Indice Articoli
Informazione, le donne in prima pagina
Caos Raisport, sciopero per l’ ultima giornata
Serie A, rischio esordio al buio: annullato il bando di MediaPro
Viale Mazzini, Mario Orfeo guarda «Il Sole»
Diritti tv, sempre più caos annulato bando Mediapro
La crociata (fallita) di Hugh Grant contro la libertà di stampa
L’ informazione politica tra Big Data e Far Web
Il Tribunale boccia Mediapro Tutto da rifare per la Serie A
Rai Way, crescono ricavi e marginalità
Chessidice in viale dell’ Editoria
Serie B, va deserta l’ asta da 60,5 milioni di euro
Pubblicità, il trimestre a +1%
Tv a -0,6%. Rai -2,7%, Mediaset -1,3%, Sky +1,6%, La7 +3,5%, Discovery +6%
Rcs MediaGroup, utile per 6 milioni nel primo trimestre
Rcs, i 3 mesi in utile dopo 10 anni
Rcs ritrova l’ utile nei tre mesi dopo 10 anni
Informazione, le donne in prima pagina
Il Fatto Quotidiano
Silvia Truzzi
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Da una decina di giorni la scrittrice Michela Murgia sta tenendo d’ occhio le prime pagine di Corriere della Sera e Repubblica, i due maggiori quotidiani italiani, denunciando sui social network l’ assenza di commentatrici donne: gli editoriali a tema politico sono sempre (nel senso più letterale del termine) affidati a uomini. Nello specifico è un problema che il Fatto non ha, visto che più di una donna firma opinioni politiche in prima pagina: con questo non si vuole alzare il ditino, per carità (per esempio non abbiamo donne nella catena di comando del giornale, a differenza di altri). Il tema posto da Michela Murgia però è rilevante per tutti e non è argomento che si possa ridurre a una polemica da femministe (spesso il termine è usato in maniera denigratoria, e non dovrebbe). Quando chi scrive ha iniziato a lavorare (e non parliamo di cinquant’ anni fa), un noto giornalista (figlio di uno ancor più famoso, Gianni Granzotto) durante una riunione di redazione disse non senza compiacimento e rimpianto che ai suoi tempi le (poche) donne nei giornali si occupavano di cucina e di moda. Oggi non è più così, per fortuna, e se qualcuno osasse fare a voce alta una simile affermazione passerebbe sacrosanti guai. Un report di Agcom (marzo 2017) racconta che l’ insieme dei giornalisti attivi in Italia è composto da 14.816 donne (pari al 41,6% del totale) e 20.803 uomini (58,4%), in linea con le percentuali di occupati della popolazione italiana (58,3% uomini e 41,7% donne, maggiori di 15 anni, dati Istat). Ma guadagnano meno e occupano decisamente meno posti di potere. E comunque sono per lo più croniste, non opinioniste. Quasi come se quella vecchia sentenza del drammaturgo Publilio Sirio (reminiscenze scolastiche) fosse tuttora in voga: mulier cum sola cogitat, male cogitat (la donna quando pensa da sola, pensa male). Intendiamoci, non è che nel giornalismo non ci siano voci femminili influenti: Lilli Gruber, Lucia Annunziata, Maria Latella, la direttrice di Sky Tg 24 Sarah Varetto, Alessandra Sardoni, Bianca Berlinguer, Milena Gabanelli, Fiorenza Sarzanini del Corriere, la vicedirettrice vicaria dello stesso quotidiano, Barbara Stefanelli (ci scusiamo sin d’ ora se abbiamo dimenticato qualcuno). Ma già il fatto che questo elenco si possa, sia pur con qualche omissione e a titolo esemplificativo, sostanzialmente esaurire in poche righe dà la misura dell’ assurdità della situazione. E a proposito del Corriere è doveroso segnalare la 27esima ora, iniziativa che è diventata un vivace e interessante luogo di confronto sulle questioni femminili (dove le firme sono per lo più femminili). Però è proprio sull’ oggetto che stiamo riflettendo, e le donne non possono parlare solo di donne altrimenti non usciamo dall’ anatema di Publilio Sirio. A questo punto sicuramente più d’ uno (di entrambi i sessi) vorrà obiettare che merito e valore non sono trascurabili. Ma ci sono almeno due risposte: 1) non è che tutti i commentatori maschi siano Pico della Mirandola e 2) di qualità parleremo solo quando i numeri saranno meno (molto meno) squilibrati. Sono retaggi di un passato che fatica a passare? Sono le donne a non sapersi imporre? Si può provare almeno a proporre, mettendo questo tema al centro del dibattito nelle redazioni e fuori, facendone una campagna condivisa. Una cosa che però può accadere solo se i colleghi che guidano i giornali, i tg o i siti d’ informazione (a cominciare da Luciano Fontana e Mario Calabresi) s’ impegnano a bilanciare una differenza che oggi appare smaccatamente in contrasto con la realtà. L’ assenza delle donne non è affatto un problema delle donne, è un problema di tutti.
Caos Raisport, sciopero per l’ ultima giornata
Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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Ultima giornata di campionato di calcio senza servizi Rai. E salterà anche la diretta della 15ª tappa del Giro d’ Italia. Domenica 20 maggio i giornalisti sportivi della tv pubblica incroceranno le braccia in polemica con il direttore, Gabriele Romagnoli, e con il vertice Rai, colpevoli, secondo loro, di aver svilito una testata e una redazione che un tempo era il fiore all’ occhiello di Viale Mazzini. L’ astensione dal lavoro avviene “per la situazione di sfacelo della testata per chiara responsabilità della direzione che si accompagna al grave ritardo dell’ ammodernamento tecnologico () così da limitare pesantemente la possibilità di svolgere una reale attività di servizio pubblico”, si legge nel comunicato del comitato di redazione. Raisport da almeno un paio d’ anni sta vivendo una situazione difficile. Il problema principale è che la redazione non si è mai presa con Romagnoli, il direttore voluto da Campo Dall’ Orto (e in scadenza nel 2019), unico sopravvissuto tra quelli chiamati dall’ ex direttore generale. Incomunicabilità totale con la redazione, mancanza di un piano editoriale e assenza nel quotidiano confezionamento del prodotto: queste le accuse dei giornalisti al direttore, sfiduciato un anno e mezzo fa ma ancora al suo posto. La chiusura di un programma storico come il Processo del lunedì e del secondo canale di Raisport, poi, ha contribuito a esacerbare il clima. Che è pesantissimo, con i fedelissimi (pochi) del direttore da una parte e il resto dei giornalisti dall’ altra. Qualcuno ha provato a mediare, senza successo. E in qualche assemblea sono volati pure dei “vaffa”. La situazione è precipitata lo scorso novembre quando, dopo la partita Italia-Svezia che ha eliminato la Nazionale dai Mondiali, Raisport si è vista scippare il dibattito post match per fare spazio al programma di Fabio Fazio. Aver perso i diritti sulla Formula Uno e sui Mondiali in Russia, poi, ha fatto il resto. Ciliegina sulla torta, il calo di ascolti. La Domenica sportiva, per esempio, se regge sullo share (8,5%) perde telespettatori (1 milione 137 mila di media contro 1 milione e 328 mila della passata stagione). Anche 90º minuto è in calo e tiene solo nella parte in cui vengono mostrati i gol. Mentre martedì scorso è tornato su Rai2 Antidoping: il programma condotto da Alessandro Antinelli che dovrebbe essere il fiore all’ occhiello di Romagnoli ha racimolato solo 1,9%. “Siamo allo sbando, con la redazione demotivata e senza una strategia. I Tg non ci chiedono nemmeno più i servizi e fanno da soli”, racconta un cronista di Raisport. Altra scelta opinabile è stata quella di chiudere il Processo, lasciando una prateria di ascolti a Tiki Taka (Mediaset). Nelle ultime ore, però, una buona notizia: la Rai si è aggiudicata i diritti per la Coppa Italia anche per il prossimo triennio (per 35,5 milioni), battendo proprio la tv del Biscione. Intanto però, causa sciopero, il campionato di calcio per mamma Rai finirà con una giornata di anticipo.
Serie A, rischio esordio al buio: annullato il bando di MediaPro
Il Fatto Quotidiano
Lorenzo Vendemiale
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Illegittimo, distorsivo della concorrenza, iniquo nei confronti degli operatori: il bando di MediaPro viola le regole dell’ Antitrust ed è da rifare. Ammesso che gli spagnoli siano interessati a farlo. Il Tribunale di Milano ha accolto il ricorso di Sky e confermato la sospensione emessa a metà aprile: per i pacchetti elaborati dalla società di Barcellona, che si è aggiudicata i diritti tv della Serie A per la cifra record di 1,05 miliardi a stagione, è una bocciatura pesante. Forse definitiva. E il pallone italiano si ritrova senza televisione e senza soldi, ad appena tre mesi dall’ inizio del prossimo campionato. Nella guerra dei diritti tv che si trascina ormai da mesi, Sky vince la prima battaglia in tribunale (e chissà se sarà l’ ultima). Per guadagnarci, MediaPro puntava a rivendere i diritti come prodotti preconfezionati, con tanto di telecronaca e spot pubblicitari già monetizzati. Ma questo non si può fare. La sentenza del giudice Claudio Marangoni smonta il bando nel suo impianto: così com’ è concepito – si legge – rischia di avere un “effetto distorsivo, in grado di determinare gravi squilibri nel mercato e in danno dei singoli operatori”. Le perplessità erano “fondate”: MediaPro assume una “forma di responsabilità editoriale, al di fuori dell’ ambito di attività dell’ intermediario indipendente”. Proprio quello che l’ Antitrust aveva già vietato di fare. I prodotti da 270 minuti di trasmissione assomigliano tanto a dei palinsesti, visto che le partite spalmate su più fasce orarie coprono l’ intera giornata. E poi l’ obbligo di acquistare il prodotto finito, che gli spagnoli avevano pensato per favorire l’ ingresso sul mercato di operatori più piccoli su piattaforme alternative (come lo streaming internet), finisce per ledere la libertà delle emittenti, costrette a pagare servizi non richiesti. La linea di Sky è stata accolta in pieno e infatti il colosso di Murdoch esulta, spiegando che “la decisione del Tribunale ha confermato che era necessaria una verifica”. Da Barcellona, invece, silenzio tombale, anche sull’ eventuale ricorso (15 giorni per presentarlo). MediaPro potrebbe anche ripubblicare il bando corretto, lo stesso giudice sottolinea che “i tempi sembrano consentire la ripresa della procedura”: senza prodotti preconfezionati e raccolta pubblicitaria, però, sembra impossibile rientrare dell’ investimento. È più facile immaginare che il patron Jaume Roures torni a spingere per il canale tematico, suo vero obiettivo, mettendo subito sul piatto la fideiussione che aveva congelato dopo la notizia del ricorso. Tutto ruota intorno ai soldi, vitali come l’ ossigeno per i presidenti delle squadre. Al momento “MediaPro è inadempiente”, sottolinea il commissario Giovanni Malagò. La Lega ha concesso due settimane di tempo per onorare il contratto e “la scadenza resta valida, ora più che mai”, ha aggiunto il capo del Coni. La Serie A è a un bivio, si ritroverà spaccata in assemblea il 22 di maggio (o forse anche prima, già il 15) : da una parte c’ è il ritorno rassicurante nelle braccia di Sky che ribadisce di “essere pronta a fare un’ offerta importante” (ma quanto?), dall’ altra la prospettiva allettante del miliardo dagli spagnoli, che però pare sempre più legato al canale. Per farlo, la Lega dovrebbe risolvere il contratto, rientrare in possesso dei diritti e mettersi in proprio, con MediaPro come partner commerciale. Operazione rischiosa e complessa. Un buon numero di club sarebbe favorevole (anche Urbano Cairo del Torino ieri si è sbilanciato a riguardo), a patto di ricevere garanzie economiche. Bisogna però superare le resistenze interne della fronda pro Sky capeggiata da Juventus e Roma e prepararsi a un’ altra battaglia in tribunale. Ma il calcio italiano ora non può più perdere.
Viale Mazzini, Mario Orfeo guarda «Il Sole»
Il Manifesto
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«Abbiamo saputo che sono di nuovo partite le richieste ai Tg Rai di fare servizi contro di noi. Negli ultimi 50 giorni ci avevano trattato coni guanti bianchi perché avevano paura che andassimo al governo e sostituissimo i direttori. Lo faremo presto grazie a una legge finalmente meritocratica». Lo aveva scritto una settimana fa Di Maio ai parlamentari 5S, suscitando molte polemiche. Il quadro è di nuovo cambiato e sembra così che la Rai, coni vertici a fine corsa, sarà presto un banco di prova peri grillini alla stretta finale per un governo con la Lega, grazie all’«astensione benevola» di Berlusconi, che difficilmente vorrà solo stare a guardare. L’ attuale dg Rai Mario Orfeo già scruta altrove. Scrive Dagospia: il presidente di Confindutria Boccia lo ha chiamato e gli ha proposto la direzione del «Sole 24 Ore». Orfeo si sarebbe dato 48 ore in attesa dell’ evolversi della situazione politica.
Diritti tv, sempre più caos annulato bando Mediapro
Il Mattino
Gianfranco Teotino
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Non bastava un Mondiale di calcio senza l’ Italia. A rovinare le vacanze degli appassionati ora ci si mette pure il pericolo, mai così concreto, per quanto ancora ampiamente scongiurabile, di ricominciare il campionato a telecamere spente. La guerra delle tv pallonare continua. L’ attesa sentenza del tribunale di Milano avrà come conseguenza pratica la necessità di dover ricominciare tutto daccapo. Questa partita, se vogliamo utilizzare una chiave di lettura sportiva, l’ ha vinta Sky e persa Mediapro, il gruppo ex spagnolo e ora cinese che si era aggiudicato i diritti tv della Serie A e si era impegnato a trovare le emittenti interessare a trasmettere le dirette sulle varie piattaforme. In realtà, a perdere è stata anche la Lega, la Lega calcio ovviamente, e cioè i presidenti delle società e con loro i vari commissari e sub commissari incaricati di portarla fuori dalla crisi, a partire dal presidente del Coni Malagò. Il fatto: Claudio Marangoni, il giudice del tribunale civile di Milano, sezione imprese, cui Sky si era rivolto, ha confermato la sospensione del bando predisposto da Mediapro per l’ assegnazione dei diritti del prossimo campionato. Mediapro è stata anche condannata al pagamento delle spese legali. Motivazione, in sintesi, della sentenza: abuso di posizione dominante. In particolare, è stata considerata illegittima e in contrasto con le linee guide formulate dall’ Antitrust, l’ offerta di pacchetti di partite «chiavi in mano», comprensivi cioè di diretta e di contenuti giornalistici pre e post, tali da limitare la libertà di scelta dei singoli offerenti nel predisporre autonomamente i contenuti editoriali e i servizi legati. Pubblicità compresa, naturalmente. L’ insieme del bando, secondo il tribunale, mette Mediapro in una obiettiva situazione di «monopolio, inibendo la libertà degli altri operatori e costringendoli a pagare di più per dei servizi televisivi». Peraltro, che il bando elaborato da Mediapro fosse in contrasto con le indicazioni dell’ Antitrust era così evidente fin dal giorno della sua presentazione da rendere davvero incomprensibile il silenzio e l’ inattività dei presidenti dei club e della Lega in queste settimane. Il 15 marzo scorso infatti l’ Authority aveva reso noto che Mediapro sarebbe stato «tenuto a svolgere un’ attività di intermediazione di diritti audiovisivi, rivendendo i diritti ad altri soggetti con modalità eque, trasparenti e non discriminatorie», sottolineando «l’ esigenza di evitare che l’ intermediario indipendente svolga attività che determinino l’ insorgere di rapporti di concorrenza congli operatori della comunicazione. Pertanto,non dovranno essere intraprese iniziative che comportino l’ assunzione di una responsabilità editoriale». Vietati cioè i prodotti «chiavi in mano». Per non parlare dell’ aggravante della mancanza di trasparenza richiesta, testimoniata dalla scelta di mantenere segreto, nello stesso bando, il prezzo minimo dei singoli pacchetti. Non ci poteva cioè essere una sentenza più scontata di questa. E invece ancora lunedì l’ assemblea dei presidenti di Serie A ha deciso di concedere a Mediapro altre due settimane per presentare le garanzie finanziarie già non pervenute alla data concordata, nonostante i dirigenti spagnoli del gruppo cinese avessero in un primo tempo promesso di mantenere gli impegni, nonostante il ricorso pendente di Sky. Scadenza per il 22 maggio confermata anche ieri dal commissario Malagò: «Vale ancora, oggi più che mai». Questa guerra delle Tv presenta aspetti abbastanza incomprensibili fin dall’ inizio. I padroni italiani del pallone si sono fatti ingolosire dall’ impegno di Mediapro a pagare la cifra, importantissima, di 1 miliardo e 50 milioni. Una somma che non era stata nemmeno avvicinata dalle offerte dei vari broadcaster nella prima contrattazione con l’ advisor Infront, avvenuta fra l’ altro quando il grande accordo fra Sky e Mediaset non era ancora stato concluso e pertanto Mediaset Premium era ancora interessata a trasmettere le partite dei grandi club. Come Mediapro sarebbe riuscita a rientrare delle spese è sempre stato abbastanza misterioso, anche se le società (e l’ Antitrust) avessero dato il via libera al canale televisivo della Lega, fin dall’ inizio vero obiettivo della multinazionale nata in Spagna, per quanto in nessun Paese europeo esista qualcosa di simile. Quando l’ offerta di Mediapro è stata presentata per la prima volta ai presidenti, si è subito capito che si trattava di una sorta di Opa sull’ intero calcio italiano, magari non ostile, ma di certo molto coinvolgente. Direttamente o indirettamente, venne effettuato un tentativo di mettere le mani non soltanto sui diritti, ma anche sulla produzione tv delle partite, possibilmente attraverso un canale proprio, e sulla stessa Lega, attraverso la candidatura alla presidenza dello spagnolo Javier Tebas, presidente della Liga e antico sodale di Mediapro. Da allora la situazione si è modificata. Non solo perché il fondo cinese Orient Hontai ha perfezionato l’ acquisto della maggioranza (54%) di Mediapro (peraltro che l’ operazione fosse in fare conclusiva era già in quei giorni cosa nota ai mercati), ma proprio perché i cinesi, come sempre quando investono cifre significative, hanno voluto cominciare a guidare loro la macchina, modificando gradualmente il business model. È da giorni che in Spagna, nel totale disinteresse dei dirigenti del calcio italiano, si discute sul cambio di strategia di Mediapro: ridimensionamento progressivo delle attività calcistiche (anche in conseguenza delle difficoltà di piazzare in Spagna i diritti Champions pagati a carissimo prezzo) per rifocalizzare l’ offerta di contenuti su serie televisive e film, insomma modello Netflix. Se tutto questo è vero, riesce difficile pensare che Mediapro, anche in seguito alla sconfitta giudiziaria subita, rispetti gli impegni. Del resto, sembra che Sky, avendo colto la possibilità di ottenere per la prima volta una vera esclusiva sul campionato, sia disposto a mettere sul tavolo, in ticket con il gruppo Perform, interessato alla distribuzione sulle piattaforme non strettamente televisive, una cifra superiore ai 900 milioni, non lontana cioè dal miliardo e 50 milioni atteso da Mediapro. Non sarà tuttavia semplice trovare la soluzione, si è già perso troppo tempo. Dalla Lega di Serie A ci si sarebbe aspettati un dinamismo imprenditoriale superiore, una maggiore attenzione a quanto stava succedendo e quanto si stava complicando. Del resto, il calcio italiano oggi è questo. Le componenti che vogliono chiudere la fase di commissariamento della Federcalcio proprio ieri hanno svelato il loro candidato alla presidenza: Giancarlo Abete. Sì, quell’ Abete costretto a dimettersi dopo il disastro mondiale brasiliano. È triste, più ancora che patetico. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
La crociata (fallita) di Hugh Grant contro la libertà di stampa
Corriere della Sera
LUIGI IPPOLITO
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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE LONDRA Non è bastato il fascino di Hugh Grant a convincere i deputati britannici a mettere la mordacchia alla stampa. L’ attore di Quattro matrimoni e un funerale e Notting Hill si è speso personalmente a favore degli emendamenti, discussi ieri in Parlamento, che a detta dei critici avrebbero messo a rischio la libertà dei media: Grant infatti è stato in passato vittima di intercettazioni illegali e guida il gruppo di pressione «Hacked Off», che chiede di introdurre limitazioni al campo d’ azione dei giornali. E dunque nei giorni scorsi è andato a incontrare a tu per tu quei deputati che avrebbero potuto votare a favore degli emendamenti. Dopo di che, ieri, si è presentato in Parlamento per dare un’ ultima spinta alla sua campagna. Ma il suo impegno non è servito: ieri sera Westminster ha respinto la proposta di legislazione, di iniziativa laburista, che secondo la premier Theresa May avrebbe «minato la stampa libera». Il governo ha salutato la decisione dei deputati come «un grande giorno per una stampa libera e onesta». Gli emendamenti di matrice laburista miravano a costringere i giornali ad aderire a un organo di regolamentazione statale, pena il rischio di dover pagare tutte le spese legali nei processi per diffamazione, anche in caso di vittoria. Un altro emendamento chiedeva al governo di varare una nuova commissione d’ inchiesta sui media. La May resta invece favorevole all’ attuale sistema di autoregolamentazione dei giornali e ha osservato che punire i media che non si dovessero adeguare a un organismo pubblico appariva «non necessario e sproporzionato». Soprattutto i piccoli giornali locali avevano avvertito che le nuove norme rischiavano di condurli al fallimento. E tutti i grandi quotidiani erano usciti ieri con commenti ed editoriali nei quali si scagliavo contro le proposte laburiste. La reputazione della stampa britannica non si è ancora pienamente ripresa dallo scandalo delle intercettazioni di quasi dieci anni fa, quando emerse che i giornalisti ascoltavano le segreterie telefoniche di celebrità, politici e vittime della criminalità. La bufera investì in particolar modo i tabloid di Rupert Murdoch, che decise di chiudere il suo News of the World, fino ad allora il più venduto giornale britannico. Ma in seguito è emerso a più riprese che i giornali hanno continuato a usare tattiche spregiudicate, come spacciarsi per medici con le vittime di attentati. Adesso a Hugh Grant non resta che rinfoderare il sorriso da Love, actually e magari ricorrere alle tecniche da cattivone sperimentate in Paddington 2: potrebbe toccargli miglior fortuna.
L’ informazione politica tra Big Data e Far Web
Il Mattino
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Antonio Martusciello * Il 70% degli italiani utilizza internet come mezzo d’ informazione e circa un terzo considera la Rete lo strumento principale finalizzato alla creazione di opinioni politiche. Ma che tipo di suggestioni ricevono i cittadini? O meglio chi è il soggetto che seleziona le notizie a beneficio degli utenti? Secondo le analisi Agcom, il consumo informativo online, passa in via prioritaria attraverso piattaforme digitali, come i social network, che indicizzano e mettono a disposizione degli utenti un insieme di notizie con rilevanti impatti sul pluralismo. Il motore di questa intermediazione è l’ algoritmo, un software che implementa un modello matematico e si alimenta dei dati acquisiti ed elaborati sugli utenti. Questo strumento intelligente ragiona su exabyte di dati, ma a differenza di un programma tradizionale, adatta automaticamente il proprio funzionamento al contesto, utilizzando in modo ottimale le informazioni raccolte. Il potere straordinario di questi algoritmi raziocinanti è quello di imparare, cioè di far tesoro dei dati, che diventano degli strumenti per risolvere problemi complessi o effettuare previsioni sui futuri comportamenti degli users in Rete. Volendo essere ottimisti, si potrebbe affermare che un’ analisi così profonda potrebbe proporci informazioni e contenuti in grado di attivare interessi e potenzialità di cui non siamo nemmeno pienamente consapevoli. Gli algoritmi ci propongono dunque notizie sulla base dei dati che noi stessi abbiamo rilasciato in Rete: ricerche, like, amici, ecc. Uno strumento che finisce per vivisezionarci in modo analitico, al punto di assecondarci, offrendoci contenuti affini alle nostre preferenze; al contempo, però, esso rischia di limitare l’ accesso a informazioni dissonanti rispetto al nostro universo di riferimento. In termini di formazione dell’ opinione politica, il cittadino è portato ad avere un’ offerta di notizie provenienti da fonti a lui politicamente o socialmente affini, escludendo quindi una serie di informazioni più distanti, che potrebbero concorrere, viceversa, alla genesi di un’ opinione critica di quegli stessi fatti. Il valore economico dei dataset utilizzati, però, ingenera anche problematiche di ordine competitivo, poiché i dati sono un asset indispensabile per poter competere nell’ ecosistema digitale, soprattutto nel campo della raccolta pubblicitaria. Gli interventi antitrust, di tipo ex post, non hanno sino a oggi offerto risposte convincenti rispetto a questi mercati che presentano strutturalmente elevati livelli di concentrazione. Anche l’ intervento regolatorio di tipo ex ante, si è limitato quasi esclusivamente alla, seppur meritoria, tutela del diritto alla privacy, non riuscendo mai a incidere sul tema della tutela del pluralismo informativo. Un vulnus dovuto al noto problema dell’ asimmetria regolamentare tra editori classici e piattaforme online, ove le seconde non soggiacciono a istituti fondanti del diritto dell’ informazione, quali, ad esempio, la responsabilità editoriale. È un tema che sussiste tanto a livello comunitario che nazionale, basti pensare che la legge che in Italia regola la parità di accesso ai mezzi d’ informazione la cd. par condicio è stata promulgata nel 2000, quando Internet funzionava ancora nella sua versione 1.0. Questo vuoto normativo non è più tollerabile ed è certo che il mantra, ripetuto dai Big della Rete, secondo cui in Internet è sufficiente l’ autoregolamentazione, ha fatto il suo tempo. Del resto, a livello internazionale, inizia a emergere l’ esigenza di un approccio olistico alla regolazione di Internet che sussuma in un unico intervento le tutele di diritti fondamentali: dalla privacy, alla concorrenza, sino alla libertà d’ informazione. Per raggiungere questo obiettivo, bisogna arginare l’ arretramento della politica che oggi è chiamata a ribadire la propria leadership. Invece, troppo spesso in questo recente passato, abbiamo visto i policy makers sedotti dalla comunicazione online piuttosto che edotti dei rischi. La perdita di qualche follower o di qualche like varrà pure una buona legge! * Commissario Agcom © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Il Tribunale boccia Mediapro Tutto da rifare per la Serie A
Il Sole 24 Ore
Marco BellinazzoAndrea Biondi
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Il bando proposto da Mediapro è da rifare perchè delinea un «abuso di posizione dominante». Il giudice del Tribunale di Milano Claudio Marangoni ha confermato ieri la sospensione della vendita dei diritti tv della Serie A per il triennio 2018/21. Dunque si torna al punto di partenza, con bando di Mediapro che va annullato. Un percorso che ora andrà ripreso rivedendo la formulazione dei pacchetti da cedere agli operatori tv, del settore Iptv e del web evitando di incorrere nell’ assunzione da parte dei catalani dell’ indebito ruolo di “editori”. Per il giudice infatti è vero che linee guida della Lega approvate dalle Authority permettevano a Mediapro, vincitore per un miliardo e cinquanta milioni a stagione del bando per gli intermediari, di confezione prodotti audiovisivi anche della durata di 270 minuti. Tuttavia, le modalità dell’ offerta preparata dai catalani sono andate oltre questa cornice anche facendo accollare «costi aggiuntivi» ai concorrenti. «Mediapro Italia – scrive il giudice – mediante la predisposizione dei contenuti informativi e pubblicitari compresi nei prodotti audiovisivi facenti parte dei pacchetti principali esclusivi intenderebbe estendere di fatto la sua influenza anche nel mercato a valle della raccolta pubblicitaria e della fornitura di contenuti in una sorta di integrazione verticale tra detti mercati», spiega il provvedimento giudiziario in riferimento ai pacchetti chiavi in mano (peraltro senza l’ indicazione di prezzi minimi per l’ asta) contestati vittoriosamente da Sky. E ancora: «Risulterebbe inoltre individuabile una condotta intesa a dare luogo a pratiche leganti, posto che in forza della sua posizione dominante sul mercato dell’ offerta dei diritti televisivi sul campionato di serie A, Mediapro Italia condiziona la cessione di tali diritti alla contestuale cessione di servizi economicamente separabili e il cui collegamento con il prodotto principale non pare sostenuto da esigenze effettive di collegamento tra essi». Così facendo, Mediapro ha assunto «una forma di responsabilità editoriale» che «pare collocarla al di fuori dell’ ambito di attività propria dell’ intermediario indipendente». Per superare queste «obbiettive problematicità» Mediapro avrebbe dovuto offrire in prima battuta il segnale “clean” delle partite, attribuendo a tutti gli operatori la piena libertà editoriale e di raccolta pubblicitaria, e concedendo la mera facoltà di avvalersi di ulteriori servizi, editoriali e commerciali, con una spesa extra. Esattamente il contrario, dunque. A questo punto la società spagnola potrà ricorrere contro la decisione. Fermo restando che la Lega di Serie A con il commissario Giovanni Malagò ieri ha ribadito la deadline del 22 maggio per il deposito della fideiussione da un miliardo più Iva. Lo stesso giorno è convocata un’ assemblea per prendere le opportune iniziative in caso di inadempienza. Per molti club è vitale avere a disposizione incassi certi da far scontare in banca per ottenere la liquidità necessaria a far fronte agli impegni di fine stagione e al calciomercato. Sky, che rivendica di aver permesso di fare piena chiarezza sulla vicenda «a beneficio di tutti gli operatori», dal canto suo ha confermato di essere pronta a presentare un’ offerta importante per la Serie A. Ed è chiaro che l’ impasse non si potrà risolvere se non passando da un accordo dopo una trattativa privata. Le complessità normative e tecniche per lanciare in corsa un canale autonomo della Lega a tre mesi dall’ avvio del campionato 2018/19 appaiono sempre più ostative, anche se questa possibilità esiste. Certo, servirebbe l’ unanimità dei club che invece non c’ è. Quanto a Mediaset Premium, da Cologno Monzese è stata esclusa nei giorni scorsi la chiusura anticipata della società. E comunque se la pay tv della famiglia Berlusconi non dovesse ripresentarsi all’ asta potrebbe essere Mediapro a rivolgersi all’ Antitrust denunciando l’ accordo siglato con Sky il venerdì di Pasqua. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Rai Way, crescono ricavi e marginalità
Il Sole 24 Ore
Ce. Do.
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Rai Way conferma i target del 2018, comunicati al mercato a fine marzo, e intanto manda in archivio i risultati trimestrali che segnano ricavi a quota 54 milioni, in rialzo dello 0,4% (con i ricavi riconducibili a Rai a quota 45,7 milioni, mentre il contributo da terzi è di 8,4 milioni), Ebitda adjusted a 29,7 milioni (+4,9%), spinto soprattutto dalle iniziative di efficienza messe in pista dal management, Ebit pari a 21,4 milioni (+6,5%), mentre l’ utile netto si attesta a 14,9 milioni con una crescita dell’ 8% sul 2017. Gli investimenti sono pari a 0,8 milioni (8,9 milioni nel primo trimestre 2017, di cui 7,7 milioni in attività di sviluppo e M&A). Venendo all’ indebitamento, a fine a marzo l’ asticella della società guidata da Aldo Mancino è pari a -24,8 milioni (disponibilità liquide nette) e si confronta con i 4,8 mlioni registrati a fine dicembre. Quanto alla performance dei prossimi mesi, la controllata Rai sottolinea che i risultati trimestrali sono in linea con le aspettative. I target di fine anno, dunque, sono confermati: l’ Ebitda adjusted prosegue la sua crescita organica e gli investimenti di mantenimento si attesteranno su un valore pari a circa il 9% dei ricavi core. Per il futuro, invece, resta confermato un livello medio dell’ 8,5% dei ricavi core. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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Auditel, Imperiali confermato presidente. L’ assemblea dei soci di Auditel ha confermato ieri il presidente Andrea Imperiali di Francavilla alla guida della società per il triennio 2018-2020. Il suo mandato, come da statuto, avrà la durata di tre anni e scadrà quindi con l’ approvazione del bilancio 2020. Sempre ieri è stato nominato anche il nuovo consiglio di amministrazione che ha sostanzialmente confermato la composizione del precedente cda. Dark Polo Gang-La serie, esordio record su Timvision. Al suo esordio ha fatto segnare il record di visualizzazioni sulla piattaforma l’ ultima produzione di Timvision, Dark Polo Gang-La Serie, coprodotta con Oplon Film in associazione con Ringo Film. Il 42% dell’ audience della serie è composto da under 24 anni, il 63% è under 34. Il 40% delle visualizzazioni è avvenuto da mobile. Sabato 12 maggio la serie tv tornerà con tre nuovi episodi inediti, su un totale di 12, alla scoperta della vita della band. Arriva Malpensa24, focus online sull’ informazione locale. E’ in linea il nuovo giornale online Malpensa24. Si tratta di un’ iniziativa del Gruppo Iseni Editori, una srl della Fondazione Iseni y Nervi di Lonate Pozzolo (Varese), che si occuperà di informazione prevalentemente locale, interessando un vasto territorio del Basso Varesotto e dell’ Alto Milanese. A dirigere Malpensa24 è Vincenzo Coronetti, mentre l’ editore è Fabrizio Iseni, titolare di una clinica sempre a Lonate Pozzolo. Le Guide di Repubblica lanciano l’ app Trovitalia. Nasce Trovitalia, l’ app ideata da Le Guide di Repubblica, dirette da Giuseppe Cerasa, che rende dinamica e interattiva la scoperta 11 città italiane. Partendo dalle stazioni ferroviarie si potranno scoprire luoghi d’ arte, ristoranti e botteghe del gusto, centri benessere, negozi e artigiani accuratamente selezionati dalle Guide ai sapori e piaceri di Repubblica, di Roma, Milano, Torino, Napoli, Bari, Bologna, Firenze, Lecce, Napoli, Venezia e Verona. In più, offrirà la possibilità di conoscere gli eventi culturali e le mostre in corso, in promozione viaggiando con le Frecce di Trenitalia. L’ app, disponibile gratuitamente per sistemi iOS e Android, consentirà di iniziare la propria visita personalizzata dalle stazioni di Roma Termini, Milano Centrale, Torino Porta Nuova, Napoli Afragola, Bari Centrale, Bologna, Firenze Santa Maria Novella, Lecce, Napoli centrale, Venezia Santa Lucia e Verona. Tremila punti di interesse e oltre 200 itinerari ideati in base al tempo a disposizione per regalarsi occasioni uniche nelle principali città italiane, anche per brevi distanze.
Diritti tv, bocciata MediaPro
Italia Oggi
PAGINA A CURA DI CLAUDIO PLAZZOTTA
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Il calcio italiano, nelle aste per i diritti tv che si sono concluse, ha già portato a casa circa 200 milioni di euro in più a stagione dal 2018 al 2021. Che presto diventeranno 230. I conti sono presto fatti: nell’ autunno del 2017 l’ agenzia americana Img si è aggiudicata i diritti tv per l’ estero della Serie A, versando ai club italiani 370 milioni all’ anno, ovvero quasi il doppio rispetto al precedente triennio. Pochi giorni fa la Rai ha invece vinto l’ asta per i diritti italiani tv e radio di Coppa Italia e Supercoppa, impegnandosi per 35,5 milioni all’ anno, rispetto ai circa 22 milioni annui che spendeva tra il 2015 e il 2018. Siamo a quasi 200 milioni di euro in più all’ anno che entreranno nelle casse delle squadre di calcio di Serie A. Cui aggiungere, a breve, i soldi per i diritti tv esteri di Coppa Italia e Supercoppa, per i quali Infront e la Lega hanno avviato una trattativa privata. Nel precedente triennio 2015-2018 valevano 32 milioni all’ anno. E, tenuto conto del boom della Serie A all’ estero, si può ipotizzare di raggiungere 50-60 milioni all’ anno. Altri 30 milioni in più rispetto al passato, per un totale, quindi, di 230 milioni di euro aggiuntivi annui. Un bel gruzzolo integrativo che dovrebbe tenere buoni i presidenti dei club di Serie A. Conducendoli a più miti consigli nella vertenza dei diritti tv nazionali 2018-2021 del principale campionato italiano. E ricordando, peraltro, che il rialzo continuo nei prezzi delle aste per i diritti non è una certezza granitica. A febbraio 2018, infatti, i diritti 2019-2022 della Premier League inglese, ovvero il campionato di calcio più famoso al mondo, se li è aggiudicati ancora Sky, impegnandosi però a pagare 4,6 miliardi di sterline all’ anno, il 10,5% in meno rispetto al precedente triennio. La Lega Serie A, in maniera piuttosto clamorosa e dopo due aste annullate tra il 2017 e il 2018 per mancato raggiungimento dei minimi richiesti, aveva assegnato i diritti 2018-2021 agli intermediari finanziari spagnoli di MediaPro, per 1,050 miliardi all’ anno. Ma fin dall’ inizio era chiaro a tutti che gli spagnoli sarebbero stati interessati solo alla realizzazione e produzione di un canale della Lega, come già fanno in Spagna. L’ Antitrust italiano lo ha vietato, ma MediaPro, lo stesso, ha provato a forzare la mano confezionando un bando dove, in nuce, già si parlava di una sorta di canale realizzato e prodotto «chiavi in mano» da MediaPro per gli over the top. Dopo il ricorso di Sky, ieri il Tribunale di Milano ha annullato il bando MediaPro. Tutto da rifare. Nel frattempo, però, MediaPro e Sky Italia si sono parlati. Anche perché la Lega Serie A ha bisogno di certezze, e soprattutto di soldi, per mandare avanti il circo pallonaro. «La decisione del Tribunale di Milano», commenta Sky Italia, «ha confermato che era necessaria una verifica dell’ aderenza del bando di MediaPro alle leggi italiane, facendo chiarezza a beneficio di tutti i partecipanti e creando i presupposti per la definizione della procedura di assegnazione dei diritti 2018-21 della Serie A. Sky ribadisce di essere pronta come sempre a fare la sua parte con un’ importante offerta che possa dare certezza a tutti gli appassionati e allo stesso tempo garantire il futuro dei club e di tutto il sistema calcio». Con poco più di 800 milioni annui assicurati da Sky Italia e un centinaio di milioni da qualche società telefonica e di streaming, la partita si chiude, magari restando sotto la soglia degli 1,050 miliardi annui. Probabile, quindi, che si rifaccia presto un bando per raggiungere velocemente questi obiettivi, consentendo a MediaPro di versare a cuor leggero la fideiussione da 1,2 miliardi (applicando, magari, uno sconticino per non fare andare in perdita il gruppo spagnolo) i cui termini scadono il prossimo 22 maggio. E alla fine di questi giri di valzer, i club della Serie A di calcio, nel triennio 2018-2021, incasseranno in diritti tv comunque di più rispetto al periodo 2015-2018. Tutti contenti, palla al centro e via. Per il canale della Lega se ne riparlerà più avanti. © Riproduzione riservata.
Lettera e Media
Italia Oggi
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In riferimento all’ articolo «Tv, Sky Italia sulla vetta dei ricavi. Testa a testa Rai-Mediaset. Discovery cresce del 10%» pubblicato su ItaliaOggi del 9 maggio 2018 occorre una precisazione: i ricavi 2017 di La7 riportati nell’ articolo si riferiscono alla sola quota di competenza dell’ editore (euro 101,4 milioni) mentre a livello di gruppo, inclusivi quindi anche della quota di competenza della concessionaria, i ricavi lordi sono pari a euro 143,3 milioni (euro 150,2 nel 2016) Luigi Grasso, ufficio stampa La7.
Serie B, va deserta l’ asta da 60,5 milioni di euro
Italia Oggi
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L’ euforia dettata dai piani di MediaPro, con l’ annuncio della società spagnola di puntare al lancio di un canale della Lega Serie A e di un canale della Serie B di calcio, aveva probabilmente creato aspettative oltremodo ottimistiche da parte dei club cadetti per la costruzione del bando diritti tv 2018-2021. Un bando nel quale il pacchetto di esclusive delle partite di Serie B aveva un minimo d’ asta pari a 60,5 milioni di euro all’ anno. Una cifra quasi folle, se si pensa che fino alla stagione 2014-2015 la Serie B incassava sette milioni di euro all’ anno (due da Premium, cinque da Sky), e che nel triennio 2015-2018 aveva concesso l’ esclusiva assoluta a Sky per 14 milioni di euro all’ anno. E in effetti il bando è andato deserto, con lettere da parte di Sky, Mediaset, Discovery Italia e Perform che comunque si sono dette disponibili a partecipare alla trattativa privata che seguirà. E che partirà da basi minime molto inferiori. I soggetti interessati a partecipare alle trattative dovranno darne formale comunicazione rispondendo all’ invito della Lega B entro le ore 19 del 14 maggio 2018.
Pubblicità, il trimestre a +1%
Italia Oggi
MARCO LIVI
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Il mercato degli investimenti pubblicitari in Italia chiude il mese di marzo stabile a -0,2% (-2,9% senza search e social), portando il trimestre a +1,0%, rispetto allo stesso periodo del 2017. Se si esclude dalla raccolta web la stima Nielsen sul search e sul social, l’ andamento del trimestre registra un calo del -1,3%. «Il primo trimestre dell’ anno si chiude in crescita, seppur modesta, ma con un rallentamento rispetto all’ andamento del bimestre, com’ era prevedibile», ha spiegato Alberto Dal Sasso, ais managing director di Nielsen. «Contrariamente ai buoni dati di venduto della grande distribuzione a marzo (+7,5%), dovuti anche alla Pasqua, gli investimenti pubblicitari sono rimasti mediamente in stallo, anche se non su tutti i mezzi. Si tratta di una situazione complessa, caratterizzata da settori in grande spinta comunicativa e altri in drastica frenata: difficile trovare un “fil rouge” se non il parallelo con lo stallo politico, e di conseguenza economico, entro il quale le aziende si trovano ad operare». Relativamente ai singoli mezzi, la tv cala nel singolo mese del -2,7% e chiude il trimestre a -0,6%. Molto bene la Go Tv, che nel periodo segna un +33,2%. «Marzo è il secondo mese consecutivo con una crescita superiore al 30%; si conferma così la straordinaria accelerazione del trend di incremento di fatturato della Go Tv negli ultimi 12 mesi, che spicca per la sua grande vivacità in un mercato pubblicitario sostanzialmente stabile», ha commentato il presidente di Fcp-Assogotv Angelo Sajeva. «Ben il 30% dei clienti di marzo sono nuovi su questo media, appartenenti prioritariamente ai settori del tempo libero, distribuzione e cura persona; per la prima volta la Go Tv viene scelta anche dai brand dell’ e-commerce e dell’ intrattenimento nativi digitali a conferma della capacità del mezzo di stimolare la search, ma anche gli acquisti e i consumi online. La crescita della Go Tv è anche supportata dagli investimenti fatti dagli editori per pianificazioni con tutte le tecnologie digitali, che oggi permettono a clienti e centri media di pianificare con la massima flessibilità in reservation e in programmatic. A ciò si aggiunge la positiva esperienza fatta da diversi clienti che hanno utilizzato con risultato la Go Tv in estate, come key media per pianificazioni concentrate per la massima redemption nei mesi estivi e/o per rafforzare alcune aree o per accelerare la call to action nel periodo di massima motivazione (tipicamente brand del tempo libero, bevande, prodotti cura persona). Siamo fiduciosi di poter consolidare nei prossimi mesi questo trend in quanto, complice la bella stagione, aumenta il tempo trascorso fuori casa e quindi l’ opportunità di integrare le campagne televisive in particolare sui target dei millennials e delle responsabili d’ acquisto evolute e che lavorano; ma non solo, anche sui target degli adulti/giovani adulti in un anno in cui i Mondiali di calcio saranno senza l’ Italia». Sempre in negativo i quotidiani, che a marzo perdono il -10,1%, consolidando il periodo cumulato gennaio-marzo a -9,3%. Stesso andamento per i periodici, sia nel singolo mese che per il trimestre, con cali rispettivamente del -10,8% e -11%. La radio continua l’ andamento positivo e, grazie al +10% di marzo, porta a +7,1% l’ incremento del periodo gennaio-marzo. Sulla base delle stime realizzate da Nielsen, la raccolta dell’ intero universo del web advertising nel primo trimestre dell’ anno chiude in positivo a +7,7% (+2,5% se si escludono il search e il social). Il cinema è in crescita del 43,1%, così come il transit (+13,1%). Sostanzialmente stabile l’ outdoor a -0,4%. «Il cambio di marcia auspicato il mese scorso in vista della formazione di un nuovo governo può dirsi ancora disatteso», ha concluso Dal Sasso. «Si prospetta una situazione generale poco favorevole a una ripresa convinta del mercato, dovuta all’ incertezza politica tutt’ altro che superata, ancora oggi a più di due mesi dalle elezioni. Ogni previsione è inevitabilmente legata agli imminenti sviluppi e ai segnali del mercato a maggio, che per il primo semestre rappresenta storicamente il mese di picco per la raccolta pubblicitaria». © Riproduzione riservata.
Tv a -0,6%. Rai -2,7%, Mediaset -1,3%, Sky +1,6%, La7 +3,5%, Discovery +6%
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Gli investimenti pubblicitari sul mezzo televisivo restano piuttosto piatti in questo 2018, arretrando leggermente (-0,6% per 971,5 milioni) nel primo trimestre rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Conta molto il momento pre e post elettorale, con incertezze che tengono un po’ lontani gli investitori e le campagne pubblicitarie. L’ unico network che sembra trarre giovamento del dibattito politico è La7, che nei primi tre mesi marcia a +3,5% (40,4 mln di euro) e che migliora nettamente la sua performance rispetto a febbraio. Peraltro, secondo le stime dei vertici di La7, il frutto dell’ incremento di ascolti (attorno al +20% in prima serata) verrà raccolto commercialmente ancor di più nei prossimi mesi, con maggiori investimenti pubblicitari sulla rete di Urbano Cairo, che potrebbe chiudere il 2018 oltre i 150 milioni di euro lordi, dopo i 145 milioni del 2017 (101,4 mln al netto delle commissioni per la concessionaria). La miglior performance nel trimestre resta quella di Discovery, che sale del 6% con una raccolta pubblicitaria pari a 60,3 milioni di euro, ma che rallenta dopo la bella performance di febbraio, mese nel quale aveva staccato un +11,4% sul febbraio 2017. Positivo pure Sky, a +1,6% per 119,3 milioni, mentre i due big, Rai e Mediaset, arretrano. In peggioramento la tendenza Rai, che nel trimestre è a -2,7% (211,4 milioni), mentre il Biscione, che pure cala dell’ 1,3% (540 milioni), sta recuperando posizioni rispetto a febbraio. © Riproduzione riservata.
Rcs MediaGroup, utile per 6 milioni nel primo trimestre
Il Sole 24 Ore
R.Fi.
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Via libera del cda di Rcs MediaGroup ai risultati del primo trimestre 2018, periodo chiuso con un utile netto di 6 milioni di euro. È la prima volta dopo dieci anni, si legge in una nota, che il gruppo editoriale conclude in attivo il periodo gennaio-marzo. Il risultato si confronta con il passivo di 5,7 milioni di euro registrato nel primo trimestre 2017. Sul fronte dei ricavi Rcs si attesta a 216,3 milioni di euro (che calano a 207,9 milioni di euro al netto del recepimento della Ifrs 15). Escludendo dal confronto gli effetti derivanti dall’ adozione dei nuovi principi contabili (+8,4 milioni) ed eventi disomogenei «si evidenzierebbe, su base omogenea, un decremento complessivo dei ricavi di 4,2 milioni rispetto al primo trimestre 2017 (-2%)». Rcs MediaGroup, che conferma i target per l’ anno, considera «conseguibile nel 2018 una crescita del margine operativo lordo e dei flussi di cassa della gestione corrente rispetto all’ esercizio 2017, tale da consentire di ridurre l’ indebitamento finanziario a fine 2018 al di sotto di 200 milioni di euro» ma «l’ evoluzione della situazione generale dell’ economia e dei settori di riferimento potrebbe tuttavia condizionare il pieno raggiungimento di questi obiettivi». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Rcs, i 3 mesi in utile dopo 10 anni
Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Un trimestre finalmente in utile, a 6 milioni di euro, dopo 10 anni. Così si è concluso il primo periodo dell’ anno per Rcs Mediagroup che anche nell’ ultima riga del bilancio sta toccando con mano gli effetti della cura di Urbano Cairo. Il risultato dipende da diversi fattori: Rcs ha investito su nuovi prodotti, ma la situazione di mercato per diffusioni e raccolta pubblicitaria continua a essere difficile, perciò i ricavi non si sono mossi granché, anzi hanno subito un leggero calo. A beneficiare i margini sono stati soprattutto la riduzione dei costi operativi, più altri proventi non ricorrenti di Rcs Sport. Tutto questo, nonostante il primo trimestre, così come il terzo, ha spiegato la casa editrice, non sia particolarmente favorevole per i ricavi del gruppo, che hanno andamento stagionale. La generazione di cassa ha permesso di ridurre ancora il debito di oltre 28 milioni e le previsioni sono che scenda ulteriormente entro l’ anno al di sotto dei 200 milioni insieme con un margine operativo lordo ancora in crescita. Molto dipenderà, però, dalla situazione del mercato, difficile in Italia e Spagna per diffusioni e nella Penisola anche per la pubblicità. Analisti e Borsa hanno accolto bene i dati, con il titolo del gruppo che ha chiuso ieri in crescita dell’ 1,54% a 1,19 euro. Entrando nel dettaglio dei numeri, i ricavi consolidati da gennaio a marzo sono stati di 216,3 milioni di euro, con un calo del 2% sul primo trimestre dello scorso anno su base omogenea escludendo la cessazione di alcuni ricavi di raccolta per conto terzi e la differenza di principi contabili che sono cambiati nel frattempo. La raccolta pubblicitaria ha fruttato al gruppo 84 milioni, -1% anche in questo caso su base omogenea, mentre i ricavi editoriali, pari a 106 milioni, si sono ridotti di 5 milioni. Rcs segnala in particolare l’ incremento dell11% delle offerte digitali a pagamento del Corriere della Sera che raggiunge i 78 mila abbonati paganti tra digital edition e membership e sito mobile. Il margine operativo lordo migliora di 8,1 milioni (+67%) a 20,2 milioni, con costi che si sono ridotti del 5,5 milioni (2,9 in Italia e 2,6 milioni in Spagna) oltre agli effetti degli investimenti in contenuti e agli altri movimenti di cui si è detto. Il risultato operativo, 11,2 milioni contro il rosso di 600 mila euro dello scorso anno, è positivo nel trimestre per la prima volta dal 2008, mentre l’ utile netto come detto è di 6 milioni contro la perdita di 5,7 milioni del primo trimestre del 2017. L’ indebitamento, infine, è sceso a 259,2 milioni, -28,2 milioni rispetto al 31 dicembre. © Riproduzione riservata.
Rcs ritrova l’ utile nei tre mesi dopo 10 anni
Libero
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Rcs Mediagroup chiude il primo trimestre con un utile di 6 milioni di euro (-5,7 milioni nel primo trimestre 2017). È un risultato netto positivo nel trimestre per la prima volta dopo dieci anni, sottolinea la società in una nota. L’ Ebit è pari a 11,2 milioni di euro ed è positivo nel primo trimestre per la prima volta dal 2008, mentre era negativo per 0,6 milioni nel pari periodo 2017. Oltre al miglioramento dell’ Ebitda, contribuiscono al risultato operativo minori ammortamenti per 3,7 milioni. L’ Ebitda dei primi tre mesi 2018 registra un miglioramento di 8,1 milioni rispetto ai 12,1 milioni del primo trimestre 2017 (+67%), attestandosi a 20,2 milioni. I ricavi netti consolidati ammontano a 216,3 milioni. Su base omogenea i ricavi registrano una flessione del 2%. I ricavi pubblicitari scendono a 84 milioni, mentre quelli editoriali salgono a 106 milioni. L’ indebitamento finanziario netto si attesta a 259,2 milioni di euro (-28,2 milioni rispetto al 31 dicembre 2017), grazie al contributo di oltre 30 milioni dei flussi di cassa positivi della gestione. Rispetto al 31 marzo 2017, il miglioramento dell’ indebitamento finanziario netto è di oltre 108 milioni. «Il Gruppo conferma di considerare conseguibile nel 2018 una crescita del margine operativo lordo e dei flussi di cassa della gestione corrente rispetto all’ esercizio 2017, tale da consentire di ridurre l’ indebitamento finanziario a fine 2018 al di sotto di 200 milioni di euro» si legge in una nota nella quale si precisa che «l’ evoluzione della situazione generale dell’ economia e dei settori di riferimento potrebbe tuttavia condizionare il pieno raggiungimento di questi obiettivi». Ieri il titolo ha chiuso in rialzo dell’ 1,54% a 1,19 euro. Urbano Cairo
L'articolo Rassegna Stampa del 10/05/2018 proviene da Editoria.tv.