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Tempo di guelfi a «difesa» della rai
Gorizia, dipendente del centro stampa suicida al lavoro
“Mi candido senza ‘aiutini’ e casacche”
S’ impicca nella tipografia Sciopero dei giornali Gedi
La Rai rema contro la maggioranza
Tempo di guelfi a «difesa» della rai
Corriere della Sera
ALDO GRASSO
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Guelfo Guelfi, membro del cda della Rai, ha scritto una lettera al Foglio con una chiusa minacciosa: «Ora arrivano quelli bravi: allacciare le cinture. Penso che sappiano che noi li terremo d’ occhio e non li ripagheremo della stessa moneta. Potremmo diventare noiosi, che a casa mia significa fastidiosi, parecchio». Temo anch’ io che le cose andranno sempre peggio e che sarà necessario vigilare, ma le intimidazioni di Guelfi paiono quantomeno temerarie, visto che quando è stato nominato il suo curriculum parlava d’ altro. In Rai s’ impara in fretta, o si crede di. Guelfi si vanta ora del bilancio in ordine (vero, ma con il canone in bolletta non è stato difficile). Si vanta dell’ audience. Si vanta di Fazio e di Alberto Angela, Bolle e Vespa; dei «risultati di Amadeus, di Montalbano, di Don Matteo, del vicequestore Schiavone, e con sullo sfondo i Medici e il Nome della Rosa». Peccato che, consigliere in quota Pd, abbia contribuito a far fuori l’ ad Campo Dall’ Orto, che stava tentando di trasformare la Rai in una media company moderna. Se la Rai avesse fatto un balzo in avanti, oggi sarebbe più difficile asservirla e continuare a considerare il servizio pubblico come un bottino di guerra. Come di sicuro faranno i prossimi amministratori. Forse il problema è proprio la Rai: privatizzarla, tutta o in parte, non è mai troppo tardi.
Comunicato sindacale
Corriere della Sera
Il Cdr
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Le Rsu di Rcs Mediagroup e tutti i lavoratori del Gruppo Rcs esprimono solidarietà e vicinanza alla famiglia e ai compagni di lavoro del collega del Centro Stampa di Savogna (Gorizia) che si è tolto la vita all’ interno dello stabilimento appartenente al Gruppo Gedi, a pochi giorni dall’ annuncio della chiusura dell’ impianto e del trasferimento di lavorazioni e dipendenti in un altro stabilimento di proprietà a Padova. Il settore della stampa quotidiana e periodica è da anni al centro di una gravissima crisi strutturale, complicata dalla decennale crisi economica che ha colpito tutti i settori produttivi. Molte testate grandi e piccole hanno chiuso i battenti, così come molti centri stampa. Crediamo che un settore così importante per la diffusione di un’ informazione pluralista e democratica e per la libera circolazione delle idee abbia bisogno di una maggiore attenzione di quella finora riservatagli dagli interlocutori istituzionali e politici. Il Cdr del Corriere della Sera esprime vicinanza e solidarietà alla famiglia e ai colleghi del lavoratore tragicamente scomparso a Gorizia.
Gorizia, dipendente del centro stampa suicida al lavoro
Corriere della Sera
R. Bru.
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Roberto era un caporeparto del centro stampa di Gorizia, da dove ogni notte escono il Piccolo di Trieste e il Messaggero Veneto. Nella notte tra venerdì e sabato si è chiuso nel suo ufficio, i colleghi non vedendolo l’ hanno cercato, hanno sfondato la porta e l’ hanno trovato appeso al soffitto con una corda. Non c’ è stato nulla fare. Accanto al corpo, un biglietto in cui chiedeva scusa. Quarantanove anni, sposato, un figlio di 12 anni, la sua morte ha suscitato un’ ondata di commozione in tutto il mondo dell’ editoria italiana. Proprio a inizio settimana la proprietà del centro stampa, la Gedi, editore anche dei quotidiani La Repubblica e La Stampa, aveva annunciato l’ intenzione di chiudere la struttura friulana e trasferire i dipendenti a Padova. «Temiamo che anche questa possa essere una delle ragioni della tragica decisione di Roberto» hanno scritto in un comunicato congiunto le segreterie regionali di Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil. Aggiunge Massimo Albanesi della Fistel-Cisl: «Anche l’ anno scorso la proprietà aveva paventato il trasferimento. Ma questa volta era una decisione presa e questo ha creato forti preoccupazioni tra i 14 dipendenti». Le tre sigle sindacali, ma anche i Comitati di redazione del Piccolo e del Messaggero veneto, e la Rsu dei poligrafici delle due testate, hanno subito proclamato uno sciopero, mentre è partita una raccolta fondi da destinare alla famiglia del tipografo. Uno sciopero condiviso via via da altre testate e diversi centri stampa, come quelli di Torino e Roma. In una nota, il Gruppo Gedi si è detto «profondamente colpito e fortemente addolorato per quanto accaduto». E ha espresso «le più sentite condoglianze alla famiglia, alla quale assicurerà aiuto e vicinanza». Dura la presa di posizione della Federazione nazionale della Stampa e dell’ Assostampa del Friuli Venezia Giulia. «Il rispetto che si deve a tutti i lavoratori, alle loro vite e alle loro famiglie non può non imporre una riflessione su politiche aziendali che, ormai ovunque, spingono le aziende a trattare il bene informazione con criteri esclusivamente ragionieristici. Viene così fatta passare in secondo piano la qualità del prodotto, il radicamento sul territorio e, purtroppo, anche la dignità del lavoro, sempre più ridotto a merce, e delle persone, ormai pedine da spostare senza criterio sullo scacchiere dei risparmi, degli accorpamenti e dei tagli indiscriminati». I sindacati hanno anche annullato l’ incontro relativo alla ristrutturazione del Gruppo Gedi previsto per domani.
“Mi candido senza ‘aiutini’ e casacche”
Il Fatto Quotidiano
Roberto Natale
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Gentile direttore, ringrazio anche a nome degli altri 14 candidati per l’ attenzione che il Fatto Quotidiano dedica all’ elezione di un/una rappresentante dei dipendenti Rai nel prossimo Consiglio di Amministrazione, ma non ho francamente capito quale sia “l’ aiutino” che mi sarebbe stato dato. Se il riferimento è all’ incarico nel settore della Responsabilità Sociale, è fin troppo ovvio notare che le onlus con le quali ho cominciato ad avere incontri non hanno nessuna relazione con il voto, che spetta solo e soltanto ai dipendenti Rai. Le associazioni sono impegnate in ben altre campagne di sensibilizzazione (malattie, povertà, disuguaglianze) che non quella per scegliere il settimo componente del CdA. Ne approfitto anche per ricordare che, oltre ad essere “l’ ex portavoce della Boldrini”, sono dipendente Rai dal millennio scorso: per una borsa di studio che vinsi nell’ 81 (ci vuole il passato remoto) e che mi portò all’ assunzione nell’ 88. L’ altra cosa che non ho capito è “il desiderio che in CdA vada un uomo dell’ azienda e non un giornalista”. I giornalisti e le giornaliste sono uomini e donne dell’ azienda, né più né meno importanti di dirigenti, quadri, tecnici, impiegati, operai. Il bello di questo voto – pur all’ interno di una legge che ai sindacati Rai e a molti dipendenti non piace, perché rafforza ancora di più la presa del governo sul servizio pubblico: e lo hanno detto quando la legge è stata varata da un governo di segno ben diverso dall’ attuale – è che dà ai dipendenti, a tutti i dipendenti (“uno vale uno”, come si usa dire) la possibilità di far sentire la propria voce. Io sono giornalista e sono grato all’ Usigrai (il sindacato dei giornalisti Rai) per avermi indicato, ma non mi candido certo per rappresentare la mia categoria. E lo stesso, ne sono sicuro, pensano gli altri candidati e candidate di altre professioni. Chi va in CdA dovrà far sentire ben altre ragioni che quelle di un gruppo professionale: per quello scopo ci sono e rimarranno i sindacati. Dovrà rappresentare invece con passione e competenza le ragioni del servizio pubblico, mai così poco popolari come oggi tra i “decisori politici”; far sentire forte la domanda di autonomia che esprime la grandissima parte dei dipendenti Rai; far rispettare le ragioni del lavoro Rai, contro una precarietà ancora troppo diffusa, contro troppe esternalizzazioni e appalti senza ragione; farsi portavoce anche delle domande dei cittadini che pagano il canone, le cui richieste non è detto che trovino ascolto – l’ esperienza insegna – nei rappresentanti scelti dal Parlamento o dal Governo. Rispetto a questi compiti l’ unica maglietta da indossare è quella di tutti i dipendenti Rai, così come è opera di tutti i dipendenti, nessuno escluso, il prodotto che ogni giorno il servizio pubblico fornisce.
S’ impicca nella tipografia Sciopero dei giornali Gedi
Il Fatto Quotidiano
Anna Dazzan
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Sempre più morti sul lavoro e sempre più morti a causa della mancanza dello stesso. La notizia della chiusura del centro stampa di via Gregorcic 31 a Savogna, in provincia di Gorizia, era arrivata solo qualche giorno fa. È quasi certamente questo il motivo per cui un uomo di 49 anni, un poligrafico residente a Gorizia ma originario di Tarcento in provincia di Udine, ha deciso di togliersi la vita. A ritrovare il corpo nel suo ufficio sono stati i colleghi alle 3 della notte tra il 15 e il 16 giugno, scoprendo anche un biglietto nel quale la vittima ha voluto chiedere scusa ai familiari per il suo gesto estremo. “Da ciò che è stato appreso – ha dichiarato il colonnello Pasquale Starace del nucleo operativo dei Carabinieri di Gorizia – persone vicine alla vittima hanno dichiarato che l’ uomo negli ultimi giorni aveva palesato un senso di colpa per aver rifiutato un trasferimento a Padova”. Il centro tipografico di Savogna dove vengono stampati sia il Messaggero Veneto che Il Piccolo, quotidiani di proprietà del Gruppo Gedi, sarà infatti presto chiuso e l’ intera attività trasferita nella sede di Padova. Immediata la reazione delle redazioni dei due quotidiani del Friuli-Venezia Giulia, che hanno proclamato uno sciopero per l’ intera giornata di ieri e fino alle 12 di oggi. In serata anche le redazioni di Stampa, Secolo XIX , Tirreno, Gazzetta di Mantova, Nuova Gazzetta di Modena, La Nuova Ferrara e la Gazzetta di Reggio Emilia hanno deciso lo stop. “La notizia colpisce profondamente le nostre redazioni – si legge nel comunicato dei Comitati di redazione – che in questo periodo sono alle prese con una serie di novità, a livello lavorativo, organizzativo e grafico, intraprese da Gedi News Network”. Il centro stampa di Gorizia, a regime da circa sei anni dopo la dimissione delle rotative di Trieste e Udine e il loro accorpamento nell’ Isontino, smetterà di essere operativo il prossimo mese. A partire da luglio è previsto anche il trasferimento del personale non interessato da eventuali prepensionamenti nel Centro stampa padovano dello stesso gruppo. Come confermato dal colonnello dei carabinieri Starace , dunque, le motivazioni del gesto del poligrafico, nato nel 1963 e che lascia la moglie e una figlia di undici anni, sono da ascriversi alla situazione lavorativa e “al momento, assolutamente non a cause familiari”. Anche la rappresentanza sindacale unitaria dei poligrafici delle due testate ha espresso massima solidarietà alla famiglia del “collega Roberto”, avallando così l’ ipotesi per cui il tragico gesto sia stato compiuto esclusivamente in relazione alla situazione lavorativa. Nella nota inviata dall’ Rsu dei poligrafici del Piccolo e del Messaggero Veneto, si legge infatti che con la giornata di sciopero indetta si vuole sottolineare “il clima di sgomento che circonda i lavoratori dello stabilimento di Gorizia destinati a un repentino trasferimento nella sede di stampa di Padova che è stato stabilito dall’ editore nella mera considerazione dei numeri, scavalcando le pesantissime conseguenze che una tale decisione avrà sulla vita delle loro famiglie”. La notizia del gesto del poligrafico friulano arriva dopo un giorno particolarmente tragico dal punto di vista degli incidenti sul lavoro. Venerdì scorso, infatti, a Colonnella (Teramo) un 62enne è rimasto schiacciato, morendo sul colpo, da una ruspa all’ interno di un capannone per la lavorazione del compost. Sono rimasti invece ustionati gravemente due operai di 38 e 39 anni mentre lavoravano in una fonderia di Bergamo, colpiti da una colata di ghisa incandescente. Rispetto a questo incidente Fulvio Bolis, responsabile Sicurezza sul lavoro dei metalmeccanici Fiom-Cgil di Bergamo, ha dichiarato che “vanno individuate e messe in atto al più presto pratiche e azioni che vedano prioritaria la sicurezza”.
La Rai rema contro la maggioranza
Libero
VITTORIO FELTRI
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Mentre gli italiani sono sempre più dalla parte di Salvini, che si è deciso a respingere le navi straniere pronte a vomitare profughi sulla nostra terra (due delle quali olandesi che troveranno chiusi i porti della penisola), parecchi media lo attaccano in modo sgangherato, trattandolo come un appestato. I mezzi di comunicazione privati hanno il diritto di criticare chi vogliono, sarà poi il pubblico a decidere se seguirli o no. La Repubblica e L’ Espresso hanno facoltà di sputare sul ministro dell’ Interno, e noi quella di difenderlo e di appoggiarlo. Il punto è un altro. La Rai svolge male il ruolo di servizio pubblico e dovrebbe invece comportarsi in modo coerente con la propria squallida storia. Essa è sempre stata filogovernativa. Fu democristiana per lunghi anni, quando l’ egemonia dello scudo crociato era consolidata, poi fu lottizzata per dare un contentino ai socialisti (che si papparono Retedue) e ai comunisti, ai quali venne regalata Retetre. Il manuale Cencelli applicato magistralmente all’ etere. Il sistema spartitorio ha funzionato decentemente fino a ieri. Esemplifico. Berlusconi mise Minzolini alla direzione del Tg1, Prodi vi aveva collocato Gad Lerner, Renzi occupò l’ azienda con propri uomini, lo ricordiamo tutti e nessuno se ne scandalizzò. Adesso abbiamo un governo, bello o brutto che sia, di stampo giallo-verde, ma il manico televisivo è rimasto tra le dita politiche della sinistra e il risultato è stravagante: il Paese pende ormai a dritta e viale Mazzini invece seguita a pendere a manca. Ciò avrebbe forse un senso se il baraccone di cui parliamo fosse stato privatizzato. Non è così. È ancora finanziato dal canone pagato dai cittadini, pertanto dovrebbe essere condotto con gli stessi criteri del recente passato. Sarebbe indispensabile che grillini e padani si impadronissero del piccolo schermo, esattamente come fecero coloro che li hanno preceduti al vertice delle istituzioni, onde evitare la discrasia in atto. È inammissibile che la Rai remi contro l’ esecutivo. Il rimedio è semplice. Si sostituiscano con gente fidata i dirigenti che non si piegano ai mutamenti politici verificatisi dopo il 4 marzo, data delle ultime elezioni. Non dico che debbano essere cacciati in blocco i direttori. Orfeo per esempio, il capintesta, potrebbe starsene seduto sul trono su cui è stato adagiato, ma si dia da fare per affidare i notiziari e i talk show a personaggi più vicini o meno ostili alla nouvelle vague. Una operazione non complicata: bastano cinque o sei spostamenti e altrettante nomine. Allorché il presidente della Camera, Fico, quello che non paga i contributi alla serva, afferma che i partiti debbano tenersi lontani dalla Rai, dice una minchiata. La televisione è anche oggi, rete o non rete, la più seguita dai cittadini. Lasciarla al dominio della opposizione è da idioti.
L'articolo Rassegna Stampa del 17/06/2018 proviene da Editoria.tv.