

Ester Corvi

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L’ Italia è entrata in ritardo rispetto ad altri grandi mercati europei nella partita dello streaming video. Netflix è infatti approdata nel Paese nell’ autunno del 2015 e circa un anno dopo è stata la volta di Amazon Prime Video. All’ inizio l’ ingresso degli Ott (Over The Top, cioè i servizi che trasmettano i loro contenuti tramite la rete) è avvenuto un po’ in sordina, a causa dei ritardi nella diffusione della banda larga sul territorio nazionale, ma in pochi anni ha rimescolato le carte del settore della pay tv e costretto gli operatori del cinema a rivedere il sistema delle window, cioè delle finestre temporali per lo sfruttamento dei diritti, e gli operatori della tv lineare a ripensare i contenuti e le modalità di fruizione (Ray Play). Non è facile sapere quanti clienti Netflix ha in Italia, perché il gruppo californiano fornisce soltanto dati aggregati, suddivisi fra Stati Uniti e resto del mondo, ma, secondo le stime di Tony Gunnarsson, analista del settore media della società di consulenza Ovum, gli abbonati paganti nel 2018 erano 1,5 milioni ed è probabile che entro la fine di quest’ anno possano raggiungere quota 2 milioni. Ma a quale ritmo sono cresciuti? Il colosso guidato da Reed Hastings, come detto, è stato lanciato relativamente tardi in Italia, nel novembre del 2015, dopo molti altri grandi mercati dell’ Europa occidentale (Regno Unito, Irlanda e Scandinavia nel 2012, Paesi Bassi nel 2013, Germania, Francia, Belgio, Austria e Lussemburgo nel 2014). «Nel 2015, tenendo presente che molti italiani hanno approfittato del mese di prova gratuito, il numero totale di clienti paganti era stato molto basso, meno di 20 mila, ma nel 2016, il primo vero anno di calendario di Netflix in Italia, il numero è aumentato in maniera significativa fino a 500 mila e nel 2017 è raddoppiato a poco meno di un milione», dice Gunnarsson. L’ altro grande competitor internazionale, cioè Amazon Prime, nel 2018, in base alle stime di Ovum, aveva in Italia circa 2 milioni di utenti al dettaglio registrati del principale sito Amazon. Di questi, circa 460 mila erano abbonati Prime, che hanno accesso ad Amazon Video come parte del pacchetto Amazon Prime. E il 65% (300 mila) di essi sta utilizzando attivamente Amazon Video, cioè guarda i contenuti video su base settimanale. Il secondo maggiore servizio svod (subscription video on demand, cioè di contenuti in abbonamento) in Italia dopo Netflix è, secondo Ovum, il servizio Infinity di Mediaset con 850 mila abbonati video Ott standalone (pari al 24% del mercato, rispetto a Netflix che ha il 44%), seguito da Amazon Video con l’ 8% del mercato e circa 300 mila utenti video attivi. Poi figurano Tim Vision e Sky’ s Now Tv, che hanno complessivamente 690 mila abbonati, cioè il 15% del mercato. Gli operatori dello svod sono una vera minaccia per quelli della pay tv (tipo Sky o Mediaset), anche se nel 2018 il mercato era ancora dominato da questi ultimi, con 6,5 milioni di italiani che erano iscritti alla televisione a pagamento contro i 4 milioni scarsi di abbonati ai servizi di video Ott come Netflix. «Nei prossimi anni ci aspettiamo tuttavia che la pay tv diminuisca leggermente e che i servizi Ott crescano a tassi molto maggiori rispetto agli attuali», conclude Gunnarsson. «Entro il 2021 il numero di abbonati ai player Ott dovrebbe avvicinarsi molto a quelli degli abbonamenti alla pay tv e nel 2022 dovrebbe esserci il sorpasso. Questa tendenza è visibile in tutto il mondo e in particolare in Europa, dove il trend si concretizzerà in maniera più evidente». (riproduzione riservata)

Audiweb: classifica informazione online a novembre

Prima Comunicazione



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Il terzetto di testa, nella classifica dell’ informazione online stilata sulla base delle rilevazioni Audiweb di novembre, è composto da Repubblica, Corriere della Sera e TgCom24, esattamente come in ottobre. Citynews supera il Messaggero, e sale in quarta posizione; anche Fanpage fa un passo avanti, superando la Gazzetta dello Sport e piazzandosi al sesto posto, mentre Il Fatto Quotidiano mantiene l’ ottava posizione. Ma la vera novità del mese è Upday, l’ applicazione di notizie per smartphone dell’ editore tedesco Axel Springer, che raccoglie le news da centinaia di giornali di tutto il mondo (300 italiani) e le propone in modo personalizzato all’ utente in base ai suoi interessi, con l’ aiuto dell’ intelligenza artificiale ma anche con il supporto di redattori in carne e ossa. L’ app è stata lanciata nel marzo 2016 in Germania, Francia, Polonia e Regno Unito; l’ edizione italiana ha debuttato un anno dopo, il 27 febbraio 2017, curata da una redazione di sei giornalisti guidati da Giorgio Baglio, country manager ed editor in chief. La raccolta pubblicitaria è stata affidata lo scorso ottobre a Italiaonline. Fino a quel momento Upday non era rilevato da Audiweb; ora in un colpo solo ha conquistato la nona posizione della classifica, con 1 milione 211mila utenti unici: una dimostrazione dell’ importanza che hanno assunto i device mobili nella dieta mediatica degli italiani e del peso che Samsung ha in questo mercato. In novembre le persone che si sono collegate a Internet almeno una volta nel giorno medio secondo Audiweb sono state 33 milioni; 27,9 milioni da smartphone, 11,6 milioni da computer, 5,4 milioni da tablet. In ottobre erano state un po’ di più: 33,4 milioni. L’ informazione online non è andata particolarmente bene: sui 60 brand presi in considerazione nella nostra classifica 26 sono in crescita, 3 stazionari e 30 sono in calo. La situazione che fotografa Audiweb è comunque migliore rispetto a quella delineata da comScore: i dati di novembre della società americana, pubblicati su Primaonline il 31 dicembre scorso, davano 36 media in calo e solo 16 in crescita. Secondo Audiweb la flessione di novembre è dovuta sostanzialmente a due cause: ci sono stati due giorni lavorativi in meno, visto il ponte di Tutti i Santi, il che ha penalizzato i siti dei quotidiani e dei tg, abitualmente frequentati sul posto di lavoro; in ottobre inoltre ci sono stati due eventi che hanno attirato l’ attenzione degli utenti online, facendo impennare l’ audience dei siti di informazione: l’ ondata di maltempo a fine ottobre e l’ inizio della discussione sulla legge di bilancio con la presentazione dei progetti del governo su reddito di cittadinanza e pensioni. Il combinato disposto di questi due fatti spiegherebbe il -13% di Rai News, il -12% di Libero e dell’ HuffPost, il -9% del Sole 24 Ore, il -8% del Fatto Quotidiano (a cui comScore attribuisce invece un +39%). Comunque non sono poche le testate in crescita, come Il Giornale (+15%), Quotidiano.net (+16%), Il Gazzettino (+19%), Il Post (+32). Il sito dell’ Ansa ha registrato un incremento ancora maggiore (+51%), che dipende però da una questione tecnica: la taggatura delle pagine, l’ inserimento cioè dei tag per la misurazione del traffico sulle pagine web, effettuato proprio in novembre. La rilevazione di contenuti che in precedenza non erano rilevati, come ad esempio gli Instant article di Facebook e le Accelerated mobile pages (Amp) di Google, influenza ovviamente il dato sull’ audience dei siti e delle app. In novembre sono stati diversi i brand che hanno modificato la taggatura e questo ovviamente ha avuto un impatto sui loro risultati in termini di audience, al di là della ricchezza dei contenuti e della bravura dei giornalisti. Oltre all’ Ansa, è il caso dell’ HuffPost, del Corriere Adriatico, della Gazzetta del Mezzogiorno, del Sole 24 Ore, di Fanpage e altri.

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