Indice Articoli
Il duello nascosto sugli incarichi Oggi il vertice tra i leader e il premier
Non solo calcio e talent: gli alti e bassi delle reti generaliste
Lo scoop del «contratto-bozza» scatena la guerra tra giornali
Pure l’ editore del «Foglio» prova a riposizionarsi: «Il governo merita fiducia»
Diritti tv: i consumatori chiedono aiuto alla politica
Di Battista su Skype con Casaleggio Attacca i media
Il duello nascosto sugli incarichi Oggi il vertice tra i leader e il premier
Corriere della Sera
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Per due partiti che hanno fretta di cambiare l’ Italia, l’ immagine di un Parlamento fermo da 105 giorni è diventata insostenibile. E così il triumvirato che guida il governo ha deciso che, su nomine, deleghe e commissioni è giunta l’ ora di accelerare. Sarà il premier Giuseppe Conte, appena rientrato dal Canada, a presiedere oggi il vertice con Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Se ci sarà da litigare e poi mediare toccherà all’ inquilino di Palazzo Chigi provare a esercitare la leadership, rafforzata dalla sua prima missione internazionale al G7 canadese e dall’ invito di Trump alla Casa Bianca. Si parte da Palazzo Chigi, dove l’ incarico strategico di segretario generale dovrebbe andare a Giuseppe Busia, cattolico democratico molto vicino al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Sulla poltrona altrettanto impegnativa e prestigiosa di capo del dipartimento degli Affari giuridici siederà Claudio Tucciarelli, già capo del Dipartimento per le Riforme istituzionali ai tempi di Calderoli ministro. A Palazzo Chigi avrebbero fatto carte false per trattenere Roberto Cerreto, il filosofo della Sant’ Anna di Pisa subentrato al vertice del Dagl nel 2017 con Gentiloni e Boschi. Ma ora, con Giancarlo Giorgetti sottosegretario alla presidenza, le regole dello spoil system hanno «imposto» il ricambio. «Entro domani Di Maio e Salvini decideranno», è l’ auspicio formulato a Sky Tg24 di Laura Castelli. La ministra mancata del M5S spera di sfilare al leghista Massimo Garavaglia la carica di vice al Mef. Allo stesso ministero guarda l’ euroscettico leghista Alberto Bagnai, possibile sottosegretario. Alla Farnesina, un’ altra donna del mai nato «governo Di Maio», Emanuela Del Re, parte blindata come viceministro. Anche sulle deleghe è scontro sottotraccia. Di Maio preme per tenersi le telecomunicazioni e affidare l’ editoria a Emilio Carelli, o a Primo Di Nicola e insiste per avere anche i servizi segreti, per il premier Conte o per Vito Crimi. Grande agitazione si registra attorno alla Cassa depositi e prestiti. Sembrava fatta per Massimo Sarmi, ex ad di Poste sostenuto da Salvini, ma la partita si è riaperta. I nomi più accreditati sono Fabrizio Palermo, in quota M5S, e Dario Scannapieco (Bei), ben visto da Bce e Quirinale. Per la direzione generale del Tesoro è sfida tra Alessandro Rivera e Antonio Guglielmi, che in via Venti Settembre descrivono «l’ outsider, che sta a Casaleggio come il finanziere Davide Serra stava a Renzi». E pare che Giovanni Tria non abbia nulla in contrario a confermare il capo di gabinetto di Padoan, Roberto Garofoli. Il duello sui posti di sottogoverno, 20 sottosegretari e 5 viceministri per il M5S, 15 sottosegretari e 3 viceministri per la Lega, sarà un’ altra prova per la tenuta dell’ alleanza. Il rebus si intreccia con le presidenze di commissione, che saranno spartite con un criterio speculare. Se la Bilancio della Camera toccherà allo stellato Alessio Villarosa, la Bilancio del Senato dovrà essere guidata da un leghista. Salvini vuole come vice al Viminale un fedelissimo, scelto tra Nicola Molteni e Stefano Candiani. Per il ruolo di sottosegretario, oltre alla leghista Fabiana Dadone gira il contestatissimo curriculum di Gianni Tonelli, ex segretario del sindacato di polizia Sap. Al superministero Lavoro e Sviluppo entreranno (salvo sorprese) Nunzia Catalfo, Lorenzo Fioramonti e il leghista Armando Siri. Contattato per un incarico di rilievo anche Alberto Brambilla, il leghista esperto di pensioni che ha studiato la formula «quota 100» per superare la Fornero.
Non solo calcio e talent: gli alti e bassi delle reti generaliste
Corriere della Sera
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In attesa che inizi l’ estate, e con essa i Mondiali di calcio senza l’ Italia in campo, ma in onda in esclusiva su Mediaset (che capitalizzerà il costo dei diritti monopolizzando gli ascolti per tutta la durata delle gare), registriamo un periodo di alti e bassi per le reti generaliste, e in particolare per Rai1, che azzarda qualche mossa forse un po’ avventata. Mercoledì sera, l’ ammiraglia Rai ha registrato un clamoroso tonfo con la messa in onda, in prime time, dell’ inchiesta sul traffico illegale di opere d’ arte (un tema non propriamente generalista) «Petrolio. Ladri di Bellezza», il programma di Duilio Gianmaria. Non si registrava da tempo un ascolto così risicato per Rai1: 1.480.000 spettatori medi, per una share del 6,9%. Quella sera a Canale 5 è bastato mandare in onda una puntata speciale di «Avanti un altro», con Paolo Bonolis, per raccogliere più del doppio del pubblico (3.428.000 spettatori medi, 17,5% di share), ma a superare Rai1 ci è riuscita persino Rai3, con «Chi l’ ha visto?». In settimana il calcio aveva dimostrato la sua forza: Italia in campo per l’ amichevole con l’ Olanda, in onda su Rai1, e oltre sei milioni e duecentomila spettatori. Decisamente bene anche la musica, con i «Wind Music Awards» che raccoglie 4.130.000 spettatori medi (19,2% di share) e con «Pino è», serata dedicata a Pino Daniele, seguita da 3.814.000 spettatori, per una share del 18,2%. Domenica sera, poi, «Che tempo che fa» ha retto bene l’ insolita concorrenza festiva di «Amici di Maria de Filippi». A Fazio 3.753.000 spettatori, 17,6% di share (con ottimi livelli di istruzione – i laureati al 22% di share – e un’ età adulto-anziana), alla De Filippi 4.065.000 spettatori, 21,8% di share (un’ audience decisamente giovane, popolare, femminile). Lo spostamento domenicale del talent di Canale 5 si è fatto notare: saranno prove tecniche per la prossima stagione? (a.g.)In collaborazione con Massimo Scaglioni, elaborazione Geca Italia su dati Auditel.
Lo scoop del «contratto-bozza» scatena la guerra tra giornali
Il Giornale
FRANCESCO ROMA
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Le baruffe tra giornalisti sono spesso poco interessanti e liquidabili come questioni attinenti a gelosie (personali) e rivalità (politiche). Fa eccezione quanto accaduto ieri tra il vicedirettore ad personam del Corriere, Federico Fubini, e il direttore dell’ Huffington Post, Lucia Annunziata. Il primo, citando un editoriale della Stampa del 16 maggio, ha ipotizzato che la prima bozza del contratto M5S-Lega, recapitata in busta anonima al quotidiano online, fosse uno strumento per dare il via alla speculazione che nei giorni successivi ha colpito i nostri titoli di Stato. L’ ex presidente della Rai ha replicato in maniera risentita che «la fonte era conosciuta da me, di grande reputazione e l’ arrivo del documento in quella forma e modalità era stato concordato», dunque l’ Huffington non si è prestato inconsapevolmente a nessun complotto. Conclusa la disputa autoreferenziale, c’ è un dato di fondo che non si può eludere: l’ Italia è l’ anello debole dell’ area euro e ogni pretesto buono per scommettere contro il nostro Paese, soprattutto in periodi di instabilità. Oltre 2.300 miliardi di debito pubblico, la crescita più bassa delll’ eurozona e un tasso di disoccupazione all’ 11% sono buoni argomenti per coloro che prendono in prestito Btp (la domanda, secondo Ihs Markit, ha raggiunto i 40 miliardi di dollari, picco quasi da record), li vendono e li ricomprano a un prezzo più basso lucrando sulla differenza. Circostanza che dal 16 maggio ha determinato un incremento dello spread. Non a caso il Corriere cita un esempio tratto dal Wall Street Journal, quello dell’ hedge fund AH del miliardario Alan Howard che, giocando sui nostri decennali, ha chiuso maggio con una performance del +36,7%, circostanza che non gli riusciva da molti anni. In questo modo si adombra il sospetto che le vendite allo scoperto siano state in qualche modo preordinate. Una denuncia che ha suscitato l’ indignazione del renziano Michele Anzaldi che ha chiesto l’ intervento della Consob e che ha consentita al viceministro dell’ Economia in pectore, la pentastellata Laura Castelli, ad affermare «qualcosa è successo e qualcuno ha provato a metterci in difficoltà», riferendosi al fatto che la Bce abbia ridotto gli acquisti (per motivi di allineamento delle scadenze e non di pressing politico). Castelli ha perso un’ occasione per puntare al bersaglio grosso che è la fine annunciata del quantitative easing: il mercato sa già che senza quell’ azione stabilizzatrice e senza un paracadute «europeo», i nostri titoli di Stato (e di conseguenza anche quelli bancari perché ne sono grandi acquirenti) saranno sotto pressione e comincia a posizionarsi. Non a caso ieri l’ editoriale Orsi & Tori di Milano Finanza citava un altro articolo del Wall Street Journal proprio per denunciare il «trappolone» nel quale si rischia di cadere: bisogna tenere sotto controllo il mercato dei titoli di Stato perché è il cavallo di Troia con il quale l’ Unione europea e, quindi, la Germania pensano di sottomettere Roma ai propri voleri. La benevolenza del presidente Trump nei confronti del neo premier Conte al G7 di Charlevoix ha una ragione. Sostenere la partnership con l’ Italia significa bloccare l’ egemonia europea di Merkel. L’ Italia è un po’ meno sola, dunque. Ma rischia di diventare un campo di battaglia.
Pure l’ editore del «Foglio» prova a riposizionarsi: «Il governo merita fiducia»
Il Giornale
Laura Cesaretti
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C’ è molto distaccato british humour fin dal titolo con cui, in prima pagina sul Foglio, si presenta la lunga lettera di rimbrotto dell’ editore in persona: «La voce del padrone». A Valter Mainetti, imprenditore e manager con variegati interessi e un core business nell’ immobiliare, non piace «il forcing della maggior parte dei media, soprattutto esteri, contro il governo Conte», che a suo parere non va criticato ma appoggiato perché promette una gran «rivoluzione» a beneficio del Paese. E siccome Mainetti, oltre che un importante businessman con la evidente necessità di buone relazioni col governo di turno, è anche per l’ appunto il proprietario del Foglio, la tirata d’ orecchi ai media che si permettono di criticare l’ esecutivo Conte può suonare come un avvertimento per il suo giornale. La risposta del direttore, Claudio Cerasa, è leggera nei toni ma ferma nella sostanza: l’ editore ha il diritto di pensare che Conte sia uno statista incompreso, e che il suo governo farà grandi cose, e il Foglio ha quello di continuare a criticarlo, mantenendo «la nostra identità corsara, liberale, eccentrica, sempre aperta al pluralismo degli interventi e delle opinioni». Può trattarsi di un semplice quanto civile gioco delle parti: l’ editore, per sue ragioni di public relation, aveva bisogno di prendere le distanze dalla linea di effervescente opposizione del giornale. Ma certo il contesto in cui la vicenda odierna del Foglio si inserisce non è dei migliori: i nuovi potenti hanno dato ampia dimostrazione, negli anni, di una forte allergia alle critiche e alla libertà di stampa. Fu proprio Grillo ad inaugurare una sorta di gogna pubblica (con annesso linciaggio via social) per i giornalisti rei di criticarlo. E Casaleggio non ebbe remore a cacciare da un evento pubblico Jacopo Jacoboni, firma della Stampa che troppo aveva indagato sul suo business. Ora che sono al potere, difficilmente il loro atteggiamento migliorerà. Del resto, la stagione del governo Conte è iniziata proprio con il siluramento di un direttore di giornale, Alessandro Barbano, che aveva fatto del suo Mattino una palestra intellettuale per le migliori menti liberali e garantiste del Paese. Il 2 giugno scorso è stato fatto fuori dall’ editore ed immobiliarista Caltagirone: un altro imprenditore che, per comprensibili ragioni, non vuol certo entrare in rotta di collisione con chi comanda. In tv, una trasmissione de La7 (rete di riferimento per il grillismo italico) ha iniziato timidamente a rialzare la testa: le conduttrici di Omnibus hanno contestato il «Codice Casalino», fin qui supinamente accettato da tutti e che prevede spazi protetti, niente contraddittori e domande addomesticate per i Cinque Stelle. Ma difficilmente l’ esempio sarà seguito. Tanto più che Lega e grillini si preparano a blindare la Rai a loro favore: niente posti in Cda per il Pd, niente spazi o reti garantite all’ opposizione, rigido controllo sull’ informazione nazionale e locale.
Diritti tv: i consumatori chiedono aiuto alla politica
Il Mattino
SALVATORE RIGGIO
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A tre giorni dall’ assegnazione dei diritti tv della Serie A del triennio 2018-2021, scende in campo anche la politica. La pubblicazione dei pacchetti per prodotto (e non per piattaforma) e il rischio di chiusura di una trasmissione storica come Novantesimo minuto – che ha accompagnato molte generazioni di tifosi – sta spingendo le associazioni dei consumatori a chiedere una mano al nuovo governo. È stato chiesto ufficialmente un incontro al Movimento Cinque Stelle, alla Lega e al Pd per domani proprio per cercare di affrontare, e in qualche modo risolvere, il problema. Non è andata giù nemmeno il fatto che al quarto piano di via Rosellini non abbiano accolto l’ invito dei giorni scorsi dell’ Antistrust e del giudice Claudio Marangoni del Tribunale di Milano a procedere per piattaforma per agevolare proprio i consumatori. Invece si è andati in direzione opposta. Inoltre c’ è anche il rischio del doppio abbonamento, che non va giù alle associazioni dei consumatori. Per evitarlo bisogna vedere come sarà sfruttato il diritto di ritrasmissione, che consente al titolare dei diritti di girare pezzi di palinsesto col proprio marchio a un altro network. Per non parlare del timore degli appassionati del calcio di finire nel vortice del monopolio Sky, che con l’ aiuto di Perform potrebbe prendere tutto.
Di Battista su Skype con Casaleggio Attacca i media
La Stampa
MIRIAM MASSONE
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Dall’ America guarda l’ Italia con più distacco: «L’ opposizione, ad esempio, che si scandalizza perché il premier non si ricorda il nome del fratello di Mattarella, ammazzato dalla mafia, è di una pochezza disarmante, da qui me ne rendo ancora più conto». Così Alessandro Di Battista commenta il dibattito politico di questi giorni («solo gossip»), in collegamento video con Torino per il Rousseau City Lab. Ironizza e attacca i media: «Qui molti giornali riprendono gli articoli dei quotidiani italiani che raccontano un Paese diverso da com’ è, e allora sembra che siate messi davvero male: ma viveri ne avete ancora? Dovete razionare la pasta?». Per difendersi dai giornali che «fanno inchieste di bassissima qualità», il M5S ha la piattaforma Rousseau ed ora anche un ministro della Democrazia Diretta: «È il primo al mondo: un grande successo per l’ Italia – dice Casaleggio – lavorerà sugli istituti attuali che esistono già nel nostro ordinamento, come il referendum o la legge di iniziativa popolare, ma che il Parlamento e il governo in passato hanno tradito».
L'articolo Rassegna Stampa del 10/06/2018 proviene da Editoria.tv.