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Rai1, le fiction di produzione domestica vincono la sfida degli ascolti
E Di Maio mette nel mirino i giornali: “Infimi sciacalli”
L’ Unità è senza pace: adesso potrebbe finire a Lele Mora
Manovra, prorogati all’ infinito i soldi alle emittenti locali
Importante doppietta italiana nelle candidature agli European Film Awards: saranno «Dogman» di …
Di Maio e Di Battista festeggiano con minacce e insulti alla stampa
Rai1, le fiction di produzione domestica vincono la sfida degli ascolti
Corriere della Sera
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Anche questa settimana di tv torna a dimostrare che la fiction di produzione domestica (soprattutto se tagliata su un pubblico nazionale) costituisce la risorsa più rilevante per il mantenimento della leadership di Rai1 nella prima serata (nel periodo di garanzia, la prima rete del servizio pubblico mantiene il 19,5% di share, contro il 14,45 di Canale 5). Nei giorni scorsi, baricentro dell’ offerta Rai sono state le serie «I bastardi di Pizzofalcone», in onda il lunedì (5.271.000 spettatori, 22,6% di share) e «L’ allieva», in onda nell’ affollato giovedì (5.136.000 spettatori, 19,6% di share, con l’ episodio «L’ acaro rosso»). Meno performante, in questa seconda stagione, «I Medici», che questa settimana si ferma a 4.032.000 spettatori, per una share del 15,5%, per il primo episodio in onda (complessivamente la serie su Lorenzo il Magnifico raccoglie una media del 17,6% di share). La maggiore debolezza di Canale 5 è anche dovuta al fatto di aver lasciato sguarnito il fronte della fiction, con qualche eccezione («L’ Isola di Pietro», che questa settimana raccoglie 3.347.000 spettatori, e una share del 15,5%, un punto in più della media di rete). Se Rai1 tiene bene la prima serata, fatica decisamente di più nel daytime, e in particolare nella fascia pomeridiana, dove raggiunge il 12,3% di share contro il 19,5% di Canale 5. La cosa è curiosa, perché proprio sul daytime si era investito parecchio, rivoluzionando i palinsesti e mettendo in cantiere nuovi programmi. Al momento l’ aumento di investimenti non pare aver portato ad alcun risultato: i dati sembrano identici a quelli dello stesso periodo dello scorso anno. C’ è qui del lavoro da fare per il nuovo amministratore delegato e per il nuovo direttore di rete, quando ci sarà, se ci sarà. ( a. g. ) In collaborazione con Massimo Scaglioni, elaborazione Geca Italia su dati Auditel.
E Di Maio mette nel mirino i giornali: “Infimi sciacalli”
Il Fatto Quotidiano
Luca De Carolis
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Niente sorrisi. Solo facce feroci e insulti, contro giornali e giornalisti, ovvio. I nemici perfetti per ricompattare la base disorientata dalle troppe bandiere ammainate, e per lanciare messaggi: innanzitutto all’ alleato che è anche il primo avversario, Matteo Salvini, pronto da settimane a lanciare l’ assalto al Campidoglio. Ma che dovrà rimandare.Pochi attimi dopo l’ assoluzione di Virginia Raggi, il capo politico dei Cinque Stelle Luigi Di Maio traccia il solco: “La vera piaga di questo Paese è la stragrande maggioranza dei media corrotti intellettualmente e moralmente: esaltano la Lega e massacrano il M5S “. Non si salva quasi nessuno, assicura il vicepremier, perché “la stragrande maggioranza di quelli che si autodefiniscono ancora giornalisti sono solo infimi sciacalli, che per due anni hanno provato a convincere il Movimento a scaricare la Raggi”. Quindi, “presto faremo una legge per gli editori puri”. Un pugno di minuti, e dal Guatemala l’ altro leader che tornerà a Natale, Alessandro Di Battista, suona lo stesso spartito: “Oggi la verità giudiziaria ha dimostrato solo una cosa: che le uniche puttane qui sono proprio loro, questi pennivendoli che non si prostituiscono neppure per necessità, ma solo per viltà”. E non poteva mancare il fondatore, Beppe Grillo, che commenta tramite post: “Colpisci forte mentre riprendono fiato”. Rieccolo, il Movimento classico, che ad ogni curva stretta va di toni bellici e addita ai suoi i cattivi che remano contro. E la stampa è sempre la prima, comoda opzione. Anche nel giorno del sollievo, comunque evidente, perché una condanna della sindaca di Roma avrebbe provocata una valanga di problemi al Movimento. A partire dal destino della giunta, perché il M5S dopo settimane di dibattito aveva effettivamente deciso di non provare a mandare avanti l’ amministrazione Raggi. Troppo complicato, convincere 28 consiglieri comunali ad autosospendersi e a proseguire senza simbolo del Movimento assieme alla sindaca: la quale peraltro non ha mai detto di essere disposta a dimettersi se condannata. E allora sarebbero state le urne in primavera, il piatto che Salvini non vedeva l’ ora di assaggiare, per provare a prendersi Roma proprio in coincidenza con le Europee, quelle elezioni che saranno un chiaro derby tra alleati di governo. Ergo, l’ assoluzione della sindaca è una sventura schivata, per Di Maio e i suoi. Che però hanno tanti altri grattacapi, tra il sì obbligato al Tap, quello che dovevano chiudere in 15 giorni, e il via libera altrettanto sofferto al decreto sicurezza, con dissidenti di contorno. Ma soprattutto, c’ è il compromesso con la Lega sulla prescrizione differita al 2020, ossia con lo stesso Carroccio che continua a invocare il Tav (ma Salvini è più sfumato dei suoi). Insomma, la battaglia infuria, anche su provvedimenti, come il decreto fiscale e il reddito di cittadinanza. E il M5S rispolvera i classici con una campagna preparata per tempo. Addosso ai giornalisti, “cani di riporto di Mafia Capitale” che presto verranno regolati con la legge fatta per lasciare in piedi solo gli editori puri, senza interessi in altri ambiti. Però c’ è pure la botta alla Lega, tacciata indirettamente di essere legata ai famigerati poteri forti, quindi di essere portata in palmo di mano dalla stampa. E sono sillabe che torneranno da qui a maggio. Salvini ovviamente sa e legge, proprio nel giorno in cui la Cassazione conferma il sequestro di 49 milioni al Carroccio. E il ministro un po’ si morde la lingua un po’ no. “Se c’ era qualcuno che aspettava di vincere e di stappare spumante a colpi di sentenze, questo non è il Paese che mi piace” giura. Insomma, lui è “contento per l’ assoluzione della Raggi”. Ma c’ è il però: “Sul fatto che a Roma si possa fare tanto di meglio e tanto di più, ahimè questo sì”. Ecco: ahilui.
L’ Unità è senza pace: adesso potrebbe finire a Lele Mora
Il Fatto Quotidiano
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Alla triste storia recente de l’ Unità, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci lasciato chiudere dal Partito Democratico, potrebbe aggiungersi un nuovo capitolo inatteso. A rilanciare il giornale potrebbe infatti essere Lele Mora, l’ ex manager dello spettacolo adesso in affari in Retewebitalia.net: “Il quotidiano l’ Unità potrebbe ritornare nelle edicole o sul web, – ha detto Mora – ho parlato con alcuni investitori in ambito europeo con interessi in Italia i quali sono interessati a finanziare l’ operazione di acquisizione del quotidiano”. Nel caso, la cui guida editoriale sarebbe affidata al gruppo Retewebitalia.net che, fa sapere Mora, “darebbe vita ad un pool di giornalisti con esperienza e autorevolezza, per divenire voce, opinione e penna di un segmento sociale non più rappresentato”. Questo segmento, nei piani dell’ imprenditore, dovrebbe essere “la sinistra moderata, vicina ai giovani”. Mora, nonostante la poca esperienza nell’ editoria, giura di avere le carte in regola per rilanciare l’ Unità: “Possediamo il know how per realizzare rapidamente questo nuovo media. Possiamo effettuare un’ operazione di restyling del quotidiano e riportarlo di nuovo , se ci viene consentito, nelle edicole di tutto il Paese.
Manovra, prorogati all’ infinito i soldi alle emittenti locali
Il Fatto Quotidiano
Virginia Della Sala
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Telenorba7 in Puglia, Videolina in Sardegna, Telelombardia, Canale 21 in Campania, Top Calcio 24, Telereggio in Emilia Romagna, Tele Padre Pio, Tele Etruria in Toscana, Calabria Tv, Ofelia Comunicazioni in Sicilia: sono solo alcune delle cento emittenti locali a cui nell’ ultimo triennio sono stati destinati milioni di euro e per le quali, ora, in legge di Stabilità il contributo viene esteso senza limite di tempo.Parliamodella quota del Fondo per il pluralismo dell’ informazione destinata alle emittenti televisive e radiofoniche locali, che viene dall’ extra-gettito del canone Rai in bolletta. Con una modifica all’ articolo della legge 208 del 2015, al tempo voluta da Luca Lotti e che prevedeva un fondo fino al 2018, ora lo si estende a tempo indeterminato, modificando la norma con la formula: “Per ciascuno degli anni 2017 e 2018 e successivi”. Sul sito del Mise, qualche settimana fa, è stata pubblicata la graduatoria delle emittenti locali ammesse ai finanziamenti. Le risorse destinate per il 2016 sono quasi 77 milioni solo per le televisioni, altri 13 per le radio. L’ extra-gettito Rai è, in sostanza, quella parte del canone che entra nelle casse dello Stato in più rispetto a quanto era già calcolato nel bilancio di previsione. Di questo, il 50 per cento è gestito dal ministero dello Sviluppo economico e finanzia l’ esenzione del pagamento del canone per gli ultra75enni, il fondo per il pluralismo e l’ innovazione dell’ informazione e il fondo per la riduzione della pressione fiscale. La quota per il pluralismo finisce in buona parte alle tv locali: quando è stato istituito si prevedeva un tetto massimo di 50 milioni all’ anno. Poi, prima nel 2016 e poi nel 2017, è stato aumentato gradualmente per decreto fino a raggiungere il tetto di 125 milioni. Cifra che ora viene estesa all’ infinito insieme al credito di imposta per tutti coloro che investono in pubblicità su prodotti editoriali quote per lo meno pari a quelle dell’ anno precedente. Una decisione “a sorpresa”: a metà ottobre, in audizione in Vigilanza Rai, il ministro dell’ Economia Giovanni Tria aveva risposto ai commissari che gli chiedevano dell’ uso dell’ extra-gettito del canone in bolletta. “In base agli impegni previsti dal contratto di servizio a carico della Rai – aveva risposto – devo considerare che il meccanismo di riparto dell’ extra-gettito fiscale cesserà a partire dall’ anno 2019″. La dichiarazione aveva generato la reazione del Pd e poi anche dell’ Usigrai: “Dal prossimo anno la Rai incasserà l’ intero ammontare del canone? Oppure lo Stato tratterrà il restante 50% per destinarlo ad altre finalità?” La risposta è in manovra. La mossa porta la firma della Lega: già in estate era stato presentato un emendamento al decreto Dignità per evitare ricorsi e contenziosi al Tar. “Il nostro obiettivo è creare posti di lavoro e salvare quelli in crisi – aveva dichiarato il sottosegretario all’ Economia, Massimo Bitonci -. Le tv locali, da sempre, rappresentano infatti un elemento essenziale a garanzia del pluralismo informativo e un settore fondamentale di occupazione e lavoro. L’ impegno della Lega è fare di tutto per salvare questa realtà”. Detto, fatto. Fonti parlamentari del M5S assicurano che si cercherà di porre almeno un freno: l’ idea, come già ribadito anche in passato, è non tanto cancellarlo, quanto prevedere una scadenza e, soprattutto, parametri e criteri specifici in base a cui attribuire i finanziamenti. Anche perché l’ operazione si scontra con la guerra ai finanziamenti pubblici all’ editoria portata avanti dai 5Stelle e dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’ Editoria, Vito Crimi. Per il momento sono stati aboliti i finanziamenti indiretti all’ editoria – dalle agevolazioni sulle telefonate a quelle postali, per circa 60 milioni di euro – mentre ora si proverà a eliminare quelli diretti con una serie di emendamenti.
Importante doppietta italiana nelle candidature agli European Film Awards: saranno «Dogman» di …
Il Mattino
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Importante doppietta italiana nelle candidature agli European Film Awards: saranno «Dogman» di Matteo Garrone e «Lazzaro felice» di Alice Rohrwacher a concorrere nelle categorie maggiori del premio che per il cinema europeo equivale all’ Oscar. Quattro nomination ciascuno: miglior film, regista, sceneggiatura (Garrone, Ugo Chiti e Massimo Gaudioso per il primo, Alice Rohrwacher per il secondo), miglior attore (Marcello Fonte per «Dogman») e migliore attrice (Alba Rohrwacher per «Lazzaro felice»). Gli Efa confermano, quindi, il successo ottenuto dai due film al Festival di Cannes e sottolineano il bel percorso internazionale dell’ opera di Garrone, candidata a rappresentare l’ Italia agli Academy Awards di Hollywood (l’ annuncio della rosa, il 12 gennaio 2019). Nella corsa per il Film Europeo i due registi italiani dovranno vedersela con «Border» di Ali Abbasi, «Girl» di Lukas Dhont e, soprattutto, con il raffinato melò di Pawel Pawlikowski, «Cold War». Soddisfazione a Rai Cinema, coproduttore dei due titoli al fianco di partner italiani ed europei. «Un numero così elevato di candidature è un traguardo importante» dice l’ ad Paolo Del Brocco, «aver superato il confronto con le cinematografie di 49 Paesi di 35 nazionalità diverse, e il giudizio di una commissione di oltre 3500 membri, rappresenta una sfida già vinta». I premi saranno assegnati a Siviglia, in una cerimonia di gala il prossimo 15 dicembre. t.f. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Di Maio e Di Battista festeggiano con minacce e insulti alla stampa
La Repubblica
GOFFREDO DE MARCHIS, LUIGI DI MAIO ALESSANDRO DI BATTISTA BEPPE GRILLO
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ROMA Scampato pericolo e subito dopo gli insulti ai giornalisti. Invece di apprezzare la “vittoria” giudiziaria della sindaca di Roma Raggi, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista superano il segno della violenza verbale contro la stampa. «Puttane, infimi sciacalli» dicono dei cronisti colpevoli di aver massacrato la prima cittadina. E poi le solite minacce di una nuova legge per gli editori puri, il paragone astratto tra i «pennivendoli» e i giornalisti veri. Stavolta non si fanno prigionieri. Tutti vengono travolti dalla furia anti-giornali, nessuno escluso. Non c’ è la sfida diretta a Repubblica o a un altro organo di informazione. I capi del Movimento 5 stelle affidano le parole velenose ai social, popolato dal loro pubblico preferito con un linguaggio che su quei media si nutre di aggressioni e di una terminologia fuori misura. I due post su Facebook sono quasi contemporanei. Quello di Di Maio appare scritto con l’ inchiostro della vendetta, sebbene fino a ieri i vertici del M5s fossero pronti a mollare la Raggi. «Due anni di attacchi alla sindaca più massacrata di Italia. La magistratura ha fatto il suo dovere e la ringrazio. Il peggio in questa vicenda lo hanno dato invece la stragrande maggioranza di quelli che si autodefiniscono ancora giornalisti, ma che sono solo degli infimi sciacalli. Con le loro ridicole insinuazioni, hanno provato a convincere il Movimento a scaricare la Raggi». Di Battista dal Sudamerica rilancia: «Le uniche puttane qui sono proprio loro, questi pennivendoli che non si prostituiscono neppure per necessità, ma solo per viltà». Poi, i due leader si scambiano affettuosità per la sintonia e la sincronia. Il vicepremier condivide il post dell’ ex deputato in trasferta guarnendolo con due emoticon: un bicipite gonfio e un cuoricino. Ma sugli stessi social molti giudicano questa uscita fascista o parafascista. Una nuova intimidazione. L’ ennesima, che non può essere giustificata solo come una risposta comunicativa. Anche se sicuramente fa parte di una strategia. I 5 stelle hanno qualche problema. Lo dimostrano i sondaggi ai quali Di Maio si affida ogni giorno come se leggesse le stelle. Del resto, fra le righe lo svela lo stesso ministro dello Sviluppo. «Gli sciacalli sono gli stessi che stanno facendo la guerra al governo provando a farlo cadere con un metodo ben preciso: esaltare la Lega e massacrare il Movimento sempre e comunque». Dunque, il punto è lo scontro sotterraneo con Salvini, l’ avanzare dei consensi leghisti, le retromarce grilline rispetto al Carroccio, ad esempio quella sulla prescrizione. «Marcatura a uomo», predica da giorni Di Maio, contro l’ alleato. Bisogna poi nascondere il successo della manifestazione Sì Tav a Torino dove c’ erano anche i parlamentari leghisti. Infine, sullo sfondo, resta il duello a distanza tra Di Maio e Di Battista, malgrado i tvb dei social, che coinvolge il futuro del Movimento e la tenuta della maggioranza giallo-verde. Perciò occorre alzare i toni e aizzare il popolo grillino. «Pagine e pagine di fakenews, giornalisti di inchiesta diventati cani da riporto di mafia capitale, direttori di testata sull’ orlo di una crisi di nervi, scrittori di libri contro la casta diventati inviati speciali del potere costituito – scrive il vicepremier – La vera piaga di questo Paese è la stragrande maggioranza dei media corrotti intellettualmente e moralmente. Forza Virginia e buon Maalox a tutti». Anche il sottosegretario agli Affari regionali Stefano Buffagni se la prende con i giornalisti, con toni meno ultimativi: «Dovrebbero farsi un esame di coscienza. Adesso la Raggi potrà lavorare più serena». Che sembra comunque un invito a fare meglio, d’ ora in poi. All’ odio reagiscono il sindacato della stampa e l’ Ordine dei giornalisti. Tanto più che Di Maio è iscritto all’ albo dei pubblicisti dal 4 ottobre del 2007 e Di Battista firma reportage sui quotidiani. «L’ informazione non sarà mai al guinzaglio di qualcuno», si legge in una nota del presidente Giuseppe Giulietti e del segretario Raffaele Lorusso. Carlo Verna, presidente dell’ Ordine, invece mette alla porta il vicepremier: «Non possiamo prendere provvedimenti disciplinari perché Di Maio ha parlato nell’ esercizio del suo mandato. Ma lui è libero di rinunciare all’ iscrizione. Chi parla così nell’ Ordine non è gradito». © RIPRODUZIONE RISERVATA Il peggio lo hanno dato la maggioranza dei giornalisti che sono solo degli infimi sciacalli, presto faremo una legge sugli di editori puri Giornalisti pennivendole e puttane, i colpevoli ci sono e vanno temuti, sono quei pennivendoli che ci hanno lanciato fango Colpisci mentre riprendono fiato, saccentoni frou frou confidavano nella loro stessa dissenteria mentale.
HANNO PERSO LA TESTA
La Repubblica
MARIO CALABRESI
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Virginia Raggi è stata assolta, il giudice ritiene che il fatto esista ma non costituisca reato. Il pubblico ministero invece aveva chiesto 10 mesi di condanna per falso ideologico. La sindaca si è commossa, i suoi compagni di partito invece hanno perso la testa e se la sono presa con i giornalisti, arrivando a definirli « i veri colpevoli, pennivendoli e puttane » ( Di Battista), « infimi sciacalli » ( Di Maio) e a promettere leggi contro gli editori. Non si capisce quale sia la colpa dell’ informazione, se non di aver raccontato l’ inchiesta e il processo. Si capisce benissimo invece quale sia la pulsione del Movimento 5 Stelle: mettere il silenziatore a chiunque racconti le loro difficoltà o mostri incongruenze, incapacità e grandi e piccoli scandali. I due leader del Movimento dimenticano come gli articoli su Raffaele Marra, diventato nei primi mesi il braccio destro della sindaca, abbiano messo in luce quegli episodi che poi hanno determinato il suo arresto per corruzione con la richiesta di una condanna a quattro anni e mezzo di carcere. Dimenticano la vicenda di Salvatore Romeo, scelto come capo della segreteria con stipendio triplicato mentre intestava a Raggi polizze vita. segue dalla prima pagina Fatti che i magistrati hanno qualificato come privi di rilevanza penale, ma che hanno posto sotto gli occhi di tutti i metodi di gestione del Campidoglio pentastellato. Soprattutto è sotto gli occhi di tutti il degrado di Roma, che nasce sicuramente sotto le giunte precedenti di destra e sinistra, ma che in questi mesi ha assunto dimensioni indegne di una capitale europea. Nessuno dei fatti descritti da Repubblica è stato smentito. La procura e il giudice per le indagini preliminari li hanno ritenuti rilevanti. Il Tribunale ha ritenuto che non costituiscano reato e Virginia Raggi è stata assolta. Sulla rilevanza etica e politica di quei fatti si pronunceranno i cittadini. Ma la cosa che colpisce di più è un’ altra: è l’ idea delirante che l’ assoluzione di Raggi sia una sconfitta dei suoi critici. Forse l’ assoluzione di Andreotti a Palermo significava che i giornalisti che per anni avevano sostenuto che la Democrazia Cristiana fosse collusa con la mafia erano dei venduti e delle puttane? Per inciso molti di quei giornalisti lavorano in questo giornale. Significa che ogni volta che Berlusconi è stato assolto, allora questo dimostrava che i giornalisti che avevano fatto campagne contro di lui (una per tutte le dieci domande di Peppe D’ Avanzo) fossero infimi sciacalli? La risposta è perfino scontata e inutile da dare. Possiamo solo immaginare che la vista della piazza di Torino, che certifica il no della società civile alla decrescita infelice grillina, insieme ai sondaggi e alle difficoltà quotidiane del governare abbiano fatto saltare i nervi ai due leader grillini. Ma tali follie restano imperdonabili e sono una minaccia ai principi base della democrazia. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
L'articolo Rassegna Stampa del 11/11/2018 proviene da Editoria.tv.