Indice Articoli
La tv lottizzata è sempre meglio del monocolore Pd
È ora che la Rai torni a essere filogovernativa
Streaming, social, cloud i videogame in ritardo nella gara dell’ hi-tech
Lo sciopero dei giornali per il suicidio del tipografo sul posto di lavoro
Suicidio nel centro stampa di Gorizia, ieri la protesta di colleghi e giornalisti
Bonus pubblicità, un’ occasione da non perdere
La tv lottizzata è sempre meglio del monocolore Pd
Libero
RENATO FARINA
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Non è colpa loro. Sono nati così: di sinistra. Per lo più in quanto figli di, oppure lottizzati da. E – se per caso, secondo la celebre legge enunciata da Enzo Biagi – qualcuno è arrivato lì perché bravo, poi però ha finito per assimilarsi alla massa dominante, che ha quel tipo di riflesso progressista in salsa romanesca che è la caratteristica permanente della Rai dopo la fine dell’ era Bernabei. Il quale, intelligentissimo cattolico fanfaniano, aveva rispetto non solo e non tanto della Dc, ma del sistema di cui essa insieme al Vaticano era perno, dove ognuno aveva spazi per farsi valere secondo un disegno di crescita culturale e civile dell’ Italia. Furono selezionati fior di intellettuali di sinistra per creare la televisione, da Umberto Eco a Furio Colombo, da Sergio Zavoli a Enzo Biagi, ma con una guida che teneva bene la barra dove stava il sentimento precipuo della nazione. La Dc insomma era il partito mamma e la Rai era la sua immagine avveduta. MONDO FINITO Quel mondo è finito quarant’ anni fa. Amen. Peccato che, sventolando la bandiera del pluralismo, si è sotterrata la roba buona e libera che quella mamma piena di difetti e bacchettona però permetteva e garantiva. Secondo la regola inesorabile di ogni riforma italiana, che cambia le cose sì ma in peggio, dal monoscopio si è passati alla moltiplicazione delle reti. In teoria, si passava dalla nenia dell’ unicorno alla sinfonia di diversi suoni e strumenti. In pratica, dietro l’ apparenza del riferimento a diverse aree partitiche, la moltiplicazione delle sigle e dei direttori ha coinciso con il dominio squinternato del Pur: Partito unico Rai, a egemonia della sinistra e della sua sub-cultura da terrazza tiberina. Già ieri Vittorio Feltri ha dato voce allo sconcerto di molti che si aspetterebbero dal servizio pubblico, che per contratto è dato in appalto alla Rai, una certa sensibilità alle ragioni del datore di lavoro, che è il popolo elettore, obbligato a esserlo dal canone nella bolletta della luce. E questa assemblea degli azionisti coatti ha sancito, secondo quella cosa antipatica che è la democrazia, la sconfitta di comunisti, ex comunisti, radical-boniniani e affini. Cioè: del Partito unico della Rai. Niente da fare. Tutto è uguale a prima, anzi si registra una specie di volontà ribellista, tipica della tigna dei perdenti, caratterizzata dalla denigrazione astiosa del nuovo governo, e soprattutto della politica di Salvini contro l’ immigrazione schiavistica. Non diciamo che un professionista debba svitarsi la testa e affittarne una nuova, fingendosi convertito o abiurando la sua fede che gli ha garantito assunzione e carriera. No, non siamo mica comunisti. Quello che si chiede è che si manifesti rispetto e obiettiva considerazione per chi ha avuto il consenso della platea elettorale e sta avendo approvazione persino da un elettore del Pd su tre. Invece no, invece niente. Insistono a trattare chi legittimamente governa come sub-uomo affogatore di bambini. Pensiamo ai talk show. Ieri c’ era Lucia Annunziata a dominare la domenica dando il megafono a Renzi. La Annunziata è certo una giornalista di razza, anche se la parola oggi è vietata. Ha imparato il mestiere e si è imbottita di ideologia al Manifesto, poi è stata assai vicina a D’ Alema (contro l’ opposizione dei veltroniani, a questo siamo), consorziata in seguito con il suo Huffington post a Repubblica. E ripiombata come una miriade di giornalisti, purché di sinistra, a staccare altri buoni pasto in Rai. Sta sul 3. E da quelle parti trionfa anche Bianca Berlinguer: il suo programma si chiama CartaBianca, ma se si chiamava «Carta Rossa» sarebbe stato meno aderente all’ anagrafe ma più somigliante alle idee, presentate come le uniche degne di circolare per il mondo. Passiamo sulla rete ammiraglia. Solo per caso non si vedono da una settimana su Rai 1, essendo partiti per le ferie, onde godersi il gigantesco guiderdone, Lancillotto Fazio e Ginevra Littizzetto, che fino all’ ultimo istante hanno sciorinato le loro mosce sarabande scritte da autori dove quello più a destra è Michele Serra. TELEGIORNALI E allora cosa dire dei telegiornali 1, 2 e 3? Dopo qualche tentativo di compiacere in modo così squinternato i 5 Stelle (ala di sinistra, Fico e Di Battista) da apparire quasi satirici, sono tornati ad assecondare all’ unisono il regime boccheggiante ovunque ma non a viale Mazzini dove intristisce il cavallo inutilmente splendido foggiato da Messina. E dire che sono eccellenti professionalità non schiacciate sul conformismo. Vicedirettore al Tg1 ad esempio c’ è Gennaro Sangiuliano. Ho letto le sue biografie di Putin e Trump, sono fuori dai cliché. Non un coriandolo della sua lettura di questi due potenti ha però mai inquinato le tetragone corrispondenze politicamente corrette dove Vladimir e Donald sono girati allo spiedo. Perché? Perché è la Rai. Il più avanguardista alle linee da Pravda post-comunista e mosca cocchiera dell’ informazione da servizio poco pubblico e molto privato resta nei secoli dei secoli Rai-news: 24 ore su 24 di sol dell’ avvenire, che sorge sempre uguale ogni dì telecondotto dal sempreverde Antonio Di Bella. Basta così? Sul servizio pubblico sì, se vi pare. È così difficile, salvaguardando libertà e indipendenza di ogni testa, trovare gente che guidi la nave pubblica fuori dal Mar Rosso? Sveglia gente, girano troppi pirati dell’ etere su mandato di un popolo che li ha ripudiati. riproduzione riservata.
È ora che la Rai torni a essere filogovernativa
Libero
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VITTORIO FELTRI Confermato. Le navi straniere delle organizzazioni non governative che speculano sul trasporto dei profughi non avranno più l’ opportunità di attraccare nei porti italiani. Era ora che scattasse il divieto. Assurdo che gente senza scrupoli solcasse il Mediterraneo allo scopo di raccattare profughi da scaricare poi nel nostro Paese. A opporsi a questa pratica scorretta, primo in assoluto, è stato Matteo Salvini, persona tutta di un pezzo capace di dirigere con fermezza il ministero dell’ Interno. Onore al merito. Dato che egli si comporta da governante responsabile, viene criticato o addirittura insultato dai bischeri di sinistra e dai cattolici più piagnoni. I quali non si capisce perché preferirebbero che noi accogliessimo chiunque anche se non siamo in grado di farlo. Vorrebbero salvare l’ umanità dalla miseria e far pagare il conto a noi che già fatichiamo a tirare avanti. Il segretario del Pd Martina, intontito com’ è, afferma che il leader leghista costituisce una vergogna e non si rende conto che a doversi vergognare è lui, che agisce contro l’ opinione e gli interessi dei propri elettori, i pochi rimasti. I democratici in effetti a forza di essere guidati da uomini mediocri hanno perso milioni di consensi. Affari loro. Salvini viceversa non cessa di incrementare il bagaglio di coloro che approvano la linea dura contro l’ immigrazione selvaggia. Se andrà avanti così alle prossime elezioni farà il pieno dei voti. Per completare l’ opera gli manca soltanto, come scrivevamo ieri su queste colonne, di occupare la Rai. Lo invitiamo a farlo con urgenza, cominci a impadronirsi del Tg1, chiamando a dirigerlo l’ attuale vicedirettore, Gennaro Sangiuliano, un grande professionista dell’ informazione, già vicedirettore di Libero, autore di libri di successo, tipo la biografia stupenda di Putin. La Lega non ha necessità di avere uno sponsor televisivo, ma è ingiusto che il servizio pubblico la denigri nel momento in cui sta salvando l’ Italia dall’ invasione. Coraggio Salvini, prendi in mano le redini di viale Mazzini, il principe dei notiziari patri ti spetta e guai se te lo fai sfuggire. Sarebbe un errore grave. E tieni un occhio vigile anche sui talk-show da sempre dominati dai leccaculo progressisti. Forza Matteo. riproduzione riservata.
Streaming, social, cloud i videogame in ritardo nella gara dell’ hi-tech
Affari & Finanza
JAIME D’ ALESSANDRO
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FINORA I GIOCHI, DESTINATI PER DEFINIZIONE A UN PUBBLICO GIOVANE ED ESIGENTE, DETTAVANO LA LINEA QUANTO A INNOVAZIONE, INVENTIVA, CREATIVITÀ. MA ORA LA LEADERSHIP PASSA AI NUOVI SERVIZI LEGATI IN MODI DIVERSI ALL’ INTELLIGENZA ARTIFICIALE Los Angeles S otto il sole delle due di pomeriggio, davanti al Los Angeles Convention Center, pazientano in file ordinate per entrare all’ Electronic Entertainment Expo 2018. La fiera più importante dedicata ai videogame, l’ E3, è il secondo anno che apre al pubblico. Per esser ammessi bisogna avere più di 17 anni e sborsare almeno 150 dollari per il biglietto più economico. Sono in 16mila. Che si aggiungono agli addetti ai lavori: 60mila persone per ottanta multinazionali che operano in un mercato da 116 miliardi di dollari l’ anno. Con i loro giochi raggiungono poco più di due miliardi e mezzo di giocatori, stando alla Entertainment Software Association (Esa). Il mondo dei videogame è diventato grande stando ai numeri, meno guardando il suo pubblico che ancora oggi sembra fatto di adolescenti e post adolescenti appassionati di Guerre Stellari. «Sono cresciuta con i giochi», racconta Shantel, ragazza di colore di trentadue anni che attende di entrare. «Una volta nella vita volevo vedere com’ è fatto l’ E3». Vent’ anni fa quest’ industria somigliava a quel che oggi è la Silicon Valley, poi è divenuta sempre più grossa e lenta assumendo i modi e i tempi di Hollywood. L’ innovazione ha traslocato altrove, fra intelligenza artificiale, rivoluzione dello streaming, social network, servizi cloud. «Stiamo impegnando ogni risorsa sul futuro di questo settore», racconta Phil Spencer dal palco del Microsoft Theater a Los Angeles. È a capo della divisone Xbox, gestisce le strategie legate al gaming della multinazionale di Redmond. «I nostri esperti stanno sviluppando la prossima generazione di intelligenza artificiale legata ai videogame. I personaggi digitali avranno un carattere molto più profondo e i mondi che abitano saranno ancora più immersivi. E i nostri ingegneri del cloud stanno lavorando sullo streaming per offrire la qualità delle console su ogni dispositivo», conclude lasciando intendere che la Microsoft sta già pensando alla prossima console. Singolare che una multinazionale del genere parli dell’ avvenire dei videogame citando tecnologie che rappresentano il presente in altri settori nei quali è impegnata in prima persona. Se quindi i servizi streaming, assistenti virtuali, traduzioni simultanee e riconoscimento delle immagini attraverso l’ intelligenza artificiale sono il presente e se le auto a guida autonoma sono il futuro, viene da chiedersi a quale epoca appartengano i videogame per console oggi. Cambia l’ utilizzo «Per quel che ci riguarda, malgrado nel tempo le tecnologie cambino, il modo di usarle non è mutato », spiega Shinya Takahashi, a capo delle strategie di sviluppo di Nintendo. «Non cerchiamo l’ innovazione, cerchiamo la semplicità d’ uso e le tecnologie che la consentono. Adoperare la voce ad esempio come forma di interfaccia è interessante, ma richiede che il dispositivo sia costantemente collegato ai server nel cloud e questa non è una strada praticabile per una console come la nostra Switch». Poco dopo racconta come nel futuro della multinazionale di Super Mario potrebbe invece esserci la possibile acquisizione di uno studio cinematografico per estendere in maniera organica la forza dei suoi personaggi su piccolie grandi schermi. Il mondo dell’ intrattenimento si sta trasformando, basti pensare all’ acquisizione di Time Warner da parte di AT&T o alle attenzioni di Disney or Comcast per 21st Century Fox, e nel settore dei videogame quando si guarda in prospettiva si pensa a come sopravvivere in un mondo dove i contenuti sono concentrati in poche mani. Industria consolidata «È vero, un tempo erano l’ avanguardia della tecnologia, oggi i videogame sono un’ industria consolidata che fa intrattenimento. Ma in questo non ci vedo nulla di male», sottolinea Warren Spector, game designer newyorkese di 62 anni, laureatosi con una tesi sui film di animazione e divenuto in seguito creatore di giochi come Wing Commander, Ultima, Deus Ex, Epic Mickey. Ora è alle prese con un nuovo titolo nostalgico chiamato Underworld Ascendant pubblicato dall’ editore italiano 505 Games. Spector, un decano, lo incontriamo nelle stanze riservare dalla 505 al Los Angeles Convention Center poco prima di intervistare Sam Lake, volto e mente creativa della finlandese Remedy Entertainment. «Scrivo sceneggiatore per videogame e sono coinvolto in questo business da 23 anni. Per me continua ad essere un campo pieno di stimoli», sostiene. Lake, classe 1970, è venuto a presentare il gioco fantascientifico Control che verrà pubblicato sempre da 505. Splendide ambientazioni piene di architetture brutaliste fin troppo raffinate per il pubblico dei giochi. «Nei videogame la conversazione fra tecnologia e creatività è continua», prosegue Lake. «È la tecnologia ad aprire lo spazio a forme diverse di narrazione. Il mondo di raccontare si è evoluto molto, non mi sembra un mondo statico né che è parte del passato». Le app, o meglio i videogame per mobile, da sole valgono 40 miliardi di dollari l’ anno. La grande crescita del settore si deve a loro. Anche in Italia rappresentano già il 37 per cento degli incassi del software, pari a 385 milioni di euro, almeno secondo l’ ultimo rapporto Aesvi, l’ associazione di categoria. Valuta per il nostro Paese un giro di affari complessivo legato pari ad un miliardo e mezzo di euro. Peccato che app e giochi per console siano due universi distanti. La Epic di Fortnite, il tormentone del momento che ha superato Pokémon Go e Clash Royale, affonda le radici nei giochi per pc di fine anni novanta. Ma è una delle poche della vecchia guardia ad aver compiuto, con successo, a riuscire a tenere i piedi nei due settori. L’ arrivo di YouTube «YouTube e Twitch stanno ammazzando i giochi tradizionali», commenta amaro un dipendente di un grosso editore durante una breve pausa fuori dalla fiera. «Quelli che spendono 60 euro per un videogame nuovo sono sempre meno. Si limitano a guardarlo giocare da altri». Bisogna poi aggiungere i costi di produzione elevati che le aziende devono sostenere, decine di milioni di euro a titolo se non centinaia, e i due o tre anni di tempo necessari a confezionare un blockbuster da console. Intanto il tempo del pubblico viene conteso da app dal successo fulminante, social network, altre forme di intrattenimento. E l’ aver abbandonato il ruolo di innovatori non aiuta. «Ho qualche dubbio sull’ uso delle reti neurali nei videogame», racconta Pere Hines, vice presidente di Bethesda, editore e sviluppatore americano dietro a successi planetari come Skyrim e Fallout. «Applicare le Ai di oggi ad un gioco non è facile: produrre videogame è un’ operazione molto complessa. Mi sembra invece inevitabile l’ andare verso lo streaming. A quel punto potremmo anche non aver più bisogno che i giocatori abbiano una console a casa». Le reti neurali Ci si abbonerà ad un servizio e pagando una certa cifra al mese si potrà accedere ad un catalogo di giochi. Ma saranno escluse le ultimissime novità. Suona familiare come modello perché è un percorso che altri hanno già calpestato, dal cinema alla tv. Questo significa che esistono modelli di business e prezzi consolidati. Sarà difficile quindi chiedere più dei classici 9,99 euro al mese e sarà impossibile continuare a pretendere 60 euro per un titolo nuovo a meno che non sia una stella di prima grandezza. Ma è forse inevitabile. Quando si smette di immaginare il proprio futuro, qualcun altro inevitabilmente lo immagina per te imponendo la propria agenda e le proprie logiche. © RIPRODUZIONE RISERVATA A sinistra e sopra, immagini da Control Remedy Entertainment della 505 Games, in uscita per Xbox One, Pc e Ps4 nel 2019. In basso nell’ altra pagina, Fallout 76 di Bethesda, che esce il 14 novembre prossimo.
Lo sciopero dei giornali per il suicidio del tipografo sul posto di lavoro
La Repubblica
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GORIZIA Un caporeparto di 49 anni del Centro stampa di Savogna, alle porte di Gorizia, in cui si trovano le rotative che stampano il Messaggero Veneto e Il Piccolo (quotidiani del Gruppo Gedi, di cui fa parte Repubblica) si è tolto la vita in un ufficio dello stabilimento nella notte tra venerdì e sabato. Nei giorni scorsi l’ azienda aveva annunciato la chiusura del centro stampa di Gorizia con il trasferimento dell’ attività e del personale in un altro centro stampa di proprietà del gruppo a Padova. L’ uomo lascia la moglie e una figlia di 11 anni. La tragedia è stata scoperta dai colleghi poco dopo le 3 di notte. Profondamente scossi, poligrafici e giornalisti di tutto il Gruppo editoriale Gedi hanno annunciato iniziative in sostegno della famiglia e hanno immediatamente proclamato una giornata di sciopero, sabato: per questo motivo ieri la Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX e tutti i quotidiani locali del gruppo non erano in edicola, né erano leggibili su tablet. Nel proclamare lo sciopero le Rsu dei poligrafici del Messaggero Veneto e del Piccolo avevano sottolineato « il clima di sgomento che circonda i lavoratori destinati a un repentino trasferimento stabilito dall’ editore nella mera considerazione dei numeri, scavalcando le pesantissime conseguenze che una tale decisione avrà sulla vita delle loro famiglie ». In una nota diffusa sabato l’ editore si definisce «profondamente colpito e fortemente addolorato per quanto accaduto», esprimendo «le più sentite condoglianze alla famiglia, alla quale assicurerà aiuto e vicinanza». Le Rsu dei poligrafici di Repubblica e l’ Espresso- Gedi hanno offerto « vicinanza e solidarietà » aderendo « alle iniziative che verranno prese a sostegno della famiglia » . Solidarietà anche dal Cdr di Kataweb Gedi Visual e da quello di Repubblica che ricorda come «qualsiasi intervento di ristrutturazione aziendale influisce profondamente sulla vita delle persone e delle loro famiglie » , sottolineando come il centro stampa di Savogna chiuderà « pur essendo a regime da soli 6 anni». « La tragedia di Gorizia deve chiamare tutti i giornalisti italiani a una riflessione sulla qualità e sulle condizioni del lavoro nel settore dell’ informazione, la cui funzione è fondamentale per la tenuta democratica del paese » , ha spiegato ieri in una nota il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso. © RIPRODUZIONE RISERVATA Nel centro stampa di Gorizia del Gruppo Gedi Il dolore dell’ editore e la solidarietà di giornalisti e poligrafici.
Suicidio nel centro stampa di Gorizia, ieri la protesta di colleghi e giornalisti
La Stampa
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I lettori de La Stampa, e di altri 15 giornali che fanno capo al gruppo editoriale Gedi, ieri non hanno trovato i giornali in edicola. La ragione è legata a una protesta proclamata da giornalisti, poligrafici e tecnici dei centri stampa, come dolorosa reazione al dramma che si è consumato nella notte tra venerdì e sabato nello stabilimento di Gorizia dove si stampano anche le pagine del Piccolo di Trieste e del Messaggero Veneto di Udine. Un caporeparto di 49 anni del centro stampa ha deciso di togliersi la vita proprio nel corso della notte, mentre tutti gli altri dipendenti erano impegnati nella preparazione dei giornali. I primi a rendersi conto della tragedia sono stati i colleghi, che hanno anche trovato un biglietto di scuse per la famiglia. Il piano del gruppo Gedi prevede la chiusura da luglio del centro stampa di Gorizia, con il trasferimento dei lavoratori nello stabilimento di Padova. L’ Editore, in una nota, «ha espresso le più sentite condoglianze alla famiglia alla quale assicurerà aiuto e vicinanza». Il caporeparto era sposato e padre di una figlia di 11 anni. Il Comitato di redazione de La Stampa comunica che «i giornalisti hanno aderito alla protesta scegliendo di devolvere una quota della giornata lavorativa alla famiglia del collega scomparso».
Bonus pubblicità, un’ occasione da non perdere
Giornale di Lecco
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Il tanto auspicato “bonus pubblicità” è finalmente realtà. Il Dipartimento per l’ informazione e l’ editoria ha comunicato che la disciplina attuativa del credito di imposta relativo agli investimenti pubblicitari è pronta: il provvedimento con il regolamento di attuazione è stato firmato il 16 maggio 2018 e attualmente è in corso di registrazione presso la Corte dei conti, per poi essere pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale”. Si tratta della misura agevolativa prevista dal Decreto legge n. 50/2017 poi estesa agli investimenti sulle testate online e delle imprese del terzo settore: un’ importante agevolazione di natura fiscale, nella forma del credito d’ imposta, sugli investimenti pubblicitari incrementali programmati ed effettuati sulla stampa (giornali quotidiani e periodici, locali e nazionali, anche online) e sulle emittenti radio -televisive a diffusione locale. A questa misura, per il 2018 sono dedicati 62,5 milioni di euro, di cui 50 milioni per gli investimenti sulla stampa (20 per gli investimenti effettuati nel secondo semestre del 2017, più 30 per quelli da effettuare nel 2018) e 12,5 milioni per gli investimenti da ef .. 51,4- nWP.4.1).7.”. . . . fettuare nel 2018 sulle emittenti radio -televisive. Chi potrà beneficiarne Possono beneficiare di questo credito d’ imposta tutte le imprese e i lavoratori autonomi (indipendentemente da natura giuridica, dimensioni aziendali, regime contabile) e gli enti non commerciali che hanno incrementato gli investimenti pubblicitari rispetto al corrispondente periodo dell’ anno precedente. In pratica, gli investimenti in campagne pubblicitarie devono avere un va lore complessivo che superi di almeno l’ 1% quelli realizzati nell’ anno precedente sugli stessi mezzi di informazione. Quant’ è l’ agevolazione fiscale Il credito d’ imposta è pari al 75% del valore incrementale degli investimenti effettuati; credito che sale al 90% nel caso si tratti di microimprese, piccole e medie imprese e start-up innovative. Attenzione, però: nel caso in cui l’ ammontare complessivo dei crediti richiesti con le domande superi l’ ammontare delle risorse stanziate, il credito d’ imposta liquidato potrà essere inferiore a quello richiesto. Se dovesse succedere, si determinerà una ripartizione percentuale delle risorse tra tutti i richiedenti che ne hanno diritto. In questo caso, tuttavia, scatterebbero due limiti individuali: nessun contributo può superare il 5% del totale delle risorse annue destinate agli investimenti sui giornali; e il 2% delle risorse annue sono destinate agli investimenti sulle emittenti radiofoniche e televisive locali. Per quest’ anno i due tetti am montano, rispettivamente, a 1.500.000 euro per gli investimenti sulla stampa e a 250.000 euro per quelli sulle emittenti radiofoniche e televisive. Quali sono gli investimenti ammissibili al bonus pubblicità Sono ammissibili al credito d’ imposta gli investimenti riferiti all’ acquisto di spazi pubblicitari e inserzioni commerciali su giornali quotidiani e periodici, nazionali e locali, anche online, ovvero nell’ ambito della programmazione di emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali. Sono, invece, escluse le spese sostenute per l’ acquisto di spazi destinati a servizi particolari, quali ad esempio televendite, servizi di pronostici, giochi o scommesse con vincite di denaro, di messaggeria vocale o chat line con servizi a sovrapprezzo. Il beneficio è applicabile anche agli investimenti effettuati dal 24 giugno al 31 dicembre 2017, ma solo sulla stampa, anche online, e sempre che ci sia stato un investimento nell’ analogo periodo del 2016; non viene, quindi, riconosciuto alcun bonus pubblicità se non c’ è una base storica su cui misurare l’ incremento minimo dell’ 1%. Per ottenere il riconoscimento del credito d’ imposta, il sostenimento delle spese deve risultare da un’ apposita attestazione rilasciata da parte di un professionista abilitato o di una società di revisione. Domanda di ammissione Gli interessati devono presentare una specifica istanza telematica (“prenotazione”) utilizzando un’ apposita piattaforma dell’ Agenzia delle Entrate e uno specifico modello, nel corso di una “finestra temporale” di trenta giorni. A regime, la domanda si presenterà tutti gli anni nel mese di marzo ed, entro la fine di aprile, il Ministero dell’ Editoria pubblicherà l’ elenco dei soggetti richiedenti con la ripartizione delle risorse; per l’ anno in corso, la finestra per la prenotazione si aprirà, per trenta giorni, a decorrere dal sessantesimo giorno successivo alla data di pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale. Si ricorda che il credito d’ imposta è alternativo e non cumulabile con ogni altra agevolazione, ed è utilizzabile esclusivamente in compensazione, tramite il modello F24.
L'articolo Rassegna Stampa del 18/06/2018 proviene da Editoria.tv.