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Il blitz di Natale dei grillini a viale Mazzini: mettono le mani sulla comunicazione Rai
Chessidice in viale dell’ Editoria
Gli affari spericolati di Radio Padania il bancomat (rottamato) della Lega
Il blitz di Natale dei grillini a viale Mazzini: mettono le mani sulla comunicazione Rai
Il Giornale
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di Carmelo Caruso E ra il Movimento che voleva liberare la Rai dai partiti, ma adesso si muove come se ne fosse il padrone. Dopo essersi assicurato il Tg1, dopo aver messo piede al Tg3, il M5s ha ottenuto la guida dell’ ufficio stampa Rai. Con un blitz, consumato la vigilia di Natale, è infatti stata annunciata la nomina di Claudia Mazzola giornalista Rai di area M5s a responsabile media office. In pratica, il comando dell’ intera comunicazione della tv di Stato. Candidata sulla piattaforma Rousseau per il cda dove è stata bocciata a favore di Beatrice Coletti Mazzola, dal 1° ottobre, era stata designata responsabile di un think tank (anche questo c’ è in Rai!) dai compiti altisonanti: relazioni esterne e internazionali. A viale Mazzini è ritenuto un luogo esotico, un rifugio in attesa di nuovi incarichi che, nel caso della Mazzola, sono arrivati. Già cronista politico del Tg1, dopo un passato all’ Ansa e a Inter Channel, Claudia Mazzola, in pochi anni, ha dimostrato competenza e fedeltà al M5s che le hanno permesso di compiere la scalata. In un articolo del Giornale, lo scorso luglio, si era già raccontato della complicità della giornalista con Rocco Casalino, responsabile della comunicazione del premier, fino agli abbracci esibiti, in Transatlantico, con la vicepresidente del Senato, Paola Taverna. Il suo nome era circolato per la corsa al Tg1 dove alla fine è stato preferito Giuseppe Carboni che, raccontano nei corridoi Rai, proprio alla Mazzola chiede la linea editoriale, suggerimenti per modellare il suo telegiornale alle volontà di governo. Questo ruolo ombra viene oggi legittimato con l’ ambito ruolo di capo ufficio stampa; incarico che fino al 9 dicembre è stato ricoperto da Luigi Coldagelli. A dare la notizia della nomina della Mazzola ha provveduto il direttore della Comunicazione Rai, Giovanni Parapini, che in una informativa interna ne ha anche lodato le qualità, «si tratta di una giovane risorsa, ma dalla collaudata esperienza aziendale e con ottime relazioni nel mondo dei media italiani e stranieri». Al momento, l’ ufficio stampa Rai è composto da una dozzina di giornalisti e da altrettanti impiegati, grafici, segretarie e responsabili social. Prima dell’ uscita di Coldagelli, l’ assemblea di redazione ha firmato all’ unanimità un documento in cui esprimeva plauso per il tentativo di riorganizzazione dell’ ex capo ufficio stampa. La verità, però, è che si tratta di un carrozzone nel carrozzone, una stiva di giornalisti reclutati dai partiti, un vero e proprio fondaco dove si partoriscono pensieri fumosi e pochi comunicati ordinari (cinque al giorno). L’ ufficio stampa Rai è infatti la migliore metafora dei guasti della tv di Stato, è il reparto dove si concentrano in miniatura i vizi della prima azienda culturale d’ Italia. Per intenderci, è quella televisione che pochi anni fa il pentastellato Roberto Fico, non ancora presidente della Camera, si diceva pronto a sgomberare: «Vogliamo giornalisti senza odore di lottizzazione. La Rai è stata gestita dai partiti, che hanno occupato le istituzioni democratiche del paese». Era lo stesso, ex presidente della Commissione di Vigilanza Rai, a promettere che «il M5s deve essere l’ esempio che la lottizzazione si può anche non attivare». Oggi non serve più attivarla. È già compiuta. L’ hanno perfino migliorata.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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Piemonte, 117 produzioni video nel 2018. Nel corso degli ultimi giorni sono quattro le produzioni che hanno terminato, a Torino e dintorni, le riprese di film e serie tv realizzate con il sostegno di Film Commission Torino Piemonte, con la presidenza di Paolo Damilano. Nel corso del 2018 Fctp ha sostenuto 117 produzioni: 12 lungometraggi per il cinema, 9 serie televisive, 15 cortometraggi (di cui 3 attraverso lo Short Film Fund), 35 documentari (di cui 18 attraverso il bando di giugno 2018 del Piemonte Doc Film Fund), 46 produzioni tra spot pubblicitari (24), trasmissioni tv (10), servizi fotografici (4), filmati istituzionali (4) e videoclip musicali (4). Freedom, Giacobbo va in Egitto. Nuovo appuntamento con Roberto Giacobbo e Freedom – Oltre il confine, in onda su Retequattro oggi in prima serata. In apertura di puntata Giacobbo è in Egitto per visitare le piramidi di Giza. Tra i vari servizi, da Roma arrivano le immagini del sotterraneo di Rione Monti, vicino Stazione Termini. A 60 anni dall’ inizio del pontificato di Giovanni XXIII, Freedom ripercorre anche, insieme al cardinal Comastri, vicario del Papa per la Città del Vaticano, alcuni momenti della vita di un pontefice che ha contribuito attivamente alla pace e al dialogo tra i popoli. Real Time, Ghali diventa un documentario. Il cantante Ghali, dopo aver superato 450 milioni di visualizzazioni su YouTube e dopo il suo «Ghali in tour», è al centro di un documentario sul dietro le quinte della sua vita artistica. Lo manda in onda Real Time (canale 31), in esclusiva oggi alle 21.10. Il titolo è Dai palazzi ai palazzetti. MasterChef All Stars alla sfida panino gourmet. Dopo i primi due episodi con la selezione che ha ridotto i concorrenti da 16 a 10, la gara di MasterChef All Stars entra oggi nel vivo, dalle ore 21.15 su Sky Uno (canale 108 e sul digitale terrestre al canale 311 o 11) e su Sky On Demand e Now Tv. Si tratta del secondo appuntamento del cooking show prodotto da Endemol Shine Italy. Tra le sfide della puntata, quella di cimentarsi con una delle tendenze più in voga oggi: la preparazione di panini gourmet. Askanews contro il Dipartimento editoria della Presidenza del consiglio. «La proprietà e il cda di Askanews esprimono estrema preoccupazione per la sottovalutazione della situazione in cui si trova l’ agenzia di stampa a seguito di una gara profondamente sbagliata, bandita dalla Presidenza del consiglio nel 2017, e di cui si continuano a sottovalutare gli effetti», hanno reso noto negli scorsi giorni gli stessi vertici aziendali dell’ agenzia stampa del gruppo Abete. Il cda ha deciso lo scorso 24 dicembre di avviare l’ iter per l’ apertura del concordato preventivo. La redazione (composta da quasi 100 giornalisti) è già scesa in sciopero, tra l’ altro contro la dichiarazione di 27 esuberi, ed è ora in stato di agitazione. La British Library parla con Mediamonitor. La British Library (www.bl.uk/projects/save-our-sounds), biblioteca nazionale del Regno Unito, ha affidato a Mediamonitor, società del gruppo Cedat 85 specializzata nella gestione dei contenuti audio e video, il compito di trascrivere e archiviare le trasmissioni radiofoniche della propria collezione, utilizzando una soluzione basata sulla tecnologia speech to text. Grazie a questa tecnologia il patrimonio delle registrazioni della biblioteca sarà accessibile agli utenti.
Gli affari spericolati di Radio Padania il bancomat (rottamato) della Lega
La Repubblica
MARCO MENSURATI FABIO TONACCI
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Tutti i milioni incassati dall’ emittente del Carroccio Aleggere le ultime dichiarazioni su editoria e giornali, pare proprio che il ministro dell’ Interno Matteo Salvini abbia sposato in pieno la linea dell’ alleato grillino Luigi Di Maio. Quella che si pone, come obiettivo, l’ abolizione dei contributi pubblici a sostegno di uno dei pilastri delle compiute democrazie occidentali, e cioè il pluralismo dell’ informazione. Dice dunque Salvini, a proposito di Avvenire, testata da sempre critica nei confronti delle sue politiche sull’ immigrazione: «Se il giornale dei vescovi prende 6 milioni di contributi dai cittadini italiani, penso che una parte di quei soldi possano essere spesi per chi è davvero in difficoltà». Posizione assai singolare, visto che la sua Radio Padania, non più tardi del gennaio di quest’ anno, ha fatto domanda al ministero dello Sviluppo Economico per accedere al fondo per l’ editoria per l’ anno 2017. E ancor più singolare a rileggere l’ intera storia dell’ emittente della Lega che per più di dieci anni, proprio mentre il giornalista Matteo Salvini al grido di «buona Padania a tutti» ne determinava le sorti da direttore responsabile, si è spacciata per “radio comunitaria”, prendendo dallo Stato italiano milioni di euro (e frequenze) che non le spettavano. Alla faccia di chi era, ed ancora è, «davvero in difficoltà». Il suk delle frequenze L’ assalto al denaro pubblico da parte dei leghisti per mezzo di Radio Padania ha una data di inizio. Il 28 dicembre 2001. Sono gli anni ruggenti del secondo governo Berlusconi e del contratto con gli italiani firmato dal “notaio” Vespa. Quel giorno un parlamentare del gruppo “Lega Nord e Autonomie”, Davide Carlo Caparini, presenta e fa approvare un emendamento alla legge Finanziaria apparentemente innocuo e di natura tecnica: stabilisce che i soggetti titolari di «concessione radiofonica comunitaria in ambito nazionale» sono autorizzati ad attivare nuovi impianti sino al raggiungimento di almeno il 60 per cento della copertura nazionale. «Decorsi i novanta giorni dalla comunicazione di attivazione di tali impianti la frequenza si intende autorizzata». In realtà, è una norma “ad aziendam”. In Italia, infatti, in quel momento ci sono solo due emittenti comunitarie: Radio Maria e Radio Padania (di cui, incidentalmente, l’ onorevole Caparini era editore). Dal giorno dopo, Radio Padania lancia un’ aggressiva campagna di espansione. Occupa frequenze in giro per l’ Italia (soprattutto in Calabria e in Campania) e vi trasmette i propri programmi per i novanta giorni necessari ad acquisire a titolo gratuito le licenze dal governo. Una volta ottenute, le vende al miglior offerente oppure le scambia con altre frequenze, senza minimamente preoccuparsi di usurpare le piccole radio locali che trasmettevano su quegli stessi spazi dell’ etere. Nel giro di pochi anni, Radio Padania ripete il giochino centinaia di volte, finendo spesso anche al centro di polemiche imbarazzanti. Come quando il Carroccio occupa un canale ad Alesano (Lecce). È il 2011 e Salvini in persona deve sperticarsi per giustificare la manovra: «Simpatizziamo per il secessionismo salentino», dice. In realtà la solita operazione. Una delle tante che negli anni arricchiscono le casse di via Bellerio e quelle degli amici: quasi tutte le frequenze acquisite gratuitamente sono state infatti rivendute a R101 del gruppo Mondadori e a Rtl 102.5 dell’ imprenditore calabro-lombardo Lorenzo Suraci. Un nome che conviene tenere a mente. Quasi un milione l’ anno Sempre operando nell’ ambito di un evidente conflitto di interessi, l’ onorevole editore Caparini fa approvare nel 2004 un altro emendamento cruciale, che regala un contributo annuale di un milione di euro circa alle radio comunitarie di interesse nazionale. Sempre le due di prima. Puntuali, dal 2003 al 2015, entrano così nelle casse di Radio Padania i pagamenti del Mise: gli importi variano da 840.000 euro a 320.000 euro, a seconda delle annualità. E sarebbero continuati a entrare se l’ avvocatura dello Stato nel 2014 non avesse destato il ministero dal suo più che decennale torpore, facendogli notare che il “giochino” era perverso e non poteva andare avanti. Così, con una circolare del 7 agosto del 2014, il Mise impedisce ogni nuova occupazione di frequenza. L’ anno successivo la Corte dei Conti chiude definitivamente la vicenda, spiegando come tutti quei finanziamenti – nonché la facoltà di effettuare la compravendita delle frequenze erano del tutto indebiti per Radio Padania, per il semplice motivo che l’ emittente non aveva copertura nazionale. Il segnale analogico leghista era diffuso soltanto in nove regioni (Val d’ Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Sardegna), mentre nel resto d’ Italia bisognava fare affidamento sul segnale digitale del consorzio Eurodab. La Corte dei Conti, nel riconoscere insussistenti i presupposti del contributo fino ad allora ricevuto da Radio Padania, aveva chiesto al Mise di valutare anche la restituzione dei soldi. Sarebbe stato un colpo durissimo per le finanze della Lega, ma la mediazione politica e ministeriale, e gli interessi in gioco, hanno sancito una sanatoria per il pregresso. La pacchia è finita Dunque, improvvisamente, Radio Padania non è più la gallina dalle uova d’ oro. Ma una zavorra, sotto la lente della magistratura contabile, dell’ avvocatura dello stato, degli ispettori del ministero, della stampa. La Lega è uscita da poco più di un anno dalla fase di transizione Bossi-Maroni, dopo gli imbarazzi delle inchieste milanesi sull’ ex tesoriere Belsito. Al comando ora c’ è Salvini che ha convertito il suo amore per l’ etere in una passione sfrenata per i social. Anche il motto cambia, dal «buon giorno Padania» gridato agli ascoltatori della sua trasmissione “a microfoni aperti” si passa al ben più mesto «di danè ghe n’ è minga» del ragioniere. Il futuro Capitano dà ordine di smobilitare. Urgentemente. Dismettere, cedere. Non tanto la radio in sé, quanto le sue frequenze (136 in tutto) e gli impianti. La modalità un po’ goffa dell’ operazione tradisce tutta la fretta della Lega. Il problema principale, trovare un acquirente, viene risolto in un baleno. Proprio grazie a Suraci, l’ imprenditore di Rtl 102,5 con cui erano già stati fatti parecchi affari ai tempi del suk delle frequenze. Il segnale di Radio Padania illumina una grossa fetta del Paese e lui non vede l’ ora. Il resto è invece un po’ più complicato. Dopo l’ intervento del Mise, non è più possibile per una radio comunitaria vendere frequenze a una radio commerciale. Così dopo un primo tentativo fallito proprio per l’ opposizione del ministero, Suraci crea ad hoc l’ Acrc, Associazione culturale radiofonica comunitaria (la sede legale, in via Scotti 11 a Bergamo, è la stessa di Rtl 102.5) con la quale finalizza l’ operazione. Per 2,1 milioni di euro. Nuova radio, nuovi contributi Le frequenze e gli impianti ceduti a Suraci diventano così l’ attuale Radio Freccia mentre Radio Padania, amputata di gran parte delle sue strutture, vira verso un netto ridimensionamento. E senza più contributi pubblici, dopo vent’ anni di trasmissioni in Fm, diventa una web radio. Oggi i suoi programmi, in diretta, si possono ascoltare solo su Internet e grazie alla frequenza digitale in Dab. È di proprietà di una Cooperativa con sede a Monza, ha 8 dipendenti (erano 10 nel 2016), di cui tre giornalisti (più uno stagista). Trasmette ancora dalla sede della Lega in via Carlo Bellerio a Milano. A Radio Padania sarebbero finiti, secondo la ricostruzione dei magistrati di Roma, una parte dei 250.000 euro che il costruttore romano Luca Parnasi ha versato alla fondazione Più Voci del tesoriere della Lega Giulio Centemero (per questo indagato). Sempre in cerca di denaro per rimanere a galla, gli amministratori della Cooperativa nel gennaio scorso hanno fatto domanda per accedere ai contributi all’ editoria del “Fondo per il pluralismo e l’ innovazione dell’ informazione”, ripartito tra la quota destinata alle imprese editrici di giornali e periodici (gestita dalla presidenza del Consiglio e che il Movimento 5 Stelle sta provando ad abolire con la legge di Stabilità) e la quota circa 50 milioni di euro – per emittenti radio e televisioni locali in capo al Mise. Quest’ ultima, “dimenticata” dalla scure dell’ emendamento grillino, viene erogata in base ad alcuni parametri, tra cui ascolti, dipendenti, fatturato. Per le radio locali, nel 2016, è stato concesso da un massimo di 610.000 euro per Radio Popolare a un minimo di 1.127 euro di Radio Incontro. «Per Radio Padania spiega il presidente della Cooperativa, Davide Franzini – il contributo per il 2017, se ci verrà concesso dal Mise, sarà di non oltre 5-6 mila euro». Una cifra modesta che Radio Padania ha tutto il diritto di chiedere. Ma è, né più né meno, un contributo all’ editoria che serve per garantire il pluralismo dell’ informazione. Un valore disconosciuto dal ministro Di Maio e, solo ora, abiurato dallo stesso Salvini. © RIPRODUZIONE RISERVATA
L'articolo Rassegna Stampa del 27/12/2018 proviene da Editoria.tv.