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Rassegna Stampa del 03/03/2018

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Indice Articoli

Facebook terrà uniti amici e news

Chessidice in viale dell’ Editoria

Chi vuole andare in the Sky

Tim gira Persidera a un trust, mandato per vendere

L’ accordo tra Netflix e Sky per condividere i contenuti Così cambierà la televisione

«La nostra satira dopo il tg va a caccia di notizie false»

La centralità della radio in campagna elettorale Radiogiornale

Facebook terrà uniti amici e news

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Marcia indietro: Facebook ha sospeso un test lanciato in sei paesi con il quale aveva separato il flusso degli aggiornamenti di amici e famiglia da quello dei giornali e delle aziende. La sperimentazione era nata a ottobre dello scorso anno e l’ idea del social network di Mark Zuckerberg era di creare una sezione Explore in cui trovare i post con le notizie degli editori e in generale delle Pages (le pagine di brand e aziende), in modo che il newsfeed principale restasse destinato ai contenuti che riguardano direttamente le relazioni reciproche fra gli utenti. «Il Feed Explore è stata una risposta sperimentale alle richieste che abbiamo ricevuto dalle persone nel corso dell’ ultimo anno, che hanno dichiarato di voler vedere più contenuti da amici e parenti nel proprio news feed», ha spiegato in un post Adam Mosseri, a capo di News Feed. «L’ idea era di creare una versione di Facebook con due diversi feed di notizie: uno dedicato ai post di amici e familiari e un altro come luogo per i post di Pages». Ma la risposta di questo test è stata negativa: «Le persone non vogliono due feed separati. Nei sondaggi ci hanno detto che erano meno soddisfatti dei post che stavano vedendo e che avere due feed separati in realtà non li aiutava a connettersi di più con amici e familiari». Da una parte gli utenti non hanno ben capito il cambiamento e hanno utilizzato poco la sezione Explore, dall’ altra questo non ha aumentato le interazioni fra amici. L’ effetto negativo, secondo quanto riportato dagli stessi utenti, è stato invece la diffusione più veloce di fake news. Probabilmente i responsabili di Facebook immaginavano che il doppio feed sarebbe stata una mossa potenzialmente dannosa, dal momento che hanno fatto il test soltanto in Slovacchia, Sri Lanka, Cambogia, Bolivia, Guatemala e Serbia. Il fallimento del test ha fatto tirare un sospiro di sollievo agli editori locali che hanno visto calare il proprio traffico dal social del 30/60%. È questo il motivo dell’ attenzione che i giornali riservano alle mosse di Facebook sul modo di presentare i propri contenuti rispetto al resto. Quanto accaduto, però, non porterà il social a cambiare idea sul progetto di dare precedenza ai post di amici e familiari rispetto agli altri pur mantenendo un unico feed, un ritorno alle origini del social voluto dallo stesso Zuckerberg. Il cambiamento è stato annunciato a gennaio e si sta applicando gradualmente, quindi ancora non ci sono dati sul calo di audience derivante ad alcuni editori, quelli che più hanno basato il proprio modello sulle condivisioni virali sul social. C’ è già stata però una prima vittima: LittleThings, un sito nato come e-commerce di prodotti per animali ma poi cresciuto a dismisura grazie alle storie postate e alla creazione di un portale femminile. LittleThings, che ora ha chiuso, era arrivato in tre anni a 50 milioni di utenti al mese. © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Tim trasferisce la quota di Persidera in un trust e va avanti con le negoziazioni. La partecipazione del 70% di Tim in Persidera, la società dei multiplex partecipata al 30% dal gruppo Gedi, viene trasferita in un trust. Vivendi si era impegnata con la Commissione europea a cedere la quota entro il 28 febbraio, o in alternativa ad alienarla attraverso il conferimento in un trust, come condizione per ottenere il via libera del controllo di fatto di Tim, visto il contemporaneo possesso del 28,8% di Mediaset. La soluzione del trust, quindi, è stata intrapresa per accogliere le richieste dell’ Antitrust europeo ma non interrompe le negoziazioni in corso sia con la cordata Rai Way/F2i, che ha presentato un’ offerta vincolante, sia con il fondo I Squared Capital, che per il momento ha presentato invece una manifestazione di interesse non vincolante. Fullsix, accordo per il trasferimento del pacchetto di controllo. Orizzonti Holding (Oh, controllante del Gruppo Orizzonti Holding) e Centro Studi Srl (consociata di Oh), Blugroup e Marco Benatti (azionista di Fullsix al 4,5% e socio di controllo di Blugroup) hanno stipulato un accordo preliminare vincolante per il trasferimento, da realizzare attraverso scambio azionario, di una partecipazione in FullSix. In base all’ intesa, Blugroup, che detiene il pacchetto di maggioranza relativa di Fullsix (pari al 45,31%), scambierà la partecipazione con una partecipazione azionaria nella start-up MyAv, che è controllata da Oh e partecipata da Centro Studi. È prevista la quotazione all’ Aim di MyAv nell’ orizzonte temporale di circa 18-24 mesi. Caltagirone Editore, vendute 6.439 azioni proprie. Nell’ ambito del programma di vendita di azioni proprie, Caltagirone Editore ha ceduto, tra il 22 febbraio e il 1° marzo scorso 6.439 azioni proprie, al un prezzo medio di 1,351020 euro, per un controvalore di 8.699,22 euro. A seguito dell’ operazione la società detiene un totale di 2.239.131 azioni proprie, pari all’ 1,79130% del capitale. Wikipedia vince in appello il giudizio contro Cesare Previti. L’ enciclopedia online Wikipedia assistita da Hogan Lovells con Marco Berliri e Massimiliano Masnada, ha vinto in appello contro Cesare Previti che aveva impugnato la sentenza del Tribunale di Roma del 2013. Il Tribunale di primo grado aveva, infatti, sancito che Wikipedia, in quanto fornitore di servizi di hosting e non di contenuti, non potesse essere ritenuta responsabile dei contenuti scritti dagli utenti. In sede di appello, Cesare Previti aveva chiesto di riformare la decisione di primo grado considerando Wikipedia corresponsabile per affermazioni inesatte e diffamanti contenute nella voce italiana a lui dedicata. La Corte di appello, con sentenza del 19 febbraio 2018, ha respinto l’ appello da un lato riaffermando l’ irresponsabilità di Wikipedia per le voci pubblicate dagli utenti sull’ enciclopedia, e offrendo, dall’ altro, una chiara e definitiva interpretazione della normativa di settore sul ruolo degli Internet Service Provider, sulla mancanza di responsabilità per i contenuti di terzi e sul dovere di rimozione derivante esclusivamente da un ordine dell’ autorità competente ovvero dalla certezza del contenuto illecito, che, nel caso di diffamazione online, la Corte individua nell’ utilizzo di espressioni «univocamente lesive». Cultura, il cinema domina nei consumi. Otto italiani su 10 sono andati al cinema almeno una volta nel 2017, mentre 6 su 10 hanno visitato uno o più musei, e 4 su 10 hanno visto una mostra e altrettanti sono stati a teatro. È quanto emerge in fatto intrattenimento culturale, secondo la ricerca dell’ Osservatorio mensile di Findomestic, realizzato in collaborazione con Doxa. Dal sondaggio emerge che un italiano su tre ha speso meno di 50 euro nell’ arco dell’ anno; il 26% tra 50 e 100 euro e il 21% tra 100 e 200 euro ma c’ è anche un 10% che non bada a spese e mette a budget tra i 200 e i 500 euro e addirittura un 3% che vive la cultura come una full immersion arrivando a sborsare oltre 500 euro. Tra i consumi culturali il cinema è in cima alle preferenze degli italiani e conquista anche i più giovani: solo il 6% dei 18-24enni non ha mai varcato la soglia di una sala cinematografica, mentre tra gli over 60 quelli che non hanno mai assistito a una proiezione nel 2017 sono quasi 1 su 3 (28,3%). È sempre nella fascia tra i 18 e i 24 anni che si trovano i cinefili più incalliti: il 26,4% ha infatti visto almeno dieci film lo scorso anno. I post millennials sono anche i maggiori frequentatori di musei: il 66% dei 18-24enni ha visitato almeno una sede museale e l’ 8% addirittura più di 10 diverse collezioni. Rtl 102.5, maratona radiofonica per le elezioni. A partire dalle 23 di domenica 4 marzo su Rtl 102.5 andrà in onda lo speciale Notte dopo le elezioni che, fino alle 9 del mattino seguente, racconterà le reazioni ai primi risultati delle votazioni. I cinque conduttori di Non Stop News, Fulvio Giuliani, Giusi Legrenzi, Pierluigi Diaco, Barbara Sala e Giovanni Perria, con Ivana Faccioli e il direttore responsabile Luigi Tornari, si alterneranno per seguire lo spoglio con numerosi interventi in diretta: durante tutta la nottata in collegamento con la radio più ascoltata in Italia ci saranno direttori di testate, editorialisti, inviati, opinionisti, le testimonianze dei protagonisti dalle sedi di partito e, soprattutto, microfoni aperti per tutti gli ascoltatori che potranno commentare in diretta gli aggiornamenti.

Chi vuole andare in the Sky

Milano Finanza
ANDREA MONTANARI
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Il grande gioco del risiko televisivo è iniziato. E l’ obiettivo da conquistare è già chiaro a tutti: si chiama Sky Plc, ovvero la televisione satellitare a pagamento europea con 23 milioni di clienti, leader, in tre dei cinque principali mercati, o territori se in ottica risiko vogliamo rimanere, continentali: Inghilterra, Germania e Italia. Mentre in Francia il gruppo che fa riferimento al colosso americano 21st Century Fox gestito da Rupert Murdoch e dai figli, ma non eredi industriali, James e Lachlan, non ci è mai entrato perché il Paese è oltremodo inviolabile. Mentre in Spagna – che poi aprirebbe il business al bacino del Centro e Sudamerica – ci ha pensato uno dei grandi gruppi telefonici globali, Telefonica, a stoppare sul nascere ogni velleità di ingresso e successiva espansione del magnate australiano. Nel giro di pochi giorni attorno a Sky si è scatenata la guerra a colpa di opa. Prima è arrivata quella del socio di riferimento, 21st Century Fox (39%), che ha offerto 11,7 miliardi di sterline per salire al 100% nonostante la netta presa di posizione del governo e delle autorità inglesi che non vedono di buon occhio questo merger per garantire maggior concorrenza di mercato; nei giorni scorsi è intervenuta la rivale Comcast, il più grande operatore via cavo degli Stati Uniti (controlla Nbc, Cnbc, Universal e Dreamwork), che ha rilanciato mettendo sul piatto 22,1 miliardi di sterline. Nel bel mezzo della battaglia, giovedì 1° marzo, Sky ha spiazzato con l’ accordo commerciale con Netflix, il principale over-the-top americano e mondiale (117 milioni di abbonati in 190 Paesi, 800mila in Italia), nonché lo spauracchio di tutti i grandi broadcaster e network d’ Oltreoceano. Soggetti che per affrontare la sfida dei contenuti digitali hanno dovuto avviare la stagione della concentrazione. Come dimostra il deal da 85 miliardi di dollari ipotizzato da AT&T e Time Warner e per ora congelato dal presidente Donald Trump e, appunto, le nozze tra lo stesso gruppo gestito dalla famiglia Murdoch e Walt Disney, un affare da 52 miliardi di dollari. Merger finalizzati ad arginare l’ ingombrante presenza della creatura di Reed Hastings e in seconda battuta di Amazon e Apple. Anche se non va trascurato il fatto che esistono due player dalle capacità illimitate che rispondono ai nomi di Google, il motore di ricerca per antonomasia, affiancato dal braccio operativo multimediale Youtube, e Facebook, il primo social network mondiale con 2,1 miliardi di utenti. Soggetti che in breve tempo possono stravolgere le regole d’ ingaggio del mercato televisivo e impadronirsi di tutto, compreso il ricchissimo business della pubblicità. E se in America è facile intuire quali potranno essere i grandi matrimoni d’ interesse, anche perché due dei più importanti sono già stati tratteggiati, resta da capire l’ impatto che questo percorso di consolidamento globale avrà in Europa, dove al momento, salvo appunto il ruolo di Sky, il settore è frammentato. Anche per la forza della televisione gratuita e generalista. «La notizia della partnership Sky-Netflix per ora sembra riguardare la modalità di impacchettamento dei contenuti e l’ offerta commerciale, dunque nulla di estremamente clamoroso», sostiene Massimo Scaglioni, professore associato in Storia dei media dell’ Università Cattolica di Milano. «È una mossa che si inserisce nel contesto di quella che sarà una generale ridefinizione della televisione a pagamento in Europa nel corso dei prossimi anni. In questo senso pare una mossa sensata per entrambi i player, leggibile come win win, o quanto meno come superamento di due debolezze». Del resto, numeri alla mano Sky in Europa sembra crescere in maniera più lenta rispetto al passato e se è concentrata a spendere risorse per la killer application rappresentata dal calcio (e da altri sport) e sul cinema, l’ Ott di Hasting, nel Vecchio Continente è ancora una realtà relativamente piccola. «Dunque avere accesso ai 23 milioni di abbonati a Sky Uk, Irlanda, Italia, Germania, Austria è un’ occasione da non perdere per Netflix», prosegue Scaglioni, per il quale «il futuro della pay tv sarà caratterizzato da una crescita del modello Ott rispetto a quello più tradizionalmente broadcast». Insomma, un affare che permette a entrambi di guadare al futuro in ottica diversa. Anche in funzione dell’ incremento del bacino d’ utenza. Ma le vere domande alle quali non è facile rispondere sono altre: alla fine chi prevarrà come polo over-the-top europeo e perché tutti vogliono Sky? Probabilmente la risposta è unica: la pay tv fa gola perché è radicata territorialmente e non ha rivali se in Italia. E senza di essa non si può realizzare un’ integrazione verticale tra produttore di contenuti e distributore. «Sono queste le ragioni che stanno spingendo Vivendi a studiare l’ opzione multimediale, visto che la società francese è una realtà perfettamente integrata su tutta la filiera, grazie a Banijay, Studio Canal, Canal Plus, Telecom e in prospettiva Mediaset», prosegue Scaglioni. Ed è qui che si innesca un altro processo, a cascata, del risiko televisivo. Perché se la pay tv di Murdoch è un boccone prelibato, disponendo al contempo di contenuti premium come il calcio e il cinema (Walt Disney produce e necessita di una piattaforma di distribuzione radicata sul territorio), gli altri operatori nazionali come possono giocarsela? Detto della Spagna che fa partita a sé per la forza del bacino di lingua spagnola e per il sostegno che Telefonica ha dal governo, in Francia prima o poi Vincent Bolloré dovrà interrogarsi sul futuro del suo gruppo che può contare sul leader mondiale del settore musicale (Universal), sul numero due della produzione di contenuti (Banijay, partecipato anche da De Agostini), sulla pay tv che però in ambito locale non brilla (Canal+) e sulla presenza consolidata in Italia (Telecom e il 28,8% di Mediaset). Ovviamente, il finanziere bretone ha capito che non si può attendere. E prova, tramite il suo uomo di fiducia, Arnaud de Puyfontaine, a lanciare segnali distensivi alla famiglia Berlusconi, dopo la rottura unilaterale dell’ accordo siglato nell’ aprile del 2016 per l’ acquisizione di Mediaset Premium. Ma i proprietari del gruppo tv di Cologno Monzese, al momento, non vogliono sentire ragioni e continuano a puntare alle vie legali: hanno chiesto un risarcimento fino a 3 miliardi. Forti anche del fatto che le elezioni di domenica 4 aprile potrebbero far tornare al governo Forza Italia, ossia il partito del fondatore di Mediaset e Fininvest, Silvio Berlusconi. Uno scenario che cambierebbe le carte in tavola e metterebbe Bolloré e Vivendi, che nel frattempo ha avviato lo scorporo della rete di Telecom, in una posizione di debolezza. Ma che comunque non potrebbe rallentare quel processo di consolidamento del mercato che gli operatori tv e tlc devono studiare anche se ancora oggi, almeno nel caso del Biscione, godono di una posizione di leadership in Italia e Spagna. (riproduzione riservata)

Tim gira Persidera a un trust, mandato per vendere

La Stampa

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Amos Genish, amministratore delegato di Tim (nella foto), ha deciso di trasferire la quota del 70% di Persidera – società che si occupa di frequenze tv – al trust Advolis, cui sarà dato mandato di cedere la quota. La scelta di girare la quota al trust serve per ottemperare fin da subito alla condizione che l’ Antitrust Ue aveva posto a Vivendi per mantenere il controllo (in questo caso ai fini delle normative sulla concentrazione) di Tim. Il trust dovrà proseguire la procedura di cessione. Il cda aveva infatti dato mandato all’ ad di finalizzare la vendita alla cordata composta da Rai Way e F2i, ma la loro offerta (attorno ai 270 milioni, a seguito di un ritocco di 20 milioni circa) è formalmente scaduta ieri a mezzogiorno. Resta in piedi l’ interlocuzione con il fondo Usa I Squared Capital, che ha in corso l’ esame approfondito dei conti (la cosiddetta «due diligence») al termine della quale deciderà se confermare o meno i 290 milioni messi sul tavolo nella manifestazione di interesse. Poi la parola passerà al cda di Tim e al socio di minoranza di Persidera, Gedi, che intende tutelare il valore a cui ha in carico il suo 30%, pari a circa 105 milioni. Mentre il mercato scommette sulla conversione delle azioni di risparmio in ordinarie nel piano di Tim in arrivo martedì, Inwit, la società delle torri, ha chiuso il 2017 con ricavi in crescita del 6,9% a 356,6 milioni e l’ utile netto su del 29,5%, a quota 126,7 milioni.

L’ accordo tra Netflix e Sky per condividere i contenuti Così cambierà la televisione

Corriere della Sera
MICHELA ROVELLI
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Per gli appassionati di serie tv, decidere a quale piattaforma abbonarsi è complesso. Chi ama le trame condite da intrighi criminali deve scegliere tra Narcos o Gomorra . Chi preferisce il fantasy o le narrazioni futuristiche sa che non potrà avere sia Black Mirror sia Game of Thrones . La frammentazione dei contenuti on demand è un problema che si risolve solo iscrivendosi (perlomeno) a quelle che in Italia sono più note e offrono un ampio catalogo: Netflix e Sky. Senza contare la crescente realtà di Amazon Prime Video. O le altre che si preparano a scendere in campo, come Disney, che ha annunciato l’ arrivo di una sua piattaforma. Sopravvivere in un mondo sempre più affollato come quello dello streaming, proponendo contenuti migliori, o servizi più funzionali, non è facile. Lo sanno bene i due più agguerriti giocatori del panorama europeo, che hanno finito per stipulare un’ alleanza. Ed ecco quindi l’ accordo di due giorni fa: il nuovo box Sky Q, lanciato a novembre, ospiterà anche Netflix. Una partnership che diventerà realtà in tutta Europa nel giro di due anni e permetterà (finalmente) di avere una sola iscrizione per (la maggior parte di) serie tv, film e documentari. «È una soluzione di continuità – spiega al Corriere Maria Ferreras, vicepresidente dell’ area Business Development per Europa, Medio Oriente e Africa di Netflix -. Chi ha entrambi gli abbonamenti, potrà scegliere di unirli e pagare un unico conto». Aggiunge che si tratta della «prima volta che decidiamo di unire il nostro catalogo a quello di una emittente televisiva e l’ accordo si estende anche al servizio streaming di Sky, NowTv». Una vittoria per entrambi? Sicuramente lo è per Netflix, che sta investendo molto – guadagnando ancora poco – nella crescita della sua utenza nel mondo, pari oggi a 117 milioni di persone. Non rivela il numero di iscritti in Italia, ma l’ osservatorio Ey a ottobre ne aveva stimati circa 800mila. Mentre Sky nel nostro Paese a fine novembre aveva quasi 5 milioni di abbonati. Un ben più folto gruppo di potenziali utenti che, con questo accordo, Netflix riuscirà in parte a intercettare. Per la partenza non c’ è ancora una data precisa: i primi Paesi saranno Regno Unito e Irlanda, «entro la fine di quest’ anno – aggiunge Ferreras – poi amplieremo ad altri, inclusa l’ Italia. È un mercato molto importante per noi». Anche sul lato delle produzioni: «Stiamo lavorando alla terza serie originale italiana: Baby, dopo Suburra e First team: Juventus ». Titoli che compariranno, a breve, anche sul box di ultima generazione di Sky. Una piattaforma che integra la trasmissione via satellite a quella via internet e porta sullo stesso piano i canali tradizionali e l’ on demand, lo schermo del televisore e quello dei dispositivi mobili. Per Sky l’ abbattimento di frontiere tra la tv e lo smartphone è l’ occasione di rilancio di un servizio ancora troppo ancorato alla fruizione tradizionale. Per la società fondata da Reed Hastings, l’ approdo (anche) sui piccoli schermi che ancora regnano nella case della maggior parte degli europei, soprattutto degli italiani, è un punto di (ri)partenza in un altro senso. Nata come servizio di streaming online, si è proposta come alternativa nuova e giovane. Poi l’ ambizione di farsi un nome anche come casa di produzione: «Nella tecnologia – spiega la manager spagnola – stanno le nostre fondamenta, ma oggi la creazione di contenuti originali è diventato un altro nostro marchio di garanzia». Ed estendere il servizio anche su altre piattaforme, con altri mezzi, non può che giovare.

«La nostra satira dopo il tg va a caccia di notizie false»

Corriere della Sera
Renato Franco
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Luca & Paolo ormai sono diventati un trio, l’ imbucata e intrusa è Mia Ceran, giornalista sempre più votata all’ intrattenimento, che è presenza fissa insieme ai due comici. Non contenti di condurre Quelli che il calcio (ogni domenica su Rai2, media di share 8,5%), ora dal lunedì al venerdì i tre si ritagliano un nuovo spazio ( Quelli che… dopo il tg , sempre su Rai2, alle 21.05): «È una presa in giro del mondo dell’ informazione – raccontano, ognuno aggiungendo un pezzo alla storia del programma -, una lettura ironica delle notizie della giornata, attingendo da attualità, politica, cronaca e sport». Si parte lunedì, nel giorno post elezioni («la par condicio avrebbe reso le cose più complicate»), in apertura una sorta di copertina con il commento di Luca & Paolo sui fatti del giorno, un po’ opinionisti, un po’ cacciatori di fake news. Domani si vota, qual è il politico che in campagna elettorale ha regalato gli spunti più comici? «Beh il vecchio Macario rimane il migliore di tutti – il riferimento di Luca & Paolo è a Berlusconi -, ma anche Gigino (Di Maio) non scherza, però siamo ancora al rapporto tra maestro e allievo, la stoffa c’ è ma la strada da fare è parecchia». Salvini? «Sembra diventato più buono, anche se ha i capelli sempre più neri, sarebbe curioso capire che tipo di shampoo usa». Il bersaglio è anche a sinistra, tra i personaggi che proporranno c’ è l’ elettore Pd, «uno che non prende mai posizione su niente, capace di dire di essere contemporaneamente a favore della liberalizzazione delle droghe leggere ma anche contro. Lo avevamo portato a Sanremo anni fa, ma non è cambiato niente, rimane ancora attualissimo». Ci sarà anche l’ elettore indeciso, figura centrale nella nostra politica, «uno che entra in cabina domenica ma lunedì è ancora lì, anche perché per legge non si può far uscire dalla cabina elettorale chi vota finché non consegna la scheda». Sulla coppia che si è fatta trio Luca scherza: «Già in due era faticoso, questa è una nuova sfida persa in partenza». Poi diventa serio: «Con Mia ci lega un comune senso dell’ umorismo, è una che non si prende sul serio e non fa la primadonna». Per lei non è stato facile entrare in una coppia legata a doppia mandata da oltre 25 anni, in sintonia come due gemelli: «Ci hanno messo più di due mesi per tenermi aperta la porta del ristorante, ero come invisibile – rilancia caustica la giornalista -. In realtà però hanno due personalità molto distinte: il pubblico magari li percepisce come un’ unica cosa, ma sono decisamente inconfondibili. E poi vogliono sembrare più cinici di quello che sono». L’ agenda di Quelli che… dopo il tg nasce dalla cronaca della giornata, ma si arricchisce anche con la presenza di Ubaldo Pantani che si trasformerà in Cacciari, Corrado Augias, Travaglio… Se trasfigurare la realtà in ironia è il compito di Luca & Paolo, Mia Ceran ha quello di raccontare «una realtà che fa ridere da sé: vere dichiarazioni, veri manifesti elettorali, veri proclami, che nascono già come comici». L’ orario di messa in onda non è semplice, la sfida è con prodotti rodatissimi: su Rai 1 ci sono i Soliti ignoti , su Canale 5 c’ è Striscia la notizia , ma – ormai abolita la seconda serata (che inizia a mezzanotte) – quei 15 minuti rappresentano se non altro una fascia in cui il pubblico potenziale è da prima serata. Qual è la soglia di share tra successo e tracollo? Luca sceglie l’ ironia («Ho sentito Antonio Ricci, in effetti è molto preoccupato») e Mia Ceran si accoda: «Gli ascolti non ci interessano, noi facciamo cultura».

La centralità della radio in campagna elettorale Radiogiornale

Il Giornale
Paolo Giordano
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Chi l’ avrebbe detto. Anche i tempi della campagna elettorale che finisce oggi sono stati scanditi da quel «vecchio» media che è la radio. In mancanza di scontri diretti tra esponenti di schieramenti opposti – generalmente appannaggio della tv – le dichiarazioni dei leader, i temi da trattare, i battibecchi sono decollati molto spesso da trasmissioni radiofoniche, generalmente la mattina. Una ritualità nei tempi e nei modi molto simile alla consuetudine cui siamo abituati da decenni ogni volta che si va a votare. L’ unica differenza sostanziale è che anche su questo fronte si è affievolito il monopolio di Radio Rai e si sono consolidati altri «competitor» molto agguerriti e tempestivi. Uno è Non Stop News di Rtl 102.5 con Giusi Legrenzi, Fulvio Giuliani e Pierluigi Diaco, che ha ospitato a turno tutti i leader dei principali partiti, dettando spesso l’ agenda politica della giornata. Anche Massimo Giannini e Jean Paul Bellotto a Circo Massimo su Radio Capital dal lunedì al venerdì dalle 7 alle 9 hanno partecipato da protagonisti in queste settimane di corsa alle votazioni. In Rai è stato comunque centrale il ruolo di Radio anch’ io, storico contenitore di politica e attualità che Giorgio Zanchini conduce dalle 7 alle 10 su Radio1 dal martedì al venerdì. In sostanza, anche sul fronte politico la radio smentisce chi, dopo l’ avvento del web, le aveva pronosticato un rapido declino. La radio è ancora assai presente nell’ informazione perché ha saputo adattarsi ai nuovi ritmi delle news e ha conservato ciò che ancora drammaticamente manca al web: la credibilità.

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