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L’ edicolante-filosofo di Mantova e la battaglia contro le fake news
Freccero frena: «Luca e Paolo non se ne vanno»
Così agisce la sottile arte del dissenso
Addio Tv svizzera Non si vedrà più sul nostro digitale
L’ edicolante-filosofo di Mantova e la battaglia contro le fake news
Corriere della Sera
GIOVANNI BERNARDI
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Mantova Un grande cartello, esposto fuori dalla sua edicola al civico 4 di via Frattini, veicola un messaggio chiaro: contro le fake news , contro le notizie inventate che spopolano su Internet, esiste un’ unica soluzione: la carta. Dei quotidiani, delle riviste, dei periodici: un supporto fisico, frutto del lavoro, della professionalità e dello sforzo dei giornalisti e degli operatori del settore dei media, a garanzia della veridicità delle notizie. Più che un semplice lavoro, la vendita dei giornali Walter Tojari la vive come una filosofia di vita improntata a salvare la stampa su carta in nome della veridicità delle notizie. Quando si entra nella sua edicola, nel centro di Mantova, si nota subito qualcosa di diverso: ordine perfetto, giornali e quotidiani riposti in base agli argomenti, riviste d’ epoca esposte in bella vista, ci sono addirittura alcuni periodici americani risalenti ai primi anni Cinquanta. «Per me la carta – spiega l’ edicolante mantovano – ha una marcia in più. Il mio lavoro e il vostro lavoro (dei giornalisti, ndr ) sono legati in modo indissolubile e l’ uno dipende dall’ altro. Per questo faccio il possibile per salvare ciò che ad entrambi sta più a cuore: la carta dei giornali, delle riviste e soprattutto il nostro lavoro. Perché come io accolgo i clienti con il massimo della professionalità, i giornalisti usano la propria professionalità e la propria esperienza per veicolare un messaggio ai lettori, ai cittadini tutti. La carta stampata, compresa quella dei libri, per quanto mi riguarda ha un duplice valore: oltre a piacermi particolarmente, è anche quel mezzo fisico, che si sente tra le dita, che offre una garanzia in più della verità delle notizie. Per questo – aggiunge l’ edicolante – ho voluto trasmettere quel messaggio a clienti e passanti: sono convinto che la carta sia forse l’ ultimo baluardo contro le innumerevoli bufale che circolano quotidianamente su internet». Così recita il messaggio esposto da Tojari in via Frattini: «Esiste un antidoto alle fake news? Sì, il giornale di carta. Non perché tutto ciò che si pubblica sia vero, ma perché ciò che si stampa è reale e stabilisce con il lettore un rapporto anche fisico di attenzione e di cura delle informazioni. Nel mondo digitale tutto rischia invece di liquefarsi nel flusso indistinto e continuo delle notizie». C’ è di più. A testimonianza del valore attribuito alla carta, l’ edicolante di recente ha deciso di cambiare il nome della propria rivendita: non più «Edicola 140», ma «Il valore delle parole scritte». E non è tutto. All’ interno del punto vendita, infatti, da qualche tempo Toajari ha iniziato ad organizzare incontri di stampo culturale: presentazioni di libri e appuntamenti musicali. «Ritengo sia un modo in più – spiega l’ edicolante – per fare e trasmettere cultura, per conoscere le persone e imparare ad ascoltare. Perché ascoltare gli altri è un lavoro impegnativo, come lo è anche leggere sulla carta: non solo immagini che sfilano davanti agli occhi su un display, ma qualcosa in più che richiede concentrazione e attenzione».
Freccero frena: «Luca e Paolo non se ne vanno»
Il Giornale
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«Luca e Paolo sono saldi su Rai2, a Quelli che il calcio, che ha già avuto la conferma con loro alla guida anche per il prossimo anno, liberissimi di prendere in giro chiunque, Toninelli compreso. E me come ospite a parlare di calcio». A dirlo è il direttore di Rai 2 Carlo Freccero, all’ indomani delle polemiche sollevate dal deputato del Pd e segretario della commissione di Vigilanza Rai Michele Anzaldi, che lo aveva accusato di voler epurare i due comici dalla seconda rete. Freccero, che aveva presentato il nuovo palinsesto di Rai2 in una conferenza stampa-show, ha sottolineato di non voler essere definito «un censore» ed ha aggiunto: «Questo dimostra -come siano stati epurati. Gli ho chiesto infatti anche di salutarmi in diretta Michele Anzaldi».
Così agisce la sottile arte del dissenso
Il Sole 24 Ore
Stefano Salis
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Sarebbe il più atroce e clamoroso infortunio della storia dell’ editoria. Pensate: il più “scivoloso” dei Dieci Comandamenti che recita, testuale: «Commetterai adulterio». È saltato un piccolo, decisivo, non. Come svista, sarebbe incredibile. E troppo bella per essere vera. Infatti non è una svista: è la Bibbia inglese di Re Giacomo, nell’ edizione “stregata” (o, piuttosto, manomessa), del 1631, pubblicata da Robert Barker e Martin Lucas. Un errore di questo tipo, proprio nel sommo decalogo, non può capitare. C’ è lo “zampino” di qualcuno, se un tipografo in rotta con gli editori o un miscredente che tira un brutto scherzo, non lo sapremo mai. Certo è che, in più, in alcune altre copie di quella digraziata edizione, al versetto di Deuteronomio 5:24 riportano, anzi che il corretto «God’ s greateness» un blasfemo «God’ s great asse», che, all’ epoca non significava proprio le terga, ma “solo” «asino». Lo “scherzo” finì male per gli editori: multati per l’ astronomica cifra di 300 sterline finirono sul lastrico e Barker morì in una prigione per debitori. Ho visto il mirabile reperto della «Wicked Bible» in una mostra piccola, ma eccellente, in corso al British Museum di Londra. Si intitola «I Object» (fino al 20 gennaio, ottimo il catalogo Thames and Hudson) ed è dovuta all’ idea di un geniaccio come l’ ex direttore del museo, Neil MacGregor, ma curata da un altro acuto raccontatore e direttore di riviste satiriche come Ian Hislop. L’ idea è esplorare la collezione del British ed isolare una quantità di oggetti artistici (a volte semplici manufatti) che testimoniino come l’ arte sia capace di “protestare” e far sentire il dissenso, nell’ arco di tre millenni. A volte in modo plateale (vignette umoristiche, caricature, già dell’ antico Egitto, sberleffi d’ autore), a volte in modo sottilissimo, come, le note a margine del testo di Marco Dotto che pone mano a un’ edizione del Decameron del 1573: la Chiesa aveva sbianchettato gli episodi sgraditi (qui la pagina è aperta su Masetto da Lamporecchio che, assunto come giardiniere muto e sordo, viene “abusato” sessualmente, con grande soddisfazione di tutti, dalle monache): Dotto ripristina il testo originale a mano, a fianco delle righe stampate; né più né meno: un atto sovversivo di per sé, contro l’ autorità della Chiesa. Il dissenso lo si esprime in vari modi: dall’ identificazione e riconoscibilità della protesta nel vestire (ecco i pussyhats, i cappelli di maglia rosa delle donne contro Trump, gli ombrelli gialli della protesta di Hong Kong, ma anche la kefiah di Arafat; oggi non ci sono i gilet gialli?), alla comunicazione in modo forte e dal basso: ecco le spillette tonde, le monete con incise parole a favore del voto, sacrosanto, alle donne; gli euro con interventi artistici che, durante la crisi greca, apparivano con minuscole raffigurazioni di morte. C’ è, infine, il sublime episodio che vede protagonisti Banksy e lo stesso British. Nel 2005 l’ anonimo artista graffitaro si introduce nel museo e appende una pietra con un suo disegno e tanto di didascalia, raffigura un simil primitivo già munito di carrello per la spesa. La beffa dura qualche giorno, poi i responsabili del museo se ne accorgono. Ma, anziché scandalizzarsi, accettano la sberla e l’ opera diventa parte della collezione. Fino a essere iconica, e oggi venduta nel bookshop: la domanda è legittima: chi si approfitta di chi? Non è Banksy, stavolta, vittima del sistema che prende in giro? © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Il calcio uccide le pay-tv
Libero
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FRANCESCO PERUGINI Dopo l’ abbuffata natalizia, la prima domenica senza calcio porta un po’ di nostalgia pallonara. I tifosi da stadio – sempre di più, come raccontano i numeri sotto – si godono una giornata alternativa, mentre gli sportivi da divano devono accontentarsi al massimo della FA Cup. Ma è giusto chiedersi: quale sarà il futuro del calcio in televisione? Per rispondere tocca fare un passo indietro, alla lunga estate dei diritti tv. Con Mediaset Premium stroncata dall’ azzardo della Champions League, Sky si è ritrovata l’ unica pay tv in grado di tenere in piedi il sistema. Dopo lo scontro con gli spagnoli di Mediapro – che promettevano il canale della Lega, ma sono caduti di fronte a una fidejussione da pagare -, l’ emittente satellitare ha offerto 780 milioni per 266 partite per tre anni fino al 2021. Oltre 200 milioni in più rispetto al passato con 114 partite in meno. Si tratta dei tre incontri a giornata finiti a Dazn – un concorrente indispensabile per il dettato della legge Melandri – che se li è aggiudicati per 193 milioni: 973 milioni totali, lontanissimi dagli 1,1 miliardi attesi dalla Lega. Certo, sono partite in esclusiva che in teoria dovrebbero portare più abbonamenti (e doppi abbonamenti), ma non è così. Almeno in Italia, dove già ai tempi del duopolio tra Tele+ e Stream le due concorrenti accumularono una montagna di debiti che li spinse alla fusione. Colpa anche degli oltre due milioni di schede pirata di inizio anni Duemila, mentre oggi la pirateria va a gonfie vele tra lo streaming illegale e il “pezzotto”: un decoder pirata per la visione di Sky, Dazn e Netflix a 12 euro al mese. La bolla dei diritti tv si è sgonfiata. Accade anche all’ estero, per esempio in Premier League: da 5,1 miliardi, Sky e Bt hanno fatto retromarcia fino a 4,4 miliardi di sterline (5 miliardi di euro) per il 2019-2022. Numeri comunque astronomici per il calcio italiano: basti pensare che la BBC versa 240 milioni di euro per i diritti in chiaro, mentre Novantesimo minuto vale appena 4 milioni (mentre la Supercoppa italiana e la Coppa Italia costano 35 milioni alla Rai). Il peso degli accordi firmati, però, resta come un macigno sul futuro di chi possiede i diritti. Cifre ufficiose parlano, per esempio, di 1,3 milioni di abbonati per Dazn: attenzione però, il servizio permette di collegare sei apparecchi allo stesso account, pagato una sola volta. Più complessa è la situazione di Sky Italia. Con abbonati in crescita ma inchiodati sotto la soglia dei 5 milioni (4,8), l’ emittente ha nel calcio il suo core business e allo stesso tempo è il primo finanziatore dei club di A. L’ ex azienda di Rupert Murdoch – ora nelle mani di Comcast – ha chiuso il bilancio al 30 giugno 2018 con quasi 3 miliardi di ricavi e 100 milioni di utile. All’ orizzonte, tuttavia, ci sono impegni ancora non contabilizzati per 4,4 miliardi di euro per i diritti tv pluriennali di Serie A, Champions ed Europa League, Premier, motori e il resto dell’ offerta sportiva. Un macigno che imporrà un taglio ai costi per tenere i conti in ordine. Anche all’ estero le cose non vanno bene: Img aveva comprato per 340 milioni i diritti globali della A – il doppio del passato -, ma a novembre scorso aveva ancora un buco di 100 milioni da colmare. Nonostante Cristiano Ronaldo. riproduzione riservata.
Addio Tv svizzera Non si vedrà più sul nostro digitale
Libero
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nLa tv svizzera dice addio ai telespettatori italiani. La Confederazione ha annunciato che dal 3 giugno i canali elevetici non saranno più visibili sul digitale terrestre nostrano. Il comunicato ufficiale recita: «La decisione, presa lo scorso 29 agosto dal governo federale, di spegnere le circa 200 antenne che diffondono il segnale via etere avrà un impatto minimo per i residenti nella Confederazione ma inevitabilmente è destinata a penalizzare i numerosi telespettatori che seguono i programmi diffusi dalle reti svizzere dalle province di Como, Varese e Verbano-Cusio-Ossola». Una brutta notizia per tutti quegli affezionati comaschi che preferivano la “Svizzera” al monopolio Rai e che adesso dovranno definitivamente rassegnarsi alla sua scomparsa. Non è la prima volta che gli svizzeri decidono di estrometterci dalla fruizione dei loro canali. Già alla fine degli anni Novanta la tv elvetica aveva cessato di trasmettere in Italia, ma la decisione attuale sembra essere definitiva ed irrevocabile. «Berna ha giustificato la rinuncia al digitale terrestre con l’ esigenza di ottimizzare le risorse del canone – spiega il comunicato – che dal 2019 sarà ridotto da 451 a 365 franchi, e con la particolare configurazione del mercato interno che si caratterizza per la scarsa diffusione di questa tecnologia. La stragrande maggioranza della popolazione elvetica segue infatti i canali televisivi via cavo o con un ricevitore satellitare e solo il 2% degli utenti dispone di un’ antenna per la ricezione (digitale) via etere». Niente paura. Per chi lo volesse i programmi della Rsi saranno visibili su internet accedendo al portale ww.tvsvizzera.it o www.rsi.ch, o ancora su dispositivi digitali attraverso le due app gratuite tvsvizzera.it e Play Rsi. Tutto questo con un handicap: sugli indirizzi indicati non saranno visibili le trasmissioni per cui non sono contemplati i diritti per l’ estero (sport e fiction in particolare).
L'articolo Rassegna Stampa del 06/01/2019 proviene da Editoria.tv.