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Rassegna Stampa del 26/08/2018

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«Sono alle prese con il casting per il pappagallo».

Ancora problemi per la diretta Dazn

caccia ai libri, l’ italiana di oxford che unisce scienza e umanesimo

“Ora dimmi di te”: Camilleri amarcord in forma di lettera

«Catch and kill»

Il portiere, la colf e il figlio segreto Un nuovo fronte imbarazza Trump

«Sono alle prese con il casting per il pappagallo».

Il Mattino

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«Sono alle prese con il casting per il pappagallo». Scherza Antonella Clerici, sorridente e piena di entusiasmo, mentre si prepara a portare in tv «Portobello». A 30 anni dalla morte del suo ideatore e conduttore, Enzo Tortora, Raiuno ripropone la storica trasmissione dal 27 ottobre in prima serata. Tortora la presentò dal 1977 al 1983, quando finì in carcere accusato di collusione con la camorra. Scagionato completamente, tornò a condurre «Portobello» nel 1987, ma per un breve periodo. Morì l’ anno dopo. «Per riportare in Rai Portobello ci voleva una presentatrice d’ una certa età, che quella trasmissione l’ ha vista», sorride la conduttrice, che nel 1983 aveva 20 anni: «Io ricordo tutto di quel periodo, le immagini di Enzo in manette, le cronache sulla sua vicenda, credo abbia subito l’ ingiustizia più grande che si possa sopportare». Per «Portobello» Antonella lascia la sua trasmissione del cuore «La prova del cuoco», da settembre affidata alla Isoardi: «Era il momento di misurarmi su altre cose. Elisa farà benissimo. Mi piace cambiare, rischiare fare cose nuove. Portobello è una grande sfida, anche se non penso neppure di potermi confrontare con Tortora. Ma il format resta lo stesso, voglio rifarlo esattamente come lo ricorda la gente, lo cambierò poco». Ogni puntata si aprirà con un ospite che tenterà di far parlare il pappagallo (all’ epoca di Tortora ci riuscì solo Paola Borboni) e si svilupperà sulle stesse rubriche di 30 anni fa, dai «Fiori di arancio» al «Dove sei». E per chiudere la famosa frase: «Big Ben ha detto stop». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Ancora problemi per la diretta Dazn

Il Mattino

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Appare ancora in salita l’ avventura di Dazn, la piattaforma Perform che, insieme a Sky, si è assicurata i diritti tv della Serie A. Prima e durante Napoli-Milan diversi utenti hanno registrato problemi di ricezione. Alcuni hanno lamentato difficoltà di accesso già prima del fischio d’ inizio e sullo schermo, invece che le immagini della partita, compare un avviso «problema col video, riprova tra qualche minuto o contatta l’ assistenza». Per venire in aiuto Dazn ha diffuso via Twitter un annuncio: «Ciao Tifoso! Se sul tuo dispositivo riscontri l’ errore 78-800-34 o 78-800-43, ti invitiamo a riavviare l’ app affinché il problema venga risolto». Molte le lamentele sui social sulla qualità delle immagini, e per le numerose interruzioni.

caccia ai libri, l’ italiana di oxford che unisce scienza e umanesimo

Il Sole 24 Ore
Stefano Salis
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L’ appuntamento, purtroppo per me, è rinviato. Spero. Già pregustavo di incontrare Cristina Dondi nelle sale prestigiose, austere e magiche della Bodleian Library di Oxford, dove lei è di casa: oltre al piacere di conoscerla di persona e chiacchierare, infatti, ci sarebbero stati i libri (e che libri, aveva selezionato!) a farci compagnia. Dico i libri antichi, ovviamente, che sono al centro della sua vita e per i quali ha “inventato” un sistema di “tracciabilità” assolutamente contemporaneo e innovativo che oggi la fa essere al centro del dibattito della sua disciplina. Ma non solo: cosa del tutto inaudita, lei, studiosa di materiali per “adepti”, per una volta ha comunicato talmente bene la sua ricerca che è “finita” nel circo mediatico: con tenacia e determinazione ha convinto Wall Street Journal, Financial Times, Bbc, Rai che di libri antichi si può parlare, e bene, anche al grande pubblico. E così l’ incontro, più banalmente, avviene in un ristorante milanese, mentre è di passaggio alla volta di Venezia, dove è curatrice della mostra (parte integrante del progetto) «Printing R-Evolution 1450-1500. I cinquant’ anni che hanno cambiato l’ Europa» che si sta per aprire (il 1° settembre) al Museo Correr e alla Biblioteca Marciana e che dimostrerà plasticamente la qualità e quantità del suo lavoro. Ma non mi rammarico dello spostamento: Cristina, che elimina subito le formalità, infatti, si presenta anche con alcuni dei suoi fedeli allievi, tutti giovani ricercatori italiani, che da Oxford, e da questa esperienza, spiegheranno le ali delle loro (si spera altrettanto brillanti) carriere. La “scuola”, certo, è molto buona. Sorridente, pacata, decisa a farsi capire anche nei passaggi più tecnici guardando sempre negli occhi l’ interlocutore, stile britannico e solarità italiana, Cristina Dondi a Oxford ci è arrivata grazie a… un giornale. «Liceo Classico Muratori di Modena, poi storia medievale e paleografia alla Cattolica di Milano», ricorda. «La svolta inglese nasce da un Erasmus a Cambridge nel 1990-91. Durante il dottorato, rispondo a un annuncio sul Guardian: la Bodleiana di Oxford cerca un medievista per lavorare alla catalogazione dei loro 7.500 incunaboli, un progetto in corso guidato da Kristian Jensen, ora capo delle collezioni della British Library. Delle cinque persone chiamate per il colloquio, tre erano italiane. Ho cominciato a Oxford nel maggio del 1996 e non mi sono mai spostata». Non è però il classico “cervello in fuga”, direi: si tratta piuttosto, ed è bello pensarla così, di un’ eccellenza italiana prestata a una delle più blasonate università del mondo. Anche per questo, anche se lei non lo dice, l’ ambasciatore italiano a Londra, a fine 2017, le ha consegnato l’ onorificenza di Cavaliere della Stella d’ Italia, conferita dal presidente della Repubblica. «I miei dieci anni in Bodleiana sono stati fra i più felici della mia vita: lo dissi quando lasciai la biblioteca a 40 anni e vale ancora oggi che ne ho 50. Sono stata pagata per scoprire ogni giorno cose nuove. Ma la sfida è renderle rilevanti». Ecco: il passo successivo, che Cristina Dondi ha sempre avuto molto chiaro è stato quello di non rinchiudere la sua cultura dentro l’ accademia ma liberarla fuori. Nel 2010, con i fondi della British Academy, ha ideato, e poi, negli anni, curato – assieme a un team tutto italiano -, il «Material evidence in Incunabula (Mei)», un database in grado di tracciare la diffusione e l’ uso dei libri stampati nella seconda metà del Quattrocento, oggi sparsi in circa quattromila biblioteche fra Europa e Usa. Il progetto ha ricevuto lo European Research Council Consolidator Grant per capire come la società di fine ‘400 ha reagito all’ innovazione tecnologica: è un passo verso l’ integrazione fra cultura umanistica e sapere scientifico-tecnologico. Si infervora, Cristina, parlando dei libri. «La prima cosa che sempre ammiro è la loro forza: sono oggetti sopravvissuti per oltre 500 anni e ancora in condizioni spesso eccellenti: la carta, fatta di stracci, è migliore di quella dei periodi successivi, i colori delle decorazioni sono ancora sgargianti, gli inchiostri chiarissimi. Poi c’ è il fattore umano, le tracce che le persone che hanno usato il libro nel tempo lasciano su di esso. La domanda davanti al libro è: quali storie troverò, cosa mi racconteranno?». La risposta è, anche, nella mostra veneziana che documenta l’ impatto della rivoluzione della stampa sullo sviluppo economico e sociale della prima Europa moderna e nelle migliaia di dati raccolti da un network internazionale – coordinato dal progetto 15cBooktrade dell’ Università di Oxford – in anni di rigorose ricerche. «Ho ricevuto due milioni di euro. I fondi coprono i salari dei tre ricercatori post-dottorato, e di un dottorando, per 4 anni, quello di un amministratore part-time, e il mio, per 5 anni. Poi il salario di un programmatore alla Bodleiana per un anno, di un ingegnere dell’ e-Research Centre di Oxford per un anno (sviluppo della visualizzazione scientifica), di altra programmazione (database Mei); dei costi per far venire a Oxford studiosi per un ciclo annuale di seminari e per l’ organizzazione del grande convegno che si terrà a Palazzo Ducale a Venezia i prossimi 19-21 settembre, per viaggi legati alla formazione e conferenze». L’ idea è stata semplice, eppure, potenzialmente (almeno per i risultati) rivoluzionaria. «Ho sviluppato una nuova maniera di seguire il percorso dei libri. Associando coordinate spaziali e temporali a ogni precedente possessore sappiamo il movimento dei libri e delle idee che i libri contengono». Le implicazioni di questa metodologia per il patrimonio culturale italiano sono enormi: «L’ Italia conta il numero più consistente di biblioteche storiche al mondo. Ed è il Paese che ha prodotto e disseminato, per cause diverse, il suo patrimonio librario in tutto il globo. Stiamo ricostruendo il contenuto di collezioni italiane disperse nel corso di secoli e oggi disseminate in migliaia di biblioteche e musei europei e americani». Un pezzo concreto di anima italiana che ha formato il mondo moderno. Per portare avanti la sua missione, Cristina, lo dice con un grande sorriso, non poteva fare a meno, prima di tutto, «dell’ appoggio di una squadra eccezionale, Maria Alessandra Panzanelli Fratoni, Geri Della Rocca de Candal, Matilde Malaspina, Birgit Mikus, Sabrina Minuzzi», poi della tecnologia per la gestione e visualizzazione dei dati e di un network di centinaia di bibliotecari-ricercatori. Coordina il lavoro di molte persone, in diversi Paesi, sul lungo periodo. Nessuno studioso avrebbe potuto farlo da solo, e solo una collaborazione internazionale, ecumenica, può renderlo realtà. La lezione che ne trae è semplice. «Una società funziona quando le innovazioni sono condivise; un’ élite ad alta velocità non cambierà mai in meglio una società nel suo insieme, se non ci sono valori condivisi. Io ci arrivo per la strada della storia, ma ci sono fior di economisti che son arrivati alle stesse conclusioni»: cita il Nobel per l’ Economia Richard Thaler e il discorso di Ben Bernanke «When growth is not enough». Su un punto è categorica. «Sta a chi fa ricerca condividere e spiegare il senso di ciò che fa. A tutti, con vari registri. La comunicazione è fondamentale, se non posso spiegare a mia madre, al giornalista, al biologo o al banchiere quello che faccio, l’ errore è mio. Questa è stata la più importante lezione imparata nel Regno Unito, parlare chiaro, breve, e semplice. Al colloquio per il Grant avevo dieci minuti per presentare il mio progetto a una commissione di venti storici, persone intelligenti ma non competenti del mio settore. Far capire loro l’ importanza della ricerca che proponevo rimane una grande soddisfazione e una grande lezione». A fine pasto, le chiedo che differenza trovi tra Italia e Inghilterra e se, per caso, non abbia nostalgia dell’ Italia. Vexata, e inutile , quaestio. «Credo di aver fatto più per l’ Italia da fuori che se fossi rimasta. E continuo a farlo, lavoro in armonia con tante biblioteche, centri di ricerca universitari e le istituzioni ministeriali centrali. Ma stare fuori mi ha dato totale indipendenza dalle logiche interne, e quindi potere di fare o dire quello che ritenevo opportuno, e di lavorare con chi dimostrava di condividere la stessa visione: collaborativa, internazionale, interdisciplinare». Uno dei suoi allievi rivela che, invece, in Italia vuol tornare: aiuterà i giovani ricercatori italiani a partecipare, e vincere, se si può, i fondi di ricerca europei. Chiedo a Cristina, alla fine, quale sia esattamente la materia che insegna a Oxford. La risposta mi lascia di stucco. «Ancora non ho una cattedra, sono Senior Research Fellow al Lincoln College». Il sorriso è disarmante, la fiducia con la quale guarda al futuro anche. Qualche giorno dopo l’ incontro, ricevo una sua mail. «L’ Università mi ha conferito il titolo di Professor of Early European Book Heritage, cioè dell’ antico patrimonio librario europeo. Riconoscimento appoggiato da un numero sostanzioso di colleghi europei e americani che hanno spiegato l’ importanza dell’ operazione che porto avanti. È un “ministero senza portafoglio” ma è un primo importante gradino nel riconoscimento di una disciplina e metodo di lavoro che vogliamo (corsivo mio, ndr) rendere stabile». Pensa al noi, ai suoi allievi, al futuro del progetto. A questo punto non ho dubbi che il fatale appuntamento con i libri è lì: dopo la mostra veneziana. I libri antichi vibrano ancor di più: c’ è qualcuno che li ama e li fa diventare storia pulsante dell’ oggi. E ha un motivo in più per festeggiare, per sé, per la sua ricerca e, perché no?, per la cultura italiana che è capace, ancora, di un livello che pochi altri al mondo hanno. In tempi di squalifica del sapere, la parabola di Cristina Dondi e dei suoi ragazzi mi sembra una storia a lieto fine, di quelle belle, che solo i libri sanno raccontare. E che non solo a Oxford hanno voglia di leggere: sarebbe bello che qualcuno di loro portasse in Italia il suo insegnamento, che non è certo quello che si fa da una cattedra, per quanto prestigiosa, e raggiunta, finalmente, con merito. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

“Ora dimmi di te”: Camilleri amarcord in forma di lettera

Il Messaggero

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IL MEMOIR In Ora dimmi di te c’ è il messaggio che Andrea Camilleri vuole consegnare ai posteri. Scritto nella forma di una lettera alla pronipote Matilda, ideale donna del futuro, il memoir in uscita il prossimo 30 agosto per Bompiani riesce nell’ intento, non facile, di racchiudere un’ esistenza in poco più di cento pagine. L’ inventore del personaggio del commissario Montalbano, il bisnonno giunto sulla soglia dei 93 anni (il compleanno è prossimo: il 6 settembre) lascia per un po’ i gialli ambientati in Sicilia e apre il libro dei ricordi: i figli dei contadini di Porto Empedocle che arrivano a scuola con le scarpe appese sulle spalle, e se le mettono solo per entrare in classe, per non consumarle; la lettera che il bambino a dieci anni scrive a Mussolini, per chiedergli di poter andare in guerra da volontario, e la risposta che lo raggela: «sei troppo giovane»; le parole del padre : «Tu non devi credere a queste sciocchezze sugli ebrei; gli ebrei non hanno nulla di diverso da noi» che gli apre gli occhi sul fascismo. RIEPILOGARE Forse non c’ è altro modo, per raccontarsi, che riepilogare («alla cieca», come scrive con autoironia lo scrittore ormai non vedente), i fatti che ci hanno formato, che sono stati essenziali per noi. La stivalata nel basso ventre del gerarca Pavolini, a teatro, lo convince che la sua fede nel regime era stato un enorme errore; poi, complici le letture di Malraux e Marx, Camilleri raggiunge il campo opposto, il comunismo. Cercando quello che Roland Barthes definì sapere-sapore, scopre che la scuola gli va stretta, non gli basta più. Lo scrittore di successo di oggi ricorda i tormenti della fame di ieri, quando a Roma – cacciato dall’ Accademia di arte drammatica Silvio D’ Amico perché sorpreso a fare all’ amore con un’ allieva – è costretto a vivere di espedienti. La fame non era certo, per il futuro cantore di Vigata, la stessa di Knut Hamsun, che riteneva la privazione una potentissima droga; ma Camilleri si nutriva esclusivamente di cappuccini e brioche, così che, da magro, diventò magrissimo. Per fortuna arrivarono in seguito molti lavori, dalla Rai (che dapprima gli chiuse le porte perché considerato pericoloso comunista) alle regie teatrali. Solo più di recente, ma questa è storia nota, i romanzi e le serie tv. Alcuni aneddoti sembrano presi da film: il matrimonio con Rosetta, la donna che lo accompagna da sessant’ anni, che per errore sull’ altare cerca di infilare l’ anello al dito del prete, che si ritrae inorridito; la sparatoria di mafia in cui si ritrova con orrore – tornato nel suo paese siciliano, nel 1986 – con tanto di bottiglie di whisky crivellate dai proiettili. «Non credo – scrive – di essere un grande scrittore. In Italia si ha l’ ambizione di creare cattedrali, a me piace invece costruire piccole disadorne chiesette di campagna». Sull’ uso del siciliano nei romanzi cita Pirandello: la lingua per esprimere il concetto, il dialetto per il sentimento. Nel ripercorrere la storia d’ Italia ricorda l’ attuale crisi dell’ immigrazione: «Alzare muri – sottolinea – significa chiudersi in casa con lo stesso nemico». Ma il vero messaggio che Camilleri vuole trasmettere alle future generazioni (così come ai contemporanei) è fare tabula rasa, non fidarsi mai delle apparenze. «Noi – scrive – oggi siamo dei morti che camminano». Perché «Le nostre idee, le nostre convinzioni appartengono a un tempo che non ha futuro». Riccardo De Palo © RIPRODUZIONE RISERVATA.

«Catch and kill»

La Stampa

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«Catch and kill», cattura e uccidi, è una tecnica impiegata da alcuni editori di giornali senza scrupoli per impedire che informazioni danneggino qualcuno, presumibilmente persone vicine all’ editore. Il giornale compra i diritti esclusivi su una storia senza l’ intenzione di pubblicarla. Oltre all’«insabbiamento» delle storie su Trump, il «National Enquirer» era stato accusato di aver pagato, nel 2003, Gigi Goyette per ottenere diritti esclusivi sulla sua presunta relazione extraconiugale con Arnold Schwarzenegger, all’ epoca candidato governatore della California.

Il portiere, la colf e il figlio segreto Un nuovo fronte imbarazza Trump

La Stampa
PAOLO MASTROLILLI
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Trump avrebbe un figlio naturale, nato dalla relazione con una ex domestica della sua casa. A sostenerlo è Dino Sajudin, ex portiere della Trump World Tower, finora costretto al silenzio da un accordo firmato con gli editori del giornale scandalistico «National Enquirer». La storia non è stata confermata e potrebbe essere falsa, ma dimostra la nuova fase in cui sta entrando la vicenda legale e politica del capo della Casa Bianca, dopo il patteggiamento del suo ex avvocato Cohen per violazione delle leggi sui finanziamenti elettorali, la condanna per frode bancaria e fiscale dell’ ex manager della sua campagna presidenziale Manafort, e l’ immunità offerta dai procuratori al responsabile finanziario della sua azienda Allen Weisselberg e al proprietario della casa editrice America Media Inc. David Pecker. La nuova notizia imbarazzante è stata pubblicata dalla Cnn, che l’ ha ricevuta da Marc Held, avvocato di Sajudin. Secondo il legale, il 15 novembre del 2015 il suo cliente aveva firmato un contratto con Ami, per cedere i diritti della storia. L’ ex portiere della Trump Tower sosteneva di aver ricevuto l’ ordine di non criticare mai la domestica, perché aveva avuto una relazione con Donald da cui era nato un figlio. La casa editrice del «National Enquirer» si era impegnata a pagare 30.000 dollari a Sajudin, se avesse pubblicato la notizia. Dino però avrebbe subito una penale da un milione di dollari, se avesse parlato della vicenda con chiunque. In seguito questo accordo era stato esteso senza scadenza, in cambio di altri 30.000 dollari. Era un tipico contratto «catch and kill», come quello firmato sempre dalla AMI con l’ ex coniglietta di Playboy Karen McDougal, per comprare una notizia imbarazzante allo scopo di proteggere Trump, senza avere la reale intenzione di stamparla. Ora però, secondo Held, la casa editrice di Pecker ha liberato il suo cliente dal contratto, e quindi lui è libero di parlarne. La nuova fase La storia era già emersa ad aprile, e secondo la Cnn i media che ci hanno lavorato non hanno trovato conferme. Quindi è possibile che sia interamente falsa, oppure un pettegolezzo poi ingigantito. Ciò non sarebbe strano, considerando i molti articoli privi di fondamento pubblicati in passato dal «National Enquirer». Il vero punto della vicenda però non è questo, ma cosa può significare per la nuova fase in cui sembra entrata la vicenda legale, personale e politica del presidente. Pecker è un vecchio amico di Trump, e nel corso degli anni lo ha protetto spesso, acquistando diritti di storie che poi seppelliva. Aveva addirittura una cassaforte, in cui aveva nascosto questi documenti. Dopo la vicenda di Karen McDougal, però, l’ editore di Ami ha fatto un accordo con i procuratori, ricevendo l’ immunità in cambio della sua collaborazione. Quindi gli inquirenti ora dovrebbero avere le chiavi della sua cassaforte. Non è chiaro se la vicenda di Sajudin sia il primo effetto di questa cooperazione, ma è logico aspettarsi nuove rivelazioni. Molte probabilmente saranno false, ma il rischio che ci siano notizie vere, e magari notizie di reato, non può essere escluso. L’ immunità a Weisselberg Un discorso simile, o forse anche più pericoloso, riguarda l’ immunità offerta a Weisselberg, che conosce tutti i segreti finanziari di Trump. Il suo accordo sarebbe circoscritto ai pagamenti fatti da Cohen a Stormy Daniels, ma nessuno può essere certo che si fermi qui. Così come nessuno sa davvero cosa sappia l’ ex avvocato, che ha prospettato di collaborare col procuratore Mueller anche sul «Russiagate». La vicenda è entrata chiaramente in una nuova fase, che potrebbe andare in qualunque direzione. Magari non riguarderà i rapporti con Mosca, ma minaccia di essere ancora più pericolosa per Trump. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

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