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Rassegna Stampa del 07/01/2019

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Salvini, un uomo nel mirino: M5s trama per farlo cadere

Palazzo Chigi non paga i debiti con Askanews: cento famiglie in crisi

Radio Radicale e non solo, ecco il bavaglio del governo

Misericordina o liquidismo? Ecco l’ italiano dei giornali

Salvini, un uomo nel mirino: M5s trama per farlo cadere

Il Giornale
Pasquale Napolitano
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S ette mesi di trappole, sgambetti e agguati. Il M5S si comporta come forza di governo quando incassa nomine e piazza i fedelissimi a capo delle aziende di Stato ma non rinuncia al profilo di partito di opposizione nei confronti dell’ alleato leghista. I primi sette mesi di governo sono trascorsi all’ insegna di una guerra silenziosa, mossa dai grillini, fatta di trappole e manovrine per mettere in difficoltà il Carroccio. L’ estensione del reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia dei Cinque stelle, agli immigrati è solo l’ ultimo colpo basso che Luigi di Maio tira a Matteo Salvini per spingerlo spalle al muro e in cattiva luce nei confronti dell’ elettorato leghista. Nell’ ultima versione potrà accedere al sussidio una platea di circa 1,4 milioni di famiglie incluse 260mila nuclei stranieri per un totale di circa 4,5 milioni di persone. Un cavallo di Troia per indebolire la Lega. Incassato il reddito per gli stranieri, i grillini preparano un’ altra trappola ai soci di maggioranza: il referendum propositivo. La riforma approda in Parlamento il 16 gennaio: i Cinque stelle non vogliono alcun quorum. Mentre il ministro dell’ Interno Salvini, al Tg3, ha chiarito che «il quorum è necessario. La Svizzera è un modello, però – spiega il leader della Lega – un minimo di quorum bisogna metterlo altrimenti qui si alzano in dieci la mattina e decidono cosa fare». La Lega punta all’ introduzione di un quorum al 33%. Ma il ministro per i Rapporti con il Parlamento ha subito smentito il collega: «In Svizzera c’ è il quorum zero e anche il contratto di Governo prevede espressamente di cancellare il quorum, proprio per incentivare la partecipazione attiva». A gennaio, Di Maio, Fico e Di Battista vogliono mettere il bastone fra le ruota sulla legittima difesa per mandare in affanno i leghisti: il provvedimento è stato approvato in Senato a fine ottobre. A Montecitorio la fronda Cinque stelle proverà ad annacquare la legge tanto cara alla Lega. Già nel passaggio a Palazzo Madama, i senatori grillini volevano snaturare la norma. Più che una trappola, sul caso Sea Watch Di Maio e il M5S hanno marcato la distanza politica rispetto alla linea della Lega, lasciando Salvini isolato nella battaglia contro l’ Europa. Ora i grillini puntano al colpo grosso: l’ agguato su quota 100. Secondo un retroscena, raccontato da La Verità, il presidente dell’ Inps Tito Boeri avrebbe convocato una riunione segreta per impallinare la riforma delle pensioni su cui Salvini ha costruito la campagna elettorale. Con il decreto Dignità e il limite al rinnovo dei contratti a tempo determinato, Di Maio ha spinto Salvini nel fuoco delle proteste degli imprenditori del Nord. I leghisti temono a breve la trappola sull’ autonomia per Veneto e Lombardia. I governatori Luca Zaia e Attilio Fontana hanno fiutato il pericolo, minacciando di far saltare il governo se la legge non rispetterà il voto del referendum. La mossa del vicepremier Di Maio di inserire nel decreto su Genova il condono per Ischia ha fatto infuriare Salvini. In quel caso, il leader del Carroccio ha ingoiato il rospo, accettando il passo indietro, mentre lo scontro sulla nazionalizzazione di Autostrade e le polemiche per la ricostruzione del ponte Morandi hanno esposto la Lega a critiche pesanti. Altri due passi indietro la Lega è stata costretta a compierli sul taglio dei fondi all’ editoria (su cui il Carroccio non era d’ accordo) e sulla riduzione degli stipendi ai parlamentari. Il compromesso sull’ abolizione della prescrizione non ha spento il malcontento nella base del Carroccio, che vorrebbe anche una modifica della legge sulle unioni civili. Ma il sottosegretario grillino, Vincenzo Spadafora, ha già stoppato la fuga in avanti della Lega.

Palazzo Chigi non paga i debiti con Askanews: cento famiglie in crisi

Il Giornale
Diana Alfieri
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Bei tempi quelli della campagna elettorale. Quando Luigi Di Maio prometteva con sicumera che «un’ azienda non può fallire perché lo Stato non paga i suoi debiti». Lo ha ripetuto in diverse occasioni, l’ ultima volta lo scorso 17 maggio, a neanche due settimane dalla nascita dell’ autoproclamato «governo del cambiamento» guidato da Giuseppe Conte. In quell’ occasione, infatti, il futuro vicepremier si presentò davanti alle telecamere in compagnia di Sergio Bramini, l’ imprenditore di Monza che pur vantando quattro milioni di crediti dalle pubbliche amministrazioni è finito sull’ orlo del lastrico. E giurò che mai più una simile «barbarie» si sarebbe ripetuta. Passati sei mesi, invece, nulla è cambiato. Nonostante Di Maio sia oggi uno dei più autorevoli esponenti di quello Stato che, come ieri, continua a non pagare. Nel caso specifico, peraltro, con un’ aggravante. Nella storia dell’ agenzia di stampa Askanews, infatti, il paradosso è che ad essere insolvente – per quasi cinque milioni di euro – non è solo genericamente lo Stato, ma più precisamente Palazzo Chigi. E sedendo Di Maio sulla poltrona di vicepremier l’ incredibile contraddizione tra il dire e il fare è ancora più eclatante. Con un dettaglio mica di poco conto: a non voler onorare il debito – a fronte di un servizio già erogato tra il 2017 e il 2018 – è il Dipartimento per l’ editoria guidato dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Rocco Crimi, un altro esponente della prima ora del M5s. Insomma, che nella vicenda i Cinque stelle abbiano un ruolo centrale è del tutto evidente, con buona pace della vicinanza espressa dal presidente della Camera Roberto Fico che si dice «preoccupato per Askanews» e per i suoi lavoratori che «hanno fatto in questi mesi sacrifici importanti che non si possono ignorare». Ancora una volta – come sul dl sicurezza o sul tema migranti – l’ impressione è che si sia davanti alla solita «divergenza parallela» che permette al M5s di sostenere una tesi e il suo esatto contrario. Al di là delle promesse elettorali e della solidarietà di circostanza, infatti, la sostanza è una: nonostante un credito con Palazzo Chigi di quasi cinque milioni, Askanews ha avviato le procedure per il concordato preventivo, con buona pace dei circa cento dipendenti (tra giornalisti e poligrafici). D’ altra parte, che il governo gialloverde voglia ridisegnare il panorama dei media a proprio uso e consumo non è un segreto. E il rifiutarsi di onorare il debito con Askanews rientra proprio in questa logica. L’ obiettivo, infatti, è quello di chiudere i rubinetti alla stampa non allineata (vedi la vicenda di Radio Radicale o quella di Avvenire e del Manifesto) per poi dirottarli su testate di fiducia. Un’ operazione, giurano a Palazzo Chigi, su cui c’ è il placet non solo di Conte ma anche di Matteo Salvini che, come i Cinque stelle, guarda con interesse ai movimenti nel mercato dei media. Certo, la vicenda Askanews non dipende solo dall’ insolvenza di Palazzo Chigi. Perché un ruolo centrale ce l’ ha l’ editore Luigi Abete. Askanews, infatti, nasce nel 2009 dalla fusione tra TmNews (rilevata al prezzo simbolico di un euro) e Asca, testa già di proprietà dell’ ex numero uno di Confindustria. Un’ operazione a costo zero da cui Abete ha solo ottenuto utili senza mai mettere un soldo. Privatizzare i profitti e condividere le perdite, come insegna l’ imprenditoria delle relazioni e dei buoni salotti. Quelli che lo hanno portato a sedere su decine di poltrone. Tra le altre, quella di presidente di Bnl-Bnp Paribas, quella di presidente onorario della Luiss e quella di presidente di Cinecittà Spa.

Radio Radicale e non solo, ecco il bavaglio del governo

Il Giornale

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Roma Non è affatto un caso la scelta del governo di colpire al cuore i media, a partire dal taglio ai contributi all’ editoria. La vicenda non coinvolge questo giornale, sia chiaro. Ma che proprio l’ esecutivo che si presenta come difensore del popolo – e con un premier che si è autoproclamato «avvocato del popolo» – sta facendo di tutto per togliere al popolo la conoscenza è cosa curiosa. Già, perché non si spiega altrimenti il tentativo di metter a tacere giornali non allineati come Avvenire o Il Manifesto o, davvero clamoroso, quello di far chiudere i battenti a Radio Radicale. Se ne condividano o meno le battaglie, l’ emittente fondata da Marco Pannella è infatti memoria storica del nostro Paese. In 42 anni di vita ha trasmesso – e conserva nel suo archivio – 17.645 sedute del Parlamento, 99.460 interviste, 23.505 udienze dei processi più importanti, 3.284 giornate di congressi di tutti i partiti. Questi solo alcuni numeri che mettono in chiaro il ruolo di servizio pubblico avuto in questo quasi mezzo secolo da Radio Radicale. Eppure Conte, Di Maio e Salvini gli dimezzano la convenzione. Perché – questo è il sospetto – se il governo è del popolo, sempre meglio che il popolo sia ignorante.

Misericordina o liquidismo? Ecco l’ italiano dei giornali

Il Giornale
Matteo Sacchi
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Matteo Sacchi La lingua italiana non è una cosa morta, statica. Fortunatamente la nostra è una lingua viva, che cambia nel tempo e si arricchisce. Come? Nel passato pescando dai dialetti, l’ humus su cui è cresciuta la parlata nazionale o grazie alle invenzioni degli scrittori (Dante era un grandissimo creatore di neologismi). Oggi, parola della Treccani, i maggiori creatori di lemmi nuovi sono i giornalisti. Negli ultimi dieci anni avrebbero creato 3mila e cinquecento espressioni nuove. Sotto la direzione scientifica di Giovanni Adamo e Valeria Della Valle l’ Istituto dell’ Enciclopedia Italiana ha raccolto e catalogato tutte queste espressioni comparse sulle testate cartacee e online. Le troverete tutte nel dizionario Neologismi. Parole nuove dai giornali 2008-2018. Un folto gruppo di termini sono in realtà espressioni d’ autore. Per citarne qualcuna c’ è l’«asinocrazia» partorita dalla fervida mente del politologo Giovanni Sartori (1924-2007), oppure «Guerrasantista» uscito dalla penna di Guido Ceronetti. Ma sono i giornalisti, stricto sensu, che hanno inventato il maggior numero di parole. C’ è il «barcamenista» del critico televisivo Aldo Grasso; la «complottocrazia», oppure la «dichiarazionite» coniata da Pierluigi Battista. Ovviamente, parlando i quotidiani molto di politica, va segnalato che sono i composti con il suffisso «crazia» a farla da padrona in questo geminare di lemmi. Se come dicevamo ha iniziato Sartori, con il governo degli asini non si può dimenticare la «zerbinocrazia» che per Massimo Gramellini identifica la società dei nostri giorni. E nemmeno la «maggiordomocrazia» e la «mignottocrazia» scaturite dalla penna di Paolo Guzzanti. Esistono poi un sacco di espressioni più comuni, magari senza un padre nobile, che si sono affermate con l’ uso e che, pian piano, hanno iniziato a comparire in sempre più articoli. E qui il fenomeno è un po’ più preoccupante perché non si tratta più di creatività alla Gianni Brera (1919-1992) la cui onomaturgia giornalistica era straordinaria (da «contropiede» a «uccellare»). Spiegano i due autori del volume, infatti, che si sono trovati «a verificare un preoccupante aumento delle parole presenti nei quotidiani provenienti da altri idiomi: il materiale raccolto documenta che i forestierismi – nella quasi totalità di provenienza angloamericana – costituiscono il 20% della produzione neologica rilevata nei quotidiani (a fronte di poco più del 10% riscontrato nel dizionario pubblicato nel 2008)». Insomma brutti calchi da altre lingue di cui si potrebbe fare a meno. Quasi meglio i neologismi creati da Papa Bergoglio: «balconare», «giocattolizzare», «mafiarsi» e «nostalgiare». Il pontefice scherzando ha anche cercato di curare i fedeli con «la misericordina». Di misericordia ne ha poca il tempo. E solo lui ci dirà quante di queste parole sopravviveranno. Di certo qualcuna sì, ma chissà quali…

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