Indice Articoli
Al Portello la nuova sede Rai di Milano
Chessidice in viale dell’ Editoria
Gentleman parla anche alle donne
Askanews, l’ agenzia di stampa sciopera contro la Cig al 70%
Newsweek fa scoop su Newsweek: licenziati direttore e una reporter
Apple cerca giornalisti, e sceglie un italiano. E’ David Moretti
La scomparsa di Carione volto campano di 90esimo minuto
sbatti l’ immigrato 2.455 volte in prima pagina
Razzismo e fake news, l’ odio viaggia in rete
Adesso la fiducia nei social media sta perdendo quota
la forza del teatro contro quella delle fake news
Tim, si arena la joint venture con Canal+
Giulietti da Fanpage “Difendo i giornalisti”
I limiti dell’ inchiesta di Fanpage e i dubbi di manipolazione
Gentleman diventa più ricco con Gentleman & Lei
Al Portello la nuova sede Rai di Milano
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Per il nuovo centro di produzione della Rai la scelta è caduta sulla proposta della Fondazione Fiera Milano che ha messo a disposizione i padiglioni 1 e 2 della storica Fiera, nel quartiere Portello. Ora sarà da concludere l’ iter, con la firma degli accordi. A quanto risulta al Sole 24 Ore, di questo risultato dell’ indagine di mercato – lanciata a ottobre per l’ individuazione della nuova area che dovrà ospitare il centro di produzione Rai a Milano – è stato informato ieri il Cda durante la riunione in cui, fra le varie cose, è arrivato il via libera al regolamento per l’ elezione del rappresentante dei lavoratori nel Consiglio di amministrazione Rai, previsto dalla riforma della governance della tv pubblica varata dal governo Renzi. In base al regolamento, a candidarsi possono essere i dipendenti da almeno tre anni a tempo indeterminato con candidature che possono essere presentate dai sindacati che firmano contratti con la Rai o da lavoratori che abbiamo raccolto almeno 150 firme. Il dg Rai Mario Orfeo, d’ intesa con la presidente Monica Maggioni, ha poi comunicato al Cda la decisione di intitolare il Teatro Delle Vittorie al produttore Bibi Ballandi. Insieme a queste comunicazioni è arrivata l’ indicazione della scelta della proposta di Fondazione Fiera Milano e dei padiglioni al Portello. La Rai creerà un polo, «il più possibile prossimo al proprio Centro di Corso Sempione», come si legge nell’ indagine di mercato pubblicata a ottobre, per avere nuovi studi e laboratori. Il tutto con la volontà di dar vita a un «complesso immobiliare, che dovrà essere reso disponibile per un periodo pari a 6 anni più 6 anni, finito, funzionante e fruibile entro il 31-12-2018». Non è la prima volta che la Rai pensa a una mossa del genere. Anche nel 2014, con il dg Luigi Gubitosi, si avviarono le procedure per la ricerca di una nuova sede. Non se ne fece nulla. Ora la conclusione si avvia a essere differente, con questo accordo in dirittura d’ arrivo per un canone che si attesterebbe sui 2,5 milioni l’ anno. Quella della Fondazione Fiera è stata giudicata così la migliore offerta – mixando i due aspetti del quantum economico ma anche della fattibilità – all’ interno di una rosa di sei manifestazioni di interesse che sarebbero pervenute, fra gli altri, da Telelombardia e Coima. Il progetto va a interessare un quartiere, il Portello, che sta cercando da anni una nuova identità. Non è andato in porto il progetto del nuovo stadio del Milan, che prima si è presentato vincendo un bando e poi si è ritirato, arrivando a un contenzioso con la Fondazione (risolto con il pagamento di circa 10 milioni da parte della società calcistica). Si è rivelato anche inadeguato, secondo la valutazione finale del Comune di Milano, il progetto “Milano Alta” proposto dal raggruppamento Vitali-Stam, che si era aggiudicato la gara come secondo arrivato. Il contenzioso è in corso. Per la Rai quello di Milano non sarà comunque l’ unico impegno immobiliare. In Cda si è infatti parlato anche dell’ indagine di mercato «per immobili da locare in Roma». Qui le manifestazioni d’ interesse arrivate sarebbero 18. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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Passerà al gruppo Gedi (che pubblica Repubblica, Stampa e Secolo XIX) la gestione editoriale di The Official Ferrari magazine (Tofm), la rivista patinata di lifestyle di Maranello che tre volte l’ anno anno arriva nelle case di ferraristi e abbonati, oltre all’ annuario che la società regala a fine anno ai suoi fan. Fondato nel 2008 e rivisitato dal gruppo nel 2016, The Official Ferrari magazine fino a oggi curato da Condè Nast Londra, manterrà il grande formato e l’ inglese come lingua ufficiale, mentre continuerà ad essere allegato l’ opuscolo con le traduzioni in sette lingue, incluso il cinese e il giapponese. Inpgi, via libera anche per i giornalisti al cumulo gratuito dei contributi previdenziali. Scatta anche per i giornalisti la possibilità di cumulare i contributi versati nelle varie casse professionali e quelli versati all’ Inps. È stata infatti definita la convenzione quadro fra l’ Inps e l’ Adepp (Associazione delle casse di previdenza dei professionisti) che permette ai professionisti di riunire i contribuiti versati in più gestioni ed ottenere così un’ unica pensione, come riportato ieri dal blog inpginotizie.it. Tecniche Nuove acquisisce 30% Point Veterinaire Italie. Il gruppo editoriale Tecniche Nuove ha acquistato il 30% della società Point Veterinaire Italie, cui seguirà nei prossimi quattro anni anche l’ acquisizione della maggioranza del capitale sociale con un altro 40%, e un’ opzione futura per l’ acquisizione delle quote rimanenti. Perfezionando l’ operazione, Tecniche Nuove, che conta circa 260 dipendenti e 56 milioni di euro di fatturato, rafforza il proprio presidio sia in ambito editoriale, sia sul fronte della formazione tecnico professionale nel settore dell’ agricoltura. Tre sono gli asset acquisiti: Point Veterinaire Italie per le attività editoriali, in veterinaria, zootecnia e sanità pubblica veterinaria; Pvi per tutti gli altri comparti, tra cui quello alimentare e della sicurezza alimentare umana, quello dei laboratori e il settore della chimica; Pvi Formazione, società del gruppo focalizzata sulla formazione residenziale e a distanza (ente accreditato). Pvi presente in Italia dal 1992 pubblica un settimanale, un quindicinale, cinque mensili, quattro bimestrali, tre trimestrali. Il settore libri presenta un catalogo di oltre un centinaio di titoli, tra testi universitari, manuali e libri per professionisti. Endemol Shine Italy nomina Veronica Ferrari commercial strategy director. La società di produzione televisiva che fa capo al Gruppo Endemol Shine ha nominato Veronica Ferrari, già chief business development officer della controllata YAM112003, a nuovo commercial strategy director di Endemol Shine Italy. Ferrari, laureata in economia aziendale e con un master conseguito alla Sda Bocconi, ha iniziato la sua carriera in PwC per approdare all’ editoria con Rcs MediaGroup nel quale ha ricoperto diverse cariche tra cui head of marketing and operation dei canali televisivi Lei, Dove e Caccia e Pesca e, successivamente, head of new digital business in Rcs Digital Ventures, occupandosi di business development digitale. Dal 2014 ha iniziato a collaborare con il gruppo Endemol. Sky Italia lancia Gheddafi, serie scritta anche da Roberto Saviano. Una serie sulla vita di Gheddafi, incluso l’ ultimo periodo di vita del Colonnello libico. A lanciarla è Sky Italia, nell’ ambito del progetto firmato Palomar, co-prodotto e distribuito internazionalmente da Entertainment One (eOne). Alla serie, una nuova produzione originale narrata da diversi punti di vista, collaborerà anche lo scrittore Roberto Saviano, Sarà basata sulle vicende legate all’ impatto avuto dal Colonnello sul mondo moderno. Insieme a Saviano fanno parte del team di scrittura anche Nadav Schirman (The Green Prince) e Clive Bradley (Trapped, City of Vice). Gli stessi Saviano e Schirman saranno i produttori esecutivi della serie prodotta da Carlo Degli Esposti e Nicola Serra della Palomar. Per eOne i produttori saranno Polly Williams e Carolyn Newman e per Sky Italia Nils Hartmann e Sonia Rovai. La distribuzione internazionale della serie sarà a cura di eOne. Disney prepara nuovo adattamento dei Muppets. La Walt Disney sta lavorando a un nuovo adattamento per il suo servizio di video in streaming dei Muppets, le avventure dei pupazzi e personaggi in costume creati da Jim Henson a partire dal 1954. A riferirlo l’ Hollywood Reporter, secondo cui lo studio cinematografico, che lancerà la piattaforma nell’ autunno del 2019, sta cercando lo sceneggiatore al quale affidare lo sviluppo del progetto. a cura di Francesca Sottilaro.
Cinema, piccole case crescono
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Nel mondo della distribuzione cinematografica la grande novità sul mercato è ovviamente Vision Distribution, società promossa da Sky Italia e partecipata pure dai produttori Cattleya, Wildside, Lucisano Group, Palomar e Indiana Production. Nel modello di business di Vision Distribution c’ è spazio per pellicole molto pop del tipo di Come un gatto in tangenziale, miglior incasso italiano nella stagione 2017/2018 con 9,3 milioni, o Sconnessi, appena uscito in sala. Ma la casa di distribuzione presieduta da Andrea Scrosati punta pure a operazioni un po’ differenti, come ad esempio le puntate in anteprima di Gomorra (che a metà novembre sono state in vetta al box office) o il documentario di Sky Arte Caravaggio-L’ anima e il sangue, che questa settimana ha guidato la classifica dei botteghini cinematografici italiani con oltre un milione di euro in tre giorni. E quello dei documentari e dei film d’ autore è un comparto dove stanno nascendo realtà distributive tutte italiane molto interessanti. Ovviamente lontane dalle logiche di Medusa, 01, Warner, 20th Century Fox, Sony pictures, ma pure da quelle di Lucky Red o Bim. Sono invece realtà piccole, che nascono in provincia, ma che lavorano con un respiro mondiale. Per esempio I Wonder Pictures, nata a Bologna nel 2013 su iniziativa di Andrea Romeo (70%) e Giacomo Romeo (30%), con la volontà di portare nelle sale italiane i migliori documentari prodotti in Italia e all’ estero (1,43 milioni di euro di ricavi nel 2016, con un utile di 25 mila euro). Oppure Tucker Film, nata a Pordenone nel 2008 su iniziativa di Cinemazero di Pordenone (50%) e del Centro espressioni cinematografiche-Cec di Udine (50%) che, dopo più di trent’ anni dedicati all’ esercizio, decidono di unire le forze per avviare una nuova attività distributiva e produttiva. Tucker film (600 mila euro di ricavi per 74 mila euro di utili nel 2016), in sostanza, si occupa sia di piccole produzioni legate al territorio e alla cultura regionale friulana, sia della distribuzione di opere asiatiche, con un filone sviluppato in diretta connessione con il Far East Film Festival di Udine, la più importante vetrina di cinema popolare asiatico in Europa, di cui Cec è organizzatore. I Wonder, peraltro, è uscito dal giardinetto dei documentari già dal 2014, conquistando il successo nelle sale nel 2015 distribuendo il film Dio esiste e vive a Bruxelles. Dal 2017, poi, nascono le I Wonder Stories, una serie di uscite a evento mensile per poter vedere al cinema i documentari più importanti del momento. Il nuovo format, realizzato da I Wonder Pictures in collaborazione con Unipol Biografilm Collection, propone un approccio innovativo al prodotto, arricchendolo di contenuti speciali su misura. Media partner di I Wonder Stories è Rai Radio2. Nel 2018 sono già arrivati in sala My Generation (con Michael Caine che racconta la Londra anni 60), Reset-Storia di una creazione (come nasce la coreografia di balletto all’ Opera di Parigi), e in arrivo Rumble-Lo spirito del rock (i tanti chitarristi con sangue indiano nativo americano, tipo Jimi Hendrix, alla base del successo del rock), Ex Libris (sulla New York public library), e poi altri due documentari sulla vita di Renzo Piano e sulle opere di Bill Viola. Tucker Film, invece, nel 2010 ha portato nelle sale italiane il capolavoro giapponese Departures (premio Oscar 2009 come miglior film straniero), distribuendo poi molti titoli asiatici (da Poetry a In another country o Tokyo love hotel), fino all’ ultimo lavoro del regista coreano Kim Ki-duk, Il prigioniero coreano (già presentato ai Festival di Toronto e Venezia nel 2016) in uscita in Italia il prossimo 12 aprile. © Riproduzione riservata.
Askanews, l’ agenzia di stampa sciopera contro la Cig al 70%
Il Fatto Quotidiano
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Il Comitato di redazione dell’ agenzia di stampa Askanews, di cui Luigi abete è azionista di maggioranza, ieri ha denunciato “il comportamento inaccettabile dell’ azienda, che ha deciso di procedere unilateralmente con una brutale richiesta di cassa integrazione al 70%, dichiarando esuberi pari a due terzi dei giornalisti” e ha proclamato uno sciopero per oggi, 23 febbraio. In una nota, l’ organismo sindacale ha attaccato “la mossa intimidatoria” dell’ azienda che “si abbatte su una redazione che responsabilmente, tramite lo stesso Cdr e la delegazione sindacale, ha mostrato un costante impegno per cercare soluzioni sostenibili alla grave crisi causata dalla mancata definizione della gara sui servizi giornalistici avviata dalla presidenza del Consiglio”. Secondo il Cdr “viene chiesto ai soli giornalisti di farsi carico dei problemi finanziari dell’ azienda che pretende una percentuale di cassa che di fatto azzererebbe l’ attività”. La richiesta della cig, si legge, “è legata all’ attuale mancata assegnazione di un lotto della gara. Era questa la tutela dei posti di lavoro che intendeva il ministro Luca Lotti quando ha lanciato il bando di gara europeo a maggio scorso?”.
Newsweek fa scoop su Newsweek: licenziati direttore e una reporter
Il Fatto Quotidiano
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Mentre in Italia “The Post” continua a mietere consensi e a meritarsi libri e approfondimenti (il buon giornalismo fa sempre notizia, specie se accompagnato dall’ edificante sostegno dell’ editore), dall’ altra parte dell’ oceano la cronaca riporta il mestiere bruscamente sulla terra. Succede a Newsweek, il cui direttore Bob Roe, il direttore esecutivo, Kenneth Li e la reporter Celeste Katz hanno perso il posto per un servizio investigativo sulla società editrice della testata, il Newsweek Media Group. Al centro dello scoop erano i legami tra Newsweek Media Group e la Olivet University, un’ università cristiana conservatrice fondata da un controverso reverendo di origini coreane, David Jang. I giornalisti di Newsweek avevano scoperto che nel 2016 la Olivet, mentre cercava di ottenere sgravi fiscali per aprire un campus nello stato di New York, aveva offerto a funzionari statali pubblicità gratis su Newsweek per 149.000 dollari. L’ articolo (“Perché l’ ufficio del procuratore distrettuale di Manhattan si sta occupando dei legami tra Newsweek e un’ università cristiana?”) ha provocato un terremoto. Johnatan Davis, co-fondatore del Newsweek Media Group, alla fine è stato costretto ad ammettere i legami con Olivet, di cui sua moglie è presidente e di cui in passato lui stesso è stato consigliere accademico. “Bob Roe, Kenneth Li e Celeste Katz sono stati licenziati per aver fatto il proprio lavoro” hanno scritto ieri i giornalisti di Newsweek in una nota.
Apple cerca giornalisti, e sceglie un italiano. E’ David Moretti
Il Foglio
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San Francisco. Apple accelera sulla produzione di contenuti e sceglie un italiano. Secondo quanto risulta al Foglio, il gruppo di Cupertino negli ultimi mesi ha messo su uno staff di giornalisti per fare informazione in diversi paesi. A conferma della notizia, anche il fatto che su LinkedIn Apple è alla ricerca di una dozzina di profili con competenze giornalistiche. L’ azienda intende così implementare Apple News, la app lanciata tre anni fa. A conferma del rinnovato impegno sui contenuti, Apple strappa talenti dal mondo dei magazine. Sempre secondo quanto risulta al Foglio, la società annuncerà nei prossimi giorni l’ arrivo di David Moretti, attualmente direttore creativo di Wired Usa, che dovrebbe lasciare nei prossimi giorni per assumere il nuovo incarico a Cupertino. Milanese, 51 anni, da tre anni ricopre questa posizione, dopo aver lavorato a Wired Italia,e prima in diverse testate (Rizzoli periodici, Gazzetta, Corriere, oltre ad ver co -fondato Rolling Stone Italia). Moretti ha firmato anche l’ ultima copertina di Wired, quella con Mark Zuckerberg ferito e sofferente, che ha fatto scalpore. Sotto la sua direzione il magazine ha vinto diversi premi ed è cresciuto anche nella produzione di video e ha collaborato alla creazione diAbstract, il format di documentari poi prodotto da Netflix. Infatti l’ impegno di Apple non sarà solo sulle news ma anche sul video: così l’ azienda guidata da Tim Cook investirà 1 mi liardo di dollari nella produzione di video originali secondo il Wall Street Journal. Già l’ anno scorso ha lanciato due show originali, “Planet of the Apps” e “Carpool Karaoke”. E recentemente ha annunciato che produrrà una serie diretta dal regista di La La Land, Damien Chazelle. La “staffetta” tra Wired e Apple non è poi una novità: il predecessore di Moretti, Billy Sorrentino, lasciò per entrare nel team creativo Apple. Moretti, tre figli, è sposato con Marina Pugliese, già direttore del Museo del Novecento a Milano, che oggi insegna storia dell’ arte al California College of the Arts oltre ad aver curato la mostra di Lucio Fontana all’ Hangar Bicocca. Sul fronte della scrittura, a dirigere le news di Apple è stata scelta l’ ex direttrice del New York Magazine, Lauren Kern. Secondo il sito The Information, Apple starebbe approfittando della retromarcia di Facebook sul fronte delle notizie: il social network infatti a gennaio ha annunciato di aver cambiato l’ algoritmo della piattaforma, che da allora facilita e invoglia alla lettura delle interazioni tra i profili delle persone, invece che la lettura delle notizie. Una decisione dovuta sia ai problemi (fake news, presunte ingerenze russe eccetera), sia al fatto che le notizie per Facebook non sono in definitiva un buon business: se la piattaforma si trasforma in un rullo di notizie, diminuisce il tempo che le persone vi trascorrono (e di conseguenza pubblicità e introiti). Michele Masneri.
La scomparsa di Carione volto campano di 90esimo minuto
Il Mattino
a.s.
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Ieri mattina, a bruciapelo, la notizia: è morto improvvisamente Carlo Carione, cronista sportivo della Rai. Aveva appena compiuto 55 anni, era nato il 31 gennaio del 1963 a Palermo. Carlo era diventato giornalista, giovanissimo, lavorando per l’ agenzia di stampa napoletana Rotopress. Poi era passato dalle collaborazioni a quotidiani come Il Tempo, La Gazzetta dello Sport, Il Mattino, Il Corriere del Mezzogiorno al rapporto con la Rai, con cui ha iniziato a lavorare nel luglio del 2000 per poi essere assunto a tempo indeterminato nel 2009. Nella redazione di Napoli si è occupato prevalentemente di sport, diventando negli ultimi anni uno dei volti di 90esimo minuto per le partite della serie B. Nel suo ultimo servizio aveva intervistato l’ ex calciatore olandese Ruud Krol, in visita alla mostra del Calcio Napoli al Museo Archeologico. Agli inizi degli anni Novanta, Carione era stato anche nell’ ufficio stampa della società azzurra che ieri ha voluto ricordarlo sul proprio sito. Esperto di statistiche, autore di almanacchi sul calcio campano, Carione nel 2013 aveva scritto un volume, «Tutti i calciatori del Presidente: Campioni e meteore del Napoli di Aurelio de Laurentiis», ricchissimo di cifre, curiosità e aneddoti sui giocatori arrivati in azzurro dal 2004 in poi. Non solo calcio, però, perché Carione era molto attento anche agli altri sport che ingenerosamente vengono definiti minori, con uno sguardo più approfondito verso le vicende del basket, prima puteolano e poi napoletano. Carione lascia la moglie Cinzia e una figlia di 15 anni, Ludovica. Al dolore della famiglia si sono uniti, oltre al direttore della TGR Vincenzo Morgante e alla redazione della Campania, la presidente della Rai Monica Maggioni e il direttore generale Mario Orfeo. «Sono vicino a nome della città e mio personale alla famiglia e alla Rai per la scomparsa di Carlo Carione uomo e giornalista esemplare», il messaggio di cordoglio del sindaco di Napoli Luigi De Magistris. L’ ultimo saluto a Carlo stamane, alle 11, nella Chiesa San Luca di Arco Felice, a Pozzuoli.
sbatti l’ immigrato 2.455 volte in prima pagina
Il Venerdì di Repubblica
di Simone Mosca
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AVIA. Scorre placido il Ticino, gli studenti lasciano le aule dell’ Università, si abbassano le saracinesche delle vecchie botteghe, è solo mezzogiorno e mezzo ma nell’ aria c’ è già quell’ inconfondibile suono di posate e stoviglie che dà il via al sonnolento rito del pranzo in provincia. Ma come si fa ad avere paura dei migranti a Pavia? «E invece è proprio così, e non solo a Pavia, in tutta Italia. Nel 2017 i crimini sono calati: gli omicidi dell’ 11,8 per cento, i delitti del 9, le rapine dell’ 11, i furti del 9. Gli sbarchi sono passati da 181 mila 436 a 119 mila 310, calando del 34 per cento. Solo la paura dello straniero è salita: quasi al 40. «È che amiamo troppo i racconti di cronaca nera, migliaia di servizi, e finiamo coll’ esserne condizionati. In Germania il tg nazionale cita casi di cronaca una ventina di volte all’ anno». Andrea Caretta è presidente dell’ Osservatorio di Pavia, l’ istituto di ricerca indipendente che da oltre 30 anni si occupa dell’ analisi dei media nazionali (web, tv, radio, stampa) per valutare il rispetto del pluralismo sociale, culturale e politico in relazione a temi come i diritti, l’ economia, le questioni di genere. E ovviamente l’ immigrazione. Si scandagliano i contenuti di quotidiani, telegiornali, testate online, in parte anche i social, si misurano le opinioni dei cittadini con dei sondaggi, si incrociano i risultati con i dati reali del ministero degli Interni. E alla fine grafici, torte, statistiche assortite dicono che l’ Italia è una Repubblica fondata sulla percezione schizofrenica della realtà, non sui sui fatti. Un Paese rapito dallo spavento, incapace di valutare la complessità dei fenomeni e convinto che un episodio riassuma la verità del mondo. La sede dell’ Osservatorio è in via Roma 10, a pochi passi da via Strada Nuova 65 dove alcune delle 13 facoltà dell’ ateneo locale affondano le radici nel 1361. Caretta siede a un tavolo della sala riunioni con Mirella Marchese, vice presidentessa, Antonio Nizzoli, responsabile dei rapporti con la Rai, Paola Barretta, ricercatrice che supervisiona molti dei report periodici dell’ Osservatorio. I cui inizi risalgono a una delle più celebri anomalie italiane. «Sì, Silvio Berlusconi. La nostra cooperativa era già nata nel 1985 in seno all’ Università. Ma allora ci occupavamo solo del pluralismo all’ interno dei programmi Rai. Poi arrivò il 1994. E Berlusconi scese in campo. Un monopolista dell’ informazione candidato premier. Un equivalente dell’ Agcom non esisteva ancora e decidemmo di estendere il nostro campo di indagine andando in qualche modo a tappare un buco nel sistema di controllo. Fu una prima volta per le democrazie occidentali e quell’ esperienza ci trasformò in un avanguardia internazionale». L’ Osservatorio oggi collabora con 80 paesi, con l’ Ocse, con l’ Unione europea, impiega in pianta stabile 20 ricercatori, ha digitalizzato 600 mila ore di televisione, indicizzato un milione di notizie, tiene sotto controllo qualcosa come centomila soggetti. E da cinque anni, con la collaborazione di Demos e Unipolis, cura i rapporti annuali della Carta di Roma, associazione fondata nel 2011 per verificare la qualità del racconto dell’ immigrazione sulla stampa. L’ ultimo, uscito alla fine dello scorso, si intitolava Notizie da paura. È dunque precedente ai “fatti di Macerata”, nell’ ordine l’ omicidio di Pamela Mastropietro e la tentata strage a sfondo razziale di Luca Traini. «Non abbiamo ancora raccolto dati spendibili sul fatto. Però con casi simili abbiamo già avuto a che fare». Uno risale al 2007. È il 30 ottobre, Tor di Quinto, Roma. Sono le 7 di sera e Giovanna Reggiani 47 anni, viene violentata e uccisa da Romulus Nicolae Mailat, muratore rumeno di 24 anni che vive nel campo rom vicino alla stazione dove la donna è appena scesa. Nei telegiornali Rai e Mediaset, orario prime time, il caso spinge la quota di servizi dedicati all’ emergenza criminalità a 3.497. Per il 53,1 per cento degli italiani la sicurezza diventa la priorità assoluta. «È probabile che l’ omicidio di Pamela abbia innescato lo stesso effetto». Il caso di Traini invece propone una novità pericolosa. Somiglia a un altro caso. Fermo, 5 luglio 2016, primo pomeriggio. Per strada scoppia una lite tra Amedeo Mancini, 39enne ultrà della Fermana, ed Emmanuel Chidi Nnamdi, nigeriano di 36 anni che passeggia con la compagna. Mancini lo definisce “scimmia”, lo ammazza di botte, è un orrendo omicidio con aggravante razziale. Su Twitter però nei giorni successivi inizia a circolare un hashtag incredibile, #iostoconamedeo, che raccoglie migliaia di adesioni. «Allora la diga del giornalismo tradizionale funzionò. La condanna fu unanime, ci fu una definizione univoca del gesto. L’ impressione stavolta è che la tentata strage di Traini sia stata condannata ma con molti distinguo e attraverso molteplici definizioni». Tentato omicidio, ferimento, tentata strage, terrorismo e via dicendo. «È probabile che in questo abbia pesato la prossimità delle elezioni, dove questi casi sono funzionali alla polarizzazione». Lo diventano con la complicità dei media. «Su tutti la tv conserva un ruolo predominante». Sui telegiornali una notizia su tre relativa alle migrazioni prevede una voce politica, solo il 7 per cento delle volte viene fatto parlare un migrante. «In questo senso è importante parlare di notizie mancanti più che di notizie false. Un esempio. La maggior parte dei minori non accompagnati che migrano in Italia provengono dal Gambia. In cinque anni sui Tg il Gambia è stato nominato cinque volte». Il tema dei migranti sui giornali è stato analizzato soprattutto attraverso i titoli dei quotidiani nazionali e locali. “Migrante” è la parola più ricorrente sulle prime pagine del 2017. È comparsa 2.455 volte. «In ambito linguistico, la situazione è migliorata. Termini come clandestino sono usciti dal vocabolario. Ma la nostra analisi non riesce ad entrare nello specifico di tutti gli articoli dove le brutte abitudini possono sopravvivere». L’ Osservatorio non può ancora a penetrare le maglie chiuse di Facebook: «L’ unica ricerca che abbiamo ci dice che ogni 100 commenti o post di cui viene chiesta la rimozione, solo 72 vengono eliminati entro le 29 ore». Un tempo sufficiente a fabbricare migliaia di opinioni. Le più usate dai giornali p italia l’ apparenza inganna viene fuori un paese fondato sulla percezione schizofrenica della realtà e non sui fatti La criminalità cala e così pure gli sbarchi. A crescere è solo la paura dello straniero. Colpa dei media? Anche. Lo dice l’ Osservatorio di Pavia che li studia da trent’ anni.
Razzismo e fake news, l’ odio viaggia in rete
Il Mattino
Francesco Lo Dico
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Menzogne, odio, violenza. Per comprendere quanto sia fitto l’ intreccio perverso tra web e pulsioni xenofobe che spesso tracimano in barbarie di piazza, basta dare un’ occhiata alla rete. Proprio mentre scriviamo, ha raggiunto infatti 413mila visualizzazioni, più di 1300 like e 12648 condivisioni, un video-bufala diffuso dalla pagina social de L’ Onesto. «I profughi rifiutano 500 euro a testa: Sono pochi, vogliamo almeno 2000 al mese», è il breve titolo che accompagna la notizia virale lanciata il 17 febbraio. L’ allarmante servizio racconta la protesta di alcuni profughi nordafricani ospitati presso il Ferrhotel di Piacenza che avrebbero chiesto almeno 2mila euro per svuotare le loro camere d’ albergo. «Il 28 febbraio dovranno lasciare la struttura», incalza l’ autore del servizio. I quasi 200mila followers dell’ Onesto si scatenano in commenti inenarrabili. «Poi dice ke uno se li kiama m**** è razzista», tuona uno. «Tornatevene a casa vostra», replica un altro. Altri sparano a zero sul governo, sul Pd e sui politici. Ma uno dei commenti più interessanti è quello di un utente che si scaglia contro certa stampa. «Dove sono i Lecc*** der Messaggero, Repubblica, L’ Unità, Paese Sera ecc ecc?», tuona indignato Enrico Marchetti Caciara. Peccato però che a dispetto di tanto furore civico, l’ Onesto non si riveli all’ altezza del suo nome altisonante: i fatti narrati non si riferiscono infatti al febbraio del 2018, ma a quello ben più lontano del 2013. E sono tutt’ altro che verosimili. È vero infatti che i manifestanti africani di Piacenza cinque anni fa si erano divisi. Alcuni avevano effettivamente chiesto 2mila euro, ma dal servizio mancano quanti, ossia la maggioranza, si era detto favorevole ad accettare i 500 euro. Tant’ è che, dopo le iniziali tensioni, l’ autorevole quotidiano on line della città, il Piacenza, titolava il 28 febbraio del 2013: «I profughi accettano i 500 euro, molti rimarranno a Piacenza». Fatti che spiegano abbastanza bene, l’ assenza dei giornalisti chiamati in causa dall’ utente Caciara. Assodata la bufala, resta in piedi una domanda: chi è L’ Onesto che si batte con tanto ardore per gli italiani? Il sito web in questione si presenta in homepage come «Rassegna stampa indipendente» che denuncia «tutto il marcio della politica italiana». Ma basta fare qualche ricerca per comprendere come l’ invocata neutralità sia piuttosto opinabile. La rassegna dell’ Onesto compare infatti in numerosi siti web ufficiali del Movimento5Stelle veneto. E del resto titoli come «Di Battista incontenibile», l’ epiteto a caratteri cubitali affibbiato alla foto di Napolitano, («Vergognoso»), e il «Messaggio importante per tutti voi» di Luigi Di Maio lasciano poco spazio a margini di ambiguità. Il sito dell’ Onesto risulta infatti registrato su Whois al napoletano Rosario Iacovino, che sulla sua pagina Facebook si definisce editore del sito e dichiara di aver lavorato presso i Cinque Stelle. La bacheca di Iacovino rimanda peraltro oltre che all’ Onesto a una pagina di marketing americana, che offre trucchi su «come prelevare più di quanto si abbia sulla carta di credito» e altre amenità assortite. Che riappaiono identiche a se stesse su un altro sito, ossia Attivotv, con il quale L’ Onesto vanta 175mila collegamenti. E che era già finito al centro di polemiche per un’ altra clamorosa bufala no vax: il vaccino obbligatorio per gli adulti introdotto nottetempo con un emendamento segreto dalla senatrice del Pd, Patrizia Manassero. Toni alti contro gli «immigrati che vogliono le pulizie», e «Ferrara distrutta dalla mafia nigeriana», ma anche le denunce di Salvini contro le violenze degli antifascisti, appaiono anche su Adessobasta.org, un altro sito che vanta migliaia di condivisioni tra i simpatizzanti pentastellati, e mezzo milione di follower sulla pagina Facebook. «Tra poco elimineremo questi parassiti al governo insieme ai rom», infuria un utente a commento di una cliccatissima notizia contro i nomadi. In questo caso, Whois dice che la piattaforma è registrata in Arizona. E qui la cosa si fa interessante. Adessobasta.org presenta infatti lo stesso codice pubblicitario di Google, presente su conservativepost, un sito americano di estrema destra. Dunque è assai probabile che a raccogliere i profitti pubblicitari dei due siti web sia un unico soggetto interessato probabilmente ad ampliare in Italia il raggio della propaganda xenofoba americana. E mostra connessioni con gli Stati Uniti, in quanto registrato in California, anche il sito web News24oggi.com. Riscattonazionale.it è gestito invece dall’ estremista di destra Davide Loi, che risulta proprietario anche di noaimatrimonigayinitalia.it. Il sito, che ieri apriva con il presunto stupro di un italiano da parte di due pakistani, specifica di sostenere Forza Nuova. E nella pagina Facebook abbinata alla piattaforma, l’ odio e la violenza politica esplodono. Dopo il pestaggio del militante di FN a Palermo, c’ è chi tra i follower promette «lotta al ultimo sangue», chi minaccia i centri sociali, e chi insulta la Boldrini. A pompare odio c’ è poi anche VoxNews.info, già oggetto di un’ interrogazione parlamentare l’ anno scorso, che risulta amministrato dalla stessa persona che gestisce siti come TuttiICriminiDegliImmigrati, ma anche siti di estrema destra come Identità.com e l’ ormai defunto ResistenzaNazionale.com. Chiusa la pagina Facebook che aveva 50mila like, VoxNews continua a essere presente grazie alle condivisioni degli utenti che spesso inneggiano a post manifestamente razzisti. Di rilievo anche la botnet russa, intestata su Twitter a una non meglio identificata @LilySej1, che in poco più di otto mesi ha diffuso più di 44mila cinguetti, e conta su 31300 mi piace e più di 5mila followers. La rete russa, che conta su una rete virale di computer che diffondono tweet in modo tale da renderli virali, sostiene apertamente Casapound, e la corsa del leader Simone Di Stefano verso il Parlamento. Tra ii follower alcuni nomi figurano in effetti in cirillico, accompagnati da altri di chiara ascendenza mediorientale schierati a difesa degli interessi strategici russi e di Vladimir Putin. Ma non mancano anche fieri seguaci di Donald Trump e nazionalisti italiani vicini a Forza Nuova. Si tratta di dati da non sottovalutare, quando si parla di Twitter. La celebre piattaforma ha infatti ammesso che erano oltre 50mila gli account legati alla Russia che avevano usato il servizio di microblogging nel tentativo di condizionare le elezioni americane del 2016. Intanto, moltiplicati da bufale e veleni, odio e veleni avanzano. E talvolta lasciano rivoli di sangue anche in piazza. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Adesso la fiducia nei social media sta perdendo quota
Italia Oggi
SERGIO LUCIANO
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C’ è del marcio nei social: l’ amletica constatazione viene da una fonte autorevole e, diciamo la verità, rappresenta una boccata d’ ossigeno per il settore dei media tradizionali, ormai in prolungata apnea. La fonte è l’ Edelman Trust Barometer, un indicatore sviluppato dalla autorevole società di comunicazione e riferito al tasso di fiducia del pubblico verso i vari mezzi di comunicazione. Ebbene: finalmente, e dopo parecchi anni di flusso opposto, la fiducia nei social media sta calando, e quella verso i media tradizionali sta riprendendosi. L’ indagine viene condotta in 28 paesi e la percentuale del campione intervistato che crede nella necessità di un giornalismo professionale è salita dal 54 al 59% nel giro di un anno. È presumibile che non tutti questi ferventi sostenitori del ruolo culturale del giornalismo serio siano anche compratori dei giornali che dicono di apprezzare, ma comunque rincuora che la tendenza sia così migliorata. Di pari passo sta calando la fiducia nei contenuti dei social media: perché è sempre più chiaro, ormai (grazie anche alle febbrili campagne elettorali vissute in vari Paesi europei) che tra fake news e commistione permanente tra fatti e opinioni, è difficile per chiunque basarsi solo sui social per capire davvero cosa sta succedendo attorno a noi. Tra questo e concludere che però sia prossima la riscossa dei giornali (quelli per leggere i quali si deve pagare) purtroppo ne corre. La scelta (suicida, a valutarla col senno del poi) di immettere gratuitamente in Internet i propri contenuti fatta da tutti i giornali del mondo tra la fine degli anni Novanta e l’ inizio del Terzo Millennio ha creato un danno irreparabile. La gente si è abituata a leggere gratis ogni sorta di contenuto, e non percepisce facilmente quanto bassa sia la loro qualità, e quanto spesso sia contaminata dalla pubblicità, dai preconcetti, dall’ ignoranza. Prima di prendere atto che i social, per lo meno, non bastano, prima che quel 59% di consapevoli diventi l’ 89%, e che una buona fetta di essi si rimetta a tirar fuori dei soldi per informarsi (su carta o sul web non conta) dovrà probabilmente passare ancora parecchio tempo. Negli Stati Uniti, mercato che collauda solitamente usi e costumi mediatici cinque anni prima che vengano adottati anche in Italia, il fenomeno sembra iniziato, a giudicare dai risultati dei giornali «classici», spesso in lieve ripresa soprattutto grazie agli abbonamenti web. Quanti anni avremo tra cinque anni? E da oggi ad allora come resisteremo? Sono le due domande cruciali oggi per tutti coloro che vivono di giornalismo.
la forza del teatro contro quella delle fake news
Il Venerdì di Repubblica
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egli annali elettorali italiani l’ attuale campagna per il rinnovo della Camera e del Senato resterà purtroppo legata solo al tema dell’ immigrazione e della “identità nazionale”. Al momento in cui scrivo, gli ottimisti sperano ancora che l’ ondata xenofoba in cui siamo immersi non vomiti la maggioranza dei suffragi. I sei milioni di immigrati (grosso modo 5,5 milioni di regolari e mezzo milione tra richiedenti asilo e irregolari) non hanno voce e nessuno che li difenda, ma sono accusati di ogni nequizia possibile: rubano il lavoro, osano ottenere case popolari, delinquono, stuprano, introducono jihad, sharia, mafia, riti tribali. C’ è un complotto, non lo sapevate? Il “piano di sostituzione di popolazione” progettato dall’ ebreo ungherese George Soros. Nel corso di poche settimane, la razionalità collettiva italiana è bruscamente calata. La difesa della (nostra) “razza”, propugnata dal candidato leghista a governatore della Lombardia, gli ha fatto aumentare consensi; il civile ius soli è diventato una bestemmia; il Mein Kampf ha sbancato la classifica di Amazon; Matteo Salvini è un possibile prossimo ministro degli Interni; sono stati proposti piani di deportazione per mezzo milione di persone. L’ acme della campagna elettorale è stata raggiunta con “i fatti di Macerata”, dove il primo attentato terroristico razzista in Italia ha provocato un vero e proprio collasso di democrazia. Le vittime africane della sparatoria abbandonate a se stesse (anonimi nemici, deumanizzati), senza che nessuna istituzione sia stata loro vicina, neppure la Chiesa di Francesco. La città sbarrata, la solidarietà mediatica con lo sparatore, la tragica resa di Minniti: – «L’ avevo visto arrivare da lontano» – , il sindaco impaurito non si sa bene da cosa (da se stesso o dai suoi concittadini?), una generosa manifestazione antifascista purtroppo mancante della presenza dei leader politici. Chi per mancanza di coraggio, chi per indifferenza, chi per intima convinzione, tutti hanno voluto dichiarare che quei feriti non erano “nostri” e mai avrebbero dovuto diventare cittadini. Scappati da un Paese in guerra, accolti a pistolettate, nessuno ha offerto loro né una carta d’ identità né una carezza. Tutto ciò a molte persone ha lasciato molto amaro in bocca, credo. Sono questi i nostri leader politici? Non potremmo avere di meglio? Ma poi… quasi per miracolo, sono arrivati Sanremo e Favino. Tutti l’ hanno visto e sentito un’ altra verità, milioni hanno pianto (come lui). Per il lamento nel grammelot dello straniero, per la forza del teatro, per due millenni di cristianesimo, perché lo trasmetteva la Rai, perché tutti vogliono bene alla loro badante, perché tutti hanno un amico pizzaiolo, carpentiere, una compagna di scuola. E tutti sanno che chi spaccia lo fa per noi: lui ne farebbe a meno. E tutti intuiscono cosa succede al bordo della foresta in Nicaragua. Il teatro influirà sul voto? Dopo tante fake news, sarebbe bello. P.S. Un lettore (credo che sia lo stesso che ha fatto la domanda a Michele Serra), vorrebbe sapere chi voto. Risposta: +Europa di Emma Bonino. Per le cose dette sopra. N.
Tim, si arena la joint venture con Canal+
Il Messaggero
ROSARIO DIMITO
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LA SVOLTA ROMA Un nuovo colpo di scena arricchisce la vicenda sulla costituenda joint venture fra Tim e Canal+: secondo quanto risulta al Messaggero, infatti, l’ ex incumbent si appresterebbe a ritirare il progetto, più volte criticato dai consiglieri delle minoranze, dal collegio sindacale e finito sotto esame in Consob. Il piano della jv avrebbe dovuto approdare sul tavolo del cda del 6 marzo, chiamato ad approvare il piano industriale al 2021. Oggi dovrebbe riunirsi il Comitato controlli e rischi (Ccr) anche in vista del cda straordinario, a Milano, deputato a esaminare l’ offerta di F2i e Rai Way per Persidera, la società dei multiplex. L’ offerta ammonta a 220 milioni, di cui 200 fissi più 20 milioni di earn out. Nelle ultime ore la cordata avrebbe rilanciato: Tim ha il 70% ed è costretta a vendere per gli impegni presi da Vivendi con Bruxelles in cambio del controllo. Gedi, che ha il 30% ed è libero da obblighi, invece spinge per l’ Ipo. Nelle ultime ore i membri del Ccr presieduto da Lucia Calvosa sarebbero stati avvertiti della volontà di fermare il piano joint venture. Le motivazioni dello stop sarebbero nelle fallite negoziazioni fra Vivendi e Mediaset che non renderebbero più la partnership funzionale alla pace. Ma andiamo con ordine. Il progetto di costituire una joint venture fra Tim e Canal+, entrambi per l’ appunto controllati da Vivendi, viene esposto in consiglio Tim, la prima volta, il 27 luglio 2017 da Arnaud de Puyfontaine, nel suo duplice ruolo di presidente dell’ ex incumbent e ceo della media company transalpina facente capo a Vincent Bollorè. Obiettivo della nuova iniziativa (60% Tim e 40% Vivendi) con dotazione iniziale di 100 milioni, acquistare contenuti e diritti per arricchire l’ offerta di Tim Vision. In quella circostanza, proprio per agevolare il percorso, de Puyfontaine invocò la direzione e coordinamento di Vivendi su Tim. LA STRATEGIA Sicché l’ iter per l’ avvio della società comune, definita prioritaria nella nuova strategia dell’ ad Amos Genish, viene avviato secondo la procedura delle operazioni fra parti correlate di minore rilevanza. Ma quando a ottobre è partita la negoziazione con Mediaset per l’ acquisto di film, fiction e dei canali del digitale terrestre per 460 milioni di euro in sei anni, i sindaci e le minoranze di Tim hanno eccepito che si trattava in realtà di operazione fra parti correlate di maggiore rilevanza e che le condizioni a cui si stava trattando erano troppo a vantaggio di Mediaset. Interessata della vicenda dai sindaci, Consob ha dato ragione a questi ultimi e imposto a Tim di ripartire da capo, dovendo far approvare l’ operazione al plenum del Ccr. Va detto che questo comitato si è riunito già tre volte sul tema ma senza fare grandi passi in avanti verso la definizione del progetto. La partnership avrebbe dovuto costituire un tassello essenziale del business plan, ma il valore strategico della jv, ai primi di ottobre 2017, sarebbe aumentato quando tra Vivendi e Mediaset, ai ferri corti a causa del passo indietro dei francesi su Premium con un contenzioso sfociato in tribunale, è spuntato il tentativo di armistizio. Uno degli snodi sul quale cementare la tregua era proprio la jv nel cui capitale Vivendi avrebbe voluto far entrare Mediaset con un 20% e un’ opzione put a tre anni nei confronti della media company francese a prezzi prefissati. Il piano, tra l’ altro, era nato con la previsione che la jv acquistasse i contenuti da Mediaset per girarli a Tim. Tra ottobre e dicembre, quando i consiglieri indipendenti e i sindaci sono scesi sul piede di guerra, si è verificata la prima marcia indietro con l’ ingresso in campo diretto di Tim come acquirente dei contenuti. Lo slittamento dei tempi (sono passati sette mesi) e la complicazione nella realizzazione del progetto hanno contribuito a deteriorare i rapporti fra Vivendi e Mediaset: a questo punto non è quindi più necessario trovare una stanza di compensazione. E Tim di buon grado è pronta al passo indietro che toglie una spina nella dialettica interna al board. Rosario Dimito © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Giulietti da Fanpage “Difendo i giornalisti”
La Repubblica (ed. Napoli)
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« Se uno si sente leso nei suoi diritti può tranquillamente querelare ma certi linguaggi violenti non sono accettabili, né contro Fanpage né contro la Rai o qualsiasi altro». Non lo nomina ma le bacchettate del presidente della Federazione nazionale della Stampa, Beppe Giulietti, che ieri ha visitato la redazione di Fanpage, sono tutte indirizzate al governatore Vincenzo De Luca. «Al di là del dibattito sulla metodologia dell’ inchiesta giornalistica – aggiunge Giulietti – bisogna stare attenti e non delegittimare i giornalisti con alcune parole e toni inaccettabili, soprattutto da chi rappresenta le istituzioni». Il presidente della Fnsi si sofferma anche sul blitz di un gruppo di attivisti di Forza Nuova che ha tentato di accedere all’ interno dello studio televisivo de La7: «Se per fare un dibattito in tv c’ è bisogno dei vigilantes siamo dinanzi ad un fatto gravissimo. Non possiamo consentire che si faccia irruzione in una redazione e considerarlo una cosa normale». Tornando alla videoinchiesta di Fanpage sui rifiuti, per Giulietti si può criticare il metodo utilizzato ma giudica intollerabile gli interventi delle Procure nelle redazioni con perquisizioni o acquisizioni che spesso « hanno l’ obiettivo di aggirare la tutela della fonte, del segreto professionale ». Quindi aggiunge: «Ho guardato l’ elenco delle solidarietà e degli attacchi espressi a Fanpage, della solidarietà e degli attacchi espressi a Federica Angeli ( giornalista di Repubblica sotto scorta per le sue inchieste sulla mafia di Ostia, ndr) e alla redazione. Tutto bene, ma prendo atto che questa legislatura si chiude senza l’ approvazione delle legge contro le querele bavaglio. È uno scandalo, la legge era stata preparata, era andata in quarta lettura al Senato ma non è stato mai approvata. Il 90 per cento delle querele bavaglio – conclude Giulietti è archiviata. I giornalisti hanno l’ obbligo di dare le notizie. Saremo al fianco di Fanpage in tutte le sedi come abbiamo fatto per Federica Angeli, per Paolo Borrometi e per tanti altri giornalisti». – a.dicost. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
I limiti dell’ inchiesta di Fanpage e i dubbi di manipolazione
Il Dubbio
ASTOLFO DI AMATO
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La visione dei filmati che documentano l’ inchiesta giornalistica di Fanpage turba profondamente. Ne esce fuori uno spaccato dell’ Italia davvero rivoltante. È così forte l’ impatto, che scivolano inevitabilmente in secondo piano gli interrogativi che una inchiesta del genere sollecita: cosa possa aver convinto un ex boss della camorra a prestarsi ad una attività del genere, come sia stato possibile superare le difficoltà tecniche per la sua realizzazione, etc. La forza delle immagini è tale, poi, da far passare in seconda linea anche la tematica di carattere tecnico giuridico relativa alla legittimità dell’ uso di un agente provocatore che costruisce, insieme ai soggetti provocati, l’ illecito e quindi la notizia dell’ illecito commesso: se, cioè, il giornalista d’ inchiesta possa lecitamente costruire la notizia dell’ illecito contribuendo alla commissione dello stesso. Se, però, ci si distacca dal contenuto dell’ inchiesta e si guarda ai suoi effetti, emerge un dato che finisce con l’ essere prevalente anche sulla forza di quelle immagini. L’ inchiesta viene distillata, nella diffusione al pubblico, proprio durante le settimane che precedono il voto e, quindi, con una incidenza che potrebbe essere devastante sulla manifestazione della volontà elettorale. A questo primo dato se ne aggiunge un altro: l’ inchiesta, nei fatti, pur riguardando specifiche persone, colpisce in modo particolare un partito politico e cioè il Partito democratico. A questo punto la questione non può più essere vista nei ristretti termini della relazione tra inchiesta giornalistica e vicende giudiziarie penali. Essa riguarda molto più direttamente ed incisivamente la questione del rapporto tra informazione e democrazia. In questa diversa prospettiva si sarebbe tentati di richiamare il vecchio principio per il quale una maggiore e più libera informazione corrisponde ad una più compiuta realizzazione dei valori democratici. Ma è così? In questa vicenda la presenza nell’ inchiesta di un agente provocatore e, perciò, di un ruolo attivo del giornalista nella creazione dell’ illecito e quindi della relativa notizia non può essere considerata separatamente dalla circostanza che il tutto si verifica in prossimità della campagna elettorale ed è divulgato durante la campagna elettorale. In questi termini è inevitabile osservare che si è in presenza non già della mera registrazione di quanto accade, bensì di un comportamento attivo di aggressione ad un determinato competitore nella campagna elettorale. Appare, quindi, come una iniziativa, scientificamente studiata a tavolino, per influenzare la campagna elettorale ed aggredire uno specifico partito “creando” la notizia destinata a colpirlo. In questi termini i parametri di valutazione di quanto sta succedendo diventano indubbiamente scivolosi. Il ruolo attivo svolto dal giornalista apre il dubbio che l’ inchiesta costituisca un vero e proprio strumento di manipolazione della volontà elettorale. E basta pensare a cosa accadrebbe se i vari protagonisti dell’ informazione, diversamente schierati dal punto di vista politico, invece che limitarsi a cercare le notizie, soprattutto se dannose per gli avversari, si mettessero sistematicamente a provocare gli avversari inducendoli in tentazione per commettere illeciti e poi crocefiggergli davanti alla pubblica opinione. Un po’ quello che, come si racconta nei film, fanno gli 007 quando fanno cadere in tentazione i funzionari della nazione avversaria da ricattare. È immaginabile una lotta elettorale che si svolga con queste modalità? Segnerebbe un imbarbarimento ulteriore della nostra società. E la barbarie certamente non favorisce l’ onestà, la cui esaltazione legittimerebbe queste condotte. UN AGENTE PROVOCATORE CHE CREA L’ ILLECITO E IL PRESUNTO ILLECITO RESO NOTO IN PIENA CAMPAGNA ELETTORALE CONTRO IL PD: UN ULTERIORE IMBARBARIMENTO DELLA LOTTA POLITICA.
Gentleman diventa più ricco con Gentleman & Lei
MF
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Gentleman diventa più ricco e parla anche alle donne, declinando al femminile il concept che ne ha decretato il successo in Italia e nelle sue edizioni internazionali. Per quattro volte all’ anno sarà Gentleman & Lei, a partire da oggi per proseguire a maggio, ottobre e dicembre, «seguendo le stagioni della moda, della bellezza e dei regali di fine anno», spiega Giulia Pessani, direttore del mensile. Gentleman & Lei (Il mensile per gli uomini e le donne che amano la vita) rappresenta «la naturale evoluzione di un giornale maschile che, da oltre 16 anni, racconta il lifestyle, il piacere di vivere, di assaporare ogni momento, ogni esperienza, vivendo il presente». Molte di queste esperienze si scelgono in due e Gentleman «ha deciso di dedicare uno spazio privilegiato agli interessi e alle passioni del gentil sesso con contenuti nuovi che nascono dai desideri e dalla fantasia femminili, dalla moda alle tendenze, dalla bellezza ai grandi viaggi», per rendere omaggio al ruolo quasi preponderante, che le donne hanno nelle decisioni d’ acquisto. Che si tratti di prodotti maschili o femminili, il 70-80% degli acquisti è determinato dalle donne (fonte: Istat), che in molti casi procurano alle famiglie le entrate maggiori e sempre più spesso vivono da sole (8,2 milioni, fonte Ipsos). «Gentleman & Lei risponde alle esigenze del mercato, anticipando un trend sempre più evidente nel mondo del fashion, dove è in atto una convergenza nelle modalità di presentazione e di comunicazione della moda maschile e femminile», dice Angelo Sajeva, presidente di Class Pubblicità e consigliere per le strategie e lo sviluppo di Class Editori. «Class Editori, con un magazine di grande successo in Italia e all’ estero che sa ora posizionarsi al centro di questa convergenza, incontra i gusti del pubblico e l’ offerta dei brand, rispondendo alla necessità di informazione e comunicazione di entrambi. Il fatturato pubblicitario di Gentleman & Lei è cresciuto del 60% rispetto al numero di Gentleman del Marzo 2017, con nuovi inserzionisti del lusso fra cui Valentino, Louis Vuitton, Armani Donna, Christian Dior Parfum, Dolce&Gabbana, e un mix della pubblicità moda pari al 65% per la donna e al 35% per l’ uomo» ha continuato Sajeva. Gentleman & Lei godrà di una distribuzione addizionale in location mirate sul target oltre che per le sfilate di moda della Fashion Week milanese». Le donne che compongono l’ audience femminile di Class Editori e di Gentleman & Lei indossano sempre gioielli e orologi, spendono molto per i capi di abbigliamento e comprano più di tre paia sia di scarpe che di borse di lusso all’ anno. Inoltre, danno attenzione allo stile dei capi di abbigliamento e ne comprano e possiedono di brand di prestigio (fonte: GfK Eurisko).
L'articolo Rassegna Stampa del 23/02/2018 proviene da Editoria.tv.