Indice Articoli
Al sapere servono merito e autonomia: non soldi pubblici
Il Garante sfrattato: addio Montecitorio. La Privacy trasloca in uffici più costosi
La Consob accusa il “Sole”: mercato imbrogliato sui dati
L’ allarme commissario per il Cda Rai bloccato
Allarme commissario per il Cda Rai bloccato
Cesare De Michelis addio al geniale doge dell’ editoria
Marsilio, deceduto l’editore Cesare De Michelis
News Corp, ricavi su dell’ 11%
Nuove norme europee sulla Privacy, ancora non accessibili 100 quotidiani Usa
Rischio commissario per il Cda della Rai
Addio a Cesare De Michelis l’ editore che scoprì il nord est
Al sapere servono merito e autonomia: non soldi pubblici
Corriere della Sera
CESARE DE MICHELIS
link
Eh no! Una tassa per la cultura sarebbe davvero il colpo di grazia per ogni speranza di cambiamento nei criteri e nei modi di gestione delle istituzioni culturali, il definitivo abbandono di qualsiasi progetto di riforma e trasformazione, condannando la cultura italiana a rimanere ancella di un potere governativo che ha dato sinora bastanti prove di considerarla con disattenzione e disinteresse. La questione non è tanto che le risorse destinate alle attività culturali sono «poche» in Italia, quanto invece che esse vengono distribuite a pioggia, secondo criteri e parametri troppe volte oscuri o incomprensibili, come attestano i contributi alle produzioni cinematografiche o la distribuzione degli addetti sul territorio o ancora la divisione delle quote del fondo unico dello spettacolo, e che, per altro verso, nonostante che da oltre trent’ anni si discuta di «economia della cultura», manca qualsiasi valutazione gestionale sull’ utilizzazione delle risorse, le quali troppo spesso vengono spese molto lentamente e solo in parte. Bisogna forse ricordare le desolanti vicende dell’ area archeologica di Pompei, i molti interventi incompiuti per difetto di programmazione, o le cattedrali nel deserto costruite senza una sufficiente valutazione dei costi necessari alla loro gestione: gli esempi sono talmente numerosi che non vale la pena tentarne un elenco esauriente. La progressiva riduzione dei contributi alle fondazioni dei teatri musicali, peraltro nel frattempo diventate persino più numerose per qualche clientela ministeriale, non hanno affatto ridotto la loro programmazione, anzi, costringendole a una razionalizzazione della gestione, paradossalmente hanno consentito di incrementare l’ attività, migliorandone in più di qualche caso anche la qualità. A me sembra che per la cultura in Italia, prima di qualsiasi incremento delle risorse, sia urgente e necessario mettere mano a una riforma radicale del sistema esistente, che a partire dalla struttura e dai compiti del Ministero dei Beni Culturali investa teatri, musei, biblioteche e archivi, attribuendo a ciascuno un’ autonomia gestionale che li obblighi a misurare costi e benefici, a tener conto della domanda degli utenti e a coinvolgere nell’ attività il territorio, le scuole, le imprese; che sia indispensabile, insomma, più attenzione al mercato e alle sue regole e un maggior coinvolgimento di operatori privati. In fondo la storia anche recente dell’ editoria libraria o discografica potrebbe suggerire criteri meritocratici fondati sull’ autosufficienza economica e sull’ autonomia culturale, lasciando perdere, invece, quegli antichi modelli «giacobini», che da sempre pretendono di sapere meglio degli utenti quello di cui loro avrebbero bisogno: la disaffezione del pubblico verso la cultura di Stato conferma ogni giorno la distanza che resiste tra la domanda e l’ offerta e l’ inadeguatezza della seconda rispetto alla prima. Non so se l’ antica e nobile tradizione della burocrazia francese e l’ altrettanto antico accentramento della cultura francese nella capitale giustifichino l’ iniziativa presidenziale d’ Oltralpe, ma sono certo che affidare al sistema italiano attuale ulteriori risorse in assenza di una profonda riforma strutturale non potrà che moltiplicare le occasioni di spreco e di malgoverno e perciò mi auguro che si cerchino strade tutt’ affatto diverse per avviare quel cambiamento che tutti invece ci auguriamo.
Il Garante sfrattato: addio Montecitorio. La Privacy trasloca in uffici più costosi
Il Fatto Quotidiano
l.vend.
link
Anche un Garante può essere sfrattato: in autunno l’ Autorità che tutela la privacy sarà costretta a lasciare la sua storica sede in piazza Montecitorio 121, proprio accanto alla Camera dei Deputati. Per carità, non finirà certo in periferia ma sempre nel pieno centro di Roma, a Piazza Venezia. E pagherà pure di più che in passato. Negli uffici stanno approfittando della pausa estiva per chiudere gli scatoloni: il presidente Antonello Soro, i componenti dell’ Authority (tra cui figurano anche la vicepresidente Augusta Iannini, alto magistrato e moglie di Bruno Vespa, e Giovanna Bianchi Clerici, fino a pochi giorni fa in lizza per la presidenza Rai) e tutti i dipendenti ne avrebbero fatto volentieri a meno. Alla vecchia sede erano affezionati: e poi dove lo trovi un altro posto così, un raffinato palazzo del Settecento, proprio nel cuore della Capitale e a un prezzo di favore (circa un milione di euro, in virtù di un accordo molto datato). Praticamente impagabile. Infatti i proprietari di recente sono tornati a battere cassa: quando l’ anno scorso il vecchio contratto è scaduto, la società che gestisce l’ immobile ha chiesto di adeguare il canone di locazione ai valori di mercato. E ne è venuta fuori una cifra “astronomica”, dicono dall’ Autorità. La trattativa per conservare il vecchio affitto, o quantomeno spuntare uno sconto, è stata lunga e si è conclusa male: alla fine il Garante ha ricevuto una bella lettera di sfratto. A quel punto è stata avviata la procedura per individuare la prossima sede: a ottobre 2017 è stato pubblicato un avviso, a inizio 2018 sono state aperte le buste. Anche in questo caso nessuna soluzione pubblica (e quindi gratuita) era disponibile: il Demanio, infatti, ha già dato il parere di congruità per il trasferimento nei nuovi uffici di Piazza Venezia. “Pagheremo di meno della cifra che ci avevano chiesto gli attuali proprietari”, garantiscono dall’ Autorità. Ma comunque di più del vecchio contratto, che allo Stato già costava 1,35 milioni l’ anno.
La Consob accusa il “Sole”: mercato imbrogliato sui dati
Il Fatto Quotidiano
Lorenzo Bagnoli*
link
Il principale quotidiano finanziario italiano sarebbe corresponsabile di manipolazione del mercato per sostenere il corso delle sue azioni in Borsa tra 2013 e 2016. È l’ esito della verifica sul Sole 24 Ore che la Consob ha cominciato il 19 ottobre 2016. Insieme alla società, ne devono rispondere anche Roberto Napoletano, ex direttore del quotidiano ed ex direttore editoriale dell’ azienda; Donatella Treu, ex amministratrice delegata; Massimo Arioli, Alberto Biella e Anna Matteo, rispettivamente ex Chief financial officer (direttore finanziario), ex capo della diffusione ed ex responsabile delle attività digitali del Sole 24 Ore. Sono indicati come responsabili delle strategie di marketing mirate a diffondere una falsa immagine di crescita delle copie diffuse, sia cartacee che digitali, sia singole che in abbonamento o in abbinamento con banche dati. Le verifiche dell’ autorità sono scattate dopo che a ottobre 2016 Nicola Borzi, all’ epoca giornalista e azionista del Sole 24 Ore, ha inviato alla Consob un esposto sui legami tra la galassia intorno a Di Source e l’ azienda. Agli ignari investitori e lettori sembrava che il Sole 24 Ore fosse in continua crescita, ma così non era. L’ autorità contesta le false sottoscrizioni di copie digitali vendute all’ estero dalla Di Source Ltd, con sede a Londra, della quale sia Arioli sia Biella erano soci e amministratori occulti. Insieme a loro, c’ era un’ altra decina di soggetti, tutti indagati da marzo 2017 dalla Procura di Milano per appropriazione indebita. A marzo, il Sole 24 Ore “ha accettato dalla società Di Source l’ offerta risarcitoria di euro 2.961.079,90, corrispondente al danno patrimoniale come ipotizzato nel procedimento penale pendente presso la Procura di Milano”, scriveva in una nota il quotidiano di Confindustria, in cui si riservava “di esperire nei confronti di altri soggetti, siano essi già individuati o ancora da individuare in relazione all’ intero credito risarcitorio”. La cifra è pari al danno causato alla società italiana calcolato in base alla differenza tra i flussi finanziari che negli anni la società londinese aveva ricevuto per “consulenze” dal Sole 24 Ore (circa 18 milioni) e i “pagamenti” che aveva retrocesso al Sole per le vendite fittizie di copie digitali (circa 15 milioni). Al management del Sole vengono contestate anche strategie anche per gonfiare le copie cartacee, grazie ai contratti con le società italiane Johnsons ed Edifreepress e con l’ Osservatorio Giovani-Editori. Nei documenti di cui il Fatto ha preso visione, si citano i comunicati con cui l’ azienda tra la primavera del 2013 e la fine dell’ estate del 2016 ha trasmesso al mercato i dati (falsi) sulla diffusione del quotidiano di Confindustria messi a confronto con quelli (veri, fino a prova contraria) dei principali giornali italiani. Gli stessi dati uscivano anche in articoli sul Sole 24 Ore in edicola. Queste informazioni hanno circolato anche dopo che a maggio 2016, dopo una burrascosa riunione in cui Accertamenti diffusione stampa (Ads), il consorzio che registra i dati autoprodotti dagli editori sulla diffusione, decise di azzerare dal suo computo le copie multiple digitali. Gabriele Del Torchio, ad succeduto a Donatella Treu, ha poi fatto emergere i dati reali sulla diffusione del giornale, attraverso il rapporto della società Protiviti su richiesta del cda del Sole 24 Ore nell’ autunno del 2016. La documentazione è sostenuta da numerose testimonianze di dirigenti e dipendenti del Sole, oltre che dai calcoli di analisti finanziari che negli anni hanno pubblicato rapporti sulle azioni della società di Confindustria. Tra i manager, quella che ha ricoperto il ruolo più importante è Valentina Montanari, ex Chief financial officer del Sole 24 Ore succeduta proprio ad Arioli. Le sue parole, come quelle degli altri manager, si riferiscono ai ruoli avuti in questa manipolazione dagli ex dirigenti del Sole 24 Ore per i quali la Consob propone le sanzioni, incluso Napoletano che, secondo la relazione, non si limitava a dirigere il giornale economico ma orientava la gestione della società soprattutto sulle politiche diffusionali. Napoletano dice al Fatto che “in un gruppo complesso e quotato come il Sole esiste la ripartizione dei ruoli e dei compiti” e che lui, direttore responsabile e direttore editoriale, non faceva “parte né della catena decisionale né di quella di controllo e, tanto meno, ho interferito su conti, strategie e decisioni aziendali”. L’ indagine Consob è parallela a quella penale nella quale, oltre a Napoletano e Treu, è indagato anche l’ ex presidente Benito Benedini, che però secondo la Consob non ha avuto responsabilità nella manipolazione del mercato. Fabio De Pasquale, coordinatore del dipartimento reati economici della Procura di Milano, e il pubblico ministero Gaetano Ruta potrebbero a breve chiudere le indagini. Oltre alle false comunicazioni sociali, gli inquirenti hanno messo sotto la lente la gestione della divisione Cultura del Sole 24 Ore e la cessione a terzi della divisione Business Media. *Investigative reporting project Italy.
Prove tecniche di una tv non populista. Già, ma come si fa? Una chiacchierata con Gerardo Greco, al suo primo giorno da direttore del Tg4
Il Foglio
link
Roma. “Può darsi che alcune trasmissioni abbiano esagerato con i livori e i malumori, ma non puoi nemmeno negarli facendo dell’ ot timismo di maniera. Perché dopo dieci anni di crisi l’ Italia è diventata il paese del malumore. Questo è un fatto. E allora l’ equilibrio sta nel non fermarsi alla rappresentazione del malumore. La televisione dovrebbe offrire una spiegazione, e forse anche una via d’ uscita”. E Gerardo Greco, l’ ex conduttore di ‘Agorà’, ex corrispondente dagli Stati Uniti, ex direttore del Gr1, una vita in Rai, – “entrai nel 1992 dopo la scuola di Perugia assieme a Monica Maggioni e Giovanni Floris” – è al suo primo giorno di scuola da nuovo direttore del Tg4, il telegiornale che fu per quasi vent’ anni del mitologico Emilio Fede, poi di Giovanni Toti (oggi presidente della Liguria), e infine di Mario Giordano, un giornalista di cui Matteo Salvini dice di avere la massima considerazione. “Dal 13 settembre condurrò anche una trasmissione”, dice Greco. “S’ intitolerà ‘Viva l’ Italia’. Non immagino un talk -show. Ma un reality”. E spiega: “Vorrei costringere la politica a parlare dei fatti, a stare sui fatti, anche quelli più nudi. E vorrei evitare le piazze, ma raccontare di singoli uomini e donne. Per questo dico reality”. E certo deve ancora prendere le misure a ogni cosa, il neo direttore Greco: stanze, corridoi, facce, redazione, segretarie, persino gli uomini della sicurezza che per poco non gli chiedono i documenti prima di farlo entrare: “Scusi lei…?”. Negli studi romani di Mediaset, al Palatino, nel bellissimo compound televisivo, proprio accanto a Villa Celimontana, un paradiso, lui ancora non ha nemmeno un ufficio suo, ma si muove con l’ aria indaffarata e compresa, carica e incerta, di uno che è stato chiamato in qualche modo a compiere una rivoluzione editoriale. E infatti, ogni tanto, di fronte a certe domande, mette su uno sguardo ironico che invita alla comprensione, come dire: lo so che non è una cosa facile. Ecco, appunto, ma cosa sarà Rete4? Col suo primo direttore non berlusconiano, defamiliarizzato, uno che non viene dalla nidiata, un giornalista probabilmente di sinistra – “io mi definisco moderato”, dice lui, “ho votato anche a destra” – che ha costruito la sua cifra televisiva con una trasmissione, Agorà, che non aveva pubblico in studio, quindi niente applausi da incontro di boxe, e che tentava, non sempre riuscendoci, di sfuggire alle urla da pollaio, “una cosa che trovo inutile e insopportabile”. A marzo dell’ anno scorso, ancora prima delle elezioni che avrebbero consegnato Luigi Di Maio e Matteo Salvini al governo, su queste stesse pagine del Foglio, il presidente di Mediaset, Fedele Confalonieri, che ha il pregio della franchezza anche quando parla di casa sua e delle cose sue, diceva che “in effetti stiamo esagerando”. E si riferiva, il più vecchio tra gli amici del Cavaliere, alla sensazione che lo zapping sulle reti Mediaset si ricomponesse in un formicolante palcoscenico horror: il giornalista che parla sempre e comunque a nome della gente, quello che caccia il microfono tra i denti del disgraziato che gli è capitato sotto tiro, il collegamento con la piazza vociante, gli strepiti, la bava alla bocca, la casta… “Stiamo portando i vasi a Samo”, cioè stiamo facendo una cosa inutile, diceva Confalonieri. Poi sono arrivate anche le elezioni. E le hanno vinte quelli che urlavano più forte. Così, adesso, atterra a Mediaset Gerardo Greco. Come un marziano. Ed è impossibile non pensare che ci sia una logica di causa ed effetto. “Sono due anni che ne parliamo, che incontro Mauro Crippa e Andrea Delogu”, i vertici dell’ informazione Mediaset. “Ma tutto è diventato vero solo quattro mesi fa”. E adesso?
L’ allarme commissario per il Cda Rai bloccato
Il Mattino
E.P.
link
IL RETROSCENA ROMA Primo scenario: Salvini e Berlusconi si incontrano a fine mese, il primo chiede formalmente al leader azzurro di fare pressioni su FI affinché modifichi la linea sulla presidenza della Rai, il Cavaliere si convince in cambio di una ritrovata unità della coalizione sul territorio e a medio termine sulla politica nazionale. Secondo scenario: Salvini cambia cavallo, spinge Foa ad accettare la direzione di una rete e vira su un altro nome, magari l’ ex consigliera Bianchi Clerici, che Forza Italia voterebbe senza problemi. A settembre in qualche modo si dovrà sciogliere il nodo. Ma siccome la situazione è di stallo totale anche ai vertici di viale Mazzini è scattato l’ allarme. C’ è una norma del diritto civile che prevede che in caso di impossibilità di un cda ad eleggere un presidente si possa passare alla sollevazione dell’ intero consiglio. E dunque, nel caso specifico, al commissariamento della Rai. Al momento i sette consiglieri di viale Mazzini non hanno trovato alcun accordo. E’ un’ arma sul tavolo che la maggioranza giallo-verde e soprattutto la Lega tiene ben presente. Un’ arma che Salvini può utilizzare per dare la colpa a Forza Italia di aver portato l’ azienda sull’ orlo del collasso. Al momento nessuno tra Salvini e Berlusconi è intenzionato a tornare sui suoi passi. E il leader del partito di via Bellerio avrebbe avuto rassicurazioni sul fatto che né Tria né il premier né Di Maio interverranno per cercare di convincerlo a fare marcia indietro. Salvini, assicura un big della Lega, è fermo sulla sua idea: Foa è la figura giusta per svolgere il ruolo di presidente della Rai. Nei piani leghisti quindi deve essere Berlusconi a motivare il no del suo partito. ORDINARIA AMMINISTRAZIONE Al momento la Commissione di Vigilanza ha indicato la direzione: l’ attuale Cda può gestire solo l’ ordinaria amministrazione, nulla di più. Dunque niente nomine dei tg, nessun governo del cambiamento nell’ informazione. M5S, in realtà, è sempre più irritato con l’ intransigenza dell’ alleato di governo, ma al momento Di Maio ha chiesto ai suoi di evitare qualsiasi prova di forza. FI tace, non fa più polemiche, «la palla questa la linea è nel campo loro, deve essere Salvini a sbrogliare la matassa». Tre giorni fa nella riunione del Cda la consigliera Burioni, espressione del Pd, ha riproposto invano la questione della presidenza. «Non ho ricevuto alcuna indicazione dall’ azionista», ha ribadito Foa. «La situazione è complicata, sto aspettando di sapere come intendono muoversi. Dovranno riconvocarci prima o poi», dice Burioni. Dietro le quinte si sostiene che Foa stia aspettando di conoscere una exit strategy. Potrebbe essere appunto quella della direzione di una rete. Ma Salvini con i suoi è categorico: «Se FI vuole fare il Pd vada avanti, noi non arretriamo». Ed ecco quindi lo spauracchio del commissariamento che si è appalesato anche in Vigilanza e nel Cda, preoccupando non poco gli stessi vertici istituzionali.
Allarme commissario per il Cda Rai bloccato
Il Messaggero
Emilio Pucci
link
IL RETROSCENA ROMA Primo scenario: Salvini e Berlusconi si incontrano a fine mese, il primo chiede formalmente al leader azzurro di fare pressioni su FI affinché modifichi la linea sulla presidenza della Rai, il Cavaliere si convince in cambio di una ritrovata unità della coalizione sul territorio e a medio termine sulla politica nazionale. Secondo scenario: Salvini cambia cavallo, spinge Foa ad accettare la direzione di una rete e vira su un altro nome, magari l’ ex consigliera Bianchi Clerici, che Forza Italia voterebbe senza problemi. A settembre in qualche modo si dovrà sciogliere il caos sancito con lo strappo azzurro sulla posizione del giornalista italo-svizzero indicato dalla maggioranza a succedere alla Maggioni. Ma siccome la situazione è di stallo totale anche ai vertici di viale Mazzini è scattato l’ allarme. C’ è una norma del diritto civile che prevede che in caso di impossibilità di un cda ad eleggere un presidente si possa passare alla sollevazione dell’ intero consiglio. E dunque, nel caso specifico, al commissariamento della Rai. Al momento i sette consiglieri di viale Mazzini non hanno trovato alcun accordo. E’ un’ arma sul tavolo che la maggioranza giallo-verde e soprattutto la Lega tiene ben presente. Un’ arma che Salvini può utilizzare per dare la colpa a Forza Italia di aver portato l’ azienda sull’ orlo del collasso. Al momento nessuno tra Salvini e Berlusconi è intenzionato a tornare sui suoi passi. E il leader del partito di via Bellerio avrebbe avuto rassicurazioni sul fatto che né Tria né il premier né Di Maio interverranno per cercare di convincerlo a fare marcia indietro. Salvini, assicura un big della Lega, è fermo sulla sua idea: Foa è la figura giusta per svolgere il ruolo di presidente della Rai. Nei piani leghisti quindi deve essere Berlusconi a motivare il no del suo partito. Nel frattempo Foa continuerà a vestire i panni del consigliere anziano, consapevole però che un braccio di ferro non potrà andare oltre settembre. ORDINARIA AMMINISTRAZIONE Al momento la Commissione di Vigilanza ha indicato la direzione: l’ attuale Cda può gestire solo l’ ordinaria amministrazione, nulla di più. Dunque niente nomine dei tg, nessun governo del cambiamento nell’ informazione. M5S, in realtà, è sempre più irritato con l’ intransigenza dell’ alleato di governo, ma al momento Di Maio ha chiesto ai suoi di evitare qualsiasi prova di forza. FI tace, non fa più polemiche, «la palla questa la linea è nel campo loro, deve essere Salvini a sbrogliare la matassa». Tre giorni fa nella riunione del Cda la consigliera Burioni, espressione del Pd, ha riproposto invano la questione della presidenza. «Non ho ricevuto alcuna indicazione dall’ azionista», ha ribadito Foa. «La situazione è complicata, sto aspettando di sapere come intendono muoversi. Dovranno riconvocarci prima o poi», dice Burioni. Dietro le quinte si sostiene che Foa stia aspettando di conoscere una exit strategy. Potrebbe essere appunto quella della direzione di una rete. Ma Salvini con i suoi è categorico: «Se FI vuole fare il Pd vada avanti, noi non arretriamo». Ed ecco quindi lo spauracchio del commissariamento che si è appalesato anche in Vigilanza e nel Cda, preoccupando non poco gli stessi vertici istituzionali. La Lega è convinta che alla fine Salvini persuaderà Berlusconi. Se lo facesse però scoppierebbe un incendio in FI: Tajani, Letta, Ghedini e i capigruppo hanno sposato la linea della barricata a Foa e non vogliono ripensamenti. Ed ecco che lo spettro del commissariamento si leva a guastare le ferie di viale Mazzini.
Cesare De Michelis addio al geniale doge dell’ editoria
Il Messaggero
Marco Gervasoni
link
IL RITRATTO Quante vite conteneva quella di Cesare De Michelis! Che ieri si è interrotta, frenando un attivismo della curiosità sempre suo, fino alla fine: solo un quarto di quello che De Michelis ha realizzato basterebbe infatti a riempire la biografia di un uomo. Il De Michelis più noto è il fondatore della casa editrice, Marsilio che, con i grandi romanzi, e gli autori italiani e stranieri da lui scoperti, ha regalato momenti di gioia anche a chi non ne conoscesse il nome. Cesare, nato settantacinque anni fa a Dolo, in provincia di Venezia, da una famiglia protestante (e vedremo quanto questo abbia contato), aveva contribuito a fondare nel 1961 Marsilio, ispirandosi al nome del grande giurista patavino, uno dei grandi classici del pensiero politico di tutti i tempi. LA POLITICA La scelta non è casuale perché, per i primi tempi (De Michelis vi diventa direttore nel 1969) quelle Marsilio furono edizioni prevalentemente di politica. Che era quella socialista, in rapporto con l’ attività del fratello Gianni, uno dei migliori ministri del nostro paese. Allora in Italia socialismo voleva dire modernità, svecchiamento, dinamismo: così almeno lo intendeva Cesare, prima nell’ area della sinistra socialista di Claudio Signorile, poi in rapporto con tutto il Psi di Craxi. Ma mai De Michelis intese mettere la sua casa editrice, e lui stesso, al rimorchio della politica, secondo una prassi da intellettuale organico che egli disprezzava al massimo grado. Infatti l’ etichetta di casa editrice di «area» gli andava stretta: e a partire dagli anni Ottanta la saggistica Marsilio, oltre alla politica, si aprì alla storia, anche quella della letteratura e dell’ arte, e alle scienze sociali. Per approdare poi ai romanzi, che fecero la fortuna anche editoriale della casa editrice. Perché De Michelis non è stato solo un geniale intellettuale: fu anche (etica protestante oblige) un grande imprenditore, dallo scorso anno Cavaliere del Lavoro. Allorché decise nel 2000 di vendere Marsilio a Rcs, pur restando sulla plancia di comando e mantenendo un’ autonomia di bilancio alla sua creatura, fece infatti guadagnare il colosso editoriale. Tanto che, quando nel 2016 l’ antitrust ha costretto Rcs acquisita da Mondadori a vendere Marsilio, Cesare e suo figlio Luca riacquistarono un’ azienda florida. Dobbiamo ricordare tutto ciò perché in Italia spesso si confonde l’ editoria di qualità con quella perennemente in perdita: non era questa la concezione di De Michelis, che infatti aborriva l’ idea stessa di «piccola casa editrice». IL FIUTO Marsilio non lo fu mai e, soprattutto per la sua centralità, non ha mai occupato un posto di nicchia. Imprenditore, ma di cultura, molti dei libri di Marsilio nacquero dalle idee di Cesare, che sapeva individuare un tema e poi gli autori, già «suoi» o nuovi, capaci di sviscerarlo con verve e rigore. Lo stesso metodo che lo portava alla scoperta dei romanzieri lo applicava alla saggistica: tra i più importanti volumi di storia e di scienze sociali pubblicati negli ultimi trent’ anni videro la luce nelle collane Marsilio; che erano pure stupendamente eleganti. La seconda vita di De Michelis fu quella del critico e dello storico della letteratura, disciplina che insegnò nell’ ateneo padovano. Non poteva che cominciare con l’ Illuminismo veneziano, ma poi i suoi studi toccarono Goldoni, Boccaccio, il Novecento e soprattutto il suo amato Ippolito Nievo: per scoprire sempre i nessi tra Moderno e antimoderno, titolo di una sua raccolta di saggi del 2010, cosi come quelli tra il locale (la cultura veneta) e il nazionale, che infatti è sempre stato un cruccio per De Michelis. Che cosa è la nazione italiana? Un interrogativo presente non solo nelle sue opere ma in tanti testi pubblicati da Marsilio. E che lo ha condotto, negli ultimi anni, a presiedere un progetto grandioso, il Museo del Novecento italiano (M9), la prima esposizione permanente italiana completamente multimediale, che aprirà tra pochi mesi a Mestre. Chi ha avuto la fortuna di partecipare alle riunioni del comitato dei consulenti non dimenticherà mai il guizzo problematico, la pulce nell’ orecchio che De Michelis metteva in ogni intervento. Egli fu quindi (terza vita) anche un intellettuale pubblico, benché forse il termine non gli sarebbe piaciuto: assessore del Comune di Venezia, vicepresidente della Biennale, consigliere del Teatro La Fenice. Per tutto questo, ma non solo, ci mancherà il suo elegante italiano accentato di veneziano, in cui dietro a ogni frase non mancava mai di balenare un’ idea.
Marsilio, deceduto l’editore Cesare De Michelis
Italia Oggi
link
È morto ieri a Cortina d’Ampezzo il presidente della casa libraria, all’età di 75 anni. Ha cofondato Marsilio e l’ha traghettata durante il periodo Rcs e poi, ancora, verso un nuovo corso autonomo (quando Rcs Libri è passata sotto Mondadori). Fratello dell’ex ministro socialista Gianni, nel 2017 ha ceduto una quota a Feltrinelli. Ha lanciato in Italia autori tra cui per esempio Susanna Tamaro, lo svedese Stieg Larsson e Margaret Mazzantini. Oggi Marsilio è guidata dal fi glio, l’amministratore delegato Luca De Michelis.
News Corp, ricavi su dell’ 11%
Italia Oggi
MARCO LIVI
link
News Corp chiude l’ ultimo trimestre del suo anno fiscale cavalcando la fusione di aprile tra le televisioni Foxtel e Fox Sports Australia. Così, l’ esercizio concluso al 30 giugno scorso è stato archiviato con ricavi in crescita dell’ 11% a 9,02 miliardi di dollari (pari a 7,9 miliardi di euro), seppur con un rosso più che raddoppiato a 1,4 miliardi di dollari (1,2 miliardi di euro) e dovuto in parte a una svalutazione della tv australiana Foxtel e in parte agli effetti della riforma fiscale americana. Comunque, gli analisti sono soddisfatti e il ceo Robert Thomson ha commentato ieri, in occasione della presentazione dei conti, che «dopo l’ operazione Foxtel, News Corp è una compagnia con una più alta percentuale di ricavi ricorrenti e basati su abbonamenti, aspetto che dovrebbe contribuire a controbilanciare un contesto pubblicitario volatile. C’ è stata una performance robusta in tutti i nostri business». In particolare, sempre a giudizio di Thomson, i giornali del gruppo The Times, The Sunday Times e The Wall Street Journal e l’ agenzia Dow Jones hanno aumentato nell’ ultimo trimestre i ricavi dell’ 1% per 1,3 miliardi di dollari (1,1 miliardi di euro) e soprattutto «hanno raggiunto nuovi massimi nella loro trasformazione digitale con abbonati digitali che ora superano quelli della versione cartacea», ha precisato il ceo. Il fatturato della divisione è stato generato per il 30% dal digitale, segnando un incremento del 4% in più rispetto al precedente esercizio. Il Wall Street Journal-Wsj, per esempio, ha aggiunto 100 mila abbonati al digitale nel trimestre, per un totale di 1,59 milioni utenti (come termine di confronto il New York Times, con cui il Wsj aveva iniziato la gara sul digitale, è ora a quota 2,9 milioni, +109 mila nuovi da aprile a giugno). Anche gli abbonati alle informazioni made in Dow Jones hanno contribuito a sostenere i ricavi da sottoscrizioni e vendite in edicola, su del 5%. Sempre nella divisione news, i ricavi pubblicitari sono scesi del 2%. Da ricordare che News Corp ha chiuso le edizioni internazionali del Wall Street Journal, decisione che ha impattato sulla raccolta delle inserzioni. Il gruppo editoriale (così com’ è oggi) è nato nel giugno del 2013 dallo scorporo delle attività editoriali della vecchia News Corporation che comprendeva anche le attività di intrattenimento e cinema dell’ attuale 21st Century Fox. Quest’ ultima, a livello formale, è l’ erede di tutto l’ impero originario di Rupert Murdoch (adesso impegnato infatti nella conquista di Sky tramite Fox). Invece la nuova News Corp ha tra i suoi business anche quello digitale dedicato all’ immobiliare (come i tedeschi di Axel Springer) e l’ editoria libraria. Al termine dell’ ultimo trimestre, le attività sul real estate digitale hanno riportato un aumento dei ricavi del 19% a 299 milioni (261,7 milioni di euro) mentre il fatturato dell’ editoria libraria è salito del 20% a 490 milioni (428,9 milioni di euro). Harper Collins è uno dei suoi marchi librari più conosciuti nel mondo (presente anche in Italia). E, ha concluso Thomson, il buon andamento della divisione conferma «l’ importanza di editori intelligenti e di grandi scrittori che creano contenuti premium. Gli algoritmi non sono ancora capaci di scrivere bei libri». L’ altro ieri, aspettando la pubblicazione dei conti, il titolo ha chiuso in rialzo a Wall Street. Ieri invece, a seduta ancora in corso quando questo giornale è andato in stampa, il titolo contraeva intorno al -1,6% sui 13,7 dollari (12 euro).
Nuove norme europee sulla Privacy, ancora non accessibili 100 quotidiani Usa
Italia Oggi
JAMES HANSEN
link
Non doveva succedere. Il Gdpr, il Regolamento generale sulla protezione dei dati dell’ Unione Europea, è entrato in vigore il 25 maggio scorso (11 settimane fa a oggi) e, sempre a oggi, i siti di un centinaio tra i più importanti quotidiani Usa non sono più accessibili in Europa. In molti casi, non lo diventeranno mai, in quanto gli editori hanno poco interesse economico a investire nell’ adeguarsi al nuovo regolamento per raggiungere una manciata di lettori europei. L’ elenco è lungo, troppo per essere riportato qui, ma le testate in cima per ordine d’ importanza comprendono giornali del calibro di Chicago Tribune, Los Angeles Times, New York Daily News, Baltimore Sun. L’ Europa «legge» tuttora gli Usa attraverso i filtri di New York e Washington e considera pertanto che basti dare un’ occhiata al New York Times e al Washington Post, in verità non molto rappresentativi degli States nel loro insieme, e poi tende a stupirsi quando il paese elegge, per esempio, un presidente come Donald Trump. I quotidiani più raffinati usano schermate come quella in pagina (del Los Angeles Times) per scusarsi del disservizio. I giornali minori, meno abituati alle finezze del marketing, vanno per il sintetico «Sorry, this content is not available in your region», oppure il più tecnico: «HTTP 451: Unavailable due to legal reasons We recognize you are attempting to access this website from a country belonging to the European Economic Area (Eea) including the EU which enforces the General Data Protection Regulation (Gdpr) and therefore access cannot be granted at this time». Il messaggio d’ errore «HTTP 451», utilizzato in Internet per indicare i contenuti irraggiungibili per interferenze statali, deriva il suo numero dal gusto scherzoso dei programmatori che hanno inventato il web. Il riferimento è a un famoso romanzo distopico, Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, il cui protagonista è una sorta di pompiere al rovescio, incaricato di bruciare i libri contenenti idee pericolose. Il titolo del romanzo si riferisce alla temperatura a cui i volumi bruciano (451 °F = 233 °C). Nei fatti, la temperatura d’ accensione della carta dipende dal suo spessore: quella di giornale si accende a 185 °C.
Rischio commissario per il Cda della Rai
Libero
link
C’ è una norma che prevede, in caso di impossibilità di nominare il presidente della Rai, anche lo scioglimento del Cda e il commissariamento dell’ azienda di viale Mazzini. Uno scenario apocalittico che, spiegano fonti ben informate sul “dossier”, al momento rientra solo come una ipotesi remota sul tavolo. Ma la norma è prevista e ne sono a conoscenza anche i componenti del Consiglio d’ amministrazione e la Commissione di vigilanza Rai. L’ allarme è scattato da tempo anche tra i vertici istituzionali.
Addio a Cesare De Michelis l’ editore che scoprì il nord est
Libero
FRANCESCO SPECCHIA
link
Al professor Cesare De Michelis, decano inarrivabile degli editori italiani, gli epicedi sapevano di fiandra medievale, gli facevano girare le balle. Sicchè per l’ amico Cesare, presidente della casa editrice Marsilio – veneziano, classe ’43, storico di pregio, bibliomane invincibile, vene sature d’ inchiostro e d’ epica della Serenissima- eviterò commozioni ed elogi funebre e mi atterrò strettamente ai fatti. Era un genio sussurrato. De Michelis era un mix fra Leo Longanesi, l’ editore delle grandi intuizioni e Cesarino Branduani, il bibliofilo che concepiva la scelta del libro come merce-idea affinata da anni di sensibilità ed esperienza. Nei suoi scaffali lunghi mezzo chilometro (quasi 70mila volumi) si posava lo scibile: secoli di storia, narrativa e militanza intellettuale, specie legata alla rivoluzione culturale del nord est. Il libro, per lui, non era solo l’ oggetto perfetto, ma una forma di sana ossessione. Scriveva: «La biblioteca di una persona si forma nel tempo a specchio di chi la raccoglie; dapprima lentamente, un volume per volta, scelto, letto e spesso almeno un po’ amato; quindi più in fretta, mentre il desiderio si accende a qualsiasi offerta e la collezione cresce sempre più smisurata, invadendo ogni spazio e al tempo stesso smarrendo ogni ordine». L’ ordine e il rigore Cesare li preservava, invece, nel suo lavoro manageriale e di scouting. Che l’ aveva portato, negli ultimi anni, a cedere al figlio Luca le redini di un’ azienza oggi saggiamente internazionalizzata: «Luca ha la vocazione, ha girato il mondo ed è tornato in casa editrice a 40 anni. Noi De Michelis siamo più della Comunità di Olivetti. Gli elementi essenziali sono due. Il primo è che, per me, la famiglia è una cosa seria. Il secondo è che anche le case editrici che hanno dietro multinazionali come Penguin o Amazon, funzionano se mantieni l’ amore nella scelta dei titoli, nella cura delle bozze, nel rapporto con gli autori che non deve cambiare con gli anni. Non c’ è nessuna differenza tra noi e Aldo Manuzio». COME MANUZIO Figlio di genitori protestanti in una regione, il Veneto, cattolicissima nonché fratello di Gianni, noto ex ministro socialista, De Michelis aveva fondato la Marsilio Editori nel ’61 -di cui possedeva inizialmente l’ 1%- con un gruppo di colleghi studenti universitari (tra cui Negri, Ceccarelli, Tinazzi) e l’ aveva scalata fino ad acquisirne la maggioranza. Un percorso culturale che, con gli anni, aveva trasformato questo docente di letteratura moderna e contemporanea a Padova da incendiario politico a sognatore disilluso. Nella sua Venezia, tra le fila del Psi era stato consigliere comunale e vicepresidente della Biennale, e consigliere del teatro La Fenice. Aveva scritto libri sul conformismo degli intellettuali, sul neorealismo (da appassionato di cinema), sui grandi autori dell’ Ottocento. A sentirlo parlare ti saliva sempre una puntina di soggezione, che lui smorzava spesso con un «ma và in mona…» liberatorio per l’ interlocutore. Lo affaticava parlare di politica, soprattutto se gli ricordavi la militanza. «Militante? Io non sono militante. Eppoi, militanza… Qui, oggi non la cerchi e non c’ è più neppure la milizia. Ci sono le guerre e la gente non le vede. E l’ deologia è davvero sparita. Tu credi davvero che ci sia differenza tra Renzi o Salvini? E anche se ce ne fosse, credi che importi ai veri padroni? Credi che le multinazionali chiedano loro permesso?», mi disse una volta, un po’ irritato, constatando che l’ editoria non avesse più certezze. Tantomeno le certezze dei Premi letterari e dei Saloni: «Dei Saloni non m’ importa un fico secco. Io farei un Salone anche a Bologna, a Bari. Sono per quest’ assurdo federalismo all’ italiana; anzi, mettiamo una Fiera del libro in ogni provincia, visto che le Province le abbiamo abolite. Nessuno ha mai venduto un libro in più ai Saloni, ci si va per ciacolare, rivedersi con gli amici». Ricordo, da studente, i suoi elzeviri su L’ Arena di Verona: erano sciabolate da ussaro al sistema. Cesare fingeva di rifugiarsi nel passato per poter criticare il presente. Ma portava lo sguardo sempre oltre il futuro. Era un classicista invincibile; ad ogni Natale, animato dallo spirito dello stampatore Aldo Manuzio appunto, regalava agli amici, la stampa privata di un saggio sulle tipografie, o sulle fake news nelle Venezia del ‘700, o sulla figura dell’ editore illuminista. Eppure il progresso l’ affascinava: studiava il print on demand, l’ ebook, la vendita in Internet. Aveva, inoltre, aveva lanciato scrittrici come Margaret Mazzantini (vincitrice del Campiello con Il catino di zinco) Susanna Tamaro, Chiara Gamberale. Aveva inaugurato la moda del giallo scandinavo con la saga Millennium, di Stieg Larsson, cogliendo uno straordinario successo di vendite. L’ EREDITÀ AL FIGLIO Portata la Marsilio in borsa nel 2000 Cesare conscio che «piccoli sono solo i bambini, ma se i bimbi non crescono vuol dire che sono malati», entrò nel grande gruppo editoriale Rizzoli-Rcs. Dopo la cessione di Rcs alla Mondadori, De Michelis riacquistò le quote della sua casa editrice e, nel 2017, ne lasciò parte a Feltrinelli. Oggi Marsilio è guidata dal figlio Luca, amministratore delegato, ottimo nocchiere. Rimangono, del grande veneto, l’ insegnamento e la visione. E i libri di cui «non sperate di potervi mai liberare». Ciao, prof…
L'articolo Rassegna Stampa del 11/08/2018 proviene da Editoria.tv.