Indice Articoli
Fazio, Caschetto e la star Cottarelli
Mediaset vuole il mercato Ue e studia una holding in Olanda
Il primo Cappelli? È in un «Floppy disk»
Cattelan: la semplicità che vince
Dall’ attualità alla moda, così Marangoni porta con la tv il nostro Paese all’ estero
Conte fece causa alla Rai con Alpa poi il collega lo promosse all’ esame
Maratona di Roma nuovo dietrofront Errori del Comune il bando congelato
Di Maio contro Repubblica e L’ Espresso La replica: “Raccontiamo solo la verità”
Di Maio contro i giornali: muoiono. È bufera
Benigni: “Vorrei portare l’ amore in tv, è un tema politico e rivoluzionario”
La Storia della Filosofia per aiutarci a capire la complessità dei tempi
Per fortuna torna Fiorello: c’ è il «Rosario» su Deejay
Al Museo del Fumetto una mostra sui 110 anni del Corriere dei Piccoli
Fazio, Caschetto e la star Cottarelli
Il Fatto Quotidiano
Fq
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Promette di fargli il controcanto, ogni domenica, sul suo canale Youtube. Il senatore M5S , Giunluigi Paragone, giornalista con un passato in tv ed ex direttore del quotidiano leghista la Padania, ha messo nel mirino Carlo Cottarelli e la sua “omelia della domenica” a Che tempo che fa, il programma di Fabio Fazio. C’ è da dire che l’ uomo della spending review ce l’ ha messa tutta per attirare gli strali di Paragone: “Si è affidato al più bravo, al più potente degli agenti: Beppe Caschetto, che segue tra gli altri Fazio, Litizzetto e Floris – scrive Paragone sul blog del fattoquotidiano.it -. Fateci caso: Fazio è conduttore su Rai1, Floris del talk su La7 DiMartedì. Con il primo, Cottarelli si presta a lunghi monologhi in forza di un contratto in esclusiva (di cui non si conosce il compenso); dal secondo predica le teorie neoliberiste imparate a memoria all’ Fmi, in forza di una clausola contrattuale per cui l’ esclusiva con la Rai fa eccezione. In poche parole Cottarelli lavora per la ditta”. Poi l’ affondo: “Il Cotta magnifica la riforma Fornero? Però lui è andato in pensione a 59 anni”. E ancora: “Parla di tagli e di spese inutili? È bene ricordargli che partecipa a una trasmissione che avrebbe potuto essere prodotta internamente dalla Rai e che invece è prodotta da una società esterna (di cui Fazio è tra i proprietari) a costi così alti da essere un ‘caso'”.
Mediaset vuole il mercato Ue e studia una holding in Olanda
Il Fatto Quotidiano
Carlo Tecce
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Frank Rijkaard, Marco Van Basten e Ruud Gullit. I fuoriclasse olandesi. Quelli del Milan pluridecorato. Adesso la famiglia Berlusconi ritorna a frequentare l’ Olanda, la capitale Amsterdam, per proteggere gli affari di Mediaset e competere in campionati più ampi. A Cologno Monzese – col supporto dello studio Chiomenti, rivelano più fonti al Fatto – preparano la costituzione di una società paneuropea per la produzione di contenuti con alleati francesi e tedeschi, ma con Mediaset in testa nel ruolo di “locomotiva” per usare le parole di Pier Silvio Berlusconi all’ ultima assemblea degli azionisti. Al fianco del Biscione, per lo scenario odierno, troviamo la coppia formata dai tedeschi di Prosienbensat1 e dai francesi di Tf1 (alternativi a Vivendi, ancora classificati come “nemici”). Oltre a un fisco più leggero, soprattutto sui dividendi, il diritto societario olandese garantisce una gestione autonoma ai singoli gruppi che scelgono di aderire a una holding. Il “veicolo paneuropeo” – secondo le ipotesi che circolano al Biscione – potrebbe debuttare con un azionariato classico, senza quotazione in Borsa e senza traslochi legali. Col tempo poi potrebbe diventare la cassaforte all’ estero del Biscione. Come per la Fca, la vecchia Fiat dei torinese Agnelli con residenza in Olanda e domicilio fiscale a Londra. Oggi la famiglia Berlusconi ha la sede a Milano, il posto nei listini di Piazza Affari (Fininvest controlla le tv) e la filiale a Madrid con Mediaset Spagna. Il prologo del piano europeo dura già da un paio di anni con un doppio accordo che coinvolge Prosienbensat1 e l’ antica emittente Tf1: il primo riguarda l’ ingresso del Biscione in Studio 71, una piattaforma per la distribuzione di video; il secondo con l’ associazione Ebx (European Broadcaster Exchange) con sede a Londra – allargata agli inglesi di Channel 4 – per la raccolta pubblicitaria su Internet. Quello che sta per accadere è la riedizione, con più accortezza e forse più respiro, del patto sciagurato con Vivendi. Il contratto sottoscritto con Vincent Bolloré nell’ aprile del 2016 – e poi ignorato dai francesi col miraggio di lanciare una scalata in Borsa – prevedeva la cessione di Mediaset Premium e uno scambio di quote per consentire al Cavaliere di irrobustire i ricavi con la collaborazione di una azienda che fattura il triplo. Quel progetto fallito ha lasciato un contenzioso miliardario irrisolto, una partecipazione al 29 per cento di Vivendi in Mediaset e un Biscione sempre aggrappato all’ asfittico mercato italiano – con le reti che soffrono – e agli eccellenti risultati spagnoli con Telecinco&C. Il rapporto con Vivendi era squilibrato, lo squalo Vincent è il capo di un gruppo da oltre dieci miliardi di euro e con più liquidità di Mediaset. Il denaro non è mai la “livella” di Totò che azzera le differenze, ma le ambizioni e le dimensioni di Mediaset, Prosienbensat1 e Tf1 di Martin Bouygues possono coesistere per offrire programmi e serie tv in lingua italiana, spagnola, tedesca, francese e, ovviamente, inglese a una platea potenziale di 250 milioni di europei. Il Biscione ha rottamato Premium con l’ accordo con Sky Italia e così ha estirpato una pianta che rosicchiava i bilanci, ma il trentennale patrimonio dei canali generalisti è minacciato dal servizio pubblico Rai che sborsa tre milioni di euro per una fiction da due puntate, dalle multinazionali che operano in Italia, da Google e sorelle che invadono l’ Europa con regole morbide o perlopiù assenti. Ormai è una banalità, ma è urgente la ricerca di un panorama europeo per il Biscione. Per esempio, nel mese di settembre, la corazzata ammaccata di Canale 5 s’ è fermata al 12,3 per cento di share in prima serata, uno sfregio rispetto ai fasti del passato. Per reagire con efficacia, ragionano a Cologno, c’ è bisogno di condividere le spese e investire su prodotti di qualità, fruibili (cioè vendibili) su mezzi diversi e ramificati ovunque. Vivendi portava in dote la struttura di una compagnia moderna di successo con posizioni dominanti che vanno dalla musica al cinema, dalle televisioni alle comunicazioni, finché non s’ è incagliata in Mediaset e in Telecom col 23,5 per cento di capitale e la battaglia (al momento persa) col fondo Elliott. Prosiebensat1 raggiunge tredici Paesi europei. Tf1 è il canale più visto di Francia, un dolcetto per gli industriali Bouygues che fatturano 33 miliardi di euro. A villa Certosa in Sardegna, lo scorso agosto, Flavio Briatore era a pranzo da Silvio con un amico francese. Un tale Martin Bouygues. Coincidenze.
Il primo Cappelli? È in un «Floppy disk»
Il Giornale
Eleonora Barbieri
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Eleonora Barbieri Floppy disk uscì nel 1988, a firma di un esordiente: Gaetano Cappelli. Trent’ anni dopo, è di nuovo l’ editore Marsilio a pubblicare il romanzo (pagg. 184, euro 14), altrimenti introvabile. Nel frattempo, Gaetano Cappelli è diventato uno scrittore molto noto e apprezzato, ha vinto premi importanti, ha pubblicato tre raccolte di racconti e una quindicina di romanzi. Floppy disk – come spiega nella sua Nota Giovanni Pacchiano, che si innamorò di questo romanzo a prima vista, e non ha mai smesso – aveva, già allora, una sua cifra. Che in parte resterà quella del Cappelli successivo e, in parte, è tutta sua. Ci sono già, per esempio, il gusto della descrizione nei minimi particolari, le donne bellissime e sensuali, i dandy, la ricchezza sfrenata, l’ intrigo, il lusso che acceca e la ricerca del successo, della svolta che ti porta da una vita da poveraccio a una esistenza da privilegiato e, anche, una vena ironica e in qualche modo surreale, pur essendo molto calata nella realtà. Per esempio, in questo caso, c’ è il fatto che il protagonista appaia del tutto improbabile: un ragazzo, di circa vent’ anni (si suppone), senza una professione apparente, che si trova da solo nella Roma di fine anni Ottanta e si aggrappa all’ amico Carlo, un po’ più vecchio di lui ma immensamente più scafato (anche troppo…), ricco, elegante, invidiato e invischiato – solo un ingenuo come il protagonista può non capirlo – in affari loschi, che sono la vera fonte del denaro che inonda la sua vita e, di riflesso, quella del suo «protetto». Si fa per dire, perché il ragazzo finisce nel mezzo di una spy story internazionale, fra ex esponenti di Prima linea, bulgari spietati, somali a caccia di armi e servizi americani, oltre a tutti i possibili collusi del caso, al centro del quale c’ è un misterioso floppy disk; che allora era un oggetto all’ avanguardia, e oggi è un reperto da museo della tecnologia. Il floppy disk, che il protagonista deve consegnare, riconsegnare, occultare, scambiare, cedere e recuperare per tutto il romanzo, è come una ossessione: tanto che a un certo punto si moltiplica, in copie vere, false e taroccate per ingannare chissà chi. In questo flusso di eventi travolgenti – come spesso accade nelle trame di Cappelli – il nostro ragazzo, come una banderuola, sembra cavarsela sempre. Tanto eccesso sembra quasi farlo crescere…
Cattelan: la semplicità che vince
Il Giornale
Luca Beatrice
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Nonostante i vent’ anni in meno, già da un po’ Alessandro è il più famoso dei Cattelan, più di Maurizio. Capita quindi che l’ artista, pur vantando una straordinaria carriera internazionale, si sia per così dire italianizzato, all’ inseguimento di quel consenso popolare che si ottiene andando in tv o frequentando i social. Anche nel vestire, il 58enne Maurizio insegue il 38enne Alessandro. Un caso che andrebbe studiato e approfondito da un team di psicologi. Siparietto a parte, E poi c’ è Cattelan, più semplicemente EPCC, in onda su Sky dal 2014, tenta la novità della dimensione teatrale in sei puntate registrate al Teatro Parenti di Milano. Dallo studio alla scena, il format cambia poco, solita alternanza di sketch comici e interviste semiserie agli ospiti, un paio a puntata. Sulla bravura di Alessandro Cattelan, uomo di punta del team di Rogoredo, a partire dalla conduzione di X Factor, siamo tutti d’ accordo. Siamo in presenza di un riuscito mix tra la professionalità bonaria del compianto Fabrizio Frizzi, la capacità di sintonizzarsi con il pubblico più giovane utilizzando lessico e gergo piuttosto semplificati, l’ acutezza nel dialogare con personaggi di qualsiasi categoria che non può non rimandare al primo Fabio Fazio, che comunque le interviste le sapeva fare prima di scivolare, certo per stanchezza, in un eccesso di maniera. Dove EPCC (la cui brevità sotto l’ ora è un altro punto a suo vantaggio rispetto a programmi interminabili e stiracchiati) fatica è nella scrittura dei testi, non sempre convincenti e puntuali, che comunque Cattelan riesce a manovrare inserendovi la propria epidermica simpatia. Nella seconda puntata, andata in onda martedì scorso, molto attese le ospitate di Chiara Ferragni e Roberto Mancini, i cui destini vanno letti agli antipodi: la blogger personaggio dell’ anno, che qualsiasi cosa faccia (cioè poco o nulla) diventa notizia, e l’ uomo cui sono legati i destini (tristi) della Nazionale di calcio nel suo momento storico più nefasto. Sarebbe ingenuo dissertare sulla bionda regina di Instagram con gli antichi strumenti della critica; la non completa comprensione del fenomeno ha a che fare con il profondo scarto generazionale, impossibile da colmare. Eppure a me sembra che la giovane moglie di Fedez non dica mai nulla di particolarmente interessante, si arrampichi su concetti basici, espressione di una vita quotidiana tanto normale da apparire banale. Una strategia così perfettamente studiata da sembrare vera. Certo è che il vocabolario della Ferragni non contempla più di 300 parole, e ciò mi rattrista alquanto. Il Mancio, poverino, evita di parlare di azzurro, a parte frasi di prammatica sull’ onore di guidare la Nazionale. Tocca concedergli le attenuanti del caso, ha il suo da fare, speriamo gli sovvenga qualche brillante idea.
Dall’ attualità alla moda, così Marangoni porta con la tv il nostro Paese all’ estero
Il Messaggero
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LA TRASMISSIONE Temi di attualità e di interesse per gli italiani all’ estero, grandi personaggi di tv e fiction, nonché incontri – in studio o in collegamento – con i parlamentari eletti all’ estero. Un filo diretto con la Farnesina per informazioni di servizio. Attenzione puntata sulla moda con Stefano Dominella. Senza trascurare spazi per la promozione di lingua e cultura italiana con linguisti della Dante Alighieri e Gianni Ippoliti nei panni di Dante alle prese con i mutamenti della lingua. Si chiama L’ Italia con Voi il nuovo programma quotidiano di Monica Marangoni, dedicato agli italiani nel mondo, che prenderà il via domani su Rai Italia. La trasmissione di 90 minuti andrà in onda dal lunedì al venerdì, nel pomeriggio, fino a luglio. LE INTERVISTE In Italia si potrà vedere su Rai Play. «Nella prima puntata dice la conduttrice avremo un videomessaggio di saluto da parte del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Intervisterò il ministro degli Esteri e della Cooperazione Internazionale Enzo Moavero Milanesi. L’ ospite sarà Renzo Arbore. Sono molto emozionata, per me è un po’ un ritorno alle origini. Il lavoro per il quotidiano mi mancava e ora i figli sono grandi abbastanza perché io possa riprenderlo». Sono previsti, ogni settimana, collegamenti con gli attori di Un posto al sole. «Un programma di tale tipo è anche una responsabilità. Sarà davvero un collegamento con l’ Italia per chi vive in altri Paesi. Cercherò di rendere la trasmissione molto social e ci saranno occasioni di dialogo con gli spettatori. La linea è quella di un contenitore per parlare di tanti argomenti, non ci saranno per ovvi motivi breaking news ma ci legheremo all’ attualità». Largo alle novità del web con un social media manager e al mondo degli animali, con una animal blogger. Notizie protagoniste nella rubrica settimanale curata da Antonio Di Bella, direttore Rai News 24. LA MUSICA Non mancherà la musica live con Stefano Palatresi. E questo potrebbe lasciare spazio a sorprese. «Sono convinta che la trasmissione farà uscire la mia vera anima afferma amo ballare e cantare, magari ci saranno duetti». Intanto, domani, Monica Marangoni sarà a New York dove presenterà il Festival della Musica italiana di New York, che si terrà al Master Theater di Brooklyn. Sul palco, big come Arisa e Bobby Solo, e dieci giovani talenti in gara, cinque italiani. L’ agenda di impegni è ricca. «Continuerò a curare la rubrica Da vedere, da ascoltare per Unomattina in Famiglia annuncia e condurrò la seconda stagione di Un cane in famiglia». Valeria Arnaldi © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Fra via Buonarroti e il West
Il Sole 24 Ore
Francesco Prisco
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I primi a servire spaghetti western al mondo non furono Leone, Corbucci o Sollima. Sedici anni prima dell’ inizio della Trilogia del dollaro,18 prima di Django e de La resa dei conti, quando i “tre Sergio” del cinema di genere italiano erano poco più che ragazzi di bottega, un impavido eroe della frontiera, armato di colt e pittoresche imprecazioni, si lanciò tra le praterie del Texas e i canyon dell’ Arizona a caccia di farabutti. Spingeva il suo cavallo da un altro ovest: quello di Milano, via Buonarroti 38, sede della redazione dell’ Audace che un giorno sarebbe diventato Sergio Bonelli Editore. Comincia così l’ avventura di Tex, uno tra i più longevi personaggi di fumetto al mondo, figlio della fantasia di Gianluigi Bonelli e della matita di Aurelio “Galep” Galeppini, romanziere e pittore prestati all’ arte popolare delle strisce. Era il 30 settembre del 1948 e una locandina appesa alle edicole annunciava: «Ragazzi! Eccovi finalmente Tex, l’ albo più ricco al prezzo più povero». Perché le macerie della guerra erano ancora a terra, di soldi ne giravano pochissimi e 15 lire erano il prezzo giusto se in cambio, su 36 pagine, ti davano un pezzo d’ America e valori solidi come giustizia e lealtà. Quell’ epopea adesso entra in museo: fino al 27 gennaio alla Permanente di Milano è in corso la mostra Tex, 70 anni di un mito a cura dello storico del fumetto Gianni Bono. Una raccolta interattiva di numeri storici, tavole originali, oggetti di merchandising e reperti provenienti direttamente da casa Bonelli che ripercorrono per intero la parabola del fuorilegge che si fece ranger. Dalla macchina per scrivere su cui Bonelli padre componeva a una copia de Il massacro di Goldena, introvabile romanzo western da lui pubblicato con le illustrazioni di Galep, poi opere a Tex ispirate, come la non proprio riuscitissima versione cinematografica Tex e il signore degli abissi di Duccio Tessari (1985) e il trascinante pezzo che i Litfiba incisero come singolo di lancio dell’ album Pirata (1990). Pubblicare strisce per la gioventù in quel 1948 – anno decisivo per la storia del Paese tra le elezioni che sancirono la vittoria della Dc sul Fronte popolare, l’ attentato a Togliatti e il trionfo di Bartali al Tour de France che impedì una guerra civile – era affare da apprendisti stregoni. Ci si cimentò Tea Bertasi, casalinga che, secondo la leggenda, fino a due anni prima non aveva mai aperto un albo ma, come accordo di separazione, aveva ricevuto in dote dall’ ex coniuge la casa editrice Audace. L’ ex coniuge, appunto: si chiamava Gianluigi Bonelli e la Bertasi lo volle accanto a Galep nel tandem creativo che avrebbe dovuto provare a indovinare i gusti dei ragazzi del dopoguerra. Si procedeva per tentativi: prendiamo il personaggio di Ringo, l’ anti-eroe interpretato da John Wayne in Ombre Rosse (1939), diamogli il volto di Gary Cooper, divo de L’ uomo del West (1940), e soprattutto la consapevolezza che prima della legge viene la giustizia, prima dell’ appartenenza a una razza o a un ceto sociale c’ è lo spessore etico, prima dei biechi calcoli il coraggio, prima dell’ ambizione l’ amicizia. Sembra quasi il contrappasso del conformismo che imperava nel Ventennio, tanto più che si specchia nell’ America, nello spirito di una nazione che prometteva la modernità e che il fascismo lo aveva sconfitto a duello. L’ esperimento a sorpresa riesce e Tex, negli anni Sessanta e Settanta, guarda caso quelli dello spaghetti western (e dell’ ascesa di Sergio Bonelli, talentuoso figlio di Gianluigi, autore con lo pseudonimo di Guido Nolitta e poi editore), diventa oggetto di culto, addirittura fenomeno da 600mila copie, prima punta di una formidabile squadra di eroi del fumetto destinata a comprendere anche Zagor, Mister No, Martin Mystère, quel Dylan Dog che in certe fasi sembrava pronto a strappare al ranger la leadership di eroe bonelliano più amato e il futuribile Nathan Never. Perché l’ economia dei ruoli funziona a meraviglia: accanto a Tex ci sono Kit Carson, adorabile “vecchio trombone”, personaggio storico reale che fa da collegamento con la vera epopea del West; Kit Willer, il figlio di Tex, ragazzo con un talento straordinario quando si tratta di cacciarsi nei guai o “sperimentare” situazioni nuove per la serie; Tiger Jack, silenzioso Navajo abile come nessun altro a seguire piste. Perché Tex è addirittura vedovo di una nobile squaw, circostanza che lo rende capo supremo di tutte le tribù Navajo con il nome di Aquila della Notte. Perché Tex sdoganerà il West raccontato dalla parte degli indiani in netto anticipo sul successo internazionale del film Soldato blu (1970). A 70 anni suonati, Tex si trova davanti la sfida più ambiziosa della sua onorata carriera di ranger: sconfiggere la crisi dell’ editoria con una strategia che coniuga innovazione e diversificazione. Da un lato c’ è il lancio programmato per novembre della serie prequel Tex Willer, dedicata alla giovinezza da fuorilegge dell’ eroe bonelliano, espediente che consentirà alla casa editrice ora guidata da Davide Bonelli di azzerare il contachilometri del più celebre tra i suoi personaggi, strizzando l’ occhio a un lettorato più giovane e magari sperimentando qualche concessione al politically uncorrect. Dall’ altro c’ è l’ apertura del Tex Willer World, parco tematico da 20 milioni da realizzare a Montegrotto Terme sui Colli Euganei. Riuscirà il nostro eroe? Domanda retorica, per un personaggio che di retorico ha davvero pochissimo. Perché Tex fissa negli occhi i potenti e abbatte i prepotenti. Perché Tex è il giudice che vorremmo a dirimere le questioni personali più spinose, l’ amministratore delegato ideale, l’ arbitro perfetto cui affidare le sorti della nostra squadra del cuore quando gioca contro avversari che godono di sudditanza psicologica diffusa. Perché Tex passa tutti i mesi tra ferro e fuoco. Ma, alla fine, non muore mai. © RIPRODUZIONE RISERVATA Tex. 70 anni di un mito Museo della Permanente Milano, fino al 27 gennaio.
Conte fece causa alla Rai con Alpa poi il collega lo promosse all’ esame
La Repubblica
GIULIANO FOSCHINI
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ROMA Il premier Giuseppe Conte e il professor Guido Alpa avevano lavorato insieme, condividendo almeno una prestigiosa difesa, prima di quel concorso da docente ordinario nel quale Alpa promosse Conte. La prova è in una costituzione depositata a gennaio del 2002, sessanta giorni prima di quell’ esame, al tribunale civile di Roma. I due giuristi furono gli avvocati del Garante della privacy in una causa contro la Rai che aveva impugnato d’ urgenza un provvedimento dell’ Autorithy. Una circostanza, questa, che farebbe pensare che il premier non mente quando scrive nel curriculum di aver aperto uno studio con il professor Alpa nel 2002. Una circostanza, però, che nello stesso tempo cristallizza il conflitto di interessi dei due. E rischia di rendere irregolare quel vecchio concorso: come ha spiegato recentemente in un parere l’ Anac di Raffaele Cantone, c’ è un’ incompatibilità quando «esiste una collaborazione professionale con una comunione di interessi economici» tra l’ esaminato e l’ esaminatore. Un rapporto che Conte e Alpa sembrano proprio avere avuto. La storia, raccontata ieri da Repubblica, è quella di un concorso da ordinario bandito nel 2002 dall’ università Vanvitelli di Caserta e vinto da due docenti: Carlo Venditti, che viene assunto nell’ ateneo campano e Conte, appunto, che verrà invece chiamato tre anni dopo a Firenze, dove già lavorava come professore associato. Nella commissione che giudica e promuove all’ unanimità Conte, insieme con altri quattro importanti docenti universitari italiani, c’ è Alpa che di Conte è maestro, amico, collega e, a credere al curriculum del premier, anche socio. Le prime due circostanze non rappresentano un problema formale. Piuttosto etico, soprattutto se lette ora, con Conte alla guida di un governo che annuncia strali contro le baronie universitarie. Baronie alle quali negli anni sono stati contestati metodi simili a quelli con cui Conte è stato nominato ordinario. Per esempio: nella prova alla Vanvitelli, Alpa si è trovato a valutare tre lavori di Conte inseriti in pubblicazioni da Alpa stesso curate. Che giudizio avrebbe mai potuto dare? Il problema, sostanziale, arriva però dagli altri due fatti, vietati dalla legge: i due hanno «avuto rapporti stabili di collaborazione», per citare la norma? Sono stati mai soci? Conte, nel suo curriculum, scrive di sì. E indica come data di inizio della collaborazione proprio il 2002, quando si tiene il concorso. Contattato da Repubblica, il premier non ha voluto rispondere alle domande. Lo ha fatto invece, assai cortese, il professor Alpa che ha spiegato di non aver mai avuto uno studio associato con Conte e che i due erano «soltanto coinquilini». O meglio che il premier, da avvocato, aveva lo studio «sopra il mio». Una ricostruzione che lo “salverebbe” dal conflitto di interessi nel concorso. Ma che, sulla base di alcuni documenti che Repubblica ha potuto consultare, mostra diversi buchi. I due si conoscono dal 1998 quando l’ attuale premier lavorò in un progetto sul diritto privato per gli studenti delle scuole superiori coordinato dal professor Alpa. Tra dicembre del 2001 e gennaio del 2002, si è detto, difesero insieme il garante della privacy. E sempre nel 2002 Conte aprì un nuovo studio. Alpa dice che sono solo coinquilini di palazzo. Strano, perché consultando l’ albo degli avvocati si scopre che entrambi hanno sì studio in piazza Benedetto Cairoli 6, ma che hanno anche lo stesso numero di telefono: per risparmiare il professor Conte usa la segreteria dello studio Alpa? Nell’ androne di quel palazzo devono poi essere nate varie collaborazioni. Se è vero che ai due capita spesso di prendere difese comuni. Per esempio: il 27 maggio del 2014 in una causa al tribunale di Roma Conte si presenta «in sostituzione di Alpa», mentre i due fino al 2018 continuano a difendere insieme il garante della privacy. «Da Conte mi ha indirizzato il professor Alpa» ha raccontato quest’ estate a Repubblica l’ imprenditore Leonardo Marseglia che al premier si era affidato per l’ acquisizione del Molino Stucky, il lussuoso albergo di Venezia. E sempre tra le scale di piazza Cairoli devono aver visto la luce prestigiose collaborazioni accademiche: oltre alle tre pre 2002, risultano dieci pubblicazioni di Conte, tra il 2003 e il 2012, raccolte in volumi curati per varie case editrici dal professor Alpa. © RIPRODUZIONE RISERVATA Il premier lavorò assieme al professore che pochi mesi dopo fu suo commissario. La legge vieta a chi giudica e a chi è giudicato d’ avere rapporti d’ affari.
Maratona di Roma nuovo dietrofront Errori del Comune il bando congelato
La Repubblica
LAURA MARI
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Di che cosa stiamo parlando La Maratona di Roma è il più importante evento podistico internazionale della capitale. Il 7 aprile 2019 si correrà la 25esima edizione della gara di 42,195 chilometri a cui ogni anno partecipano oltre 12mila atleti (più 80mila alla stracittadina di 5km). Per vent’ anni è stata organizzata dall’ Italia Marathon Club. Cambia l’ organizzazione. Anzi no. Si ritorna al punto di partenza. Sembra un po’ come quando da bambini c’ è chi prende il pallone e dice «ci gioco solo io». Il problema, poi, è che ci si rende conto che da soli non ci si diverte, non si è capaci e bisogna chiedere aiuto agli altri. Ecco, con il bando del Campidoglio per la Maratona di Roma è successo lo stesso. Dopo aver pubblicato un avviso, il 26 marzo scorso, in cui l’ amministrazione della sindaca Raggi ha messo a bando l’ organizzazione della gara per i prossimi quattro anni ( con possibilità di proroga di due), ora, a sei mesi dalla 42,195 chilometri, il Comune si trova costretto a fare dietrofront e ad affidare la corsa alla Fidal, che si avvarrà della collaborazione dell’ Italia Marathon Club, ovvero dell’ associazione che ha gestito la competizione internazionale per oltre vent’ anni. Nel bando capitolino, infatti, era stata inserita una clausola in cui si specificava che, se a sei mesi dalla gara non fosse stato ancora affidato l’ appalto, l’ organizzazione dell’ edizione 2019, cioè del prossimo 7 aprile, sarebbe stata nelle mani della Federazione di atletica leggera. I sei mesi iniziano domani e il sito maratonainternazionalediroma. it, con logo della Fidal e del Comune, è già attivo per le iscrizioni. Si vocifera però che la Federazione non sarebbe in grado di organizzare, in così poco tempo, una maratona di tale importanza (ogni anno gli iscritti sono circa dodicimila, senza contare gli ottantamila della stracittadina), dunque avrebbe già chiesto aiuto ai vecchi organizzatori, l’ Italia Marathon Club presieduta da Enrico Castrucci. I diritti televisivi e sportivi, invece, dovrebbero finire quest’ anno a Infront, la più importante azienda del settore. Insomma, tutto come prima. Il ritardo dell’ assegnazione del bando comunale, a cui hanno partecipato tre soggetti ( Atleticom, il gruppo Rcs e una cordata composta dall’ Italia Marathon Club, il Corriere dello Sport e Infront) è dovuto a vicende a dir poco kafkiane. Tutti i componenti della prima commissione scelta dal Campidoglio per l’ apertura delle buste si sono rifiutati di partecipare. Così è stata nominata una seconda commissione, ma il 31 agosto la presidente è andata in pensione e si è dovuto procedere a una nuova nomina. Come se non bastasse, la sindaca grillina, Virginia Raggi, aveva intanto scelto, come suo capo di Gabinetto, Dilippo Maria Tropiano, il giudice del Tar che doveva esprimersi sul merito del ricorso presentato al tribunale amministrativo dall’ Italia Marathon Club ( la nomina è poi saltata e pochi giorni fa è stato reso pubblico che il ricorso è stato respinto). Per ricapitolare, il bando è stato congelato grazie alla clausola di salvaguardia e quest’ anno la Maratona sarà organizzata da Fidal, Italia Marathon Club e Infront. Il Campidoglio ancora una volta si è dimostrato incapace di agire e ha dovuto fare marcia indietro. © RIPRODUZIONE RISERVATA La premiazione La sindaca Raggi col vincitore della Maratona di Roma 2018 Birech. Dietro di lui Ibrahim Abdo Abdi (sinistra) e Kangogo (destra)
Di Maio contro Repubblica e L’ Espresso La replica: “Raccontiamo solo la verità”
La Repubblica
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roma Il vicepremier Luigi Di Maio attacca il lavoro dei giornalisti di Repubblica e delle altre testate del gruppo Gedi. In un video su Facebook, Di Maio con un sorriso sarcastico afferma che i cittadini « per fortuna si stanno vaccinando dalle bufale e dalle fake news dei quotidiani » , tant’ è vero che « stanno morendo molti giornali, in particolare del gruppo dell’ Espresso (sic) , che, mi dispiace per i lavoratori, stanno addirittura avviando processi di esuberi. Perché nessuno li legge più, perché ogni giorno passano il tempo ad alterare la realtà». I Comitati di Redazione della Repubblica e dell’ Espresso hanno replicato al politico del M5S in una nota: « Ancora una volta il vicepremier Di Maio non perde occasione per mostrare a tutti gli italiani la sua cultura. Non solo ignora – proseguono i Cdr – che il gruppo Espresso non esiste più da due anni, confluito nel più articolato gruppo Gedi che è leader in Italia nell’ informazione quotidiana e multimediale, ma dimostra di non conoscere la differenza tra bufale e notizie, evidentemente perché espertissimo della prima fattispecie e allergico alla seconda. Nella sua dichiarazione Di Maio inoltre parla senza cognizione di causa, ed è grave essendo lui anche ministro del Lavoro, di ” processi di esuberi” e di “giornali che stanno morendo”, tradendo così una sua speranza recondita. Ma può mettersi l’ anima in pace – conclude il comunicato – Repubblica, l’ Espresso e le altre testate del gruppo Gedi non moriranno e, Costituzione alla mano, continueranno a fare quello per cui sono in testa alle classifiche della diffusione digitale e cartacea nel nostro Paese: raccontare la verità, soprattutto quando è scomoda per il potente di turno». Levata di scudi da parte della Federazione nazionale stampa italiana ( « Auspicare la morte dei giornali è tipico delle dittature » ); del direttore della Stampa, Molinari, che rivendica la « solidità delle radici della libera informazione » ; del segretario Pd, Martina ( « Il modello di Di Maio è l’ illiberale Orban » ); di FI ( Casciello: «Siamo alla farsa della Democrazia » ); di Leu ( Fratoianni: «La ricerca della verità è frutto di un giornalismo libero. A Palazzo Chigi se ne devono fare una ragione »). Solidarietà anche dal Cdr del Corriere della Sera, da quello della Stampa e dall’ Associazione Stampa Romana. Il presidente del Gruppo Gedi, Marco De Benedetti, ha risposto in un tweet al vicepremier: « Stia sereno onorevole Di Maio – scrive – il gruppo Gedi non sta morendo. Grazie alla professionalità dei suoi giornalisti siamo il primo gruppo editoriale del Paese. Grazie agli investimenti fatti siamo leader nel digitale. Soprattutto continueremo a raccontare la verità ». Il 29 settembre scorso era stato l’ altro vicepremier, Matteo Salvini, ad attaccare l’ Espresso per una copertina sulle discriminazioni in Italia. – (Marco Contini, Dario Del Porto, Marco Patucchi, Carmine Saviano, Giovanna Vitale – componenti del Cdr di Repubblica)
Di Maio contro i giornali: muoiono. È bufera
La Stampa
FRANCESCO GRIGNETTI
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Non è usuale che un ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico prefiguri, con malcelata soddisfazione, la morte di un’ impresa economica del Paese. Ieri, Luigi Di Maio, attraverso una delle solite dirette Facebook senza contraddittorio, si è scagliato contro i giornali che criticano la maggioranza. «Per fortuna – ha detto – ci siamo vaccinati anni fa dalle bufale, dalle fake news dei giornali e si stanno vaccinando anche tanti altri cittadini, tanto è vero che stanno morendo parecchi giornali tra cui quelli del Gruppo L’ Espresso che, mi dispiace per i lavoratori, stanno addirittura avviando dei processi di esuberi al loro interno perché nessuno li legge più, perché ogni giorno passano il tempo ad alterare la realtà e non a raccontare la realtà». Immediata è arrivata la replica del presidente di Gedi, Marco De Benedetti: «Stia sereno Onorevole, il gruppo Gedi non sta morendo. Grazie alla professionalità dei suoi giornalisti siamo il primo gruppo editoriale del Paese. Grazie agli investimenti fatti siamo leader nel digitale. Soprattutto continueremo a raccontare la verità». A parte il fatto che il Gruppo L’ Espresso citato da Di Maio non esiste più da un paio di anni – al suo posto c’ è il Gruppo Gedi, editore anche di questo giornale -, il vicepremier davvero non sembra stare nella pelle se ci sono testate che accusano i morsi della crisi. È quanto gli ha subito rinfacciato il sindacato dei giornalisti Fnsi: «Di Maio, come del resto buona parte del governo, sogna di cancellare ogni forma di pensiero critico e di dissenso, e si illude di poter imporre una narrazione dell’ Italia lontana dalla realtà. Auspicare la morte dei giornali non è degno di chi guida un Paese di solide tradizioni democratiche come è l’ Italia, ma è tipico delle dittature». Ma la questione è divenuta subito politica. Si schiera il segretario dem Maurizio Martina: «Si dovrebbe vergognare, ma ormai purtroppo non possiamo stupirci perché il modello di questi signori è diventato Orban. La curva illiberale di questa maggioranza è pericolosa per il Paese e per tutti i cittadini». Così tanti deputati dell’ opposizione. Michele Anzaldi del Pd è forse il primo ad accorgersene: «Mai visto un ministro del Lavoro che gioisce per lavoratori in esubero, un ministro dell’ Industria che gioisce per un’ azienda in difficoltà, un vicepremier che spera nella chiusura di un giornale. Di Maio vergogna per le parole sul Gruppo Espresso! L’ unico posto di lavoro che gli interessa è il suo». Critico è anche Gigi Casciello di Forza Italia: «Questa volta nel mirino dell’ illiberale Di Maio e degli antidemocratici Cinquestelle è finito il gruppo Gedi. Prima è toccato a Libero, il Giornale e a quanti con dati alla mano dimostrano che la politica economica del governo è contro chi cerca lavoro piuttosto che elemosine». I giornalisti del Gruppo hanno replicato attraverso gli organi sindacali interni. «Può mettersi l’ anima in pace: Repubblica, L’ Espresso e le altre testate del gruppo Gedi – scrive il cdr di Repubblica e L’ Espresso – non moriranno». E sostiene il cdr de La Stampa: «I giornalisti possono garantire al ministro Di Maio che non si lasceranno intimidire e continueranno nel loro lavoro di informare pienamente i cittadini assieme a tutti i colleghi delle altre testate del Gruppo Gedi». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
Benigni: “Vorrei portare l’ amore in tv, è un tema politico e rivoluzionario”
La Stampa
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«Dopo tre anni sabbatici vorrei tornare con un nuovo progetto televisivo sull’ amore, l’ anno prossimo o anche prima. Il titolo? Potrebbe essere “La verità, vi prego, sull’ amore” da Auden, per me il più grande poeta del `900». Dopo i «Dieci comandamenti» sulla Rai del 2014, Roberto Benigni ha svelato i suoi prossimi progetti da una piazza insolita, Apiro, il piccolo borgo marchigiano che ha ospitato un gruppo di dantisti da tutta Europa. «L’ amore è un discorso politico molto forte – ha detto ancora Benigni -, è un tema rivoluzionario: tutto quello di cui si discute oggi ha a che fare con l’ amore, come la questione dei migranti e anche l’ Europa che ritengo sia l’ unico sogno che ci è rimasto, l’ unico che si può dare a un bambino che nasce ora».
La Storia della Filosofia per aiutarci a capire la complessità dei tempi
La Stampa
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Forse ci sono altre e numerose ragioni per capire e studiare la filosofia, e per suggerirle, tutte le pagine di questi volumi appena bastano. Ma speriamo che questi pochi accenni siano sufficienti per invogliare qualcuno a comprendere che cosa voglia dire pensare. Perché il pensare, e il pensare filosofico, è quello che distingue gli uomini dagli animali». Questo consiglio ha una doc, si chiama Umberto Eco. Perchè si deve al grande semiologo, filosofo, scrittore, traduttore, accademico (e molte altre cose insieme) scomparso tre anni or sono, e a Riccardo Fedriga che si deve questa collana composta di 16 volumi dedicata alla storia della filosofia e che il Gruppo Gedi propone in vendita con le testate GNN (da La Stampa al Secolo XIX passando per il Messaggero Veneto e molti altri quotidiani e settimanali) a partire da domani, in uscita ogni lunedì. Mai come di questi tempi così magmatici e in rapida evoluzione socio-politica, l’ appoggio della filosofia, o del sapere destreggiarsi con il sapere astratto e le domande fondamentali che da sempre si pone l’ uomo può essere non solo utile, ma di fondamentale importanza. E per dirla con il grande Eco «vale la pena di praticare la riflessione filosofica così come vale la pena di fare ginnastica: nel primo caso si evita di ingrassare, nel secondo si diventa più intelligenti». E perché, ci si chiederà, partire dalla Grecia? Ed è ancora Umberto Eco a spiegare il motivo: «Quest’ opera non può parlarvi di tutte le forme di pensiero esistenti, e inoltre c’ è una ragione culturale per cui una storia della filosofia comincia dai Greci: perché è stato il pensiero greco a formare il modo di pensare del mondo occidentale». Conclusione: « É solo comprendendo che cosa avessero pensato i greci noi possiamo capire come abbiamo continuato a pensare negli ultimi tre millenni circa». L’ opera in edicola da oggi si presenta con un tratto di assoluta novità: i massimi specialisti del settore, coordinati dai due curatori, hanno redatto i singoli contributi che ne costituiscono l’ ossatura portante. Essi rappresentano dunque Il progetto intende mostrare quel dialogo tra voci,teorie, dottrine e interpretazioni che fanno della filosofia una forma di sapere sempre aperta alla ricerca, al confronto critico e al rimettere in discussione le soluzioni raggiunte. Si presenta, dunque non solo come una storia del pensiero, ma anche come uno strumento per esercitarsi alla pratica del ragionamento filosofico. L’ opera è concepita in modo moderno, con un ricco sistema di link e rimandi, che permette di orientarsi rapidamente e scoprire i nessi profondi esistenti tra i vari pensatori e le diverse epoche storiche. La collana nasce per rivolgersi a un pubblico di studenti liceali ma si rivela utile supporto anche per chi vuole rinfrescare le proprie conoscenze o avvicinarsi per la prima volta alla materia. L’ opera è divisa in 2 parti. I primi 8 volumi spiegano l’ opera dei grandi pensatori del passato, chiarendo i concetti più ostici, creando connessioni e ricostruendo quindi il grande filo che unisce le varie epoche. I secondi 8, invece, propongono un’ antologia delle opere più rilevanti della storia, puntualmente analizzate e commentate. In vendita a 8,90 euro. Primo titolo: «Dai Presocratici ad Aristotele». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
Da Superquark a Superspread
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Intervistato da Massimo Gramellini su Rai 3, Piero Angela si è soffermato anche sull’ attualità politica e sulla manovra prossima ventura: «La politica deve distribuire equamente la ricchezza e fare in modo che il Paese ne produca», ha detto: «È la partita doppia delle entrate e delle uscite, è un ragionamento che fa ogni famiglia, che non lo faccia lo Stato creando questo debito pubblico, e soprattutto questo spread che ci porta via decine di miliardi di interessi, è molto grave». Da Superquark a superspread.
Per fortuna torna Fiorello: c’ è il «Rosario» su Deejay
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Per i fan non poteva esserci notizia migliore: Rosario Fiorello torna al suo primo amore, la radio. Anzi, torna su Radio Deejay che tante soddisfazioni gli ha regalato la scorsa stagione con il suo Il Rosario della Sera. Ed è con lo stesso programma che tornerà dal lunedì al venerdì, dalle 19 alle 20, su Radio Deejay, a partire dal 15 ottobre. È stato lui stesso ad annunciarlo, naturalmente via social che sa così bene utilizzare al punto da costruirci diversi programmi, a partire da Edicola Fiore, format poi traslocato su Radio 2. Pochi giorni fa, Fiorello si è «presentato» con un tweet e una locandina («Dal 15 Ottobre si ricomincia #IlRosariodellasera @radiodeejay») in cui, in linea con il programma e con il titolo, veste i panni di un prete. Il programma è lo stesso, Il Rosario della Sera. La squadra pure: il maestro Enrico Cremonesi e l’ imitatrice Gabriella Germani per una programma scritto e ideato con Francesco Bozzi, Pierlugi Montebelli e Federico Taddia. Assicurate sono pure le irresistibili risate a cui lo showman dalle mille risorse ci ha abituati ormai da anni: sempre fedele a se stesso, ma sempre capace di rinnovarsi in maniera del tutto originale. Naturale e ovvia la pioggia di commenti per brindare al suo ritorno, che ogni volta riesce a trasformarsi in un evento mediatico per la grandezza e la bravura del personaggio. E chi si aspettava di vederlo in tv, dovrà pazientare ancora parecchio. Il suo spettacolo di quattro puntate, previsto su Rai 1 in questo autunno, slitta. In attesa di capire quando andrà in onda, meglio accendere la radio. Le sorprese, di certo, non mancheranno. riproduzione riservata.
Al Museo del Fumetto una mostra sui 110 anni del Corriere dei Piccoli
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ELEONORA RAVAGLI Il Corriere dei Piccoli, il primo giornale a fumetti della storia dell’ editoria italiana dedicato ai bambini, compie 110 anni. E per l’ occasione Wow Spazio Fumetto vuole festeggiare questo compleanno speciale con una mostra che si aprirà il prossimo 13 ottobre e rimarrà esposta al pubblico fino al 13 gennaio 2019. Era il 27 dicembre 1908 quando nelle edicole di tutta Italia comparve il primo numero del mitico “Corrierino”, al costo di 10 centesimi. Finalmente anche i più piccoli avevano l’ opportunità di leggere una testata interamente dedicata allo svago e al divertimento. Originariamente il Corriere dei Piccoli nacque sulla scia dell’ enorme successo riscosso dai supplementi dei quotidiani venduti oltreoceano. Così anche il Corriere della Sera, durante i primi anni del Novecento tentò di lanciare un allegato domenicale: la testata disegnata da Antonio Rubino prese piede anche nella penisola con il nome di «supplemento illustrato del Corriere della Sera». Tuttavia, non rappresentava la prima lettura per bambini, erano infatti già venduti “Il Giornale per bambini” dove spuntò Pinocchio e “Il Giornalino della domenica” di Vamba sul quale si potevano leggere le avventure di Giamburrasca. Il progetto del “Corrierino” fu elaborato da Paola Lombroso, sociologa e scrittrice, nonché già collaboratrice del “Giornalino della domenica”. La giornalista decise di proporre l’ idea all’ allora direttore del Corriere della Sera, Luigi Albertini, che la accolse con entusiasmo, ma affidò il compito di costruire il numero al collega Luigi Spaventa Filippi, mentre la Lombroso venne incaricata di curare la rubrica delle Lettere del nuovo periodico, compito che lasciò in seguito al sostegno morale della testata a favore della spedizione in Libia. Nell’ esposizione, ampio spazio è riservato alla figura femminile della meglio conosciuta Zia Marlù e ad altre donne particolarmente significative per il successo del fumetto, come Grazia Nidasio, subentrata in redazione a partire dagli anni Cinquanta, Valentina Mela Verde e La Stefi. Ma il giornale a fumetti, dalla sua nascita al Secondo Dopoguerra, non era impostato come lo concepiamo oggi. Infatti, al posto delle vignette, venivano inserite delle strofe in rima che raccontavano le avvincenti vicende dei vari personaggi, come il negretto Bilbolbul, Quadratino, Schizzo, il signor Bonaventura e Marmittone. Diventato poi il Giornale dei Piccoli dal 1945, due anni dopo venne pubblicata la prima storia utilizzando le nuvolette, dal titolo “Il labirinto della morte”. Un altro importante avvenimento è determinato dalla sua sostituzione nel 1972 nel Corriere dei Ragazzi, per rivolgersi a un pubblico adolescente. Venne poi chiuso nel 1984. Dopo successive modifiche il “Corrierino” cessò la pubblicazione il 15 agosto 1995. La mostra, attraverso un percorso cronologico, si divide in varie sezioni e vuole narrare al pubblico i momenti salienti del Corriere dei Piccoli, i soggetti e i diversi personaggi che hanno riempito quelle pagine di fumetti. Dal «qui comincia l’ avventura…» del signor Bonaventura di Sergio Tofano al «Sor Pampurio arcicontento del suo nuovo appartamento» del Sor Pampurio di Carlo Bisi, si possono di nuovo leggere le divertenti avventure sfogliando i fogli originali usciti da quel 27 dicembre 1908 all’ ultimo numero del 1995. Si potranno infatti ammirare centinaia di giornali e albi originali a partire dal primo in assoluto, così come una selezione di tavole originali provenienti dall’ archivio della Fondazione Franco Fossati e da collezioni private. Inoltre in collaborazione con il Museo Biblioteca dell’ Attore di Genova ne saranno esposte alcune disegnate da Sto e il costume originale del signor Bonaventura indossato da Sergio Tofano durante alcuni spettacoli teatrali ispirati al personaggio. riproduzione riservata Nella foto a lato una striscia dedicata a Bilbolbul. Disegnato da Attilio Mussino, è di fatto il primo fumetto italiano. Sopra la copertina del Corriere dei Piccoli dedicata a Rita Pavone col suo Gian Burrasca Nella foto a lato una striscia dedicata a Bilbolbul. Disegnato da Attilio Mussino, è di fatto il primo fumetto italiano. Sopra la copertina del Corriere dei Piccoli dedicata a Rita Pavone col suo Gian Burrasca.
L'articolo Rassegna Stampa del 07/10/2018 proviene da Editoria.tv.