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Rassegna Stampa del 01/03/2018

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Indice Articoli

Giganti del web alla prova-mercato

Mondadori in ginocchio da B. tra banane marce e maternità

Rai, Mediaset, La7 e Sky mobilitate per la notturna speciali anche lunedì

Anche Fox nel capitale di Chili

il futuro alla radio

Chessidice in viale dell’ Editoria

Comcast, notifica all’ Ue per Sky

Quotidiani, lettori scesi a 17 mln

Sul web Berlusconi ha già vinto: internet parla soltanto di lui

A Simone Bemporad il Premio Ischia Comunicatore dell’ anno | Prima Comunicazione

Nuovi dati Audipress 2017/III | Prima Comunicazione

Cresce la fiducia nei quotidiani

Sorpresa, i lettori dei giornali vogliono pagare sempre di più per leggere cose belle

Giganti del web alla prova-mercato

Il Sole 24 Ore
Antonio Dini
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In una simulazione portata avanti in un master in business administration di Harvard è stato chiesto agli studenti di immaginare cosa sarebbe successo se Facebook all’ improvviso fosse scomparso dalla rete senza lasciare tracce. Se all’ improvviso, cioè, gli oltre due miliardi di utenti attivi del social media si fossero trovati senza più uno spazio condiviso da frequentare, senza più like da assegnare, senza più memi e fake news da condividere. Tra le risposte, l’ aspetto economico è certamente quello più significativo: la pubblicità per Facebook pesa circa il 97% del fatturato, in prevalenza pagata da piccole aziende, associazioni e privati, oppure da singole campagne locali di grandi aziende multinazionali. Senza contare la relativamente piccola parte del mondo dell’ informazione che ormai si appoggia al social media per cercare di trovare lettori e, indirettamente, soddisfare i propri investitori pubblicitari. Di conseguenza, la scomparsa del principale mercato in cui viene venduta e comprata l’ attenzione di centinaia di milioni di persone si tradurrebbe in un deficit di comunicazione. La conseguenza di primo ordine sarebbe l’ astinenza di decine e decine di milioni da un meccanismo comunicativo che dà dipendenza. Ma, dato che i mercati sono conversazioni, le conseguenze di secondo ordine sarebbero quelle di un impatto durissimo per le attività commerciali. Chiuso uno dei principali canali di comunicazione per marchi, prodotti, servizi professionali, associazioni, la collisione dell’ economia reale sarebbe dura e molto profonda: dieci anni di strutturazione di una economia dell’ attenzione costruita tutta all’ interno di un unico recinto, quello blu e bianco di Facebook, avrebbe come conseguenza più probabile uno shock economico che peraltro verrebbe anticipato e forse reso quasi irrilevante da uno tsunami di crolli nei mercati finanziari, dove si assegna un valore tangibile alle aspettative degli investitori. La conclusione pressoché unanime della classe dell’ MBA era: sarebbe meglio se Facebook non chiudesse. Nuove economietra atomi e bit Un discorso analogo, anche se di scala minore, si potrebbe fare per eBay e soprattutto per il crescente peso che il marketplace e il sistema di distribuzione logistica di Amazon hanno nelle economie occidentali. Ma lo stesso varrebbe anche per Google, che occupa uno spazio strategico nelle ricerche ma, con Android, anche nelle tasche delle persone. Assieme ai giganti cinesi (Alibaba soprattutto), la trasformazione digitale portata avanti dall’ inizio del nuovo millennio da parte di poche grandissime aziende ha cambiato radicalmente il tessuto della mappa mentale con la quale guardiamo alle nostre attività: il passaggio da una economia che segue le leggi fisiche degli atomi a una che invece è basata sulle regole dei bit è stato silenzioso, pervasivo, ma ormai, citando il venture capitalist (nonché cofondatore di Mosaic e Netscape) Marc Andreessen, il software si sta mangiando il mondo. Letteralmente. I grandi sono pochi, sfruttano le economie di rete, le regole di un mondo in cui aggiungere un cliente o un prodotto (digitale) dà una produttività marginale crescente anziché decrescente. Computer virtuali contenuti all’ interno di altri computer, cloud che fornisce capacità di memoria e di calcolo a prezzi irrisori, in affitto, pay-per-use. Nascono nuovi soggetti, le startup, che hanno accesso a risorse e capacità tecnologiche prima inimmaginabili per una multinazionale di primo livello. E queste piccole aziende possono muoversi così rapidamente che conviene fallire subito e fallire bene anziché insistere mesi spendendo soldi e tempo dietro a progetti fallimentari. Il premio è raggiungere lo stadio illusorio e mitologico di “unicorno”, il destino più probabile è (ri)tentare la fortuna con la prossima avventura. I grandi che hanno superato la fase da startup, invece, sono capaci di vincere tutto e con grande rapidità. Giocano partite sempre più complesse e intricate, sovrapponendosi in ambiti di mercato diversi, misurandosi in settori strategici ma anche cercando di partecipare alla competizione in aree che apparentemente non gli sono proprie, o che ancora si devono sviluppare. Amazon, Apple, Facebook, Google e, in misura minore, l’ ex monopolista degli anni Novanta, Microsoft, sono la prima linea. Attraverso loro passa la gran parte dei dati del pianeta. A queste aziende bisognerebbe aggiungere Alibaba, ma anche i grandi colossi dell’ hardware come Intel, Qualcomm, Samsung e Huawei, tra gli altri. Senza contare i colossi che stanno dietro le linee, e si occupano per adesso di produrre e movimentare i prodotti degli altri, a partire dalla taiwanese Foxconn. Tutte queste aziende giocano le loro carte finanziarie e tecnologiche su più tavoli: nessuna di loro è certa di continuare a dominare il proprio ambito nei prossimi cinque anni. Perché, come disse in una intervista del 1998 lo scomparso cofondatore di Apple Steve Jobs un anno dopo il rientro alla guida di una Apple allora prossima al fallimento e incapace di competere ad armi pari nel mercato creato da Microsoft, chi è in seconda fila oggi nonostante tutto può colpire duro e ribaltare la situazione domani: «Sto aspettando la prossima big thing». E di “big thing” ne trovò più di una: l’ iPod, l’ iPhone e poi l’ iPad, senza contare l’ iTunes store e poi l’ App Store. Le informazionisono fonte energetica L’ obiettivo sono le informazioni, la vera energia che muove l’ economia digitale: domotica, Internet of things, mobile, automotive, realtà aumentata e virtuale, social, settore medicale e fitness, pubblica amministrazione. Tutti settori che vengono mossi e decisi dal mix di tre tecnologie: cloud, big data e intelligenza artificiale. Il primo è il più sviluppato, i secondi finalmente in crescita, la terza sta esordendo adesso e accelera sempre più, con progressi che i pionieri degli anni Cinquanta non avrebbero mai osato sperare. La mente del computer esiste e pensa? No, però ciononostante la capacità degli algoritmi di machine learning addestrati di classificare in maniera autonoma e automatica i dati porta a risolvere singole classi di problemi in maniera più efficiente ed efficace. L’ efficientamento portato dalle macchine digitali è superiore a quello che potremmo pensare noi a tavolino: nella gestione di un’ azienda, nella pianificazione della supply chain, nella gestione di un sistema di booking, nell’ infrastruttura delle Borse o nei sistemi di vendita, in milioni di attività che abbiamo ormai demandato ai sistemi digitali. L’ AI aggiunge velocità ed efficienza, oltre che autonomia. Sollevando il problema di chi sia responsabile delle scelte effettuate dai sistemi digitali e quindi delle conseguenze che queste provocano. Ma indubbiamente accelerando la produzione di informazioni e quindi di ricchezza. La principale difficoltà infatti risiede nella regolazione dei mercati. Come controllarli e farli funzionare in maniera equa e trasparente? La storia degli antitrust negli Stati Uniti e poi delle autorità della concorrenza per l’ Europa è legata ad alcuni concetti giuridici che oggi vengono superati rapidamente dalle leggi dei bit: l’ abuso di posizione dominante, la violazione della privacy, l’ eccesso di integrazione verticale e orizzontale, il costante allargamento verso nuovi mercati da collegare, i sistemi fiscali che rispondono male alle dinamiche delle aziende digitali rispetto all’ equità attesa nei mercati tradizionali. Il digitale sovverte le regole: si possono raccogliere informazioni sugli utenti in un settore fornendo loro in cambio dei servizi gratuiti e poi fare soldi utilizzandoli gli stessi dati in un altro settore, completamente differente. I confini dei mercati così diventano incerti, la possibilità di regolamentare gli usi dei dati sempre più complessa, anche perché imprevedibile, dato che le aggregazioni dei big data propongono utilizzi inediti in settori che ancora non esistono al momento della raccolta dei dati. Scherzando, ma fino a un certo punto, uno degli utenti anonimi di Reddit, il più diffuso forum degli smanettoni e dell’ intelligenza tecnologica diffusa, sostiene che i grandi monopolisti dei dati digitali smetteranno di raccogliere i dati quando avranno raggiunto il loro scopo, e cioè aver addestrato le intelligenze artificiali per proseguire senza bisogno di interazioni. Fantascienza, certo. Però. Il problema di oggi, di conseguenza, sono le regolamentazioni. Le due principali leve, le multe miliardarie e gli scorpori delle attività (come la storica divisione delle Bell company negli Usa), non sono più le migliori soluzioni possibili. Nazionalizzare l’ infrastruttura della rete 5G, come pensano di fare gli americani, oppure prendere Google o Facebook e dividere le loro attività vuol dire nuotare controcorrente seguendo un pensiero che oggi non è più capace di integrare tutte le differenti situazioni: il valore delle soluzioni digitali sta nella loro diffusione, contenerle artificialmente vuol dire cauterizzarne la sorgente creativa. La multa a Google dell’ antitrust europeo è solo l’ ultima prova a contrario. La soluzione secondo altri starebbe invece nell’ apertura, a partire dagli open data, creando cioè sistemi di concorrenza in cui le strutture digitali da una parte e la mentalità pubblica dei regolatori dei mercati possano convivere, tutelando l’ interesse dei cittadini, delle piccole imprese, delle startup, ma anche la capacità di creare occupazione e ricchezza dei grandi. Succede nel settore bancario, ad esempio, con la direttiva PSD2, succederà a breve con la GDPR per la protezione dei dati personali. La sintesi, tutt’ altro che vicina, prevede una trasformazione che equivale a un salto culturale per tutti, anche per i grandi digitali che spesso hanno sviluppato la strategia di mercato e che comprendono bene le conseguenze di primo e di secondo ordine delle loro attività ma che non le hanno mai fondate davvero su una base etica e un contratto sociale condiviso. Anche loro devono diventare buoni cittadini, nonostante la loro sia una cittadinanza digitale e quindi immateriale. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Mondadori in ginocchio da B. tra banane marce e maternità

Il Fatto Quotidiano
Fabrizio d’ Esposito
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C’ è del marcio ad Arcore. Meglio, a una decina di chilometri di distanza. Villa Maria, la nuova residenza della Fidanzata di B., al secolo Francesca Pascale, napoletana di Fuorigrotta. Una banana marcia in casa del Banana per antonomasia. Un dettaglio che è contrappasso magnifico e inconsapevole, in primo piano nella fotona che domina l’ apertura dell’ immenso servizio dedicato a Silvio Berlusconi da Chi, il pink-magazine di casa Mondadori diretto da Alfonso Signorini. Berlusconi. Mondadori della primogenita Marina. Intervista. Campagna elettorale. In due parole: conflitto d’ interessi. Anche se i tempi cambiano per l’ ex Cavaliere. Nel 1994, l’ anno della discesa in campo, la par condicio non esisteva e il tycoon di Forza Italia occupò manu militari tutte le “sue” trasmissioni, comprese quelle di puro intrattenimento, condotte da Mike Bongiorno o Iva Zanicchi. Adesso il trattamento è riservato ai settimanali editi da Mondadori: il rosa-trash Chi, il politico Panorama, il femminile Grazia. E almeno su carta, B. ci guadagna. Nel senso che non si percepisce la sua pronuncia biascicata, zeppa di gaffe, come domenica scorsa da Barbara D’ Urso nella tana domestica di Canale 5: il filosofo Habermas diventato “Humbermas”; Albert Einstein scambiato per un altro filosofo e una sublime “Flac tacs” in luogo di flat tax. Silvio Biasciconi. L’ intervista a Chi è memorabile sin dall’ inizio. Ché l’ intervistatore Massimo Borgnis, vicedirettore del pink-magazine, chiarisce subito che è una conversazione “a cuore aperto”. L’ ideale per un cardiopatico di 81 anni qual è l’ ex premier. Borgnis riferisce di aver trascorso 24 ore in compagnia dell’ Ottuagenario, quindi anche di notte e nella stessa stanza da letto di “Silvio” e “Francesca”. Sempre che il vivace vecchietto abbia dormito: “Non ho mai dormito molto, cinque ore mi bastano e quando è necessario anche meno. Mio padre mi ha insegnato a non andare mai a letto se ci sono sulla scrivania carte da esaminare (). Arrivo così alle due o alle tre, ma sempre sveglio e attento”. In ben undici pagine ci sono tutti i luoghi comuni della fantastica retorica del mito berlusconiano. L’ Ottuagenario non dorme; mangia “molta frutta” e in ogni caso solo verdure e proteine; beve spremute, tè, tisane e due litri di acqua al giorno; è un “atleta” che macina chilometri, di corsa o a nuoto; telefona ai cinque figli ogni santo giorno; pratica la religione etica della “disciplina”. Un santo senza età. Convinto di avere di fronte un mister Muscolo tra Ercole e Husain Bolt, l’ intervistatore chiede: “Per quanto allenato e in piena forma fisica, lei sente mai il peso dell’ età e della stanchezza?”. Non sia mai. Risponde B.: “Non mi sento davvero l’ età che ho. Dicono che l’ età sia una condizione dello spirito, forse è davvero così”. Più che lo spirito, a fare miracoli è Photoshop: in tutte le immagini B. ha capelli e viso levigati con cura e in una foto, in giacca e cravatta davanti alla scrivania del suo studio, appare più snello di Ghedini, il suo avvocato. Terminata la pregevole lettura di Chi, si passa a Grazia, settimanale femminile diretto da Silvia Grilli. L’ emozione per l’ intervista al Caro Editore dev’ essere stata tanta perché nel sommario c’ è un errore: l’ articolo è segnalato a pagina 64 anziché 68. Peccato veniale. Il colloquio è denso e impegnativo, tutto sulle donne, ed è firmato da Grilli. Ogni domanda, una questione femminile. Donne al lavoro e in politica. Le quote rosa. La maternità e il calo demografico dell’ Italia. I femminicidi. Le violenze domestiche. Lo stalking. Gli stupri di massa. Le donne islamiche ridotte alla schiavitù. Il lettore compulsa, commenta tra sé e sé la preparazione accuratissima delle domande e si chiede: adesso arriva il quesito sulla prostituzione, anche minorile. Invece no. In compenso c’ è una domanda su Weinstein che fa ben sperare. Infastidito o imbarazzato, il re italiano della satiriasi, noto anche per la sua prolissità, liquida la risposta in una sola riga e mezza, sminuendo il problema: “In Italia non si denunciano molte cose, non solo i ricatti sessuali”. Stop. Infine Panorama, a chiudere la ricognizione del marchettificio berlusconiano di Mondadori in questa campagna elettorale. Fino a poco tempo fa era diretto da Giorgio Mulé, oggi candidato con Forza Italia. Il numero con l’ intervista all’ editore, che campeggia in copertina, uscirà oggi. Nel frattempo, il settimanale si è portato avanti sette giorni fa con il racconto della vita di B. vergato da Giuliano Ferrara. Tutto bello e tutto giusto. Un solo particolare non torna: il 4 marzo, Ferrara ha detto che voterà Pd alla Camera e al Senato. Chissà se lo sanno a Panorama.

Rai, Mediaset, La7 e Sky mobilitate per la notturna speciali anche lunedì

Il Mattino

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Da Bruno Vespa a Enrico Mentana, tutti i big scendono in campo per la maratona elettorale in tv. Domenica dalla chiusura dei seggi in poi ci sarà solo l’ imbarazzo della scelta per seguire l’ esito del voto, sia nazionale che regionale per Lazio e Lombardia, a partire dagli exit poll, poi le proiezioni e i dati reali. Ospiti nei vari studi e collegamenti dalle sedi di partito per tutte le emettenti, che si accingono a una lunga diretta con tanti speciali anche lunedì 5 marzo. Rai. Domenica sera su Rai1 in onda uno speciale Porta a Porta con Bruno Vespa dalle 22.45 alle 3 del mattino. La diretta di Rai3 parte, invece, alle 22.50 con uno speciale del Tg3 in onda fino alle 3. In agenda dalle 24.30 all’ 1.30 anche uno speciale del Tg2. La programmazione prosegue lunedì 5 con finestre informative su tutte e tre le reti dalla mattina alla sera. Su Rai1 lo Speciale Porta a Porta Chi ha vinto? dalle 20.30 alle 24; su Rai3 nel consueto orario, dalle 8 alle 10, una puntata speciale di Agorà dedicata alle elezioni e dalle 23.30 all’ 1 Linea Notte Elezioni politiche. Mediaset. Domenica, il sistema integrato TgCom24 apre la lunga maratona televisiva dalle ore 23 con i primi «in house poll» a cura di Tecné. Dalle ore 23.30 fino al consolidamento dei risultati, in diretta su Canale 5 e in simulcast su Tgcom24, va in onda Speciale Matrix Elezioni condotto da Nicola Porro, con le proiezioni a cura di Tecnè. Lunedì, oltre al notiziario web e mobile costantemente aggiornato sul sito e sull’ app, Tgcom24 segue per tutta la giornata gli sviluppi delle elezioni fino ai risultati definitivi. La7. Grande attenzione alle elezioni anche su La7. Domenica sera Non è l’ Arena di Massimo Giletti si fermerà intorno alle 22 per lasciare la linea a Enrico Mentana per una lunga maratona. Il direttore del tg seguirà lo spoglio delle schede, prima con gli exit poll e le proiezioni di Swg, poi con i risultati reali. Previsti collegamenti dalle sedi di partito. Lunedì spazio al risultato del voto in tutti i programmi del day time. In serata, dopo Otto e mezzo, appuntamento straordinario con Propaganda Live di Zoro in prime time. Sky. Racconterà lo spoglio delle consultazioni più incerte degli ultimi anni con la maratona di oltre 24 ore Italia 18, in onda dalle 22.30 del 4 marzo alle 24 del 5 marzo, per illustrare i risultati delle urne e gli scenari post voto. La lunga diretta, con ospiti in studio e collegamenti dai luoghi chiave di queste elezioni, sarà arricchita da rappresentazioni grafiche in realtà aumentata, con una ricostruzione tridimensionale degli emicicli, in cui saranno simulati tutti gli scenari di Camera e Senato e le possibili alleanze. Attraverso il DigiWall, un grande schermo di 140 pollici per gli aggiornamenti cross mediali, saranno proposti invece tutti i numeri sull’ affluenza, le elaborazioni disponibili e i dati reali, parziali e poi definitivi. Inoltre, i risultati del Decision Desk, a cura dell’ istituto Quorum, che anticiperà, quando la solidità statistica dei risultati sarà acquisita, gli esiti dello scrutinio durante lo spoglio. Il racconto elettorale potrà contare su 18 punti live. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Anche Fox nel capitale di Chili

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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La 20th Century Fox, casa di produzione e distribuzione di 21st Century Fox, entra nel capitale di Chili. A quanto risulta al Sole 24 Ore è stato perfezionato ieri in serata l’ accordo per l’ entrata della major Usa a 155 euro per azione. Si parla di quasi 6 milioni per una quota del 4% di questa società fondata nel 2012, nata da una costola di Fastweb e attiva nel “Tvod”: video on demand con formula basata su singoli acquisti e differente dallo “Svod”, modalità in abbonamento scelta da Netflix, Infinity (Mediaset), Timvision, Now Tv (Sky). Alla fine, con questa operazione 20th Century Fox va a unirsi agli altri studios entrati nel capitale nel 2016 – Sony (con il 3%), Paramount, e la controllante Viacom (4%); Warner Bros (4%) – e segue l’ operazione con cui a investire in Chili, a dicembre e con 25 milioni, è stata la famiglia Lavazza con la holding “Torino Investimenti 1895”, che dopo l’ ingresso di 20th Century Fox, avrà il 24 per cento. Ora, quindi, un’ altra major americana va a unirsi a una compagine di soci con nomi di rilievo nel panorama finanziario. C’ è ad esempio il fondo Antares di Stefano Romiti (11%). Con il 12% (post Fox) è presente anche Negentropy Capital Partners – fondo basato a Londra guidato dall’ ex Morgan Stanley Ferruccio Ferrara – insieme al Fondo lussemburghese Capsicum. Alcuni investitori si sono poi riuniti nel veicolo “Investinchili” in cui partecipano fra gli altri Francesco Trapani (ex ad Bulgari e azionista di Tiffany), Giuseppe Turri (cofondatore di Clessidra), Antonio Belloni (Coo Lvmh), la famiglia Passera. Dopo l’ ingresso di 20th Century Fox Investinchili avrà il 7%, con altri due investitori a completare il quadro. Il primo: il veicolo dei fondatori “Brace” ( 30%) le cui quote sono in mano a Stefano Parisi, che nel frattempo ha abbandonato le sue cariche in società, e all’ attuale presidente e ceo Giorgio Tacchia. Il restante 1% è in mano a Tony Miranz, fondatore di Vudu (venduta nel 2010 a Walmart). Questo il “salotto buono” di una Chili in cui l’ ingresso di 20th Century Fox ha spinto la valutazione della società a 150 milioni, saliti dai 12 del 2013, ai 27 del 2014 ai 64 dopo l’ ingresso delle major nel 2016 ai 150 post ingresso di Fox. Una scalata che può incuriosire, anche perché la società ha finora chiuso in rosso e il 2016 non ha fatto eccezione (-8,4 milioni). Eppure ci hanno scommesso investitori non sprovveduti e anche gli studios. In fondo, a rifletterci bene un perché può stare proprio nell’ attività di Chili: il Tvod che, nei fatti, ha sostituito dvd e blu-ray e che gode della prima finestra per i film dopo i passaggi al cinema. C’ è poi il capitolo digitale. Qui la pirateria ha trovato la sua esaltazione, ma il digitale può anche essere l’ arma per combatterla. Almeno questo devono aver pensato gli studios: sostenere attività che possono sostenere il futuro dell’ industria dei contenuti. Del resto hanno già investito nella piattaforma Hulu. Certo, per ora quella su Chili è una scommessa. Ma il business plan non è rinunciatario. I 7,1 milioni di ricavi del 2016 sono raddoppiati nel 2017 e attesi sui 30 milioni nel 2018. La piattaforma è attiva anche in Uk, Germania, Polonia e Austria oltre che in Italia dove dichiara 1,4 milioni di clienti. Un numero, hanno ripetuto spesso da Chili, raggiunto senza fare grandi campagne di comunicazione. Fra aprile e maggio invece si farà: con una dote di 10 milioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

il futuro alla radio

Il Sole 24 Ore
Enrico Pagliarini
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Oggi il business dei dati è fatto in larga misura su informazioni raccolte gratuitamente. Esiste ovviamente un costo (di infrastruttura, software, organizzazione, trattamento, analisi, conservazione, ecc.) associato alla raccolta dei dati, ma nella stragrande maggioranza dei casi l’ informazione che si ricava viene concessa all’ azienda senza un diretto corrispettivo in denaro e il valore del dato è nettamente più alto del costo sostenuto per ricavarlo. Si pensi, in particolare, alla raccolta dei dati personali effettuata dai big della rete come Google e Facebook, ma anche a tanti soggetti legati al mondo della pubblicità che, silenziosamente, registrano e archiviano milioni di dati forniti da noi consumatori. Come è potuto accadere che noi trovassimo naturale fornire del tutto gratuitamente a questi colossi della rete i nostri dati, ovvero ciò che costituisce – come oggi è chiaro – il fondamento del loro enorme valore? Un errore di prospettiva «Facile: non era mai successo prima e guardavamo dalla parte sbagliata», sostiene Antonio Tombolini, da sempre innovatore di business attraverso la tecnologia. Prima con Esperia, il primo sito di ecommerce di cibo di alta qualità e da alcuni anni con Street Lib, una delle principali piattaforme di editoria digitale attiva nell’ Unione Europea, Stati Uniti e India. «Non era mai successo che un “fornitore” ci desse un prodotto che a noi serviva e che trovavamo utile senza chiederci in cambio del denaro. Guardavamo dalla parte sbagliata perchè i fornitori non erano loro, ma noi! Non ci siamo mai domandati veramente “cos’ altro” ci stavano chiedendo, o meglio, prendendo senza neanche chiedercelo. Eravamo e siamo noi a fornire loro i nostri dati, e a farli così diventare ricchi, senza chiedere neanche un soldo in cambio, e accontentandoci di questo o quel “giochino”: l’ email, il prodotto comprato a prezzo scontato, ecc.». Questa è una consapevolezza che negli ultimi anni è cresciuta ma sembra che poco stia cambiando. Opportunità blockchain Come potrebbe mutare lo scenario? Saremo disponibili a dar via i nostri dati così, gratuitamente, ancora a lungo? «Credo di no – dice Tombolini – certo, la consapevolezza, da sola, in presenza di rapporti di forza che si sono ormai determinati, non potrebbe far cambiare le cose. Chi potrebbe vivere senza i prodotti e i servizi di quei colossi? Nessuno, si fermerebbe l’ Internet, e non è un’ iperbole. Ma se – continua Tombolini – alla consapevolezza si unisse la fattibilità tecnica, grazie alla tecnologia, di aggregare e gestire i dati di ciascuno di noi in maniera allo stesso tempo precisa ed efficiente? E se questo venisse fatto garantendo a ciascuno un introito economico, versato da tutti i soggetti che accedono ai dati? Il tutto in piena sicurezza e tutela della privacy?». Esiste una tecnologia del genere? Si può utilizzare su larga scala? «Esiste – risponde Tombolini – ed è la blockchain (la tecnologia alla base dei Bitcoin e di altre criptomonete, ndr). Grazie alla blockchain è possibile ripensare e ristrutturare il modo attraverso cui gestiamo e comunichiamo i nostri dati a terze parti. E grazie alla blockchain è possibile attivare con queste contratti “automatici”, farsi cioè pagare per ogni singolo sfruttamento dei dati che decidiamo di permettere, a un livello di sicurezza e di precisione mai raggiunto prima. Penso – conclude Tombolini – che la riapertura di un salutare contesto competitivo su Internet arriverà da queste innovazioni, e non dai provvedimenti, sempre tardivi e relativamente impotenti, di questa o quella autorità antitrust». Nell’ attesa che si realizzi questo scenario anche il diritto si interroga sulla titolarità dei dati e su un riconoscimento di diritti esclusivi sui dati grezzi. Nella inevitabile evoluzione delle norme, in una economia basata sui dati «occorrerà tuttavia chiedersi – spiega Tommaso Faelli, partner dello studio legale Bonelli Erede – se il riconoscimento di diritti esclusivi sui dati grezzi, che offre la prospettiva di una partecipazione allargata agli utili prodotti dalla loro analisi, non possa finire, a causa delle possibili opposizioni all’ interno della filiera, per disincentivare gli investimenti oppure ridurre l’ ampiezza dei dati, sino a rallentare eccessivamente i progressi che gli strumenti di analisi avanzata e intelligenza artificiale stanno raggiungendo». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Due nuovi arrivi ai vertici di Viacom International Media Networks Italia. L’ azienda guidata da Andrea Castellari, executive vice president e amministratore delegato di Italia, Medio Oriente e Turchia, ampia il proprio organico con l’ ingresso di due nuove manager a capo della comunicazione e dei brand Paramount e Spike. Si tratta di Chiara Giacoletto Papas, laureata in lettere e filosofia all’ Università Cattolica di Milano, che diventa la nuova communications senior director di Viacom Italia e seguirà tutte le attività relative alla comunicazione corporate e di brand, incluse le relazioni esterne. Giacoletto Papas proviene dall’ agenzia Ketchum (Omicom Pr Group), dove dal 2004 è stata consulente per le attività di ufficio stampa e digital pr seguendo importanti progetti di comunicazione multicanale tra cui quelli per Activision, Twitter, P&G, Kodak e Pfizer. In precedenza ha lavorato per Formaper, azienda speciale della Camera di Commercio di Milano. In Viacom riporterà direttamente all’ a.d. Castellari e completerà il team insieme a Stefania Lecchi, già senior communications manager. Cristina Roncato Veterano entra invece in Viacom International Media Networsk Italia come nuovo senior director programming & acquisition per Paramount e Spike, i due brand del gruppo presenti sul digitale terrestre. Laureata in lingue e letterature straniere moderne all’ Università Cattolica di Milano, Roncato Veterano proviene da Mediaset dove, entrata nel 1992, dal 2014 era vicedirettore di Rete 4 mentre in precedenza aveva seguito, il lancio di Top Crime in qualità di channel manager, la direzione di rete Italia Uno e la direzione dell’ ufficio acquisti televisivi Mediaset. Riporterà a Sergio Del Prete, responsabile dei contenuti di Viacom Italia, e si occuperà delle gestione di Spike e Paramount Channel. World’ s Best-Designed Newspaper, Repubblica tra i sette finalisti. Sono sette i finalisti per il premio al giornale meglio disegnato al mondo, tra questi Repubblica. Tra le motivazioni della nomination l’ attenzione dello studio grafico, l’ eleganza e il linguaggio rivolto ai propri lettori. Insieme a Repubblica, il cui progetto grafico è stato pensato da Angelo Rinaldi e Francesco Franchi, concorrono ad aggiudicarsi il primo posto del World’ s Best-Designed Newspaper il New York Times (Usa), Die Zeit (Germania), Het Parool (Olanda), HS Viikko (Finlandia), La Nación (Argentina), Politico Europe (Belgio). Itv chiude il 2017 con l’ utile pretasse in calo. L’ emittente televisiva britannica Itv ha chiuso il 2017 con un calo dell’ utile pretasse del 9,6% a 500 milioni di sterline (564 milioni di euro), a fronte dei 553 mln di sterline (624,1 milioni di euro) del 2016, molto al di sotto delle previsioni degli analisti a 558 mln di sterline (629,8 milioni di euro). L’ utile netto di Itv è sceso dell’ 8,7% a 409 milioni di sterline (461 milioni di euro), mentre i ricavi sono aumentati da 3,06 a 3,13 miliardi di sterline (da 3,45 a 3,53 miliardi di euro). I ricavi delle attività online e di trasmissione sono diminuiti del 2,7%, mentre quelli della divisione di produzione televisiva sono saliti del 13%. I ricavi pubblicitari netti (parametro chiave dell’ industria) hanno avuto una flessione del 5%, in linea con le attese della società. Per il 2018, invece, Itv prevede che questi aumenteranno dell’ 1% nel primo trimestre e continueranno a crescere nel secondo in scia ai campionati mondiali di calcio. «Puntiamo molto sulla strategia di rinnovamento per far fronte a un contesto sempre più competitivo sul fronte dei media», ha dichiarato Carolyn McCall, ceo di Itv. La società dovrebbe svelare i cambiamenti strategici dopo il primo semestre. Il board di Itv ha alzato il dividendo dell’ 8%, anno su anno, a 7,8 pence per azione (circa 8,8 centesimi di euro). Amazon rileva Ring, i campanelli della porta collegati a internet. Amazon acquisisce Ring, produttore californiano di videocamere e campanelli per le porte collegati ad internet. Lo ha reso noto la società di Jeff Bezos e secondo Reuters si tratta di un’ operazione da un miliardo di dollari (circa 820 milioni di euro), una delle più imponenti mai realizzate dal gigante dell’ e-commerce dall’ acquisto della catena di supermercati Usa Whole Foods, lo scorso giugno, per 13,7 miliardi. L’ acquisto di Ring arriva dopo il lancio, da parte di Amazon, del programma per consegne direttamente dentro casa, anche quando i proprietari non ci sono, grazie a videocamere e serrature intelligenti. «I prodotti e i servizi per la sicurezza della casa di Ring hanno deliziato i clienti fin dal primo giorno. Siamo entusiasti di poter lavorare con questa squadra di talenti e di poterli aiutare nella loro missione di tenere al sicuro le case», ha segnalato Amazon in una nota. I campanelli di Ring consentono di vedere chi c’ è alla porta anche in remoto. «Ring è impegnata nella missione di ridurre il crimine nei quartieri, fornendo strumenti di sicurezza per la casa sicuri ma accessibili», ha sottolineato la società. «Saremo in grado di ottenere ancora di più grazie alla partnership con un gruppo creativo e focalizzato sulla clientela come Amazon. Siamo ansiosi di entrare nella squadra di Amazon», ha assicurato Ring, «mentre lavoriamo alla nostra visione che punta a rendere i nostri quartieri più sicuri». Twitter, arriva la funzione «segnalibro» per conservare i tweet. Twitter ha annunciato in un cinguettio l’ esordio di una funzione richiesta da molti utenti: sarà presto possibile usare i «segnalibri», cioè raccolte di tweet interessanti o messi da parte in un archivio. È, in sostanza, la stessa funzione già presente in molti browser (che consentono di salvare gli indirizzi in una lista) e in alcuni social network (Facebook ha un’ opzione simile). A differenza dei «preferiti», che alcuni utenti usano già come un proprio catalogo, i segnalibri non saranno visibili agli altri utenti. Potranno essere utilizzati grazie a una nuova icona (molto somigliante a quella che in molti programmi significa «esporta» o «condividi»), formata da una linea e una freccia all’ insù.

Comcast, notifica all’ Ue per Sky

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Comcast ha già notificato informalmente alla Commissione Europea di essere pronto ad acquisire Sky, contrapponendo la propria offerta a quella della 21St Century Fox di Rupert Murdoch. Ancora niente di ufficiale, ma la comunicazione, secondo quanto ha dichiarato un portavoce del maggiore operatore via cavo americano, ha l’ obiettivo di allertare le autorità e preparare l’ avvio della verifica antitrust. Si tratta di un altro segnale che mostra come Comcast faccia sul serio e che potrebbe essere pronta anche a un rilancio se si innescasse la guerra con Fox. Martedì, infatti, il gruppo guidato da Brian L. Roberts ha comunicato di voler lanciare un’ offerta da 31 miliardi di dollari (25,2 miliardi di euro), ovvero 12,50 sterline per azione, il 16% in più di quanto offerto da Fox per ottenere il 61% delle azioni che non possiede. Comcast, però, oltre a offrire di più deve essere veloce, perché a dicembre Sky aveva già accettato l’ offerta di Murdoch e ora si attende il responso delle autorità che potrebbe arrivare a maggio. Nel frattempo Fox, com’ è naturale che fosse, non ha adottato alcuna contromisura, anche perché l’ offerta concorrente non è ancora stata formalizzata, e si è limitata a fare sapere che resta impegnata con quanto aveva già messo sul piatto a dicembre. Anche il terzo attore della vicenda, Disney, che deve acquisire la maggior parte degli asset di Fox, non si è sbilanciato: l’ offerta, ha detto il ceo Bob Iger, intercettato ieri mentre si trovava in Francia da Le Figaro, «non compromette il nostro accordo con Fox. Con questo accordo, Fox apporterebbe oltre il 39% del capitale di Sky che già detiene e, inoltre, ha già fatto un’ offerta per il resto del capitale di Sky». Comcast, che possiede il gruppo televisivo Nbc, la Universal Pictures e alcuni parchi a tema aveva già cercato di acquisire nel 2015 l’ operatore via cavo rivale Time Warner Cable con un’ operazione poi non andata in porto per l’ opposizione delle autorità antitrust. Ma nel 2005 aveva fatto un’ altra offerta che lasciò di stucco il settore, quella da 54 miliardi di dollari su Disney che quest’ ultima riuscì a respingere. Comcast, ha spiegato una nota della società di analisi del settore Analysys Mason, ha bisogno di una nuova fonte di crescita dal momento che il mercato nordamericano della pay tv ha già raggiunto il picco: circa il 65% degli utili dell’ ultimo trimestre del gruppo è legato ai media, per questo Comcast è molto esposta alla pay tv statunitense, un mercato che nei prossimi cinque anni calerà del 10% per il fenomeno del taglio della tv via cavo a favore dello streaming. Il mercato dell’ Europa occidentale rimane invece vivace e ciò rende l’ investimento in Europa interessante per i principali attori statunitensi. © Riproduzione riservata.

Quotidiani, lettori scesi a 17 mln

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Fine 2017 amaro per quotidiani, settimanali e mensili italiani sul fronte dei lettori sia delle versioni cartacee sia delle copie replica in calo del 4,2%, secondo le rilevazioni Audipress 2017/III. Nel confronto tra i dati più recenti registrati tra l’ 11 settembre e il 10 dicembre scorso e quelli di Audipress 2017/II (3 aprile-9 luglio), il lettorato scende in valore assoluto a quota 41,1 milioni. Contrazione a sorpresa dopo che il precedente trend aveva segnato un più contenuto -0,6% complessivo e, indietreggiando nel tempo, i segni negativi non sono andati oltre il -2,2% (vedere ItaliaOggi del 28/9/2017). Senza poter fare paragoni viste la tipologia di dati e le basi campionarie differenti, anche le diffusioni Ads hanno vissuto un autunno tiepido ma almeno hanno chiuso l’ ultimo mese dell’ anno scorso in ripresa. Dal punto di vista di Audipress, invece, in questo terzo ciclo di monitoraggi la stampa nel suo complesso è a -4,2% sulla sola carta e a -10,9% nelle copie replica. Distinguendo poi per periodicità, i quotidiani contengono a -1,6% grazie a 16,8 milioni di lettori su carta e/o copia replica (per 25 milioni di letture ogni giorno) mentre i settimanali vanno a -2,6% con 14,4 milioni di affezionati (per 24 milioni di letture) e i mensili a -2,2% con 12,8 milioni di pubblico (per 22 milioni di letture). A fronte del panorama generale, hanno fatto sapere ieri da Audipress, «si registra un incremento delle quote di lettori ad alta frequenza, emblematico di una ricerca costante di contenuti ponderati e verificati». Chi è il quotidiano più letto in Italia? Su carta e/o copia replica si conferma al primo posto la Gazzetta dello Sport. Segue il Corriere della Sera, poi Repubblica e Quotidiano Nazionale-Qn (dorso sinergico di Giorno, Nazione e Resto del Carlino) con una sommatoria di 1,998 milioni di lettori. Completano la classifica a 10 Corriere Sport-Stadio, Stampa, Messaggero, TuttoSport, Sole 24 Ore e Mattino di Napoli. Solamente in 5 testate conquistano nuovo pubblico e sono ItaliaOggi (+9,2%), Corriere Sport-Stadio (+5,9%), Qn-Resto del Carlino (+1,6%), Messaggero (+0,9%) e Gazzetta dello Sport (+0,5%). Segno negativo davanti per Giornale a -11,2%, Fatto Quotidiano e Libero entrambi a -7,1%, Sole 24 Ore a -5,1%, Qn-Giorno a -3,8%, Stampa a -3,5%, Repubblica a -3,1%, Avvenire a -1,1%, Corriere della Sera a -0,7%, Qn-Nazione e TuttoSport entrambi a -0,5%. Sulla sola carta non cambia il ranking con la Gazzetta dello Sport di gran lunga sempre prima ma, questa volta, al secondo posto si piazza Quotidiano Nazionale-Qn grazie alle sue tre testate locali e agli 1,988 milioni di lettori. Inalterata invece la restante parte degli arrivi: Corriere della Sera, Repubblica, Corriere Sport-Stadio, Stampa e ancora Messaggero, TuttoSport e Sole 24 Ore e Mattino. Guardando alle tendenze testata per testata i risultati della sola carta non si discostano sostanzialmente da quelli complessivi su carta e/o copia replica, seppur con qualche piccolo cambio di percentuale a seconda dei casi ma senza poter fare differenze dirette tra dato totale e quelli per singola piattaforma (tradizionale o digitale). Così di nuovo ItaliaOggi aumenta dell’ 8,2%, il Corriere Sport-Stadio del 5,6%, Qn-Resto del Carlino dell’ 1,9%, Messaggero dello 0,9% e Gazzetta dello Sport dello 0,6%. Di contro il Giornale è a -10,9%, il Fatto Quotidiano a -6,4%, il Sole 24 Ore a -4,8%, Qn-Giorno a -3,8%, Libero a -3,3%, Stampa a -3,1%, Repubblica a -2,9%, Avvenire porta a casa un -1,1%, Corriere della Sera un -0,5% e Qn-Nazione un -0,3%. In mezzo ai due macrogruppi c’ è TuttoSport, stabile. Sul digitale, infine, guidano la top ten Repubblica, Corriere della Sera e Sole 24 Ore. Dopo si attestano Fatto Quotidiano, Gazzetta dello Sport, Stampa, Messaggero, Corriere Sport-Stadio, Gazzettino e ItaliaOggi. Sempre sul solo digitale sale Corriere Sport-Stadio (+37,5%), ItaliaOggi (+14,3%), Messaggero (+3,4%) mentre mantengono la posizioni inalterati Giornale e Qn-Giorno. Diminuiscono Libero -57,1%, Qn-Nazione -50%, Qn-Resto del Carlino -36,4%, TuttoSport -18,8%, Avvenire -16,7%, Fatto Quotidiano -14,8%, Stampa -11,6%, Repubblica -11,1%, Gazzetta dello Sport -10%, Corriere della Sera -8,5% e Sole 24 Ore -1,6%.

Sul web Berlusconi ha già vinto: internet parla soltanto di lui

Libero

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SALVATORE DAMA Il “ghe pensi mi” all’ ennesima potenza. Le ultime ore di campagna elettorale Silvio Berlusconi se le vuole giocare in prima persona. Ed è per questo che, nei giorni scorsi, tante redazioni hanno ricevuto la telefonata dello staff del presidente di Forza Italia. La richiesta arrivata da Arcore era quella di depennare tutti altri gli invitati di Fi perché era disponibile lui. In persona. Tg, approfondimenti, tribune autogestite, radio, network nazionali e improbabili canali locali. Tutto. Qualsiasi spazietto nell’ etere il Cav l’ ha occupato. Non è superego. Ma la convinzione, suffragata dai sondaggi, che soltanto la sua presenza massiva sui media possa stimolare l’ elettorato tradizionalmente berlusconiano a superare l’ apatia, andando a votare. La saturazione ha riguardato anche il web. I candidati azzurri sono stati invitati a non produrre in proprio messaggi elettorali, ma a limitarsi a rilanciare i video e le slide del Cavaliere disponibili nell’ area riservata “Azzurranet”. E così hanno fatto un po’ tutti. I risultati di questa invasione virtuale della Rete sono stati registrati dall’ Istituto Cattaneo. Se Renzi è il leader più citato dai quotidiani, Berlusconi è quello che, nell’ ultimo mese di campagna elettorale, ha suscitato maggiormente l’ interesse degli utenti di Internet. FA TUTTO LUI E dire che non era neanche candidato. Stavolta no, ma la prossima sì. «Contro la mia voglia», annuncia a Radio Anch’ io, «dovrò essere io, una volta riabilitato», il candidato del centrodestra. In caso di paralisi istituzionale, Berlusconi non è disposto a trattare con la sinistra. Rifiuta anche la mano tesa dal leader di Leu Pietro Grasso, che offre collaborazione per un governo di scopo che cambi la legge elettorale. Un’ analoga apertura è arrivata anche da Pier Luigi Bersani. Ma Silvio non vuole: «Niente larghe intese, abbiamo preso un impegno con i nostri elettori», con la sinistra «siamo così distanti che non sarà possibile alcuna collaborazione». Berlusconi continua a puntare sul suo programma: «Vorremmo avere un ministro per la terza età perché le persone che hanno lavorato tutta una vita quando arrivano alla vecchiaia devono essere assistite e garantite». Tutti gli over 67, promette il Cav, «avranno una pensione mensile da mille euro. Come i disabili e le mamme che, al momento, non hanno previdenza, pur essendo le persone che nella vita hanno lavorato di più». E ancora: «Capisco il malcontento degli italiani e lo condivido – dice a Panorama – ma chiedo il voto proprio per voltare pagina». Non a caso da Forza Italia Francesco Battistoni, ex assistente di Antonio Tajani e candidato al Senato nel collegio di Civitavecchia e Viterbo, ricorda le mancanze della Pubblica amministrazione: «Presenta un livello di debiti verso i fornitori privati nettamente superiore rispetto alla media europea, con 65 miliardi di euro da restituire alle imprese italiane». UNA CAMERA AL M5S Silvio, poi, mette nel mirino il M5S: «I ministri del governo dell’ irrealtà di Di Maio sono dei signori nessuno che nessuno conosce». Berlusconi sottolinea anche i limiti governativi di chi ha studiato: «Monti ha fatto immensi danni. L’ economia l’ ha vista solo dal buco della serratura del suo ufficio». Invece il centrodestra è pronto a schierare una squadra di ottimati. «Se avremo la maggioranza per fare il governo», rivela Berlusconi, «io vedo Bertolaso sicuramente come ministro per le varie emergenze». Il Cav continua a puntare su Tajani, anche se lui ha frenato: «Se ci fosse un’ ipotesi attorno al suo nome, sarebbe dal punto di vista dei rapporti con l’ Ue una cosa straordinaria», spiega. In caso di vittoria del centrodestra, però, Silvio non sarebbe contrario a un gesto di distensione. Attribuire ai grillini una presidenza delle Camere? «È una forma di gentilezza, di fair play, normale nella Prima Repubblica. Non sarei assolutamente contrario. Ma si potrebbe fare», avverte, «se la loro opposizione fosse nei limiti di una dinamica responsabile». riproduzione riservata Berlusconi è alla settimana campagna elettorale

A Simone Bemporad il Premio Ischia Comunicatore dell’ anno | Prima Comunicazione

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A Simone Bemporad il Premio Ischia Comunicatore dell’ anno28/02/2018 | 12:19Simone Bemporad, direttore delle relazioni esterne del Gruppo Generali, si è aggiudicato il Premio Ischia Comunicatore dell’ anno riconosciuto a quei professionisti che hanno saputo “promuovere e sostenere la reputazione delle organizzazioni pubbliche, del no profit e delle istituzioni e delle aziende private in generale, quindi persone che, per raggiungere gli obiettivi abbiano dovuto e saputo sviluppare con particolare impegno, creatività e innovazione, anche una social media strategy di successo”.Simone Bemporad (foto Casellato)Bemporad è entrato in Generali nel gennaio 2014 dopo una lunga esperienza in Finmeccanica e, in precedenza, con Mario Draghi per la realizzazione del Libro Bianco sulle privatizzazioni in Italia, all’ Iri, al ministero dell’ Industria, e un’ antica esperienza giornalistica fra agenzie di stampa, quotidiani e settimanali. Di recente Simone Bemporad si è distinto in Generali per aver curato ‘The Human Safety Net’, importante progetto internazionale di solidarietà e promosso e sostenuto il piano per il restauro delle Procuratie Vecchie in piazza San Marco a Venezia.Articoli correlati.

Nuovi dati Audipress 2017/III | Prima Comunicazione

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(elaborazione Audipress)(elaborazione Audipress)I dati pubblicati, spiega una nota, sono il primo risultato del nuovo impianto di indagine single source – adottato a partire dalla rilevazione di gennaio 2017 – che ha superato le due rilevazioni distinte per Quotidiani e Periodici (ciascuna con un proprio campione e proprio questionario) per rilevare in un’ unica ricerca, sullo stesso campione di individui, le diverse articolazioni della fruizione della stampa per i due comparti. La ricerca offre statistiche sulle stime di lettura che beneficiano di una base campionaria più ampia per Quotidiani e Periodici, anche grazie all’ allineamento della profondità temporale nella pubblicazione dei dati (cumulazione di 3 cicli di rilevazione).Risulta ampliato anche il campionamento delle Classi Sociali Superiori (imprenditori, liberi professionisti, dirigenti e loro familiari), consentendo così una più accurata rappresentazione dei comportamenti di lettura di tale segmento di popolazione e una miglior copertura socio-professionale.Per l’ edizione Audipress 2017/III sono state eseguite 43.109 interviste personali su un campione rappresentativo della popolazione italiana di 14 anni e oltre, condotte con il sistema CAPI Doppio Schermo, lungo un calendario di rilevazione di 37 settimane complessive, dal 16 gennaio 2017 al 10 dicembre 2017.Gli Istituti esecutori del field sono Doxa e Ipsos; il disegno del campione e l’ elaborazione dei dati sono stati effettuati da Doxa; i controlli sono a cura di Reply.Per ulteriori dettagli metodologici si rimanda al sito Audipress.itScarica i dati Audipress 2017/III:

Cresce la fiducia nei quotidiani

L’Osservatore Romano

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«Il 70 per cento degli italiani ritiene che le fake news possano essere usate come un’ arma» scrive Paolo Baroni su «La Stampa», in un articolo pubblicato il 27 febbraio, citando l’ ultima edizione del Trust Barometer realizzato dall’ agenzia di comunicazione Edelman. Dati influenzati da una nuova consapevolezza dei rischi delle menzogne diffuse in rete. L’ inversione di tendenza, nota Baroni, risale al 2015, ma è da quest’ anno che in Italia si registra uno stacco netto: la fiducia nel giornalismo tradizionale ottiene infatti 14 punti in più di quella attribuita a motori di ricerca e social network. «Nell’ ultimo anno spiega il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii anche noi abbiamo registrato un segnale indiretto che qualcosa sta cambiando. Nella classifica delle fonti di informazione utilizzate dagli italiani che tradizionalmente vede al primo posto i tg, e al secondo (non solo tra i giovani) Facebook il più grande dei social network subisce infatti una battuta d’ arresto. Non solo non cresce più ai ritmi degli anni passati, ma registra anche una leggera diminuzione degli utenti che lo utilizzano come fonte d’ informazione». È l’ effetto boomerang della scarsa affidabilità dei social. Non a caso, lo stesso Facebook ha cambiato algoritmo e deciso di fare un passo indietro per tornare a essere un network di relazioni più che un giornale globale.

Sorpresa, i lettori dei giornali vogliono pagare sempre di più per leggere cose belle

Il Foglio

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Roma. Il Foglio è stato uno dei primi quotidiani italiani a scegliere di far pagare parte dei contenuti sul proprio sito web. Lo fece dieci anni fa, quando il giornalismo nel nostro paese si illudeva di potere andare avanti come sempre, con lettori affezionati in edicola e poca concorrenza. Ignari della portata che internet già aveva e avrebbe avuto, i giornali pubblicavano gratis sui propri siti gli stessi articoli che uscivano nell’ edizione cartacea, abituando i lettori ad avere tutto subito e senza spese. Per cavarsela con una banalità in poche battute, si può dire che da allora il mondo è cambiato, il sistema dell’ informa zione è stato rivoluzionato dall’ innovazio ne tecnologica, dalle crisi economiche e dall’ approssimazione con cui tanti giornalisti hanno cominciato a fare il proprio lavoro. Quando in Italia ci si è accorti che sempre meno persone andavano in edicola, invece di pensare a fare un prodotto migliore, si è cominciato a fare edizioni di carta con notizie già vecchie e edizioni online il cui unico scopo era raccogliere il maggior numero di clic, non importa in che modo: tutto o quasi era pubblicabile, purché prima degli altri. Le pubblicità pagavano (e pagano ancora, ma meno) a clic, e il clic era l’ unico padrone dei giornali. La conseguenza è stata il crollo della qualità degli articoli, il moltiplicarsi di fake news dovute alla fretta di pubblicare per primi (Fidel Castro è morto diverse volte sulle homepage dei nostri giornali prima di morire per davvero) e la disaffezione dei lettori, che trovavano anche altrove “notizie” più o meno uguali a quelle dei siti dei grandi quotidiani. Come sempre l’ America arriva prima di noi, e da tempo – pur non avendo ancora risolto del tutto la crisi dell’ editoria giornalistica mondiale – sta tracciando un solco nel quale potrebbero germogliare i semi della rinascita. Una recente ricerca condotta dal Media Insight Project (un’ iniziativa dell’ Ameri can Press Institute e dell’ Associated Press-NORC Center for Public Affairs Research) spiega come nel prossimo futuro i ricavi dei giornali arriveranno sempre più dagli abbonamenti e sempre meno dalla pubblicità. Questo, spiega il documento – frutto di un’ indagine fatta su migliaia di lettori lungo l’ arco di 18 mesi negli Stati Uniti – costringerà le redazioni a ripensa re priorità e contenuti, indagando sui motivi per cui i lettori sono disposti a pagare: più spazio a inchieste, articoli e opinioni di qualità, meno ai riempitivi da click baiting sul sito, ad esempio. L’ esempio recente più noto è quello del New York Times, che nell’ ultimo anno ha aumentato in maniera vertiginosa i propri abbonati digitali, complice l’ elezione di Trump, che il quotidiano newyorkese critica apertamente. La ricerca lancia anche un avvertimento che molti editori, soprattutto italiani, farebbero bene a tenere in considerazione: se è vero che i lettori pagano per leggere articoli di qualità e che incontrano i loro interessi personali, ridurre il numero dei redattori e dei collaboratori per puntare a margini di profitto più alti nell’ immediato penalizza qualunque strategia pensata per aumentare gli abbonati nel lungo periodo. E’ naturale che anche la modalità con cui la raccolta pubblicitaria viene portata avanti debba cambiare: non più basata sui clic, ma sull’ attrattività che contenuti ben fatti possono avere su lettori che spendono volentieri i loro soldi per leggere articoli che altrove non potrebbero trovare. La strada è lunga, ma tracciata. C’ è un mare di lettori là fuori che vuole pagare per leggere belle storie, opinioni originali e articoli di qualità. Perché continuare a deluderli? Piero Vietti.

L'articolo Rassegna Stampa del 01/03/2018 proviene da Editoria.tv.


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