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Rassegna Stampa del 14/02/2018

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«I giornali di carta hanno 10 anni di vita»

Bimbi testimonial: papà vuol fare soldi su YouTube

Il futuro «rivoluzionario» della radio

Mediapro (e la serie A) nelle mani dei cinesi

Anche al no profit il credito d’ imposta per la pubblicità

Premier League, a Sky e BT i diritti Tv

Sfida dei big data, Cina favorita

Sky Uk e Bt si aggiudicano la Premier League

Giornali, paywall pure su Facebook

Su Rai 2 un mini-telegiornale satirico modello Striscia

Nel 2017 +5,4% per gli investimenti pubblicitari in radio | Prima Comunicazione

PENSA PRIMA DI CONDIVIDERE

«I giornali di carta hanno 10 anni di vita»

Il Giornale

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Le rotative che ogni giorno portano alla luce i quotidiani potrebbero avere altri dieci anni di vita. A fare da Cassandra è stato Mark Thompson (nella foto), presidente e amministratore delegato di New York Times Company, l’ azienda editoriale che pubblica l’ omonimo giornale. In una intervista a Cnbc, ha aggiunto di sperare che il giornale cartaceo possa «sopravvivere e prosperare finchè può», ma «non potrà durare per sempre». Reduce da una trimestrale migliore delle stime, in cui gli abbonamenti digitali hanno fatto da traino e con la quale il gruppo ha ridotto la sua dipendenza dalle inserzioni pubblicitarie (che ora rappresentano solo un terzo dei ricavi totali), Thompson ha chiarito che le scelte future sul giornale saranno dettate esclusivamente dell’ andamento delle vendite: «Potrebbe arrivare il momento in cui il quotidiano cartaceo non avrà più economicamente senso». Per il momento, «la nostra idea è di continuare a servire i nostri abbonati alla versione cartacea del giornale il più a lungo possibile. Nel frattempo però dobbiamo rafforzare la sfera digitale, così da avere un’ azienda di successo e in crescita nelle attività nuove per quando la carta stampata non ci sarà più». Sotto la guida di Thompson, il New York Times è diventato il primo gruppo editoriale al mondo a superare quota un milione di abbonati esclusivamente digitali.

Bimbi testimonial: papà vuol fare soldi su YouTube

Il Fatto Quotidiano
Selvaggia Lucarelli
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Un tempo c’ erano le mamme di Miss Italia. Si aggiravano dietro le quinte dei concorsi di bellezza guardando con aria torva le ragazze più avvenenti, quelle che avrebbero potuto strappare la fascia alla figlia. Erano feroci macchine da guerra, preparate a tutto tranne che a veder fallire le proprie figlie. Oggi le mamme delle miss sono state rottamate. Le ragazzine si auto-promuovono sui social, a tredici anni conoscono meglio i filtri di Instagram dell’ analisi logica. Le nuove mamme delle Miss – qui sta la novità – sono i padri degli youtuber. Degli influencer. Dei bambini guidati alle nuove tecnologie da papà col pallino dei videogiochi, della moda e con l’ ambizione di usare i figli per quello che non sono riusciti a fare loro: i soldi. Le mamme delle miss proiettavano sulle figlie i desideri frustrati di riconoscimenti estetici, i padri degli youtuber i desideri frustrati di riconoscimenti economici. La faccenda sta partorendo mostri che neanche la fantasia di Tim Burton. Ma partiamo dall’ inizio. Il primo milionario baby su YouTube In principio fu Favij: il primo youtuber di successo del paese, era un ragazzino torinese con l’ hobby dei videogiochi. Si riprendeva mentre giocava e caricava i video delle sue reazioni su un canale YouTube. Il papà Sergio, informatico, gli aveva trasmesso la passione per il computer. E sempre papà Sergio diventerà il manager di suo figlio quando Favij si rivelerà il primo youtuber italiano a toccare il milione di iscritti e il milione di euro nel conto in banca (al momento ha 3,5 milioni di iscritti e un guadagno che si aggira sui 3-4 milioni di euro l’ anno). Oggi il signor Sergio, con la sua aria da uomo medio, i suoi maglioncini di lana e le agghiaccianti felpe in pile con cui appariva, di tanto in tanto, nei video di suo figlio, chiude contratti con Disney, Sky e Nintendo e rilascia interviste al Sole 24 Ore. Ma questa, tutto sommato, è la parte sana della storia. Poi sono cominciati gli emuli. Ma non quelli di Favij. Quelli del padre di Favij. Quelli che vedono nel figlio la loro occasione e il loro riscatto e te lo sbattono davanti a una telecamera convincendolo di essere Frank Matano pure se il figlio, in video, ha la stessa vivacità di Mattarella a Capodanno e parla un italiano zoppicante. Il più sconcertante è il papà di Alessandro, un bambino di 8 anni circa, che viene ripreso dal padre (la voce fuori campo dei video) mentre compra gemme e minchiate varie in un videogioco che si chiama “Clash Royale”. I video si chiamano “Settimana Shopposa su Clash Royale 100 euri al giorno x 7” o “Clash Royale 1000 euri” perché il padre di questo povero bambino promette a chi segue il canale (che si chiama Milleaccendini Lego) che se raggiungerà i 50.000 like, comprerà mille euro di gemme al figlio. I video sono una delle cose più avvilenti mai partorite dal web, con un papà con accento romanesco che spende migliaia di euro per promuovere il figlio su YouTube, confeziona foto del bambino tra banconote da cento euro per sponsorizzarlo e scagliargli contro folle inferocite da tanto esibizionismo e istruisce il figlio in diretta su quello che deve fare per vincere e buttare soldi nel cesso. Naturalmente ha trasformato questo povero bambino nel bersaglio preferito di migliaia di hater. Il commento più gentile sotto al suo canale è “bambino viziato di merda con un padre che lo sfrutta”. Anche il ciuccio è dello sponsor Poi ci sono quei papà che fanno i fashion blogger e quindi la nascita del figlio è una buona occasione per trasformare i neonati in manichini mignon e macchine da soldi. Ci sono bambini che impareranno a dire prima “selfie” che “papà” con profili Instagram per cui bisognerebbe scomodare gli assistenti sociali. In questo senso, l’ esempio più inquietante è il papà Mariano Di Vaio, noto fashion blogger con sei milioni di follower su Instagram, che ha registrato l’ account di suo figlio Nathan Leone prima ancora che nascesse. Questa povera creatura oggi ha un anno e 216.000 iscritti alla sua pagina. A 22 giorni dalla sua nascita comparivano già le foto delle sue tutine con riferimenti dello sponsor. Dopo un mese la sua prima foto con tutina con brand taggato. Poi arriva il ciuccio dello sponsor. A cinque mesi il trolley firmato con le iniziali. Poi il bracciale d’ oro. Le ciabattine con le iniziali come Briatore, il compleanno col vestitino Dolce e Gabbana e così via, in un climax di tristezza infinita. In tristezza, forse, lo batte solo papà Fedez, re di Instagram con i suoi 4 milioni di follower (sette in meno della compagna Chiara Ferragni) che per trasformare il figlio Leone in influencer non ha neppure aspettato il taglio del cordone. Pubblica da mesi le immagini delle ecografie di Leone (prima i “Leone” erano papi, ora mini-fashion blogger) e perfino “il tour” delle cliniche in diretta per decidere dove far partorire il figlio, che è ufficialmente il primo feto fashion blogger della storia. Mi aspetto da un giorno all’ altro la dichiarazione: “Mio figlio non galleggia nel liquido amniotico ma in una bionda Ceres”. Poi ci sono i fenomeni a metà tra Il Boss delle cerimonie e I nuovi mostri. Tutto iniziò da Chiara Nasti, fashion blogger e concorrente di reality oggi ventenne che cominciò la carriera su Instagram a 15 anni. Dietro di lei, il padre tatuato Enzo, che spinse il suo successo sui social investendo denaro sui talenti della figlia, ovvero in tette di silicone, quando lei aveva appena 16 anni, e ritocchini vari. Visti gli introiti e il successo di Chiara, incoraggiò pure la figlia più piccola, Angela. Pagò le tette nuove anche a lei e oggi è il manager di due ragazzine che a vent’ anni ne dimostrano 35, con milioni di follower e un aspetto più da playmate che da ragazze appena maggiorenni. Al momento, anche un’ altra cuginetta della famiglia Nasti che avrà forse 4 anni, è su Instagram. Per fortuna, di silicone, lei al momento ha solo il ciuccio, ma è sulla buona strada. “La mia prima fashion week” Infine, c’ è il papà di Alfredo, che di mestiere fa qualcosa che non si capisce nel mondo della moda (credo abbia un brand che si chiama “Make money no friends”), è napoletano, ha 70.000 follower su Instagram, esibisce lusso, automobili, abiti griffati, una moglie sobria con gli stivali di pelle al ginocchio e due figli che sembrano usciti dal video di un prediciottesimo solo che avranno 10 anni. Il bambino più piccolo a 9 anni ha già un account Instagram curato dal padre in cui viene fotografato con borse Supreme, sciarpe Balenciaga, in accappatoio con le iniziali e il Campari sul tavolino al Quisisana di Capri, mocassini Gucci. Nella sua bio è descritto come “Figlio di Salvatore, fondatore di Make money no friends e “baby luxury style”, sotto alla sua foto compaiono scritte agghiaccianti quali “La mia prima fashion week”, “Fiero di essere il figlio di Salvatore”, “Vita da bomber”, in un crescendo di deliri narcisistici proiettati su questo povero bambino pacioccone che sembra arrivare più da un film di Verdone che da una fashion week. Insomma, se mai ci sarà un remake di Mammina cara, il vecchio film sulle angherie subìte da Christina a opera della terribile madre Joan Crawford, ho paura che di questi tempi si chiamerà “Papino caro”.

Il futuro «rivoluzionario» della radio

Il Manifesto

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Nel disinteresse pressoché generale si è celebrata ieri la «Giornata mondiale della radio», dedicata quest’ anno allo sport. Eppure si tratta di un medium immortale, capace di trasformarsi: diede il via alla comunicazione moderna all’ inizio del ‘900 e connota ora l’ ibridazione post -media tica dell’ era digitale. E sì, perché l’ intreccio con le tecni che diffusive numeriche ha di fatto celebrato il matrimonio con la rete, surclassando la sorella maggiore, la televisione. Che, nella sua versione generalista, vive ormai solo grazie ai grandi eventi: dal festival di Sanremo al Commissario Montalbano. La radio, invece, naviga veloce con i suoi palinsesti, in cui la bardatura dei generi e dei format è solo un ricordo. La crescita del fatturato pubblicitario, in controtendenza rispetto agli altri mezzi, è il segno di una vitalità non effimera. Tuttavia, in un’ Italia in cui le regole nelle comunicazioni sono spesso un optional, anche la benemerita radio non sfugge alle tentazioni. Infatti, nei mesi scorsi Me diaset ha fatto il pieno: a Radio 101 si sono aggiunte le stazioni di Finelco (105 e Virgin), nonché Radio Subasio. Quest’ ultima, attenzione, è formalmente locale, ma di fatto trasmette su quasi tutto il territorio nazionale. Insomma, ecco un ulteriore «duopolio», cugino di quello televisivo. I due pezzi forti sono insidiati dalla storica Radio Dimensione Suono e dall’ attivismo di Rtl, network da anni presente nel mercato, pure animato dalla logica del trust. Nel piccolo impero dell’ imprenditore Lorenzo Suraci sono entrate Radio Zeta e Radio Freccia, ex Radio Padania che pure era un’ emittente comunitaria teoricamente estranea alle dinamiche commerciali. Insomma, concentrazioni a go-go sotto lo sguardo un po’ miope delle autorità competenti. L’ Agcom, che ha celebrato qualche giorno fa in un’ impegnata cerimonia alla Camera dei deputati il ventesimo compleanno, non ha forse ritenuto di accendere i riflettori in modo sistematico. La stessa Autorità antitrust si è limitata ad imporre al gruppo di Berlusconi di non raccogliere anche la pubblicità di Radio Kiss Kiss. Pochino, in verità. Così, mentre lo sguardo è rivolto altrove, si è creata – silenziosamente- una potente filiera di potere. E non si creda che la radio non incida sul clima di opinione. Lo intuì Roosevelt quando usò la radio per lanciare il «New Deal» e, purtroppo, ben lo capirono i regimi autoritari degli anni venti e trenta. Ora, grazie alla molteplicità di piattaforme messe a disposizione dall’ incrocio con la rete, l’ influenza aumenta. Non per caso molti brani di musica o le canzoni in fase di lancio scelgono la radio, vero e proprio «red carpet» dei successi in fieri. La celebrazione del giorno della radio, che presto diventerà una scadenza ufficiale dell’ Unesco su proposta di una cinquantina di paesi, non rimanga – dunque un rituale. È tempo di rimettere la testa nel settore, immagi nando finalmente una vera normativa dedicata, staccandola dalla marmellata televisiva. Non solo. Pure la Rai potrebbe abbracciare la modernità, trasformando la gloriosa radio in un’ autonoma società del servizio pubblico, sinergica con i comparti che si occupano di Internet. Si tratta di riprendere il filo originario, quando le onde hertziane rivoluzionarono stili, linguaggi, modelli culturali. La radio ha il diritto (e il dovere) di riprendere il lato «rivoluzionario» della sua storia. Medium caldo semplice e duttile contiene gli ingredienti per i irrompere nel panorama ingrigito della televisione e nel regno ambivalente dei social.

Mediapro (e la serie A) nelle mani dei cinesi

Il Mattino
Paola Del Vecchio
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Madrid. Al negoziato andato avanti per mesi mancava solo il via libera del governo di Pechino, che infine è arrivato. Orient Hontai ha acquistato Mediapro e diventa proprietaria dei diritti tv del calcio spagnolo come italiano, per cui la nostra serie A parlerà cinese. Il fondo asiatico di investimenti ha rilevato il 54,5% di Immagina, la società di produzione audiovisiva nata dalla fusione di Mediapro e Globomedia per una cifra vicina ai 900 milioni di euro. I catalani Jaume Roures e Tatxo Benet, che controllano il 24%, resteranno ai vertici della società e assicurano che nulla cambierà nella gestione. La conferma del negoziato in dirittura d’ arrivo viene dallo stesso gruppo che ha sede sulla Diagonal di Barcellona. La firma davanti al notaio sarebbe una pura formalità. Secondo quanto anticipato da El Confidencial, Orient Hontai ha acquisito le partecipazioni di Torreal (23,5%), del gruppo televisivo messicano Televisa (19%), e di Gerard Romy (12%) uno dei soci fondatori, per una somma vicina ai 900 milioni di euro. Ma è singolare la coincidenza di cifre e il timing fra il riassetto societario e l’ assegno da oltre un miliardo staccato a fine gennaio da Roures e soci per acquisire i diritti della serie A, congelato in attesa del via libera dell’ Antitrust. Già proprietaria dei diritti della Liga spagnola e di Champions League dal 2018 al 2019, Mediapro punta a fare cassa alla vigilia dell’ asta che disputerà per conquistare anche quelli delle tre stagioni successive. Il resto delle azioni della società di audiovisivi, che nell’ attualità fattura oltre 1,5 miliardi, resterà al colosso pubblicitario britannico Wpp (22,5%) di Martin Sorrel. Fra i maggiori produttori spagnoli, Jaume Roures è il miliardario rosso beneficiato dalla riforma della tv digitale terrestre a pagamento varata a suo tempo dal governo Zapatero. Con un passato di trozkista, rinchiuso nelle carceri franchiste e vicino al radicalismo basco, è grande amico di Carles Puigdemont, l’ ex governatore della Catalogna in esilio volontario in Belgio. In occasione del referendum secessionista di ottobre, ha aperto un centro stampa a pagamento per conto della Generalitat, per vigilare sull’ informazione indipendente. Fondatore del quotidiano online Publico e de La Sexta tv, è presidente di uno dei colossi nella gestione e produzione di contenuti tv, produce film alcuni di Woody Allen ma anche di registi indipendenti – ed edita canali tematici, nelle sedi aperte in 34 città del mondo con 5mila dipendenti. Il bando che ha vinto in Italia consentirà a Roures e soci non solo di essere i provider delle pay tv Sky e Mediaset e delle Iptv Tim e Amazon i diritti della Serie A. Mediapro punta, intatti, a diventare partner finanziario della tv della Lega prospettata dal consulente Luigi De Siervo, avendo già esperienza nella gestione di un canale con Bein Sport. Già azionista del Girona del fratello di Pep Guardiola, Roures è uomo molto vicino a Javier Tebas, il numero uno della Liga calcio professionale, l’ influencer che Tavecchio e Urbano Cairo puntavano a far eleggere come amministratore delegato nella nuova governance della Lega Calcio, per recuperare la visibilità e il decoro perduti fra i club europei. Poco conosciuto in Europa, Orient Hontai Capital, fondato nel 2014 per acquisire imprese di videogiochi nel paese asiatico, ha la sua vera forza nella società matrice Orient Security, compagnia finanziaria che muove attivi di 26 miliardi di euro, è quotata nella Borsa cinese ed ha una capitalizzazione di oltre 10 miliardi di euro. Rappresenta, soprattutto, una prospettiva interessante attraverso Bein Sport per massimizzare i ricavi del campionato all’ estero e in Qatar. Il patron di Mediapro, nonostante la vendita, resterà con Tatxo Benet saldo al timone, data la nulla esperienza di Orient Hontai in materia. E continuerà l’ espansione. Poco importa il recente passato poco trasparente, come l’ avvio ad aprile dello scorso anno dell’ inchiesta dell’ Antitrust spagnola di un’ indagine sulle presunte pratiche anticoncorrenziali nei confronti di Mediapro. O l’ avvio di un’ indagine da parte dell’ Fbi su alcuni dirigenti del gruppo poi sospesi – per le tangenti pagate dagli sceicchi del Golfo per l’ assegnazione dei mondiali del Qatar. I detective dell’ Fbi sono convinti che la società spagnola da ieri con gli occhi a mandorla sia fra i principali protagonisti del Fifagate, che ha provocato le dimissioni di Blatter. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Anche al no profit il credito d’ imposta per la pubblicità

Il Sole 24 Ore
Emanuele ReichFranco Vernassa
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Il credito d’ imposta sugli investimenti pubblicitari (articolo 57-bis del Dl 50/2017) decorre dal 2018, ma si può già applicare ai soli investimenti pubblicitari sulla stampa, anche online effettuati a partire dal 24 giugno 2017. In attesa del regolamento di attuazione il dipartimento dell’ Editoria ha pubblicato un aggiornamento delle istruzioni, per tenere conto delle modifiche introdotte dal Dl 148/2017, che oltre all’ estensione parziale al 2017 hanno incluso gli enti non commerciali tra i possibili fruitori. A imprese, lavoratori autonomi ed enti non commerciali che effettuano investimenti in campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e periodica, anche online, e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali, il cui valore superi almeno dell’ 1% gli analoghi investimenti effettuati sugli stessi mezzi di informazione nell’ anno precedente, è attribuito un credito d’ imposta pari al 75% del valore incrementale degli investimenti effettuati elevato al 90% nel caso di microimprese, Pmi e startup innovative. Il credito è concesso nel limite massimo complessivo dello stanziamento di spesa stabilito dalla legge, previa richiesta da parte del contribuente sul modello che sarà definito dall’ agenzia delle Entrate, usufruendo di una “finestra temporale” che il Dipartimento prevede possa essere dal 1° al 31 marzo di ogni anno. Il credito d’ imposta effettivamente spettante potrà essere inferiore a quello richiesto con l’ istanza, nel caso in cui l’ ammontare complessivo dei crediti richiesti superi l’ ammontare delle risorse stanziate. In tal caso, si provvede ad una ripartizione percentuale delle risorse tra tutti i richiedenti aventi diritto. I limiti di spesa sono distinti per gli investimenti sulla stampa e per quelli sulle emittenti radio-televisive; di conseguenza, in presenza di investimenti su entrambi i media, il soggetto richiedente può vedersi riconosciuto il credito d’ imposta in percentuali differenziate. Il credito d’ imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione e non è cumulabile con altre agevolazioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Premier League, a Sky e BT i diritti Tv

Il Sole 24 Ore

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Assegnati cinque dei sette pacchetti per i diritti tv della Premier League (nella foto Eden Hazard del Chelsea) fra il 2019 e il 2022. Ad aggiudicarseli sono state Sky Sports e BT. Il valore complessivo si è attestato sui 4,4 miliardi di sterline, pari a poco più di 5 miliardi di euro. A Sky sono andati quattro pacchetti, con 128 partite a stagione al costo di 3,58 miliardi di sterline, mentre BT ha un pacchetto di 32 gare per 885 milioni di sterline. Nell’ asta precedente erano stati pagati 5,14 miliardi di sterline. Gli altri soggetti interessati erano Amazon e Facebook.

Sfida dei big data, Cina favorita

Italia Oggi
FRANCO ADRIANO
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Si chiama tempo di raddoppio, e ormai è pari a un anno. Significa che nel solo 2017 abbiamo generato tanti dati quanti ne erano stati prodotti nell’ intera storia dell’ umanità fino all’ anno precedente. Ma tra 10 anni la quantità totale dei dati diffusi raddoppierà ogni 12 ore. Avverrà quando oltre alle ricerche su Google, i post su Facebook e le immagini su Instagram, al flusso complessivo dei dati si aggiungeranno quelli raccolti da 150 miliardi di sensori connessi con la rete che forniranno a chi li raccoglie ogni genere di informazione su cosa facciamo, cosa proviamo e come pensiamo. Il tema dell’ impatto sociale e occupazionale della rivoluzione digitale in atto è stato affrontato da Mario Rasetti, presidente della fondazione Isi per il Data Science, «pioniere dei data science a livello mondiale», l’ ha introdotto il vicepresidente e amministratore delegato di Class editori, Paolo Panerai che ha ricordato gli episodi più salienti della vita di una «persona straordinaria». Lo ha fatto nel corso dell’ iniziativa di Class Academy, in collaborazione con l’ università Pegaso, che si è svolta ieri a Roma, a palazzo Bonadies Lancellotti. Un evento presentato dal direttore di Class-Cnbc, Andrea Cabrini, che ha visto anche la partecipazione del rettore dell’ università telematica Pegaso, Alessandro Bianchi. Tema: «L’ intelligenza artificiale è come l’ invenzione dei telai meccanici nel 1700?». La risposta di Rasetti è chiara: già oggi il 70% delle transazioni finanziarie avviene ad opera dell’ intelligenza artificiale (che egli ha preferito definire «computazionale»), così la redazione del 20% delle notizie che vengono diffuse. Qualcuno potrebbe obiettare che fin dai tempi di Neanderthal ogni tipo di invenzione ha finito per svolgere una funzione che prima faceva l’ uomo, tuttavia, oggi, «per la prima volta si toccano anche i colletti bianchi», ha sottolineato il guru dei big data, «ossia giornalisti, bancari, impiegati dell’ amministrazione pubblica, medici». Entro pochi anni il lavoro impiegatizio ordinario sarà sostituito dalla tecnologia per oltre il 50%, è la predizione data per sicura. Non basta. Negli Usa, Elon Musk, con il progetto Neuralink, ha l’ obiettivo di costruire la prossima generazione di computer per mezzo della cosiddetta «stringa neurale», una nuova tecnologia che consente di connettere l’ intelligenza biologica con quella digitale; un ponte fra il nostro cervello e la sua versione digitale. «Io dico sempre», è la prima conclusione di Rasetti, «che prima di mettere in circolazione la prima automobile senza nessun essere umano alla guida, bisognerebbe sapere che cosa deciderà la macchina nel caso di un incidente imminente che veda la scelta di sacrificare il guidatore o una scolaresca di 20 ragazzi». Sì, perché, se sotto il profilo sociale ogni rivoluzione ha portato con sé nuove opportunità («pensate soltanto alla redistribuzione di potere che ha determinato l’ invenzione della stampa con i caratteri mobili di Gutenberg»), sul piano etico è evidente che occorra porsi dei limiti. E quella dei big data è una rivoluzione davvero paragonabile a quella avvenuta con l’ invenzione della stampa. Ma i bit faranno molto più di quanto i caratteri mobili di Gutenberg hanno fatto in termini di spostamento degli equilibri del potere e di trasferimento della conoscenza dalle mani di pochi a comunità sempre più allargate. Non mancando di generare nuove tensioni sociali. L’ impennata dello sviluppo, così come viene misurato oggi in termini scientifici, è avvenuto nel lungo corso dell’ umanità soltanto nel 1700 con l’ invenzione della macchina a vapore. Poi, in soli 100 anni (1% della scala dei tempi), il XX secolo, la popolazione è passata da 2 a 7.5 miliardi e l’ indice di sviluppo è quasi quadruplicato. Nello stesso periodo ci sono state altre due grandi rivoluzioni tecnologiche: l’ elettricità e l’ elettronica. «Eppure il cambiamento in corso ora sarà molto più drammatico!», ha sottolineato Rasetti specificando che il termine «drammatico» è utilizzato come lo intendono negli Usa, nel senso di profondo e ricco di tensione. Dell’ intelligenza artificiale finora si è capito che non funziona come l’ intelligenza umana e che «chiedersi se una macchina possa pensare è grossomodo rilevante quanto chiedersi se un sottomarino sappia nuotare» (la citazione è dello scomparso informatico olandese, amico di Rasetti, Edsger Dijkstra). Il fatto che possa superare le capacità degli umani in vari ambiti è evidente e lo sarà sempre più. Le macchine già oggi possono scrivere un articolo di informazione meglio del più bravo dei giornalisti, possono fornire un ventaglio di diagnosi sanitarie superiori a quelle che potrebbe dare il più bravo dei medici e presto potranno svolgere anche degli interventi chirurgici con più precisione delle mani del chirurgo più esperto. Tuttavia, dal punto di vista sociale, considerato che il tasso di fertilità globale sta rapidamente diminuendo e che l’ economia è fortemente legata al numero dei bambini, quali implicazioni ci saranno? Posto che «c’ è chi vuole respingere i migranti e cacciare anche i loro figli, mentre i nostri figli vengono messi a rischio negando loro i vaccini», ha voluto rimarcare il ricercatore, la grande sfida dei big data un vincitore potrebbe già averlo sulla carta: «Si tratta della Cina con la Corea e un po’ Singapore». Il fine è estrarre dalla grande quantità di informazioni che fluisce possibili predizioni e dunque decisioni «fino ad ora quasi impensabili». E su questo aspetto, secondo Rasetti, i colossi cinesi, come Alibaba e Huawei, sarebbero in grado di sbaragliare per la loro superiorità tecnologica quelli americani (la Cina sta investendo da anni in ricerca il 30% del pil). E il futuro del lavoro? Diversamente da quanto si crede i robot aumenteranno la richiesta di lavoro manuale. Tuttavia, alla citata crisi profonda dei colletti bianchi, si affiancherà in parallelo a livello globale la crescita senza precedenti delle diseguaglianze fra paesi sviluppati e non per l’ accesso alla tecnologia. «Non si tratterà semplicemente di ridistribuire la ricchezza ma di redistribuire il lavoro nel periodo che ci aspettiamo di forte disoccupazione», è il percorso tracciato da Rasetti. «Creare nuovo lavoro con lavori nuovi», ha azzardato in uno slogan. Alla domanda su quale modello sociale occorra mettere in campo e se la governance della Cina possa essere buona per tutto il mondo, lo scienziato è stato costretto ad arrendersi. «Si tratta di una nuova forma di comunismo più che di una nuova forma di capitalismo», ha osservato. «La Cina ha successo perché spiana l’ individuo, mentre noi non possiamo rinunciare al nostro percorso di conquiste sociali e di diritti per la persona», ha aggiunto. Intanto, e questa è la seconda e forse più importante conclusione, occorrerebbe partire dalla condivisione di una piattaforma etica globale: «Io sono un anziano fisico teorico e posso dire che i dati sono la fisica nucleare dei nostri giorni». © Riproduzione riservata.

Sky Uk e Bt si aggiudicano la Premier League

Italia Oggi

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Bt e Sky Uk si sono aggiudicate anche per il triennio 2019-2022 i diritti televisivi della Premier League, la massima competizione calcistica inglese. I due operatori hanno offerto in totale 4,64 miliardi di sterline, circa 5 miliardi di euro, per 5 dei sette pacchetti a disposizione. Gli altri due pacchetti fino a ieri sera non erano stati assegnati ma è probabile che se li aggiudicheranno player puri di Internet come Amazon. Nel dettaglio, a Bt è stato assegnato un pacchetto per un totale di 32 partite per cui pagherà 885 milioni di sterline (994,1 milioni di euro), mentre Sky avrà 4 pacchetti per 128 gare a fronte del pagamento di 3,58 miliardi di sterline (circa 4 miliardi di sterline). Considerato che mancano ancora due pacchetti da assegnare è probabile che si superi la cifra che la Premier ha ricavato dal triennio in corso, pari a 5,14 miliardi di sterline (circa 5,78 miliardi di euro). «Siamo estremamente lieti che Bt e Sky continuino a considerare la Premier League e i nostri club una parte così importante della loro offerta», ha detto il presidente esecutivo della Premier League, Richard Scudamore. «Entrambe i broadcaster sono partner fantastici per la Premier League e hanno una comprovata esperienza nel rendere la nostra competizione disponibile ai fan di tutto il paese attraverso la loro programmazione innovativa e di alta qualità. Aver realizzato questo investimento con due pacchetti di diritti rimanenti da vendere è un risultato che testimonia l’ eccellente competizione calcistica dei club. Fornisce loro certezza e sosterrà i loro continui sforzi per mettere in campo il calcio più avvincente, investire in modo sostenibile in tutte le aree e utilizzare la loro popolarità per avere un impatto positivo sullo sport e oltre. Ora continueremo il processo di vendita per offrire il miglior risultato possibile per i restanti pacchetti di diritti nel Regno Unito e nel resto del mondo». Alla fine l’ assetto del calcio televisivo in Gran Bretagna non cambierà quindi di molto. Gli over the top, se avranno fatto la loro offerta, si potranno aggiudicare soltanto i pacchetti minori, quelli con le partite durante la settimana o nei giorni festivi infrasettimanali. Lo scenario temuto dai due grandi operatori era infatti l’ ingresso di un nuovo player che avrebbe potuto sparigliare le carte. Non per niente a dicembre Sky e Bt hanno stretto un accordo grazie al quale i due possono scambiarsi i canali: Sky ha ottenuto l’ accesso ai contenuti di Bt Sport che può offrire attraverso un unico abbonamento Sky, mentre nei set top box Bt ci si potrà abbonare al servizio Now Tv di Sky. Scelto l’ operatore per la banda larga si potrà insomma accedere anche all’ offerta del concorrente o per lo meno a parte.

Giornali, paywall pure su Facebook

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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I giornali potranno avere il proprio paywall anche su Facebook, per far pagare i contenuti agli utenti. Il social network dal prossimo mese lancerà infatti uno strumento che consentirà agli editori di offrire gli abbonamenti alle proprie testate dopo che è stato superato il limite degli articoli gratuiti. In realtà questa funzione Facebook la sta già testando da ottobre sulla propria app per i telefonini Android, ma dal prossimo mese si aggiungeranno anche le applicazioni dei dispositivi iOs di Apple perché proprio con la mela si è conclusa una disputa che andava avanti da mesi. L’ annuncio è stato fatto durante una delle conferenze del sito Recode dalla responsabile delle partnership con i giornali, Campbell Brown, una ex giornalista di Nbc e Cnn. Inserire lo strumento per gli abbonamenti anche su iPhone e iPad è molto importante per gli editori perché nonostante al mondo vi siano molti più possessori di smartphone Android (le vendite sono nell’ ordine di 80-20% a favore dei dispositivi con sistema operativo di Google) la spesa degli utenti della mela per app e contenuti è di gran lunga maggiore. Alla base della disputa fra Facebook e Apple c’ era la quota sulle vendite all’ interno delle app che la seconda trattiene e che arriva anche al 30%. Ebbene la volontà di Facebook era che i ricavi da abbonamenti generati a partire dalla propria app andassero interamente agli editori (così come i dati sugli acquirenti). Il social network di Mark Zuckerberg non trattiene alcuna quota e così pretendeva che facessero anche i gestori degli store, ovvero Google e Apple. Ma mentre Google ha aderito a questa proposta così non ha fatto la mela, di qui la disputa e il mancato lancio sugli iPhone. Sembra che adesso anche Apple non chiederà la solita fee, un risultato raggiunto da Facebook grazie a una sorta di stratagemma: l’ abbonamento vero e proprio viene venduto sul sito dell’ editore e vi si arriva automanticamente dopo aver letto l’ ultimo articolo gratuito, perciò non vi è un acquisto in app tradizionale. Il paywall di cui si parla si inserirà negli Instant articles, gli articoli che i giornali mettono a disposizione sul social e che gli utenti leggono direttamente, senza arrivare al sito della testata. Si parla soprattutto di metered paywall, un limite di cinque articoli gratuiti (prima erano 10) dopo i quali l’ utente viene reindirizzato al sito del giornale, ma gli editori possono scegliere di configurarlo come credono. C’ è anche la possibilità di offrire alcuni articoli gratuitamente e altri a pagamento e così via. Alla prima fase della sperimentazione avevano partecipato una decina di testate, dal Washington Post all’ Economist e, unica italiana, Repubblica. © Riproduzione riservata.

Su Rai 2 un mini-telegiornale satirico modello Striscia

Italia Oggi
GIORGIO PONZIANO
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Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu, Mia Ceran e Ubaldo Pantani dallo sport (Quelli che il calcio, Rai2) all’ attualità. Con l’ ambizione di fare il verso a Striscia la notizia (Canale5). Infatti su Rai2 proporranno dal 5 marzo dopo il tg delle 20,30 un mini-telegiornale satirico. 65 puntate, un progetto impegnativo del direttore di Rai2, Andrea Fabiano, che prova a ringiovanire l’ audience. Titolo: Quelli che dopo il tg. Si potrà davvero in Rai ridere della politica? Federico Quaranta sostituisce Antonella Clerici alla Prova del Cuoco poiché la storica conduttrice della cucina di Rai1 è impegnata nelle sei puntate di SanremoYoung (dal prossimo venerdì su Rai1): 12 concorrenti in gara, di età tra i 14 e i 17 anni, votati da una giuria di cui farà parte anche un ospite per ogni serata, il primo sarà (prestato da Mediaset) Paolo Bonolis. Un tempo la Clerici avrebbe registrato le puntate della Prova del Cuoco, ora che è in fase di stanchezza ha deciso di passare la mano seppure provvisoriamente. Ma Quaranta potrebbe diventare il conduttore stabile alla ripresa della prossima stagione di una Prova del Cuoco profondamente rinnovata. Il contratto della Clerici con la Rai scadrà a giugno e forse sarà l’ occasione, per lei, di nuove esperienze televisive non legate ai fornelli. Pare sia in pole per la conduzione di Domenica In (Rai1), trasmissione che necessita di un rilancio dopo la deludente stagione delle sorelle Parodi. Angelo Teodoli, direttore Rai1, sprizza gioia da tutti i pori per l’ exploit di Sanremo. La scommessa di dare carta bianca a Claudio Baglioni era rischiosa, invece l’ ha vinta alla grande ed è giusto dargliene atto. È tanto contento che ha immediatamente offerto nuovi programmi a Michelle Hunziker e Pierfrancesco Favino, ricevendo un no, grazie. Per ora. Infatti la Hunziker commenta: «Rimango fedele a Mediaset ma spero in futuro di poter fare altre collaborazione con la Rai». Mentre Favino risponde: «Per ora penso al teatro». Ma Teodoli crede di avere trovato il nuovo Gigi Proietti. Nicola Porro in prima serata con tre puntate di Matrix nella settimana che precede il voto del 4 marzo. Canale5 gli ha affidato il compito di seguire l’ ultima fase della campagna elettorale, poi dovrà occuparsi dei commenti del post-voto tornando alla consueta programmazione. Riuscirà a riscattare una stagione un po’ opaca (non è riuscito a raggiungere una media di audience a due cifre) anche per colpa del debole traino della soap Il Segreto? Un compito non facile perché dovrò vedersela col Commissario Montalbano, con la Coppa Italia e con le trasmissioni politiche dei concorrenti. Anche SkyTg24 si è attrezzata per seguire le ultime settimane di campagna elettorale varando una nuova trasmissione, Italia 18, condotta da Fabio Vitale, dove a formulare le domande ai politici non sono giornalisti ma il pubblico e soprattutto i ragazzi che andranno a votare per la prima volta (ore 19,15). Ferma al palo è invece Rainews24, il canale diretto da Antonio Di Bella che si caratterizza anche per la parziale e approssimativa rassegna stampa che conclude i notiziari serali. Andrea Camilleri e Luca Zingaretti colpiscono ancora col loro Commissario Montalbano. Il ritorno del poliziotto consente a Rai1 di portare a casa 11,3 milioni di audience (45,1% di share). Superando addirittura la prima puntata della serie dello scorso anno che si era fermata (si fa per dire) a 10,6 milioni (40,8%). Remo Girone (nei panni del criminale Osvaldo Calligaris) è il protagonista della seconda serie (quattro anni dopo l’ ultima puntata) di Furore, dal 18 febbraio su Canale 5, regia di Alessio Inturri. Sarà una sorta di Gomorra ma meno spinta: «Gomorra mi piace», dice Girone, «ma si vede solo il versante negativo, non si vede un poliziotto manco a morire». Lui ormai di criminal fiction se ne intende: è stato anche tra i protagonisti di tre serie della Piovra (prima Rai1 poi Rai2). Ora è la volta di Furore. Mara Maionchi da Rai1 a SkyUno. Sarà tra le animatrici di SanremoYoung, lo show condotto da Antonella Clerici da venerdì su Rai1, poi vestirà i panni della giurata in X Factor, il talent di SkyUno previsto per settembre in cui, accanto a lei, vi sarà Fedez. Non riconfermato Morgan. Alla conduzione vi sarà ancora Alessandro Cattelan. Anche Milly Carlucci sta completando il cast di Ballando con le stelle (da sabato 3 marzo su Rai1), con la new entry di Eleonora Giorgi. Gianluigi Buffon sarà il padrone di casa nella docu-serie First Team dedicata da Netflix alla Juventus, dal 16 febbraio. Saranno proposte le immagini più significative della stagione 2017-2018 ma anche le vicende personali dei calciatori, tra vittorie, sconfitte, traguardi, insuccessi e amori. È la prima volta che la piattaforma in streaming punta decisamente sul calcio per calamitare spettatori nel nostro Paese. Fabio Fazio e Cristina Parodi si prendono la rivincita grazie a Sanremo. Dopo avere arrancato nelle prime puntate Che tempo che fa (Rai1) ha superato per la prima volta il 20% di share, lasciando le briciole a Canale5 che col film su Papa Bergoglio è arrivato appena all’ 8,2%. Il canale Mediaset spera nella rivincita la prossima domenica quando metterà in campo la seconda stagione della fiction Furore. Da parte sua Cristina Parodi per la prima volta in questa travagliata stagione di Domenica In (Rai1, la puntata in onda dal teatro Ariston di Sanremo, quindi quasi un’ appendice del festival) è riuscita a superare (23,2% nella parte centrale) la rivale Barbara D’ Urso, la cui Domenica Live (Canale5) s’ è fermata (sempre nella parte centrale) all’ 11,7%. San Remo ha fatto i miracoli. Mattia Poggi da chef a direttore di rete. Per dieci anni ha condotto programmi tra i fornelli ad AliceTv (canale 221 del digitale terrestre) e ora è stato nominato direttore dell’ emittente, sempre più rivolta al cooking. Gli è stato affidato il compito di ideare nuove food-comedy, cioè l’ intreccio tra cucina e spettacolo, in modo da superare i 25 mila telespettatori giornalieri, attuale media dichiarata dall’ editore. Tra i volti dell’ emittente: Franca Rizzi, Gianfranco D’ Angelo e Rosanna Lambertucci. Beppe Grillo non è più (ufficialmente) alla guida del movimento 5 stelle e torna nei teatri. Nel suo monologo c’ è posto anche per la Rai: «Almeno una volta sapevi di avere un canale per la Dc e uno per il Pci, una volta la tv era in bianco e nero per ricordarci che quella non era la realtà: la realtà ha mille colori». Alessio Cigliano è il narratore, così definito nei titoli di testa, in effetti è la voce fuori campo che accompagna e spiega le imprese dei protagonisti di Operazione Nas, i quali non sono attori ma i carabinieri del nucleo antisofisticazioni e sanità (che quindi hanno collaborato alla realizzazione). Infatti le telecamere hanno seguito per mesi le azioni dei militari (cibo avariato, topi, blatte nel ristorante o nel supermercato sotto casa, merci illegali ecc.) e ne è uscita questa striscia quotidiana diretta da Alessio Cigliano, in onda alle 19,30 (dal lunedì al venerdì) su Nove. Paolo Ruffini, direttore di Tv2000, la televisione della Cei, Conferenza episcopale italiana, festeggia i buoni risultati di questo inizio d’ anno. Nel totale della giornata l’ incremento degli ascolti è stato del 7,5% e ora la media dello share è dello 0,72%. Oltre alla Santa Messa e al Diario di Papa Francesco, i programmi più seguiti sono Bel tempo si spera, Il mio medico, e Mondo Insieme, il contenitore dedicato ai viaggi condotto da Licia Colò. Alessandro Acton, Zoran Filicic e Ettore Miraglia sono i tre conduttori di Italia Team Today, la finestra quotidiana che Nove dedica ai Giochi olimpici invernali di PyeongChang. Si tratta della prima concreta attuazione della partnership tra Discovery (editore di Nove) e il Coni (Comitato olimpico nazionale) che hanno deciso di collaborare per «comunicare e rendere vivi i valori più alti dello sport e di coinvolgere sempre più appassionati». Si parte coi Giochi coreani: 900 ore live e 4 mila di copertura delle gare e del clima olimpico. © Riproduzione riservata.

Nel 2017 +5,4% per gli investimenti pubblicitari in radio | Prima Comunicazione

Prima Comunicazione

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Nel 2017 +5,4% per gli investimenti pubblicitari in radioNel 2017 +5,4% per gli investimenti pubblicitari in radio13/02/2018 | 18:16Per il terzo anno consecutivo cresce il valore economico della radio, in recupero dopo gli anni della crisi. Ad evidenziarlo un’ analisi pubblicata da Confindustria Radio tv sull’ andamento del mercato pubblicitario nel settore.Secondo gli ultimi dati rilasciati da Fcp Assoradio, gli investimenti adv del mezzo hanno chiuso il 2017 a 405 milioni di euro, in rialzo del 5,4% rispetto al 2016, con una crescita complessiva che negli ultimi tre anni ha raggiunto il +18%.Estendendo l’ analisi agli ultimi dieci anni (2008 – 2017), evidenzia ancora l’ analisi, la radio è riuscito a contenere le perdite (70 milioni di Euro) meglio degli altri mezzi, registrando una contrazione del 14,3%, contro una flessione dell’ intero mercato pubblicitario del 33,4%, nel caso del perimetro Nielsen tradizionale (-12,7% includendo le componenti Search e Social – perimetro Nielsen esteso). Differentemente gli altri mezzi tradizionali (Televisione, Quotidiani, Periodici, Cinema) hanno registrato perdite che oscillano tra il 20% e il 70%.(elaborazione Confindustria Radio Tv su dati Nielsen)Un risultato ancora più significativo – ricorda Confindustria – se si tiene conto del periodo di incertezza che il settore ha vissuto con la chiusura nel 2011 di Audiradio, organismo preposto per la rilevazione ufficiale dei dati di ascolto. Un vuoto colmato in parte con l’ esperienza di RadioMonitor (GfK Eurisko), e risolto a distanza di cinque anni con la costituzione del Tavolo Editori Radiofonici – TER (2016).(elaborazione Confindustria Radio Tv su dati Nielsen)Guardando al 2017, l’ andamento degli investimenti radiofonici ha registrato i migliori risultati a maggio (+14,9% sul 2016) e ottobre (+14,6%), solitamente i mesi con l’ incidenza più importante per fatturato (11%) dell’ anno. Le performance peggiori sono state a luglio (-5,1% rispetto al 2016) e febbraio (-3,4%), unico mese dell’ anno sotto la media rispetto all’ andamento complessivo del mercato pubblicitario (-2,8%).Pertanto ad un primo semestre chiuso a 200 milioni circa (+5,0% rispetto al 2016), in recupero dopo i primi mesi di sofferenza, si alterna un secondo semestre della stessa portata, caratterizzato da un autunno ancora più sostenuto (+5,7%) degli anni passati.(elaborazione Confindustria Radio Tv su dati Nielsen)Articoli correlati.

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La Repubblica
Massimo Russo
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