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Rassegna Stampa del 14/04/2018

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Tanti resteranno a casa «Andare in piazza è inutile»

Mediaset a ” populismo zero”, cade anche Giordano

Il Tg5 cambia volto, non anima «Così conquisteremo i giovani»

Da Vasco a Morricone mille artisti contro Sky: pagate i diritti d’ autore

Lorenzo Vitelli Libropolis (www.libropolis.

Chessidice

SPRECHE…RAI

Fare giornalismo significa conquistare la fiducia del lettore

Tanti resteranno a casa «Andare in piazza è inutile»

Il Mattino
Carlo Porcaro
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Non tutti risponderanno alla chiamata alle armi. C’ è un consistente pezzo di città che segue con attenzione le vicende legate al debito comunale, ma non intende prendere una posizione pro o contro l’ Amministrazione. E quindi oggi resta a casa o si dedica al tempo libero «Magari bastasse questo tipo di manifestazioni per cambiare davvero qualcosa in questa città», ammette con rassegnazione l’ editore Diego Guida rispetto alle due piazze di oggi, quella arancione al Municipio e quella delle opposizioni a piazza Trieste e Trento. La preoccupazione regna in maniera prepotente tra gli operatori commerciali che pure stanno beneficiando del boom turistico a Napoli. «Con le associazioni di categoria manca qualsiasi dialogo da parte del Comune premette sconsolato il presidente del Consorzio Toledo Spaccanapoli Rosario Ferrara -. Stiamo pagando tutti i tributi all’ ennesima potenza, quindi se non usciamo fuori da questa condizione disastrosa saremo costretti a ingessare tutte le attività ordinarie». I servizi pubblici, col peso del debito, rischiano seriamente di essere tagliati con conseguenze pesantissime. «Sappiamo che il debito è ereditato specifica il rappresentante dei commercianti del centro -, ma dobbiamo anche constatare un atteggiamento verso tutte le altre Istituzioni che ha portato ad un isolamento dell’ Amministrazione». In tanti sono allarmati per il presente e per il futuro, convinti però che scendere adesso a manifestare a sostegno del sindaco de Magistris oppure contro la giunta non modificherebbe lo status quo. La società civile e produttiva napoletana non vuole essere nuovamente incastrata in un clima da campagna elettorale. Il mondo sindacale, per esempio, sente di abbaiare alla luna. «Riteniamo la manifestazione indetta dal sindaco del tutto inutile perché non c’ è neanche un Governo nazionale con cui interloquire spiega Giovanni Sgambati, segretario regionale della Uil -. Allo stesso tempo ciò che ci interessa più di tutto non è assumere una posizione avversa a qualcuno, quanto prendere iniziative finalizzate a non aggravare ulteriormente la situazione di lavoratori e pensionati». Una terzietà non asettica, non impolitica. Certamente l’ attenzione richiesta a gran voce e con ogni mezzo, soprattutto social, dalla maggioranza arancione non ha scaldato i cuori di chi ha già motivi di delusione nei confronti di Palazzo S.Giacomo. «Non c’ è alcuna logica di scendere in qualsiasi piazza sentenzia a scanso di equivoci politici lo stesso Sgambati -. Si deve trovare una soluzione, c’ è ben poco da manifestare». Un invito al pragmatismo che passa inevitabilmente per il dialogo con le Istituzioni che stanno più in alto, ovvero Parlamento, Governo e Quirinale. Cauto anche Gianpiero Tipaldi, segretario generale della Cisl Napoli: «Sicuramente i cittadini sono stati danneggiati da questa sentenza della Corte dei Conti e non è giusto che paghi il Comune mette subito in chiaro -. Ma crediamo anche che non siano questi la forma e il metodo per portare avanti una vertenza in assenza di un nuovo Governo in carica. Appena si insedia il nuovo esecutivo, vanno attivati i percorsi istituzionali ed in quella sede affrontare il problema dice il numero uno del sindacato di via Medina provando a indicare una via d’ uscita al sindaco barricadero -. Come già sottolineato nei giorni scorsi con i colleghi di Cgil e Uil riteniamo indispensabile un intervento straordinario per la Città metropolitana di Napoli che affronti la complessità dei problemi in un’ ottica propositiva non assistenziale». Eccola affiorare la parola magica, legge speciale. Una norma ad hoc da molti terzisti rispetto a Dema e la variegata opposizione Pd-Lega-Fi viene vista come la possibile panacea, il compromesso che salverebbe la città nel suo insieme senza bandiere. «Credo che i debiti vadano pagati perché esiste la continuità amministrativa, ma penso anche che Roma ha avuto almeno due leggi speciali e si avvia ad avere la terza legge annulla debiti, Torino le Olimpiadi invernali ed una legge speciale per riuscire a realizzare le opere in tempo, Milano ha avuto l’ Expo commissario speciale e Human Technopole», dice il professore Edoardo Cosenza, presidente dell’ Ordine degli ingegneri di Napoli. «La capitale del Sud ha ben diritto ad una legge speciale che salvi il bilancio: poi se debba gestire il sindaco o un Commissario non saprei», conclude. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Mediaset a ” populismo zero”, cade anche Giordano

La Repubblica
EMANUELE LAURIA
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Qualcuno ha tirato nuovamente in ballo l’ editto bulgaro. Stavolta, a distanza di 16 anni dall’ allontanamento dalla Rai di Biagi, Luttazzi e Santoro, Silvio Berlusconi dispone un repulisti interno alla sua azienda e ridimensiona il ruolo in Mediaset di quei giornalisti che, con le loro trasmissioni di tono populista, avrebbero favorito l’ affer-mazione elettorale di Lega e 5 Stelle. Anche in vista di un eventuale ritorno alle urne. Il ridimensionamento riguarda le competenze di Paolo Del Debbio, la cui trasmissione ” Quinta colonna” si concluderà in anticipo, Mario Giordano, il direttore del Tg4 che non è più il curatore della striscia ” Stasera Italia” e Maurizio Belpietro, cui è stata tagliato il talk- show ” Dalla vostra parte”. Il sospetto – rilanciato con forza da fonti interne all’ azienda è che si tratti, appunto, di una resa dei conti post- voto, anche se ieri Mauro Crippa, direttore generale dell’ informazione di Mediaset, ha parlato di « semplici aggiustamenti editoriali e organizzativi su alcuni programmi » , smentendo « una rivoluzione antipopulista e scenari complottisti » . Con Giordano, dice Crippa, « c’ è un solido patto fiduciario » mentre per Belpietro ci saranno « nuovi progetti » . Il fatto è che la perdita di centralità politica ( e anche sportiva, se si considera l’ addio al Milan) del Cavaliere e le incertezze sul futuro di Mediaset inducono molti big del Biscione a pensare a un approdo su altre sponde professionali: Paolo Liguori, direttore TgCom, starebbe ad esempio valutando se andare al Corriere dello Sport. Anche in questo caso, Crippa frena: « Liguori è un patrimonio insostituibile: stiamo pensando per lui a un ruolo importante di tipo editoriale » . Clemente Mimum, direttore del Tg5, è corteggiato dalla Rai. Il tutto mentre si addensano pesanti nubi su Mediaset Premium, la cui ristrutturazione si è in pratica risolta in una cessione a Sky. La redazione (una quarantina di giornalisti) è in fibrillazione e avrebbe chiesto – rivelano alcune fonti – di essere assorbita in Rti il 31 maggio, minacciando uno sciopero in occasione dei Mondiali di calcio. Sarebbe una protesta senza precedenti, nella storia delle imprese che fanno capo alla famiglia Berlusconi. Il timore dei giornalisti è che i canali Premium possano essere spenti il 27 maggio, dopo la finale della Champions League. E che l’ intera redazione sia girata a Mediapro, nella prospettiva della realizzazione di una tv della Lega Calcio. L’ azienda, in un recente incontro con l’ organismo sindacale, ha usato toni rassicuranti, senza però formalizzare alcun impegno. Le ombre rimangono. © RIPRODUZIONE RISERVATA Le mosse del Biscione anche nell’ eventualità di un ritorno alle urne Il direttore generale Crippa smentisce gli “scenari complottisti”

Il Tg5 cambia volto, non anima «Così conquisteremo i giovani»

Il Giornale
FRANCESCO CRAMER
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Il Tg5 da lunedì cambia volto: grafica e studio nuovi, più moderni e piacevoli perché, come ci racconta il suo direttore Clemente Mimun, «a Mediaset non ci si accontenta mai e siamo sempre pronti a raccogliere stimoli nuovi». Tuttavia, dice sempre Mimun svelando un retroscena non da poco, «siamo I soliti, come la canzone di Vasco Rossi, nata peraltro durante una nostra chiacchierata di sette anni fa: eravamo entrambi piuttosto malconci, io ho rischiato pure la pelle per via di quell’ ictus… Ebbene: siamo i soliti, quelli delle illusioni, delle grandi passioni, e siamo liberi, liberi, liberi». Clemente Mimun il Tg5 l’ ha fondato nel 1992 assieme a Enrico Mentana, Lamberto Sposini, Emilio Carelli e Cristina Parodi e ora lo dirige con orgoglio dal 2007: «L’ anima resta quella ma ogni direttore ha dato del suo: Enrico era attentissimo alla cronaca, Carlo Rossella fu più attento alla politica internazionale e al costume; io ci ho messo più politica, più economia, più ambiente e attenzione ai diritti dei cittadini». Sembra un paradosso: alle urne vincono soprattutto i partiti dell’ anti politica ma la politica in tv continua a «tirare». «Sì, perché la gente vuole capire, vuole informarsi. Pensi che nella noiosissima campagna elettorale appena conclusa abbiamo guadagnato 300mila spettatori sia all’ edizione dell’ una sia a quella delle 20». Il direttore è soddisfatto ma non appagato: «Il nostro obiettivo? Conquistare sempre più giovani». Che è facile a dirsi ma difficile a farsi visto che oggi ci si informa sui pc, i tablet o l’ iphone. Ma Mimun non è certo uno che si scoraggia: «Ce la faremo perché qui è bello ed entusiasmante lavorarci: ho la piena fiducia e il sostegno di Pier Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri; e qui è il posto dove ho lavorato con maggiore libertà». La ricetta per attrarre i giovani? «Parlare dei giovani portando loro rispetto ed entrare nei loro problemi: studi, lavoro, emigrazione, rapporti coi social network. Oggi, per esempio, usciremo con uno speciale di un’ ora dove Vasco parla proprio dei giovani». Quindi l’ ammissione: «Molti dei loro problemi derivano dal fatto che la nostra generazione ha pensato troppo al carpe diem e poco al loro futuro». E anche lì, al Tg5, di ragazzi ce ne sono: «Bravissimi, bravissimi tutti. E mi piacerebbe che, una volta lasciata la crisi alle spalle, l’ azienda tornasse a investire e puntare proprio su di loro». Perché la ricetta del successo è sempre stata il mix di esperienza dei veterani e la grinta dell’ ultimo arrivato. Il direttore ci crede: è sempre stato così. E ricorda: «Quando partimmo nel 1992 fu Berlusconi in persona, con lungimiranza, a indicarci la via: Siate distanti dal Palazzo e vicino alla gente. Risultato: alla prima edizione del Tg battemmo l’ ammiraglia del Tg1 di Bruno Vespa». Già, il Palazzo: ogni elezione gira voce che Mimun sia destinato a Montecitorio o al Senato: «Mai caduto in tentazione – giura il direttore – A me il Palazzo piace raccontarlo, non starci dentro. Nel 2000 mi offrirono pure la presidenza della Rai, proposto da Pera e Casini. Rifiutai. Dei pennacchi non me ne è mai fregato un tubo». Mimun è così. E non è neppure quello ossessionato dallo scoop. Gli ricordiamo che fu lui a dirigere il primo faccia a faccia tra Berlusconi e Prodi nel 2006: il più visto della storia della tv italiana. «Può darsi… Con chi mi piacerebbe rifarlo? Berlusconi e Di Maio. Ma ho la sensazione che nessuno dei due accetterebbe».

Da Vasco a Morricone mille artisti contro Sky: pagate i diritti d’ autore

Il Giornale
Laura Rio
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Laura Rio Musica e cinema italiani alleati contro Sky. Mille artisti e autori, tra cui star come Vasco Rossi, Tiziano Ferro, Ennio Morricone, Gabriele Salvatores, hanno firmato un appello a difesa del diritto d’ autore chiedendo all’ emittente di Murdoch di pagare quanto dovuto per lo sfruttamento dei loro film e delle loro canzoni. Immaginate solo quanti brani passano per X Factor o quanti film vanno in onda sui canali satellitari e potete capire l’ importanza, anche economica, della questione. Si tratta di una vicenda in cui le due parti, il broadcaster e la società che da sempre gestisce i diritti d’ autore in Italia, si contrappongono da mesi, da quando è scaduto l’ ultimo contratto nel luglio 2017. Entrambi stando arroccati sulle proprie posizioni. Sky chiede che si elabori il nuovo accordo sulle basi delle regole del libero mercato (direttiva europea Barnier) e sostiene che Siae di fatto si comporti ancora da monopolista. Da parte sua la società afferma di rispettare le nuove regole e di operare solo in difesa dei diritti degli artisti italiani, tra l’ altro senza trarne profitti economici. Il fatto è che ora l’ appello dei mille autori rischia di diventare una valanga per la tv satellitare. Perché nomi così altisonanti che si sentono «insultati» vanno certamente a ledere l’ immagine dell’ emittente. «Gli autori italiani – si legge nell’ appello pubblicato su alcuni quotidiani – stanno assistendo sbalorditi ad un attacco contro i loro diritti. Da mesi Sky ha deciso di utilizzare i contenuti creativi frutto del nostro lavoro senza più corrispondere alcuna remunerazione per il loro sfruttamento, come invece prevede la legge sul diritto d’ autore e sull’ equo compenso. Non solo. Abbiamo appreso anche che questa emittente sta cercando di utilizzare un’ istruttoria contro la Siae, pendente da un anno presso l’ Antitrust, per cercare di dare una sorta di legittimazione al suo comportamento contrario al diritto d’ autore». L’ esito di questa istruttoria è uno dei nodi centrali della questione: l’ organismo sta valutando se Siae sia ancora in regime di monopolio e quindi non rispetti le nuove normative europee cui l’ Italia ha aderito. Un esito sfavorevole a Siae darebbe praticamente ragione a Sky che chiede di ridiscutere i termini del contratto e, in sostanza, di pagare di meno visto che la società non rappresenta più (alcuni artisti hanno fondato nuovi enti come Soundreef e Lea) tutti gli autori italiani o, comunque, si dovrebbe ragionare in un regime di libera concorrenza. Da parte sua Siae ribadisce di essere disponibili a sedersi al tavolo delle trattative sulla base delle nuove licenze, ma che sarebbe Sky a non volersi accomodare a quel tavolo. Risultato: finora la tv ha pagato in parte quanto dovuto, ma Siae ha rifiutato i pagamenti. Gli autori parlando chiaro: non vogliono essere ricompensati di meno rispetto al passato: «Se questa strategia dovesse passare – dicono – assisteremmo alla incredibile affermazione del paradosso per cui pagando meno autori ed editori si otterrebbe un aumento della produzione culturale. Un insulto per tutti coloro i quali hanno contribuito a portare l’ industria culturale al terzo posto nella nostra economia». A ribadire l’ appello sono intervenuti anche direttamente alcune star. Ennio Morricone e Nicola Piovani: «La proprietà di una poesia – dicono tra l’ altro – deve essere protetta come si protegge la proprietà di un bene materiale». Mogol: «La fine dell’ esclusiva o del monopolio per le società di gestione collettiva europee non è e non può essere un pretesto per cercare di ridurre arbitrariamente il Diritto d’ Autore». Si aggiunge anche Baglioni con un post su Facebook: «Colpire il diritto d’ autore indebolendo le realtà che lo tutelano – significa indebolire tutti gli artisti ma, soprattutto, i meno tutelati: i più giovani, gli esordienti e i meno celebrati, quelli, cioè, le cui idee non si sono ancora affermate o faticano a farlo». Insomma, la questione è tutta aperta. Si attende la prossima mossa di Sky. E la decisione dell’ Antistrust.

Lorenzo Vitelli Libropolis (www.libropolis.

Il Giornale
Lorenzo Vitelli
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Lorenzo Vitelli Libropolis (www.libropolis.org), è un festival dell’ editoria e del giornalismo, nato nel 2017 per volontà del Presidente dell’ associazione, Alessandro Mosti, e sostenuto dalla rivista online L’ Intellettuale Dissidente e dalla casa editrice GOG. La seconda edizione si terrà nuovamente al Chiostro di Sant’ Agostino di Pietrasanta dal 19 al 21 ottobre. Grazie al sostegno volontario dei tanti che in questo progetto hanno creduto fin dall’ inizio, Libropolis potrebbe raggiungere risultati ancora più importanti (2mila visitatori nella prima edizione) a dimostrazione che c’ è sempre più attenzione da parte del pubblico per il mondo della piccola editoria e dell’ informazione indipendente. Esistono tantissimi festival in Italia ma sono tutti profondamente autoreferenziali, ogni anno con gli stessi ospiti, gli stessi editori, che se la suonano e se la cantano: Libropolis è nato senza chiedere il permesso, con l’ obiettivo di spezzare questo meccanismo culturale e costruire una narrazione alternativa a quella ufficiale, celebrata dalla grande editoria, i grandi media e le testate tradizionali.Libropolis così diventa un modo per riappropriarci di una realtà sempre più mediata, monopolizzata da un’ industria delle fake-news, con l’ aiuto di un comitato scientifico composto da Marcello Foa, Alberto Bagnai, Marco Tarchi, Giovanni Lindo Ferretti, Alberto Negri che già sta lavorando alla prossima edizione, che vedrà ancora una volta riuniti per tre giorni intellettuali fuori dal coro, scrittori eclettici, autori emergenti, artisti indemoniati, editori scorretti. Ci vediamo a Pietrasanta.

Chessidice

Italia Oggi

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Mondadori, utile a riserva straordinaria. Mondadori destinerà l’ intero utile 2017, pari a 30,4 milioni di euro, a «riserva straordinaria, inclusa nella voce Altre riserve e risultati portati a nuovo, previa destinazione di euro 105.482,42 a riserva legale». Lo ha precisato ieri la stessa editrice. TimVision, film italiani a quattro mesi dall’ uscita in sala. È uno degli aspetti dell’ accordo tra la tv on demand di Tim e Vision Distribution (società di produttori indipendenti). L’ accordo prevede anche la co-produzione di film con altri player, oltre alla possibilità di distribuire i film co-prodotti da TimVision. Diritto d’ autore su Sky, lettera aperta di 1.000 autori per Siae. Sono oltre 1.000 i firmatari di Giù le mani dal diritto d’ autore, lettera aperta per difendere Siae, «il diritto del lavoro e la casa a cui hanno scelto di affidare la tutela delle opere». Gli autori denunciano il mancato rispetto del diritto d’ autore da parte di Sky, che da luglio 2017 rifiuta il rinnovo degli accordi di licenza in Italia, pur continuando ad utilizzare i repertori tutelati.

SPRECHE…RAI

Libero

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GIANLUCA VENEZIANI È lei che ha ideato un format, poi lo ha lasciato in un cassetto e alla fine lo ha ricomprato, con risorse pubbliche, da una società esterna, riproponendo la stessa idea e lo stesso contenuto? Sì, sono io. Se venisse intervistata da un presentatore de I soliti ignoti, Mamma Rai dovrebbe rispondere così. Ammettendo la responsabilità di avere partorito un programma innovativo – ed è una notizia nella tv pubblica – nel 1991, basato sul riconoscimento di identità grazie alla fisiognomica, di averlo tralasciato per diversi anni, e poi recuperato nel 2007, acquistandolo però da Endemol che nel frattempo lo aveva prodotto, e con successo, all’ estero. Da allora il programma tv, condotto prima dal compianto Fabrizio Frizzi (dal 2007 al 2012) e poi da Amadeus (dal 2017 in poi), ha avuto un grandissimo riscontro anche in Italia in termini di ascolti. Ma con un danno alle casse pubbliche, derivante dall’ acquisto da esterni. La stessa cosa che far crescere un talento di calcio nel proprio vivaio, poi venderlo a una squadra straniera e infine riprenderselo, ma pagandolo fior di quattrini. Ora è il Codacons ad aver fatto un esposto su questa pratica di produzione tv quantomeno ingenua, se non addirittura autolesionista. Rivolgendosi alla Corte dei Conti, all’ Anac, all’ Agcom e alla Commissione parlamentare di vigilanza Rai, l’ associazione dei consumatori chiede «la verifica dell’ eventuale sussistenza di responsabilità connesse alla violazione di disposizioni di legge che disciplinano la corretta gestione delle risorse pubbliche. Nello specifico viene posta in risalto la possibilità che la Rai utilizzi risorse proprie per il pagamento di format che in realtà sono di proprietà della Rai». Un esborso che, fa notare l’ associazione dei consumatori, non sarebbe limitato all’ acquisto dei diritti del programma, ma riguarderebbe la sua stessa produzione, sempre affidata a Endemol. Quando invece l’ idea originaria, figlia di autori Rai, sarebbe stata presentata già nel 1991 da Pippo Baudo che, nel corso del programma La vela d’ oro su Rai Tre, aveva illustrato le principali novità del palinsesto. Nello stesso esposto, il Codacons fa notare che anche un programma ora in onda su TV8, prodotto da Magnolia e condotto da Enrico Papi, Guess My Age – Indovina la mia età, in cui una coppia di concorrenti deve cercare di indovinare l’ età di sette persone mai viste prima, «non ha nulla di diverso rispetto all’ idea che la Rai aveva reso nota nel 1991». Nonostante sia stato tratto dall’ omonimo format francese creato dalla Vivendi Entertainment, sarebbe in un certo senso anche lui «figlio» del vecchio progetto Rai. I soliti ignoti, dunque, come tesoro che non solo non è stato sfruttato al momento giusto, ma poi è costato soldi alla tv di Stato e ha avvantaggiato, per certi versi, perfino la concorrenza. Come dilapidare un patrimonio creativo in un colpo solo Ricordando che la Corte dei Conti ha imposto reiteratamente, alla stessa tv di Stato, la «razionalizzazione e contenimento dei costi», la «riduzione dei costi della produzione», la «riduzione dei costi di gestione» e «l’ eliminazione di inefficienze e sprechi», il Codacons chiede di «essere sentito per fornire elementi di prova nonché di essere informato dell’ eventuale archiviazione del presente esposto». Magari, quando verrà chiamata a testimoniare, l’ associazione dei consumatori si sentirà chiedere dalla Corte dei Conti: «Siete voi che avete scoperchiato meritoriamente l’ ennesimo pastrocchio Rai?». E loro risponderanno in coro: «Sì, siamo noi…». riproduzione riservata Amadeus, conduttore de «I soliti ignoti» dal 2017.

Fare giornalismo significa conquistare la fiducia del lettore

Gazzetta del Sud
MICHELE CASSANO
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Michele Cassano PERUGIA «Il presidente americano Donald Trump, con i suoi tweet, è considerato una fonte di informazione affidabile da molti americani, più di tante testate rinomate. Eppure a lui non importa nulla della verifica. Allora perché succede questo? È terrificante sapere che le cose vadano così». Jay Rosen, professore associato all’ Istituto di Giornalismo Arthur L. Carter (New York University), uno dei leader del giornalismo partecipativo, ha parlato del tema “Fare giornalismo è conquistare la fiducia dei lettori” al Festival del Giornalismo di Perugia. Un argomento molto sentito dal settore, che tra fake news ed esplosione dell’ informazione faidate, è alla ricerca di modelli che consentano di creare un rapporto rinnovato e costruttivo con i lettori. Secondo Rosen, una parte consistente dell’ elettorato ha abbandonato i giornalisti, che non vengono considerati affidabili. Partendo dal modello vincente di The Corrispondent, piattaforma olandese con cui Rosen collabora, la chiave – secondo lo studioso – è quella di estendere questo sistema, che prevede una fidelizzazione dei membri, anche al giornalismo mainstream, creando una progressiva emancipazione dall’ inserzione pubblicitaria. Uno dei modelli è quello del New York Times che punta tutto sui propri abbonamenti, fidelizzando i lettori, facendoli sentire parte di una comunità e attirando i lettori casuali. Lo fa sfruttando due punti di forza: il proprio brand riconosciuto e il talento dei propri giornalisti. Rosen distingue però l’ abbonamento, che è il pagamento di una somma per avere un prodotto, dall’ iscrizione, che significa unirsi alla causa perché si crede nel lavoro della testata. Diventare membri è una reazione al cattivo giornalismo. La fiducia – secondo Rosen – va oltre il principio di credibilità, uno dei dogmi fondamentali della professione giornalistica; la fiducia permette di fidelizzare i propri lettori, e costruire con loro un prodotto migliore. Accanto alla verifica dell’ informazione, allora, ecco comparire la necessità di coinvolgere il pubblico, farlo riconoscere in ciò che legge, in qualche modo «seguire» quelli che sono i temi e i problemi dibattuti dalla società. «Nel mondo dell’ editoria – sottolinea Rosen – la parte difficile non è restare negli affari, ma rimanere nel giornalismo. Il che significa accettarne i vincoli. Porsi delle domande: è successo davvero? Il pubblico ha bisogno di saperlo?». Avere sponsor può in teoria minare la credibilità di un’ azienda, ma «è anche vero che si possono educare gli sponsor, mettere in chiaro che il loro rapporto con la testata non li renderà immuni da critiche». Quanto al tema della sostenibilità delle imprese editoriali, Rosen non ha una ricetta definitiva: la chiave – dice in conclusione – è in un mix di ricavi da più fonti.

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