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In fila per l’ omaggio a Gillo Dorfles «Era un padre generoso con tutti»
Salone del Libro di Torino, due milioni di debiti in più. E il marchio si svaluta ancora
Il metodo della Signora: correggere allo sfinimento
«Scrivo con i nervi a pezzi e parlo a un fantasma»
La legge digitale Oggi si paga facendo regali
«Basta girare film solo per casa nostra»
Web o librerie Senti chi vince
“Torino non può rischiare di sprecare l’ occasione Adesso serve un accordo”
In fila per l’ omaggio a Gillo Dorfles «Era un padre generoso con tutti»
Corriere della Sera
PIERLUIGI PANZA
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È stato ininterrotto il saluto dei milanesi e del mondo della cultura al critico d’ arte Gillo Dorfles, scomparso a 107 anni. Per tutta la giornata è stata una sfilata di persone commosse alla camera ardente a Cormano, rimasta aperta fino alle 18. A ricevere le condoglian-ze il nipote di questo «sciamano» delle arti contemporanee, Piero Dorfles, giornalista e critico lettera-rio, da anni al timone del program-ma di Rai Tre «Per un pugno di libri». «Nell’ ultimo anno lo vedevo quasi ogni giorno, avevamo un rapporto di amicizia e stima recipro-ca» ha raccontato Luigi Sansone, che negli ultimi anni ha curato i suoi libri. «Aveva un senso dell’ humor molto forte, faceva sempre battute inaspettate. Negli ultimi giorni era consapevole, sapeva che stava per andarsene, mi stringeva la mano forte. Il suo più grande rammarico era di non riuscire più a leggere libri». Commosso l’ allievo e critico di design Aldo Colonetti. Per Luciano Caramel, docente di Estetica alla Cattolica, Dorfles «era come un padre, generoso con tutti». Nel pomeriggio anche l’ omaggio dell’ as-sessore alla Cultura di Milano, Filip-po Del Corno. I funerali domani nella Chiesa di San Leonardo a Lajatico (Pi) alle ore 15 e 30. Con Lajatico il critico e artista aveva un rapporto speciale. Qui soggiornava in estate e nel 2011 fu nominato assessore onorario alla Cultura.
Salone del Libro di Torino, due milioni di debiti in più. E il marchio si svaluta ancora
Il Fatto Quotidiano
Massimo Novelli
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Uno spettro si aggira, poco marxianamente, per Torino. È quello dei debiti, stimati in 8 e rotti milioni di euro, della Fondazione per il Libro, che fino allo scorso anno, prima di essere messa in liquidazione, aveva organizzato il Salone del Libro. Nata nel 1994, la Fondazione vedeva sedere nell’ assemblea dei soci fondatori i rappresentanti del Comune di Torino, della Città Metropolitana, della Regione Piemonte, del ministero dei Beni Culturali, del ministero dell’ Istruzione (poi defilatosi) e di Intesa Sanpaolo. Lo spettro dei conti in rosso non è una novità. Tuttavia, secondo quanto trapela all’ interno dello staff dirigenziale della kermesse del Lingotto, il passivo si aggirerebbe ora sugli 8 milioni di euro. Circa un paio di milioni in più, insomma, rispetto al passivo di 6 milioni che era emerso alla fine del 2017. Un bilancio disastroso, dunque, determinato dalle esposizioni con le banche, almeno 3,3 milioni, che avevano anticipato i fondi all’ ente organizzatore di Librolandia, e poi dai 2,8 milioni da pagare ai fornitori delle ultime edizioni del Salone del Libro. Se si aggiungono, però, gli effetti sul bilancio derivanti dalle perdite del 2017, dalla individuazione di nuovi debiti con i fornitori e soprattutto dalla drastica riduzione del valore effettivo del marchio del Salone, allora, si può arrivare tranquillamente a toccare gli 8 milioni, e forse di più. E proprio di 8 milioni parlava qualche giorno fa un dirigente del Salone, conversando con alcuni addetti ai lavori alla Mole Antonelliana, durante la presentazione della fiera di quest’ anno. Ad avere aggravato i conti, in ogni caso, è stata anche la questione del marchio. In base alla perizia che era stata commissionata a Icm Advisor nel 2009 da Rolando Picchioni, per quindici anni alla guida di Librolandia, valeva quasi 2 milioni di euro. Uscito di scena Picchioni, la valutazione è stata riesaminata di recente dallo Studio Jacobacci & Partners, che lo ha ridotto di dieci volte, attestandolo fra i 160 mila e i 200 mila euro. Provocando così una nuova voragine nei conti dell’ ente. Accantonato oltre due anni fa dal vertice della manifestazione, e indagato, con una trentina di persone, dalla Procura torinese che cerca di fare chiarezza sui presunti falsi in bilancio del Salone, Picchioni non nasconde l’ amarezza e avanza qualche sospetto. “Evidentemente”, dice, “si vuole affossare il Salone. Mi domando come sia stato possibile che il marchio sia passato da una valutazione di due milioni a quella attuale di 200 mila ero. Chi ha voluto tutto ciò? In giro per Torino se ne sentono tante, non so che cosa pensare. Si mormora, per esempio, che qualcuno abbia deciso di fare svalutare il marchio per prendersi il Salone quasi a costo zero”. Quel marchio, aggiunge l’ ex timoniere della fiera libraria, “per cui GL Events, la società francese proprietaria del Lingotto, nel 2014 era disposta a versare 300 mila euro per acquisirne una quota del 20-25 per cento”. Ironia della sorte, ma non troppo, GL Events è tra i maggiori creditori della vecchia Fondazione, con 900 mila euro. Con quali fondi il liquidatore della Fondazione per il Libro potrà pagare i debiti? La sola speranza è che gli stessi soci fondatori, come Comune, Regione e ministeri, aprano i proverbiali cordoni della borsa, ovvero rispettino gli impegni. Nel bilancio della defunta (o quasi) Fondazione per il Libro, infatti, sono inseriti crediti attivi per oltre 5 milioni di euro. Tra questi ci sono 4,5 milioni, che dovrebbero arrivare dalla Regione Piemonte (con 1,7 milioni), dal Comune di Torino (1,5 milioni), dal ministero dell’ Istruzione (300 mila euro), dalle fondazioni bancarie e da altri soggetti. Perché il paradosso di questo pasticciaccio brutto subalpino, come faceva notare Ernesto Ferrero, a lungo direttore culturale del Salone, è che “i crediti della politica sono ancora ben al di là da essere pagati, e mi chiedo dove fossero, se non seduti al nostro tavolo, i rappresentanti di Comune e Regione”.
Il metodo della Signora: correggere allo sfinimento
Il Giornale
Alessandro Gnocchi
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I l luogo comune vuole che Oriana Fallaci avesse un brutto carattere del quale avrebbero fatto le spese i suoi collaboratori. Falso. Era molto peggio. La dedizione di Oriana verso i propri scritti, senza distinzione di genere, era assoluta. Era pronta a ogni sacrificio per trovare le parolegiuste, anche alla fine dei suoi giorni, quando ci vedeva male ed era tormentata da forti dolori alle ossa. Ai collaboratori chiedeva identica abnegazione. Per questo sono particolarmente rivelatrici le tre lettere di Oriana Fallaci incluse in Si dà il caso invece che io sia davvero uno scrittore. Lettere a Sergio Pautasso (De Piante Editore). Pautasso, direttore editoriale della Rizzoli, eseguì il lavoro di editing sul romanzoUn uomonel quale Oriana raccontava la sua storia d’amore, politica e letteratura con Alekos Panagulis. Pautasso è alternativamente confessore e parafulmine delle sfuriate della Signora che pare insoddisfatta del trattamento ricevuto in casa editrice, dove si ostinano a considerarla una giornalista: «Si dà il caso invece che io sia davvero uno scrittore, irrimediabilmente uno scrittore. Prestato, solo prestato al giornalismo. E come tale, intenda essere trattata soprattutto da chi mi pubblica». La Fallaci era dunque un bulldozer. Lo so per esperienza diretta. Negli ultimi anni, la Fallaci era amareggiata per il trattamento riservatole dalCorriere della Sera. Si sentiva tollerata solo in virtù del successo. Per questo riallacciò i rapporti con Vittorio Feltri, direttore di Libero. Concordarono un primo torrenziale articolo ceduto a titolo gratuito da Oriana. La cosa andò bene. Libero superò per la prima volta le 100mila copie vendute. La Signora era soddisfatta. L’esperimento fu ripetuto alcune volte. Io avevo la responsabilità di seguire tutte le fasi del lavoro e di far arrivare l’articolone (spesso di tre-quattro pagine con partenza in prima) in edicola. Per lavorare con la Fallaci era necessaria una pazienza sovrumana. Innanzi tutto le sedute interminabili di composizione e correzione del testo avvenivano per telefono. La Signora era a New York. Io a Milano. C’era dunque il problema del fuso orario. Una volta, dopo una giornata devastante di correzioni e correzioni delle correzioni, tornai a casa distrutto. Mi buttai sul divano con una bottiglia di spumante, deciso a scolarmela e sprofondare nel sonno. Il telefono squillò. Credendo fosse mia moglie, che non era in città, sollevai la cornetta. Era la Fallaci. Oriana: «Gnocchi che ore sono lì da voi?» Io: «Mezzanotte». Oriana: «Bene, allora ci si ha tre ore buone di lavoro». Io: «…» Presi le bozze e ricominciammo. La Fallaci componeva il testo. Poi correggeva e ricorreggeva. Quando le sembrava che fosse a posto, lo leggeva ad alta voce. Se era soddisfatta del risultato, si limitava a qualche ulteriore ritocco fino all’istante prima di mandare il giornale in tipografia. Se non era soddisfatta… si ricominciava da capo. La Signora voleva vedere tutto. Nessun dettaglio era indegno della sua attenzione. Per questo inviavo ogni sera l’impaginato corretto all’ufficio della Rizzoli di New York non prima di averlo buffamente camuffato. Infatti la Rizzoli, casa editrice della Signora, era all’oscuro di questi lavori e probabilmente avrebbe potuto opporsi. Ma non lo fece. In quel momento, la Fallaci era il Re Mida dell’editoria. Cosa posso dire? Era un lavoro a rischio di esaurimento nervoso ma ringrazio sempre di aver avuto la possibilità di svolgerlo. Fu una lezione assistere alla tenacia della Signora, che era gravemente malata ma non si lasciava piegare dal dolore. Ciò che scriveva era la sua vita. Quindi lo onoravafino infondo,mostrandomi cosa sia il rispetto verso se stessi e il proprio lavoro.
«Scrivo con i nervi a pezzi e parlo a un fantasma»
Il Giornale
O.Fallaci
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Per gentile concessione dell’editore De Piante, da Si dà il caso invece che io sia davvero uno scrittorepubblichiamo una delle trelettere inedite di Oriana Fallaci indirizzate a Sergio Pautasso, direttore editoriale della Rizzoli, durante la lavorazione del romanzo Un uomo, negli anni ’70. Il libro rievoca la figura di Alekos Panagulis, intellettuale e politico rivoluzionario durante la dittatura dei colonnelli greci. Panagulis fu compagno della Fallaci dal 1973 al ’76, anno in cui morì in un misterioso incidente stradale. C aro Sergio, stamani mi sono svegliata con una girandola di pensieri in testa e avrei voluto parlarti con calma. Mi ha dato come un’angoscia vederti scappare via. Sento dunque il bisogno di scriverti ciò che ti avrei detto se avessimo avuto ancora mezza giornata a disposizione: 1) Ti ho sentito stavolta, più perplesso. Come più scontento. Quasi che le centoventi pagine lette ieri ti fossero piaciute meno o qualcosa del genere: ebbene, lo zio Bruno (Bruno Fallaci, famoso giornalista, ndr) diceva che le cose in fieri non dovrebbero mai essere mostrate. E aveva ragione. «A te io leggo via via solo perché mi sei compagno in questa impresa e un compagno molto indispensabile. Ho bisogno di un interlocutore, di un consigliere, quando scrivo. È una mia debolezza. Prima avevo lo zio Bruno. Poi avevo Alekos». La prefazione di Intervista con la Storia la discussi molto con Alekos. E non sai quanto abbia discusso con lui Lettera a un Bambino Mai Nato. Non ho mai nascosto che molte battute fossero sue. Non solo quella che chiude il libro. Il tuo ruolo qui, è diverso. È quello di una radio di bordo per tenere la rotta. Ma è un ruolo terribile perché, se la radio tace, il navigatore solitario rischia di perdersi. E se la radio è scontenta del navigatore, altrettanto. In altre parole, tu non devi allarmarti per i miei errori di rotta o le mie incompletezze o incertezze nel pilotare la barca, soprattutto quando il mare si mette in tempesta. Tu sai meglio di me che questo libro è una delle cose più difficili cui uno scrittore potesse accingersi. Lo è non solo per la complessità del personaggio che racconto ma perché questo personaggio non lo guardo con distacco, è la creatura che ho amato di più nella mia vita e che è morta appena quattro mesi fa. Lo è per il conflitto che nasce tra fantasia e realtà, bisogno di inventare e dovere di rispettare la verità, scelta tra ciò che posso e non posso dire. Ho spesso le mani legate dal timore di fargli torto, allo stesso tempo dal timore di abbandonarmi a un’agiografia. E tali scogli superano di gran lunga gli scogli tecnici. 2) Questa impasse psicologica nella quale mi trovo non ha radici solo nella stanchezza fisica che mi ha travolta: scrivere senza sosta per mesi, col dolore addosso, a volte le crisi di lacrime, e l’occhio all’orologio per fare presto, è cosa inumana. Distruggerebbe chiunque. Tantomeno, tale impasse dipende da una mancanza di ispirazione bensì, come ti ho detto mentre l’auto si metteva in moto al cancello, mancanza di informazione. Cioè, paura di tradire Alekos. Io so di poter fare una cosa molto bella, non solo importante, non solo intelligente. Lo so. Le ragioni per cui non ho mai scritto nulla di veramente bello, a parte Lettera a un bambino mai nato che è discreta, sono che non ho mai potuto dedicarmi in pace alla stesura di un libro. Ho sempre pubblicato libri scribacchiandoli tra viaggi ed articoli. Solo per la Lettera mi presi un po’ di tempo e il risultato fu subito buono, ma per scrivere una cosa bella, devo aver tempo. E devo essere incoraggiata sempre, mai impaurita. Tu, senza volerlo, senza saperlo stavolta mi hai un pochino impaurita. Non hai detto nulla, no, ma hoavvertito il profumo di un malcontento. Forse mi sbaglio, forse sono così inquieta che vedo fantasmi. E così ti sbalordisco a fare una simile osservazione. Ma, io ecco, io ho bisogno di credere che ciò che sto scrivendo è già bello: anche se ancora non lo è. Sennò vengo colta dal panico. Il panico mi coglie facilmente perché ho i nervi a pezzi. Per tutte le cose che sai: quasi a pari merito, il dolore e la mia situazione familiare. Da tre mesi e mezzo sono ferma a questo tavolino, quassù in cima a un monte, senza dialogare con nessuno fuorché con me stessa e il fantasma di un morto: così vivo in ogni oggetto e in sortilegi che non sempre riesco ad attribuire al caso o alla fantasia. Pensa a quella diabolica pianta di basilico che ha messo le radici e ti ha fatto rabbrividire. Vi sono notti in cui impazzisco a guardarla e vivo nel terrore che muoia. A tal punto ho i nervi a pezzi. Tu in questi mesi sei stato il mio solo interlocutore con scappate eroiche da parte tua e generosissime, ma per me troppo brevi. E la concentrazione solitaria va bene ma, portata all’eccesso, si trasforma in aridità. Mi sono accorta che dopo aver parlato con qualcuno mi rimetto al lavoro più speditamente, con più idee e più coraggio. 3) Ora di cosa ho bisogno da te a parte l’aiuto che mi hai dato e mi dai, cioè quello dell’amico letterato e del complice? Ho bisogno che tu mi tolga l’assillo del tempo nei riguardi della Rizzoli. È questo il terzo motivo della mia angoscia. Io ho chiesto qualche mese. Ma sappiamo bene io e te che in sei mesi posso, al massimo, e continuando di questo ritmo, concludere una prima stesura su cui poi lavorare. E quindi, verso maggio o prima, io risolverò il mio problema salariale con la Rizzoli e il mio rapporto con L’Europeo. Poi Angelo (Rizzoli, ndr) crede che torni subito a fare del giornalismo. E devo farglielo credere. Ma non sarà così, o sul momento non credo. E ciò che mi preoccupa non è tanto un problema di stipendi ma di appoggio alla casa editrice attraverso il mio ufficio di New York e di Roma con relative segretarie. Sono, quelli, punti di appoggio indispensabili anche al lavoro del libro. Se taglio quei ponti col mondo, mi trovo come un marinaio che ha la radio di bordo ma non la bussola. Ho bisogno di quei due uffici, di quelle che in americano si chiamano facilities. Ebbene: i Rizzoli non amano la letteratura. Si sa. Non ne hanno rispetto alcuno, non gliene importa niente. Amano i giornali e basta, poi il cinema. Angelo non ha capito nulla di questo libro e non tanto perché gli ho accuratamente taciuto di cosa si tratta, gli ho parlato di un romanzo e basta, quanto perché vi ha visto un altro bestseller e basta. Lui non intuisce nemmeno che non si scrive un libro buono con l’idea di fare un best-seller. Anzi quando si scrive con l’idea di fare un best-seller, il risultato può solo essere cattivo. Bisogna che questi editori, quindi, comprendano di trovarsi dinanzi a un caso del tutto eccezionale, e che non mi tolgano le facilities delle quali dispongo, cui sono abituata, che mi sono oggi più necessarie di sempre. Ma come, se capiscono solo un linguaggio gretto, economico? Chiaro: usando il loro linguaggio. Ed ecco ciò che ti chiedo. Ti chiedo di fare il politico, se vuoi un po’ il bugiardo. Ti chiedo di fare un po’ di recita. Ti chiedo di vedere subito Angelo, o anche gli altri editori, vedi tu, con udienza urgente e drammatica. E poi dirgli che hai letto i nuovi capitoli, fino a 210 pagine, e di essere traboccante di entusiasmo, oh! ah! uh!, e anche preoccupato. Perché hai scoperto che non solo questo meravigliosissimo libro è un libro, è anche un film. Oddio che film, che film. E per nessuna ragione al mondo bisogna perderci questo libro e questo film, che sciagura sarebbe, che disastro mioddio, e tu hai tanta paura ma tanta che io mi senta incompresa e per dispetto me ne vada e dia il libro a qualcun altro. Oriana Fallaci
La legge digitale Oggi si paga facendo regali
Il Giornale
N.Porro
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N el libro di Walter Siti, Pagare o non pagare, ci sono un po’ dei luoghi comuni dell’economia che piace ai romantici del conflitto di classe. Non ci sono più i proletari, ma le piccole imprese in perenne lotta con le grandi, non ci sono più le multinazionali cattive e sfruttatrici, ma i costi che non vengono computati direttamente nel prodotto ceduto. Non è per questa parte che vi consiglio di acquistare il bel libretto di un romanziere che ogni tanto viene affascinato dalla lugubre economia. Siti ha una grande sensibilità di scrittore: diventa utile per interpretare meglio la rivoluzione digitale in cui siamo immersi. Coglie alcuni aspetti che abbiamo tutti sotto gli occhi, ma che, come il tradimento più manifesto, sono noti a tutti, tranne che all’interessato, cioè infine a noi. Rispetto a una vecchia generazione che ha conosciuto il «piacere di pagare», il quale definiva l’identità stessa di una persona, per i nativi digitali sono mutati i parametri mentali: pagare (ed essere pagati) è diventato più aleatorio, lavorare per comprare è più una teoria che un fatto, comprare e lavorare sono diventati due termini più equivoci, aggiungiamo noi. L’aspetto forse più interessante è il quadro generale: cediamo gratis la nostra anima di consumatori, come regaliamo la nostra creatività fornendo contenuti filmati a YouTube o diventando recensori per Amazon. Sostituiamo gli operatori delle compagnie aeree (che licenziano i loro dipendenti in esubero) ogni volta che facciamo il nostro check-in online, ma anche se alla fine decidiamo di non partire abbiamo comunque fornito informazioni sulle nostre preferenze turistiche o abitudini lavorative. Manna anche questa per i giganti delle banche dati. E ancora, siamo cavie linguistiche per Google, che usa le nostre frasi per migliorare l’efficienza del proprio traduttore automatico e sviluppare le proprie ricerche sull’intelligenza artificiale (fino a proporsi come nostro «assistente alla conversazione» e a decidere per noi che cosa ci interessa); le bambole e i robottini parlanti che fanno la gioia dei bimbi imparano a parlare ascoltando i bimbi stessi; i medici possono avere software gratuiti se li scambiano con le schede anonime dei loro pazienti, che fanno gola alle multinazionali del farmaco. Nell’ambito del futuribile si cercano tante vie di uscita, come l’idea (assurda) di tassare i robot o di detrarre dai profitti dei giganti digitali i «costi sociali» del loro intervento nei vari Paesi (ivi comprese le responsabilità penali derivanti dalla sedicente neutralità dei loro algoritmi). Non c’è una soluzione semplice. C’è una rivoluzione che, tra le altre cose, ha decisamente cambiato il modello del pagare o non pagare. Sono altre le forme di pagamento, come altre sono le forme di «sfruttamento». È chiaro che non possiamo arrestare questo processo, come sono altrettanto evidenti i benefici che potenzialmente regalerà (si regalerà) all’umanità. Quello di Siti è un sapore amaro. Il nostro meno. Ma non possiamo fare a meno di dare uno sguardo allo scatto del grande romanziere.
«Basta girare film solo per casa nostra»
Il Messaggero
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L’ INTERVISTA «L’ onestà? Si può ancora tentare. Anche perché se tutti la esercitassero, chiunque di noi starebbe meglio». Liliana Cavani, 85 anni, regista, ha raccontato con i documentari la storia d’ Italia, riconoscendo a figure dimenticate come le donne partigiane un ruolo decisivo. Ha diretto Marcello Mastroianni o Claudia Cardinale, John Malkovich o Charlotte Rampling, Mickey Rourke o Dominique Sanda, trasformando personaggi scomodi, come il Portiere di notte o San Francesco, in simboli della cinematografia internazionale. Ha detto la sua sulle eroine della lirica, proponendo a melomani di tutto il mondo le sue interpretazioni di Traviata o Manon Lescaut. Due anni fa ha firmato la sua prima regia teatrale, Filumena Marturano, affrontando, per il debutto, un testo sacro di Eduardo. E ora si concede un bis con Il piacere dell’ onestà di Pirandello, in scena dal 13 al 21 marzo al Teatro della Pergola a Firenze e dal 3 al 22 aprile al Teatro Quirino di Roma, con Geppy Gleijeses e Vanessa Gravina. Gleijeses nei panni di Angelo Baldovino è un fallito, di scarsa moralità, che accetta la proposta di sposare Agata (Gravina) messa incinta da un marchese che non può sposarla perché già ammogliato. A sorpresa, Angelo dimostrerà un rigido rigore morale che metterà tutti in soggezione e difficoltà. «Con Pirandello non è stato un colpo di fulmine», ammette Liliana Cavani, «il testo non mi sembrava eccitante. Probabilmente era un pregiudizio dovuto alla mia ignoranza. Alla terza lettura e poi alle prime prove con gli attori, finalmente mi sono appassionata». Ignoranza? «Ho fatto studi classici, una laurea in Lettere antiche, un diploma al Centro sperimentale di Cinematografia. Poi mi sono dedicata subito alla storia, documentari in tv, per la Rai, e tanto cinema. Mia mamma mi portava a vedere i film che allora facevano discutere. Con i compagni del liceo aprimmo un cineclub per portare a Carpi, la mia città, Bergman, Bresson. Pirandello, insomma, non lo avevo mai frequentato. Sì, avevo visto un paio di spettacoli. Ma senza scaldarmi troppo. Il cuore e la testa li ho sempre orientati verso le tragedie, o le commedie, della letteratura greca. Forse, meglio così. Perché è stata una scoperta emozionante, anzi esaltante. Al primo incontro a tavolino, mi sono quasi annoiata. Poi, con gli attori, il testo ha preso vita. E tra pochi giorni debuttiamo, con grande entusiasmo». Che cosa ha fatto scattare il clic? «L’ attualità del testo. L’ idea che il protagonista faccia dell’ onestà un’ esperienza: prova a interpretare la virtù dell’ onestà. Provocando quasi uno scandalo e diventando lui stesso una specie di matto. Da questo esperimento scaturisce un’ avventura sociale. Sembra una cronaca dei nostri giorni. Angelo Baldovino rompe le regole borghesi e si diverte, con il suo piacere dell’ onestà, a mettere tutti in ridicolo». Prima di Pirandello lei ha diretto un capolavoro di Eduardo, Filumena Marturano, che in modo diverso affronta il tema del riconoscimento dei figli: anche questo argomento è attuale? «L’ apparire e l’ essere è un tormento di tutti, sempre. Oggi le famiglie sono cambiate, ma neanche troppo. Dipende dal livello culturale dei genitori. Eduardo era lungimirante e precursore. Io ho avuto il piacere di conoscerlo». È soddisfatta di questi nuovi traguardi teatrali? «Non mi viene mai di fare certe riflessioni. Bilanci, no, per carità. Mi vedo ancora come la ragazzina che correva dietro il treno da Carpi verso Modena per arrivare in tempo sui banchi. Gli esami non devono finire mai. Sono ancora sotto esame con Pirandello. E poi mi rimetto a lavorare a una sceneggiatura». Un nuovo film, a quindici anni da Il gioco di Ripley: come mai è passato così tanto tempo? «Ho fatto film, sempre, ma per la televisione. De Gasperi, Einstein, Mai per amore, quattro episodi sulla violenza contro le donne, e poi il mio terzo Francesco. Questa nuova sceneggiatura dovrebbe essere per il grande schermo. Ma io non ho mai sentito una grande differenza. All’ estero i registi e i produttori lavorano guardando al risultato, a prescindere dal mezzo. Ma in Italia, ormai, siamo quasi fuori dal mercato internazionale. Ed è una gran tristezza». Lei ha sempre ribadito che il Governo dovrebbe considerare e trattare la cultura come un’ industria. «In Italia siamo soprattutto clienti. E mai produttori. Bisognerebbe invece studiare un sistema che affronti il mercato. Non bisogna mica vergognarsi di pronunciare la parola mercato. E non si può continuare a fare cinema soltanto per casa nostra. Dovremmo volgere lo sguardo oltre confine. Invece, sosteniamo la nascita di opere prime per poi abbandonarle nel percorso più difficile. Così danneggiamo l’ intero settore. Tecnici e artigiani compresi, che sono tra i più bravi al mondo». Le viene mai da immaginare che se non fosse diventata regista, forse avrebbe fatto…? «No. Non lo immagino. Sono ancora alle prese con questa vita che non mi viene di sognarne un’ altra. Non sappiamo dove andremo, che cosa diventeremo. Preferisco concentrarmi su tutte le cose che devo fare». Tra i programmi c’ è un quarto Francesco? «No. Ma mi ha lasciato dentro la profondità della parola fratelli. Oggi andrebbe applicata a tutti quelli che stanno peggio di noi, ma che sono nostri fratelli. Comunque, non è in programma un quarto film sul Santo. Sto mettendo la testa su una regia lirica. Alì Babà di Cherubini, a settembre prossimo alla Scala». L’ opera è una sua passione da sempre? «Da sempre. La produzione lirica italiana è un vanto. Bella, importante, quanto quella tedesca. Musica meravigliosa che trasmette grandi emozioni, quelle che accompagnano l’ uomo da quando sta sulla terra. Nel nostro Paese sono nati compositori e librettisti che hanno dato il via a una grandiosa macchina dello spettacolo. E io amo il mondo dello spettacolo. In ogni sua forma. E anche se tutti ne pensano più male che bene, io lo sostengo e lo difendo». Che mondo è? «Con poche sicurezze. Tutto è a rischio e anche quando diventi famoso devi rimetterti in gioco. Ho conosciuto da poco i colleghi del teatro. E ho scoperto che dietro le quinte c’ è tanta serietà. I lamenti per la mancanza di sostegno sono tutti giusti». Ci sono anche dei lati oscuri, come quello delle molestie, denunciate da tante sue colleghe. Che cosa ne pensa? «È il frutto di un’ educazione malata. Maschile. E ci sono rimasti impigliati in tanti. La nostra è una civiltà non matura. Con uomini più potenti e donne che vengono dopo. Non si riesce a cambiare. Eppure abbiamo imparato a camminare su due gambe. Manca una legge chiara. La giustizia non è abbastanza veloce. Nessuna delle denunce si è trasformata in sentenza. Perché? E c’ è da domandarsi perché? Chi amministra la giustizia? Le donne? A parità di studi, sono mosche bianche». Lei ha cominciato a fare la regista ed era una mosca bianca. Ha mai avuto problemi? «L’ Italia reale, quella del lavoro, dei colleghi, degli artigiani è meglio dell’ Italia della politica, degli amministratori, dei giudici. Quindi, no. Non ho mai avuto problemi, soltanto amicizia e rispetto». Simona Antonucci © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Web o librerie Senti chi vince
La Repubblica
RAFFAELLA DE SANTIS
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di Raffaella De Santis L’ identikit dei giovani lettori spazza via più di un luogo comune. Non è vero che i ragazzi si nutrono solo di social, né che frequentano esclusivamente la Rete. Sono perennemente connessi ma non hanno abbandonato le librerie, che restano ad ogni età il principale canale per vendere i libri: vi acquistiamo il 76% dei libri che leggiamo, contro il 29% comprati su Amazon o altri store online. È quanto emerge da una ricerca dell’ Associazio ne Italiana Editori, che sarà presentata a Tempo di Libri ( Da come mi informo su cosa leggere a dove scelgo di acquistare, a cura di Paola Merulla e della società Pepe Research). «Non sottovalutiamo però un dato: il 16% delle persone intervistate si affida alle segnalazioni dei social. Non è poco e si tratta di una percentuale in crescita», avverte Giovanni Peresson, responsabile del centro studi statistici dell’ Aie. Oltre la metà dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni sceglie i libri in base al passaparola (il 51%), facendo tesoro sia di input raccolti in Rete sia dei consigli dei librai. Il pubblico più giovane è inoltre maggiormente sensibile alle leve del marketing: le strategie di promozione, dalle recensioni ai post su Facebook, fanno presa sul 42% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni e sul 48% nella fascia tra i 25 e i 34. Uno dei fattori più incisivi risulta l’ esposizione in libreria. Pesa più un libro ben messo di uno sconto sul prezzo: il 17% dei ragazzi tra i 18 e i 24 è sensibile alla collocazione dei libri. Gli adulti sono meno permeabili agli stimoli esterni: l’ 87% di quelli tra i 55 e i 64 anni compra soprattutto in base all’ argomento trattato o a chi ne è l’ autore. La percentuale sale al 92% tra i 65 e i 74 anni. Naturalmente i lettori più versatili sono quelli forti, quelli che leggono più libri nel corso dell’ anno. In genere il super-lettore legge sia testi cartacei che su tablet, e frequenta senza snobismi sia le librerie fisiche (82%) che i negozi online (44%). Un curiosità: il 4% dei lettori fa acquisti in occasione di fiere e festival. Si tratta di circa un milione di persone, attratte dalla varietà degli stand e dallo spazio riservato ai piccoli editori. Delle librerie piace invece l'”atmosfera”. Amazon sarà più pratico, ma il fattore umano continua a fare la differenza. © RIPRODUZIONE RISERVATA 76% I libri acquistati in libreria 29% I libri acquistati online 51% I giovani tra i 18 e i 24 anni che scelgono i libri in base al passaparola 42% I giovani tra i 18 e i 24 anni influenzati dal marketing.
“Torino non può rischiare di sprecare l’ occasione Adesso serve un accordo”
La Stampa
EMANUELA MINUCCI
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«Le dico la verità: io ancora non ci voglio credere, considero la notizia sconcertante e inaccettabile, ma credo pure che ci sarà lo spazio e il modo per trovare un punto d’ incontro che non faccia sfuggire un’ opportunità simile a Torino». Chi parla è il presidente di Film Commission Paolo Damilano che si dice sul serio stupefatto di quel «no» pronunciato dai sindacati alla realizzazione della nuova superfiction da 180 puntate «Il paradiso delle signore». Una bocciatura che suona come una disfatta per l’ intero comparto produttivo «soprattutto – spiega Damilano – in un momento economico critico come questo: trovo inverosimile ch e si possa interrompere la spinta propulsiva acquisita da Torino con produzioni come “Non uccidere”, “Topi” con Antonio Albanese o “M”, di Michele Santoro, che ha portato la città negli ultimi anni a giocarsi molto bene la competizione con Milano o con Roma». Il numero uno di Film Commission annuncia che farà la propria parte: «Ho già parlato della questione con Guido Rossi (direttore del Centro di Produzione Rai di Torino, ndr) e faremo tutte le pressioni del caso affinché non si offrano occasioni come questa su un piatto d’ argento alla concorrenza milanese». Incalza: «Ribadisco, in un momento delicato come questo, in cui la priorità è fare ripartire il Paese, non si può gettare alle ortiche una produzione di 180 puntate con tutte le ricadute, professionali economiche e anche di immagine che questo lavoro avrebbe comportato». Paolo Damilano apprezza il fatto che sulla questione si siano mobilitati sia la sindaca Chiara Appendino sia il presidente della Regione Sergio Chiamparino, e confida che il sindacato comprenda la necessità di trovare un punto d’ incontro, una mediazione utile per tutti». Conclude: «Io continuo sul serio a non volere credere che finiremo sul serio per fare produrre “Il Paradiso delle Signore” a un’ altra città o meglio mi rifiuto di crederlo». Anche Paolo Tenna, amministratore delegato Fip Film Investimenti Piemonte si dichiara molto preoccupato della battaglia esplosa fra Rai e sindacato circa le «troppe ore di lavoro» che sarebbero state necessarie per girare a Torino questa super-fiction di cui una singola puntata sarebbe durata ben 45 minuti (quasi il doppio dei minuti di «Un posto al Sole»). Sono molto dispiaciuto – spiega Tenna – perché la nostra città non può davvero permettersi di perdere l’ occasione di un importante investimento produttivo sul proprio territorio». E questo non significa non trattare: «Ovviamente ritengo che si debba trovare il giusto equilibrio tra questa esigenza e le richieste dei lavoratori. Mai come in quest’ ultimo periodo, però, il rapporto con la Rai, che grazie alle 2 serie di “Non uccidere” ha generato una grande ricaduta economica sul territorio, inoltre il fatto che in questo modo si siano riportati alla produttività gli studi Lumiq, è stata cosa molto proficua. E questa proficua collaborazione tra Rai e Film Commission trova conferma in nuove disponibilità e sinergie». E sottolinea ancora la positività del momento: «Solo due giorni fa la regista Giorgia Farina grazie alla disponibilità del direttore Guido Rossi, ha visitato la sede di via Verdi per girare alcune scene del suo prossimo film “Guida romantica a posti sperduti” che speriamo possa essere girato in Piemonte a partire dalla prossima estate». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
Il nuovo numero di ‘Prima Comunicazione’ è in edicola e disponibile in edizione digitale | Prima Comunicazione
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Il nuovo numero di ‘Prima Comunicazione’ è in edicola a Milano e disponibile in edizione digitale03/03/2018 | 9:20Il nuovo numero di ‘Prima Comunicazione’ è in edicola da oggi a Milano e a seguire a Roma e nel resto d’ Italia. Il mensile è disponibile da subito in edizione digitale, per smartphone e tablet.Abbonati al mensile ‘Prima’ edizione cartacea (+ Uomini Comunicazione), alla versione digitale per tablet e smartphone o a quella combinata carta-digitale: Prima + Uomini + edizione per tablet e smartphone Storia di copertina – Diabolico ZuckImpossibile non farci i conti. Editori, governi e utenti della Rete, tutti nella ragnatela di Mark Zuckerberg che cambia l’ algoritmo di Facebook, penalizza gli editori, svicola sulle tasse. Ma il futuro è questo, il cambiamento è veloce ed è con lui che bisogna fare i conti.La storia di copertina è dedicata a Zuckerberg, alle sue strategie a partire dalla convinzione che, secondo il suo fondatore – che non nasconde ambizioni politiche – Fb, oltre a essere un soggetto economico da 4 miliardi di utile, è anche una ‘missione’ sociale e culturale.Che impatto ha sui siti italiani la decisione di Facebook di privilegiare le conversazioni tra amici e parenti riducendo il peso delle news? La modifica dell’ algoritmo che regola il funzionamento del social network, annunciata ufficialmente il 12 gennaio da Mark Zuckerberg, Come funziona questo rapporto? Che vantaggi e che rischi presenta per chi produce contenuti? Lo raccontano i rappresentanti di sei importanti realtà editoriali molto presenti sulla Rete: di grandi gruppi come Andrea Santagata, vice direttore generale Magazine Italia del gruppo Mondadori, e Massimo Russo, direttore della divisione digitale di Gedi; di un quotidiano tradizionale come Andrea Pontini, amministratore delegato di Il Giornale On Line (società che edita Ilgiornale.it), e di realtà native online come Luca Sofri, direttore e fondatore de Il Post, Gianluca Cozzolino, fondatore e amministratore delegato di Ciaopeople Media Group, la casa editrice di Fanpage e Andrea Rasoli, direttore e fondatore del recentissimo The Vision.IL SOMMARIO DEL NUMERO IN EDICOLAEDITORIALE3 QUESTO NUMEROSERVIZIO DI COPERTINA47 DIABOLICO ZUCK. Come rispondono alla sfida digitale di Mark Zuckerberg gli editori italiani, da Gedi a MondadoriRUBRICHE14 INCONTRI & SCONTRI di Smile31 BORSINO DIRETTORI38 LOBBY D’ AUTORE di Francesco Delzio40 CONVERGENZA di Mario Abis41 SPIAGGIA LIBERA di Andrea Barchiesi42 E LA BANCA VA di Carlo RivaFATTI & FLASH17 GEDI NEWS NETWORK. Il progetto di Molinari18 LA REPUBBLICA. Cresto-Dina porta il sereno19 IO DONNA. Cairo punta su Danda Santini20 GAZZETTA DI PARMA. Rivoluzione Montan20 CORRIERE DELLA SERA. È arrivato Lorenzetto21 QUATTRORUOTE. Alle prove con Generali22 CORRIERE INNOVAZIONE. Un mensile tutto nuovo22 TIM. Niente Ariston per Mina23 AGENZIE DI STAMPA. Il risiko infinito24 VATICANO. Un hackathon su migrazione e inclusione24 MAGENTA. Nasce l’ edizione italiana di Fortune24 UNIPOL. Ecco il magazine cartaceo Changes24 MEDIASET. Coppa Italia e Supercoppa nel mirino25 TV2000. Con InBlu Radio festeggia 20 anni25 FOTOGRAFIA. Ipa acquisisce Photofoyer26 BRAND JOURNALISM. L’ osservatorio di Carlo Fornaroe Diomira Cennamo26 HYSTRIO. Trent’ anni di teatro da leggere27 PROFESSIONE. Mario Nanni, il giornalista curioso27 RETE. Il saggio di Ruben Razzante27 WEB. La rete italica ci può aiutare28 GROUPM. De Nardis alla conquista dell’ Africa28 GROUPE PSA. Una divisione per Alessandra Mariani28 ENDEMOL SHINE. Veronica Ferrari per le strategie commerciali28 TELEFONO AZZURRO. Il decalogo per difendersi dal digitale28 LOBBYING. Come regolamentarlo in Italia29 ALTAROMA. Showcase per giovani talenti29 SKY GROUP. Il lavoro di Debbie Klein29 AMAZON. Fantascienza con Virgin Media29 NETFLIX. Contenuti per 8 miliardi di dollariSTORIE E INTERVISTE72 POLITICA E GIORNALISMO. Le battaglie di Massimo Mucchetti78 MONDADORI. I successi di Ernesto Mauri80 ISRAELE. Uri Avnery, l’ uomo che intervistò Arafat82 RTL 102.5. La ricetta di Lorenzo Suraci84 CIBO E COMUNICAZIONE. Il gastromondo visto da Paolo Marchi88 CINECITTÀ. Il rilancio con Roberto Cicutto92 MIBACT. L’ ora del bilancio per Franceschini94 ANAS. Iniziative e accordi per i 90 anniMERCATO & MERCANTIStorie e notizie di Manager, Aziende,Case Editrici, Tv, Pubblicità e Internet100 MEDIAPRO. La multinazionale da 1,6 miliardi di euro102 CALCIO. I diritti tv della Serie A agli spagnoli104 ENEL. Loris Capirossi per il primo campionato motociclistico elettrico106 MARIE CLAIRE. Antonella Bussi e il potere delle donne108 MEDIA E DIGITAL COMMUNICATION di Emanuele Bruno111 ECONOMIA DEI MEDIA. Il muro cinese112 BACKSTAGE di Anna RotiliI DATI DI GENNAIO115 AUDIENCE/SHARE. Gli ascolti di Rai, Mediaset, La7116 AUDIENCE/MERCATO TV MULTICANALE120 DIFFUSIONE ADS. Quotidiani, i dati mensili e progressivi di 62 testate122 TREND124 DIFFUSIONE ADS. Quotidiani, Settimanali, Mensili128 AUDIWEB. I primi 60 siti di informazione131 CONCESSIONARIE DI PUBBLICITÀ138 CHECK POINT.
L'articolo Rassegna Stampa del 04/03/2018 proviene da Editoria.tv.