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Rassegna Stampa del 27/02/2018

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Mediapro: per le tv la Serie A vale quasi due miliardi

MediaPro vuole la tv della Lega

Pier Virgilio Dastoli, presidente dell’ Associazione Comunicazione Pubblica | Prima Comunicazione

Le notizie sulla morte dei giornali – per parafrasare la battuta di Mark Twain, quando …

Le fake news fanno paura agli italiani Facebook in calo, crescono i quotidiani

Serie A, i piani di Mediapro “Potenziale da due miliardi Vederla in tv costerà meno”

Inchiesta Fanpage, dopo ore di silenzio verrà pubblicato anche il quarto video

Mediapro: per le tv la Serie A vale quasi due miliardi

Il Sole 24 Ore
Marco Bellinazzo
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barcellona Il canale del calcio resta il benchmark di Mediapro. Produrlo potrebbe assicurare la qualità tecnica uniforme delle trasmissioni e mettere a disposizione degli abbonati un contenitore unico di tutto il calcio a un prezzo ideale di 30-35 euro al mese. Tuttavia, i vertici di Mediapro, Jaume Roures e Tatxo Benet – che lo scorso weekend hanno aperto le porte del quartier generale sulla Diagonal di Barcellona a una delegazione di giornalisti italiani – sanno bene che questo sviluppo della collaborazione con la Lega di A (che oggi, salvo defezioni, dovrebbe vedere a Milano la cena dei presidenti con il commissario Giovanni Malagò di ritorno dalla Corea) potrà esserci magari dal triennio 2021/24. Per il triennio 2018/21, il bando è chiaro e Mediapro dovrà attenersi al ruolo di intermediario indipendente. Quando arriverà il via libera dell’ Antitrust dovrà procedere alla cessione dei diritti tv puntando a ottenere almeno un miliardo e 50milioni a stagione. Mediapro ha assicurato ai club italiani questa somma grazie alla forza economica (testimoniata dal recente ingresso dei cinesi di Orient Hontai) raggiunta in questi anni. I diritti della Liga spagnola e la joint venture in Spagna con i qatarioti di beINsports sono solo la punta dell’ iceberg dei servizi forniti dai catalani che spaziano dal cinema alla pubblicità. Nel 2017 il fatturato è stato di 1.649 milioni, con un ebitda di 206 milioni (mentre il debito netto è di 133 milioni). La forza lavoro è salita a 6.501 persone, inclusa una redazione di 100 giornalisti che realizza telecronache e statistiche per LigaTv, Gol e beIN Sports. «In Italia il prezzo dei dritti tv era fermo da anni – hanno sottolineato Roures e Benet -. Rispetto alla Spagna in Italia ci sono più abitanti e più abbonati alla pay tv. Manca solo la concorrenza fra gli operatori. Rispetto alla Liga ha più squadre storiche e con più rilevanza internazionale e fra i giocatori ha più campioni nazionali. Anche se manca il Clasico Real e Barcellona, la Serie A genera per le tv come minimo 2 miliardi di ricavi». Come in Spagna si pensa così a uno spezzettino «per salvaguardare il valore delle piccole squadre, che hanno garantite due ore di esposizione esclusiva in tv» e ad allargare la base-clienti distribuendo tutte le partite su più piattaforme per abbassare i prezzi. «Il problema di Sky – ha aggiunto l’ ad di Infront, Luigi De Siervo – è che ha spostato il fatturato dal calcio su altri prodotti meno sentiti dall’ abbonato». Mediapro, per De Siervo, potrà «produrre le partite del campionato almeno per gli operatori Ott sul web. Ci sono soggetti come Amazon interessati al nostro calcio ma che non vogliono aprire struttura editoriale e chiedono un prodotto finito. Il bando parla di distribuire agli operatori e confezionare prodotti audiovisivi». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

MediaPro vuole la tv della Lega

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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MediaPro si è aggiudicata i diritti tv della Serie A di calcio come intermediario indipendente, ma in realtà non sembra proprio morire dalla voglia di creare pacchetti e pacchettini da proporre a broadcaster e ott, e preferirebbe invece produrre e vendere un unico nuovo canale tv della Serie A, o perlomeno offrire il suo know-how produttivo ai club e alla Lega. I club, tuttavia, hanno bisogno di soldi presto, entro giugno, non smaniano dalla voglia di creare un nuovo canale della Lega (ci vorrebbe più tempo per organizzarlo al meglio), e poi non è neppure così chiaro in che termini si possa realizzare, da un punto di vista di legge Melandri e di Antitrust. Perché, a dirla tutta, neppure in Spagna esiste un canale della Liga. C’ è un’ asta competitiva che mette in palio i diritti tv di tre pacchetti di match in esclusiva. Match acquistati da MediaPro (633 milioni di euro all’ anno) e Telefonica (250 mln all’ anno) e poi impacchettati. Ma è l’ esclusiva che fa crescere il prezzo, non il canale con tutte le partite. La Lega Serie A, peraltro, non pare più di tanto impressionata neppure dalle capacità tecniche produttive di MediaPro per i match della Liga spagnola (poiché il campionato italiano ha spesso standard di ripresa superiori) e si ritiene soddisfatta dal lavoro svolto finora da Infront (che produce le partite di 14 club di Serie A) e dagli altri sei club che si autoproducono i match utilizzando service esterni. Insomma, per il momento, sul fronte diritti tv, al netto delle verifiche Antitrust e Agcom, ci sono solo due certezze: il prezzo dei diritti nazionali è stato fissato a 1,050 mld di euro all’ anno, che è la cifra per la quale si è impegnata MediaPro per il periodo 2018-2021; Infront (advisor della Lega Serie A per la questione diritti tv) e Sky hanno rapporti molto tesi, forse mai tesi come ora. Al punto che lo stesso amministratore delegato di Infront, Luigi De Siervo, nel corso di una due giorni a Barcellona con i vertici di MediaPro, è arrivato a sottolineare come sia necessario sapere esattamente «quanti ricavi arrivino a Sky dal calcio. L’ arpu (i ricavi medi per abbonato, ndr) di Sky è 44, ma di questi quanti arrivano dal calcio? Ci dicono 19. Ma sembra una cifra bassa. In realtà le pay tv si sono gonfiate molto, con mille altri contenuti, programmi, e ora hanno costi fissi alti cui fanno fatica a stare dietro. Io credo che in Italia ci siano molti tifosi disposti a pagare 30 euro al mese (che poi è il prezzo dell’ offerta calcio di Sky, mentre Premium è arrivata a offrire il calcio a 19,90 al mese, ndr) per avere tutto il calcio, e stop, senza altri orpelli. È un po’ quello che vogliono fare a MediaPro». Appunto, MediaPro. La società spagnola è controllata dalla holding Imagina media audiovisual, e nel 2017 è arrivata a 1,680 mld di euro di ricavi, con oltre 5 mila dipendenti. Produce e distribuisce 708 canali nel mondo, produce tutte le partite della Liga spagnola, e in particolare El Clasico tra Barcellona e Real Madrid, trasmesso da 59 telecamere due volte all’ anno in oltre 180 paesi nel mondo con una audience di 850 milioni di persone. Il fondo cinese Orient Hontai Capital ha appena rilevato il 53,5% di Imagina, dando quindi alla holding un valore intrinseco di 1,9 miliardi di euro. I due soci fondatori, Jaume Roures e Tatxo Benet, continuano a controllare il 12% ciascuno di Imagina (quindi hanno quote che valgono 228 milioni di euro ciascuna), e presto dovrebbero spartirsi altri 100 milioni di euro di dividendo straordinario, insieme con Wpp (che ha il 22,5% di Imagina). «L’ Italia ha tante squadre storiche forti, con una immagine solida nel mondo. Certo, noi abbiamo El Clasico come locomotiva», spiega Jaume Roures, 68 anni e una storia di rivoluzionario comunista trotzkista, con un arresto nel 1983 con l’ accusa di aver collaborato con i terroristi baschi dell’ Eta, «ma l’ Italia ha almeno quattro locomotive. Il problema è che al momento ne funziona solo una (la Juve, ndr). La Lega Serie A ha una cattiva immagine, non è un brand. E invece deve essere venduta come una competizione unica. Se la Lega è forte e prestigiosa i club guadagneranno di più, non solo con i diritti, ma anche con gli sponsor». Per ora, tuttavia, MediaPro si è solo aggiudicata i diritti della Serie A come intermediario indipendente. Non può fare il produttore e tanto meno l’ editore. Deve semplicemente rivenderli ad altri. «Sappiamo bene che al momento MediaPro non ha accordi con la Lega per fare produzioni», aggiunge l’ altro socio fondatore, Tatxo Benet, «ma crediamo che sia meglio unificare la produzione, come facciamo qui in Spagna, per avere la stessa qualità e lo stesso stile. Il prodotto Serie A deve essere subito riconoscibile, come avviene per la Premier League inglese o per la Liga spagnola. Noi vogliamo convincere i club della Serie A che la cosa migliore sia realizzare un canale della Lega Serie A con tutte le partite, e poi vendere quel prodotto solo in pay tv a varie piattaforme. Se non riusciremo a convincerli», aggiunge Benet, «andremo avanti con il nostro impegno di intermediario indipendente, e proveremo a non perdere soldi. In Italia il prezzo dei diritti era fermo da troppo tempo. Il prodotto calcio vale più di un miliardo di euro, siete una nazione più ricca della Spagna. Quello che manca è la concorrenza. In Italia Napoli-Juve ha ascolti pay da 3,1 milioni di persone, che sono ascolti eccezionali. In Spagna Real Madrid-Psg, per esempio, ha fatto solo 2,4 milioni di ascolto. In Italia, rispetto alla Spagna, ci sono molte più partite che fanno audience interessanti in pay tv. Per questo pensiamo che i diritti tv valgano tanto». © Riproduzione riservata.

Pier Virgilio Dastoli, presidente dell’ Associazione Comunicazione Pubblica | Prima Comunicazione

Prima Comunicazione

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Pier Virgilio Dastoli, presidente dell’ Associazione Comunicazione Pubblica26/02/2018 | 11:02A febbraio 2018, Pier Virgilio Dastoli è stato nominato presidente dell’ Associazione Comunicazione Pubblica all’ unanimità dal consiglio direttivo nazionale , presieduto dal segretario generale Pier Carlo Sommo. Succede a Gerardo Mombelli scomparso ad agosto 2017.Nato ad Anzio, è laureato in Giurisprudenza, avvocato e giornalista pubblicista. È stato ricercatore dell’ Istituto Affari Internazionali di Roma dal 1972 al 1976 occupandosi di cooperazione scientifica e tecnologica internazionale e di questioni mediterranee. È stato assistente parlamentare di Altiero Spinelli alla Camera dei Deputati (1977- 1983) e al Parlamento europeo (1977-1986). E’ stato consigliere del governo italiano presso il Comitato di saggi sulle questioni istituzionali europee (Comitato Dooge) che ha preparato la Conf. intergovernativa sull’ Atto Unico Europeo (1984-1985).E’ stato consigliere speciale del Servizio Giuridico della Commissione Europea dal 1986 al 1988. E’ stato amministratore principale del Pe dal 1988 al 2003 collaborando in particolare alle commissioni bilanci, degli affari costituzionali e della cultura, gioventù e sport, alla direzione per le relazioni con i cittadini e alla direzione generale della comunicazione; alla partecipazione del Pe alle conferenze intergovernative sui trattati di Maastricht, di Amsterdam e di Nizza, ai lavori delle Convenzioni sulla Carta dei Diritti e sulla Costituzione europea.Dal 16 luglio 2003 al 31 agosto 2009 è stato direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione europea.Dal settembre 2009 al marzo 2010 è stato consigliere principale della Commissione Europea presso la Direz. generale della comunicazione, quindi è stato distaccato nel 2010 presso la Presidenza della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome italiane e infine distaccato come consigliere politico del Gruppo Spinelli e membro dello steering committee dal gennaio 2011 al maggio 2014. Ha lasciato la Commissione europea il 31 maggio 2014.E’ stato consigliere per le questioni istituzionali della vicepresidente della commissione affari costituzionali del Pe, Barbara Spinelli, dal settembre 2014 al marzo 2017. Ha creato e animato l’ Intergruppo parlamentare federalista europeo dal 1986 al 1994 e ha promosso la creazione dell’ Intergruppo Federalista nel Parlamento italiano.È stato segretario generale del Movimento Europeo Internazionale dal 1995 al 2002. E’ stato eletto nell’ ottobre 2010 presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo con un mandato triennale ora rinnovato fino alla fine del 2018.E’ membro del Comitato Centrale del Movimento Federalista Europeo e del Comitato Federale dell’ Unione europea dei Federalisti, del Consiglio di Amministrazione dell’ Istituto Spinelli, del Consiglio Scientifico della Società Italiana per l’ Organizzazione Internazionale, del Comitato Direttivo del Centro Internazionale di Formazione Europea.Nell’ ambito dell’ azione Jean Monnet ha insegnato presso le Università di Macerata (1990-1997), Perugia (1997-1998), Libera Università Mediterranea di Bari (1998- 2001) e Roma Tre (2001-2003). Collabora con il Centro universitario di Torino per gli studi sul ruolo delle donne nella dimensione europea, con il Centro Spinelli della Facoltà di Scienze politichedi Roma 3. E’ coordinatore del Master in Politiche, Istituzioni Europee e Europrogettazione dell’ Università internazionaleTelematica Uninettuno.E’ Senior Fellow della Scuola di Politica Economica della Luiss. E’ professore incaricato di diritto internazionale per chiara fama presso l’ Università per stranieri di Reggio Calabria “Dante Alighieri”.Ha scritto la voce “Comunità Europea” per l’ Enciclopedia Utet e ha collaborato alle voci su temi europei del Dizionario economico-finanziario edito dall’ Enciclopedia Treccani e del Libro dell’ Anno 2014.E’ coautore di numerose pubblicazioni in italiano, inglese e francese. Scrive per quotidiani e riviste specializzate.Pier Virgilio Dastoli.

Le notizie sulla morte dei giornali – per parafrasare la battuta di Mark Twain, quando …

La Stampa
PAOLO MASTROLILLI
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Le notizie sulla morte dei giornali – per parafrasare la battuta di Mark Twain, quando pubblicarono il suo necrologio mentre era ancora in vita – sono grandemente esagerate. Questo, almeno, a giudicare da uno studio secondo cui il 53% degli americani paga per ricevere l’ informazione, sommato al successo che stanno avendo i paywall tra i media Usa. La premessa del discorso è nota. Da una parte, con l’ avvento di internet la gente si è abituata a leggere le notizie gratis, come se fossero prodotte da robot che non hanno bisogno di mangiare. Dall’ altra, i grandi social network si sono presi la pubblicità, lasciando a secco i media tradizionali. La carta, infine, è in via di estinzione, perché nessuno sotto i 40 anni d’ età la compra più. Tutto questo crea la tempesta perfetta, in cui i vecchi giornali sono destinati ad affondare. Eppure la loro storia potrebbe non finire così, perché qualche schiarita si comincia a vedere. Il primo segnale incoraggiante è venuto da uno studio realizzato l’ anno scorso dal Media Insight Project, secondo cui il 53% degli americani paga per l’ informazione, attraverso l’ abbonamento alla versione cartacea o digitale di un media tradizionale. E non si tratta solo degli anziani, perché anche il 40% degli adulti sotto i 35 anni d’ età lo fa. Non solo, ma il 52% di coloro che non comprano i giornali si considerano utenti dell’ informazione, e almeno il 20% dice che sarebbe disposto a comprarla, se nel futuro non riuscisse più a riceverla gratis a causa dei paywall. Sono dati incoraggianti perché in America le sottoscrizioni stanno diventando la ciambella di salvataggio dei giornali, in attesa che i grandi social, utenti gratuiti dei loro contenuti, si convincano a ridistribuire un po’ di pubblicità. Ad esempio il New York Times ha appena annunciato che i suoi abbonati sono saliti a 2,6 milioni, generando il 60% dei ricavi nel 2017. Discorso simile per il Washington Post, che ha superato il milione di sottoscrittori. Questi dati però vanno studiati e interpretati, per capire in quale direzione muoversi allo scopo di tornare a crescere. La prima domanda da porsi è perché la maggioranza degli americani compra i giornali, e le risposte raccolte dal Media Insight Project sono soprattutto tre: primo, perché la pubblicazione che acquistano eccelle nella copertura di soggetti a cui sono particolarmente interessati; secondo, perché amici e famigliari sono abbonati allo stesso prodotto; terzo, perché le promozioni li hanno incoraggiati a farlo. E’ interessante poi che fra i lettori più giovani, molti hanno risposto di comprare i giornali perché vogliono sostenere la loro missione. In altre parole, tra le polemiche sulle fake news che hanno condizionato le elezioni del 2016, gli attacchi costanti del presidente Trump all’ onestà dei media, e la volontà di capire cosa sta accadendo nel mondo in rapida trasformazione, le generazioni del futuro iniziano ad apprezzare il valore dell’ informazione professionale di qualità. Comprendono che produrla costa, e quindi sono disposti a sostenerla. Per attirarli, però, gli editori devono puntare su tre strategie: identificare i temi che interessano ai «cercatori» di notizie; pubblicare informazioni specializzate di livello; interagire con i lettori. E’ essenziale poi conservare il doppio modello cartaceo e digitale, perché la carta vende tuttora di più, anche se il digitale cresce e i social spesso sono la porta di accesso ai media tradizionali. Magari usare questi elementi per dare già ora la notizia della nostra sopravvivenza sarebbe esagerato, come per la morte di Twain, ma quanto meno offrono una speranza. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Le fake news fanno paura agli italiani Facebook in calo, crescono i quotidiani

La Stampa
PAOLO BARONI
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Il 70 per cento degli italiani ritiene che le fake news possano essere usate come un’ arma. E questo secondo l’ ultima edizione del «Trust Barometer» realizzato su scala planetaria dall’ agenzia di comunicazione Edelman fa sì che i timori generati dalle cosiddette bufale modifichino in maniera significativa i valori in campo. L’ inversione di tendenza risale al 2015, ma è da quest’ anno che nel nostro Paese si registra uno stacco netto: la fiducia nel giornalismo tradizionale ottiene infatti 14 punti in più di quella attribuita a motori di ricerca e social network: 67 punti (+5 sul 2017) contro 53 (-2). «Nell’ ultimo anno – spiega il direttore generale del Censis, Massimiliano Valerii – anche noi abbiamo registrato un segnale indiretto che qualcosa sta cambiando. Nella classifica delle fonti di informazione utilizzate dagli italiani – che tradizionalmente vede al primo posto i tg, e al secondo (non solo tra i giovani) Facebook – il più grande dei social network subisce infatti una battuta d’ arresto. Non solo non cresce più ai ritmi degli anni passati, ma registra anche una leggera diminuzione degli utenti che lo utilizzano come fonte d’ informazione». È l’ effetto boomerang delle troppe fake news veicolate dai social. «Le fake news sono diventate “la” news», sostiene Paolo Peverini che insegna Comunicazione di marketing e linguaggi dei nuovi media all’ Università Luiss di Roma. «A livello globale c’ è una fortissima attenzione verso questo fenomeno – spiega -. Questo non vuol dire che la maggior parte delle persone che vengono a contatto con notizie fasulle se ne accorga, però se ne parla. E questo gioca un ruolo determinante. Tanto che lo stesso Facebook ha deciso di fare un passo indietro rispetto alla definizione di media platform per tornare ad essere più che altro quel network di relazioni su cui negli anni ha costruito la sua espansione». Secondo Valerii «c’ è una grande consapevolezza del rischio di imbattersi in un’ informazione farlocca e negli utenti ora si è acceso un campanello d’ allarme ed inizia ad affermarsi una certa diffidenza». Questo però, al momento, non si traduce in una modifica significativa del mercato delle notizie a pagamento. Ma si sa che in questi campi gli Usa son sempre anni avanti a noi. «Dalle indagini sulla popolazione che facciamo – spiega il direttore del Censis – non si riscontra ancora la volontà di pagare per avere informazione di qualità. Perché l’ informazione è percepita come una commodity, come una cosa che si è avuta online sempre gratuitamente ed ora è difficile tornare indietro». «Però – sostiene Peverini – lo spazio per una informazione di qualità c’ è e c’ è una domanda di in questo senso. Lo stesso sondaggio di Edelman ci dice che siamo di fronte ad un parziale cambiamento di rotta. Credo infatti che tutti i media tradizionali, preesistenti l’ esplosione dei social, oggi abbiamo ancora un ruolo molto importante. Quando un fenomeno diventa un fenomeno di tendenza, infatti, non lo diventa solo perché è trend topic su Twitter, ma perché le testate tradizionali decidono di coprirlo e lo legittimano. E questo significa che un giornalismo che sia in grado di fare filtro e di selezionare in modo più accurato i contenuti riesce anche a recuperare un legame di fiducia coi lettori». Nell’ attesa che il mercato diventi maturo, gli italiani come si difendono dalle fake news? Diventando «crossmediali» certifica l’ Agcom. Dalla supremazia della tv non si sfugge, però il 17,9% della popolazione attinge ad almeno a due fonti, il 24,3% a 3, e la fetta maggiore (41,8%) arriva ad incrociarne addirittura 4: nell’ ordine tv, web, radio e quotidiani. Che restano pur sempre la prima fonte d’ informazione per il 25% della popolazione. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Serie A, i piani di Mediapro “Potenziale da due miliardi Vederla in tv costerà meno”

La Stampa
TIZIANA CAIRATI
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Mediapro è qualcosa di più di un semplice distributore di prodotti televisivi. L’ azienda catalana, con sede a Barcellona, Avenida Diagonal, fortificata dall’ ingresso del fondo Orient Hontai Capital che due settimane fa ne ha acquisito la maggioranza per 1 miliardo, produce audiovideo. E dal 5 febbraio ha messo un piede in Italia acquistando i diritti tv della Serie A dal 2018 al 2021 (tre anni) per 1,050 miliardi. «In Italia il prezzo dei dritti era fermo da anni, ma ci sono più abitanti e abbonati che in Spagna. Manca la concorrenza fra operatori», dice Tatxo Benet, socio storico di Jaume Roures, il fondatore e presidente del colosso spagnolo. Che fa eco all’ amico: «Da voi c’ era un monopolio, è sorprendente». A far saltare il banco ci ha pensato Mediapro, che si è inserita tra Sky e Mediaset portandosi a casa la nostra Serie A, un business molto ghiotto. Il calcio italiano sarebbe infatti in grado di portare alle tv circa 2 miliardi di euro, anche in un mercato senza concorrenza e con un campionato dal potenziale in parte inespresso. Ne sono sicuri i vertici di Mediapro. Prodotto da rilanciare «In Italia ci sono squadre storiche come Juventus, Milan, Inter e Roma. Qui in Spagna c’ è il Clasico a fare da locomotiva» spiega Roures, che giovedì sarà in Italia per iniziare a parlare con i club in attesa del pronunciamento dell’ Authority. «Dovranno per forza dire di sì» dice il n. 1 del gruppo. Ma Mediapro ha anche altri progetti, come la creazione, a medio termine, di un canale con Serie A e B. «Se non convinciamo i club a fare il canale – dice Benet -, faremo solo distribuzione». In tal senso è già stata rilevata la società di produzione Euroscena, con sedi a Milano e Roma. «Vedere A e B costerebbe 35-40 euro al mese» precisa Roures. Il primo passo è trovare l’ intesa con i broadcast. «A Sky sono rigidi, a Mediaset più flessibili. Più tardi raggiungeremo l’ accordo con la tv di Murdoch e peggio sarà per loro», sottolinea ancora Roures, che per la nostra Serie A ha anche un’ altra idea: mettersi a disposizione della Lega per promuovere il prodotto nel mondo. Un lavoro simile a quello fatto da Infront e dalla Lega di A per i diritti internazionali, che ha fatto incassare ai 20 club il doppio rispetto al triennio precedente. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Inchiesta Fanpage, dopo ore di silenzio verrà pubblicato anche il quarto video

Corriere del Mezzogiorno

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napoli Dopo diversi giorni di silenzio, che ad alcuni sono apparsi anomali, riprende oggi l’ inchiesta di Fanpage «Bloody Money», con la pubblicazione sul sito della quarta puntata: lo conferma il direttore del quotidiano on line, Francesco Piccinini. È quella anticipata in parte la scorsa settimana da La 7, in cui l’ ex camorrista pentito Nunzio Perrella incontra una donna a Venezia e le propone di riciclare denaro della camorra. La signora, che sarebbe la moglie di un ufficiale dell’ Esercito, sembra accettare senza difficoltà. «Questi sono soldi della camorra? Va bene, dov’ è il problema?», si sente. E poi: «Mica li cambiamo noi, ce li facciamo cambiare. Ma ce li dobbiamo andare a prendere giù? La provenienza è ovvio che è nera, chiuso. Vedi quest’ area di stoccaggio qui? Ci potrebbe essere una bella realtà. Qui ho il terminal, ho le navi che mi attraccano». Il riferimento è a un ipotetico traffico di rifiuti, Perrella chiede: «È Venezia?». Lei risponde sicura: «Venezia». La polemica promette di riaccendersi. Gli inquirenti, intanto, si preparano ad approfondire l’ attività istruttoria sui casi di corruzione, vera o presunta, emersi dall’ inchiesta giornalistica. Nei prossimi giorni i magistrati (l’ inchiesta è dei pm Sergio Amato, Ivana Fulco, Ilaria Sasso del Verme e Henry John Woodcock, con il coordinamento dell’ aggiunto Giuseppe Borrelli) convocheranno alcuni dei protagonisti dei video. Non vengono al momento collegati dalla Procura all’ inchiesta Fanpage gli incendi divampati a Napoli, nell’ edificio in cui abita una cognata di Francesco Piccinini, e a Cava de’ Tirreni nel Bar Rosa, gestito dalla famiglia di Carmine Benincasa, giornalista che ha collaborato alla redazione dell’ inchiesta. Quello di via Sedile di Porto a Napoli, che risale al pomeriggio di giovedì, è certamente stato provocato da un corto circuito e ha distrutto un armadietto che conteneva oggetti facilmente infiammabili. Fino a poco tempo fa l’ edificio era occupato da un centro sociale ed è stato poi liberato, con la conseguente assegnazione degli appartamenti a famiglie. Il clamore mediatico sull’ inchiesta di Fanpage e su Vincenzo De Luca (il figlio Roberto si è dimesso da assessore al Bilancio del Comune di Salerno) ha avuto un effetto paradossale: quello di rendere Matteo Renzi il politico più citato sui media. Renzi ha avuto infatti 3.436 menzioni, il 27,6 per cento in più di quelle avute da Silvio Berlusconi. Nella settimana tra il 16 e il 22 febbraio il segretario del Pd è tornato protagonista sui media, trainato proprio dal caso De Luca (501 ricorrenze), scaturito dall’ inchiesta giornalistica della testata Fanpage (354). A mettere in evidenza questi risultati è il monitoraggio svolto su oltre 1500 fonti d’ informazione fra carta stampata (quotidiani e periodici), quotidiani locali, siti di quotidiani, principali radio, tv, blog da Mediamonitor.it. Il sito, le cui informazioni sono state rilanciate dall’ Huffington Post, ha rilevato le citazioni avute dal 16 al 22 febbraio sui media da una lista selezionata di capi partito candidati alle prossime elezioni politiche. Numerose le citazioni del segretario del Pd (348) in correlazione con il nome di Massimo D’ Alema, esponente di spicco Liberi e Uguali. Renzi nell’ ultima settimana, facendo appello al voto utile, ha spesso ripetuto nei suoi interventi «Chi vota D’ Alema, in realtà vota Salvini» oppure «Ogni voto dato a D’ Alema favorisce il centrodestra».

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