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Par condicio: l’ Agcom striglia La7, ma non lo squilibrio in Rai
L’ Agcom «richiama» cinque telegiornali: violano la par condicio
Canone e pubblicità Rai. Per la politica la tivù è solo strumento di propaganda
Fake news e tv nel mirino, guerra agli sgambetti elettorali
Richiamo Agcom, la rivolta delle tv: patetico e offensivo
I cinesi di Orient Hontai in corsa per la Serie A
Ascolti, Rtl 102,5 sempre in vetta
Disney comprerà Sky, comunque vada
Chessidice in viale dell’ Editoria
L’ Agcom bacchetta i telegiornali I direttori si ribellano
La riscossa della radio I politici la usano più della tv
La7, Rai, Sky e Mediaset L’ Agcom bacchetta tutti
Agcom striglia cinque tg: par condicio violata La7 e Mediaset: norme complesse, noi corretti
L’ Agcom richiama cinque tv “Violata la par condicio”
Par condicio: l’ Agcom striglia La7, ma non lo squilibrio in Rai
Il Fatto Quotidiano
Marco Franchi
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Con ripetuti colpi di scena, l’ oscura Autorità di garanzia per le comunicazioni si candida a protagonista assoluto di una noiosa campagna elettorale. Dopo il tentativo fallito di imbavagliare i giornalisti e dopo il rapido processo con assoluzione di Orietta Berti, “indagata” per aver elogiato i Cinque Stelle a Un giorno da pecora su Radio Rai1, stavolta l’ Agcom emana “richiami” a raffica – un po’ lievi e un po’ forti – contro tutti i telegiornali. Chi è accusato di aver concesso – in una settimana – qualche secondo in più ai Cinque Stelle; chi di aver abusato nei titoli di lancio dei servizi della sigla Liberi e Uguali o del nome di Matteo Salvini. Nessuno escluso: da Skytg24 e a Rainews, passando per La7 e i canali Mediaset. Non viene mai indicato come “favorito”, però, il Partito democratico, gancio a cui l’ instancabile Michele Anzaldi appende la lagna del giorno: “Tutti contro Matteo (Renzi)”. Secondo l’ Agcom, abile a capovolgere le tradizioni, il Pd in tv andrebbe tutelato come i Panda in Cina. Quando, per esempio, soltanto il Tg1 gli ha concesso il 25 per cento del tempo di parola (interventi diretti dei politici e non riportati) contro il 19 del Movimento che, nel periodo preso in considerazione, ha celebrato le sue primarie. Per l’ Autorità, dunque, il Pd è a rischio. In realtà, come spiega un piccato Enrico Mentana, si sta discutendo del nulla: “Se è vero che chi ben comincia è a metà dell’ opera, peggio di così nelle rilevazioni Agcom non si poteva iniziare. Leggo con divertimento che l’ Agcom ha inviato un ‘forte richiamo’ al tg da me diretto ‘per il tempo concesso a M5s e Lega a svantaggio di altri partiti’ nelle edizioni principali dal 15 al 21 gennaio. Vuol dire 21 tg, per un totale di oltre nove ore e mezza. Sapete quale sarebbe il tempo di parola dato alle due liste citate (Lega e M5S , ndr)? 4 minuti e 12 secondi per il M5S e 1 minuto e 50 secondi per la Lega. In nove ore e mezza di notiziari. È francamente patetico, irrispettoso e offensivo per il lavoro che svolgiamo”. Ma leggiamo la sintesi della delibera Agcom, come sempre molto interessante dal punto di vista comico: “A seguito dell’ analisi dei dati del monitoraggio relativo al periodo 15-21 gennaio 2018 sul rispetto del pluralismo politico/istituzionale in televisione , il Consiglio dell’ Autorità ha deliberato oggi i seguenti provvedimenti: un forte richiamo all’ emittente La7 in relazione al tempo di parola e al tempo di notizia dedicato, specie nelle edizioni principali, ai soggetti politici M5S e Lega a svantaggio di altri partiti, segnatamente, Pd e Forza Italia; un forte richiamo a Tg4 e a Studio Aperto in relazione all’ elevato tempo di notizia fruito da Fi a svantaggio delle altre forze politiche, in particolare nelle edizioni principali; un richiamo a Skytg24 in relazione all’ eccessivo tempo di parola, riflesso anche nel tempo di notizia, destinato a M5S , LeU e Lega a detrimento delle altre forze politiche; un richiamo a Rainews per lo squilibrio registrato nei tempi di parola a favore di LeU e a detrimento del Pd”. Anche quelli di Mediaset, ironia della sorte, s’ infuriano e svelano le carenze strutturali dell’ Agcom, in questo momento piegata al Nazareno anche grazie al lavoro del commissario renziano Antonio Nicita: “In merito agli odierni richiami alla par condicio diramati dall’ Agcom, Mediaset segnala due anomalie. La prima: già il fatto che siano coinvolte nei presunti squilibri cinque diverse testate tv nazionali (più altre “varie emittenti”) significa che le norme si stanno rivelando di difficile interpretazione, a meno che si voglia immaginare un illecito comportamento concertato. In secondo luogo, facciamo notare che le testate Mediaset sono le uniche tra le richiamate a non aver violato i limiti di ‘tempo di parola’, ovvero il tradizionale parametro con cui si è sempre calcolato lo spazio attribuito a ogni forza politica (dichiarazioni dirette di esponenti e candidati). I richiami a Mediaset riguardano invece una new entry nel campo della par condicio, il ‘tempo di notizia’, ovvero il tempo dedicato nei tg a titolare e a dare notizia delle posizioni o delle iniziative di questa o quella forza politica, la cui rilevanza giornalistica dipende dai fatti del giorno e dalla sensibilità professionale di ogni singola redazione”. Il “tempo di notizia”, come sottolinea Mediaset, è il tempo impiegato dal giornalista in diretta o in differita per descrivere un evento, anticipare un intervento oppure introdurre un servizio. Questa inedita severità dell’ Agcom, in passato inerte, pare sia conseguenza delle proteste dei renziani dopo i mancati provvedimenti durante la campagna del referendum costituzionale. Per tale motivo, infatti, l’ Agcom aveva pensato – prima di ripensarci dopo una gigantesca figuraccia – di inquadrare i giornalisti come politici, obbligandoli a dichiarare le preferenze politiche e culturali per partecipare a un dibattito. Come s’ è visto, adesso l’ Autorità si ubriaca di fantasia.
L’ Agcom «richiama» cinque telegiornali: violano la par condicio
Il Tempo
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La campagna elettorale è appena iniziata ma dall’ Agcom, l’ autorità garante per le comunicazioni, arriva già il richiamo, più o meno forte, a quasi tutti i telegiornali. Il motivo? Aver violato la par condicio dando maggiormente spazio a questo o quel partito. L’ Autorità si è basata sul monito raggio del periodo 15-21 gennaio. Il risultato è un «forte richiamo» al Tg La7 in relazione al tempo di parola e al tempo di notizia dedicato, specie nelle edizioni principali, a M5S e Lega a svantaggio di altri partiti, e in particolare, Pd e Forza Italia; un «forte richiamo» a Tg4 e a Studio Aperto che ha dato maggiore spazio a Forza Italia a svantaggio delle altre forze politiche, in particolare nelle edizioni principali; un «richiamo» a Skytg24 che ha riservato un tempo di parola e di notizia eccessivo a M5S, LeU e Lega; un «richiamo» a Rainews per lo squilibrio registrato nei tempi di parola a favore di LeU e a detrimento del Pd. Casi di squilibrio riguardanti singoli soggetti politici sono stati poi segnalati a varie emittenti: dovranno porre rimedio entro la prossima rilevazione, che terminerà domeni ca. Le repliche non si sono fatte attendere. Per Mediaset il fatto che siano coinvolte nei presunti squilibri cinque diverse testate tv nazionali «significa che le norme si stanno rivelando di difficile interpretazione, a meno che si voglia immaginare un illecito comportamento concertato». In una nota l’ azienda sottolinea anche che le proprie testate «sono le uniche tra le richiamate a non aver violato i limiti di “tempo di parola”, ovvero il tradizionale parametro con cui si è sempre calcolato lo spazio attribuito a ogni forza politica». I richiami a Mediaset, precisano ancora da Cologno Monzese, «riguardano invece una new entry nel campo della par condicio, il “tempo di notizia”, ovvero il tempo dedicato nei tg a titolare e a dare notizia delle posizioni o delle iniziative di questa o quella forza politica, la cui rilevanza giornalistica dipende dai fatti del giorno e dalla sensibilità professionale di ogni singola redazione». Da La7 rispondono invece che il richiamo riguarda esclusivamente edizioni del telegiornale, «che, essendo un notiziario, segue necessariamente l’ agenda politica e la cronaca dei fatti (come per esempio, nella scorsa settimana sono state le “parlamentarie” del Movimento 5 stelle). Complessivamente il “tempo di parola” dedicato a soggetti politici nei 21 notiziari trasmessi nella settimana (per circa 10 ore di programmazione) si riferisce ad un valore assoluto molto esiguo, per la precisione pari a 11 minuti e 47 secondi». Nessuna nota ufficiale da viale Mazzini, dove si sottolinea che si tratta di un rilievo «lieve» e riguarda un solo notiziario, cioè una percentuale infinitesimale rispetto all’ enorme mole di informazione prodotta ogni giorno dalla Rai. Il rilievo dell’ Agcom- non ancora notificato – viene dunque accolto con una certa soddisfazione dalla Rai dove viene considerata una prova che l’ equilibrio funziona.
Canone e pubblicità Rai. Per la politica la tivù è solo strumento di propaganda
Il Fatto Quotidiano
CARLO TECCE
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Il nostro ottimo ex premier Renzi aveva proposto di abolire il canone Tv (dopo averlo reso obbligatorio). Ma invece di abolire il canone non sarebbe meglio abolire la pubblicità? Sembra che in Italia la pubblicità insopportabile che interrompe qualsiasi trasmissione sia diventata un male necessario. Ma non era così in passato, e non è così in altri Paesi, per esempio qui in Germania, dove vivo. Qui si paga il canone, ma nei canali pubblici la scarsissima pubblicità si vede solo fra un programma e l’ altro e nessuno si sognerebbe di interrompere un film, per esempio. Dobbiamo ringraziare Berlusconi per questa situazione, è riuscito a far diventare la Rai addirittura peggio delle sue stesse Tv commerciali. Nessuno ha niente da dire? Massimo Cortini Caro Cortini, oggi la Rai è una televisione pubblica che sopravvive (non benissimo) con il denaro del canone in parte maggiore e con le inserzioni pubblicitarie in parte minore. Questa forma mista consente la messa in onda di decine di telegiornali al giorno, spesso identici, di sicuro troppi, e di programmi di fattura commerciale con investimenti non inferiori a quelli di Mediaset e di Sky Italia. Non tolleriamo l’ interruzione pubblicitaria durante i film? Ottimo, riduciamo la sterminata offerta televisiva e radiofonica di Viale Mazzini – non sempre immune agli sprechi, anzi abbastanza contagiata – e limitiamo i ricavi alla voce “canone”, aumentando la tassa da sempre pagata dai cittadini (Renzi ha introdotto una modalità di prelievo forzoso con la bolletta elettrica). Riteniamo inaccettabile e superfluo l’ esborso del canone? Ottimo, trasformiamo Viale Mazzini in un’ azienda privata: allora, però, cadrà il tetto agli spot e Rai1 & C. saranno invasi dalla pubblicità di dentiere e merendine. Se riescono a non fallire prima. Quello che non è possibile, caro Cortini, come saprà, è desiderare l’ abolizione del canone e l’ eliminazione della pubblicità. Anche se la politica finge di non capire e un giorno propone la finta abolizione del canone (Renzi) e un altro si lamenta dell’ eccessiva pubblicità. Lei cita la Germania, io le posso citare l’ inglese Bbc e un nostro amico può citare la televisione svizzera. Il conflitto di interessi di Berlusconi ha sfiancato Viale Mazzini e il resto della politica l’ ha supportato in questa impresa. Ha ragione: è il momento di capire quale ruolo dovrà svolgere la Rai. A mio avviso, conviene rivolgerci agli amici tedeschi, inglesi o francesi. Perché per i politici italiani non è un argomento d’ attualità, ma solo uno strumento di propaganda. Carlo Tecce.
In Televisione Oggi
Il Tempo
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Fake news e tv nel mirino, guerra agli sgambetti elettorali
Il Mattino
Francesco Lo Dico
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«Le false notizie sono capziose, sfruttano emozioni facili da suscitare come la rabbia e il disprezzo, e si diffondono grazie all’ uso manipolatorio dei social network». È una durissima invettiva contro le fake news e i big della rete, quella pronunciata da papa Francesco nel messaggio per la 52esima Giornata Mondiale dedicata alle Comunicazioni Sociali. Una condanna che arriva proprio nelle stesse ore in cui Facebook ammette, per bocca del manager Samidh Chakrabarti, che «i social network possono mettere a rischio la democrazia». Ma le parole del Papa arrivano in un momento delicato anche per gli operatori veri e propri dell’ informazione. Proprio ieri difatti l’ AgCom ha richiamato cinque diverse testate per il mancato rispetto della par condicio: il TgLa7 per il tempo concesso a M5S e Lega a svantaggio di altri partiti, Tg4 e a Studio Aperto per l’ eccessivo spazio a Forza Italia; Sky Tg24 e RaiNews ammoniti per aver favorito rispettivamente M5S, LeU e Lega, e il partito di Grasso. È insomma in coincidenza con una giornata tormentata, che Bergoglio richiama tutti a fare fronte comune contro la disinformazione. Tant’ è che il Papa ha elogiato le «iniziative istituzionali impegnate nel definire normative volte ad arginare il fenomeno». Parole di lode, che arrivano a pochi giorni dal Protocollo operativo per il contrasto alle fake news siglato dal ministro Minniti il 18 gennaio. Sarà infatti la Polizia postale a stanare le reti organizzate della disinformazione che hanno già minato la campagna per le presidenziali americane. Già. Ma in che maniera? L’ idea è semplice ma efficace: per contrastare meccanismi virali, servono contromisure virali. Ecco perché al centro del progetto ci sono quelli che possono essere definiti come due lati della stessa medaglia. Da una parte l’ interfaccia della rete, ossia il sito del Commissariato di Pubblica sicurezza ormai on line dal 2005. Dall’ altra i cittadini-utenti che saranno interlocutori privilegiati della Polizia postale. Saranno loro ad aiutare il dipartimento. Nel portale è stato infatti creato da pochi giorni una sezione dedicata alle fake news, dove tutti potranno segnalare le notizie fasulle grazie al Red Button. Come funziona? Basterà inserire nell’ apposito modulo la propria mail e l’ indirizzo del sito web o del social dove si annida la presunta bufala, e spedire il tutto con un clic. A quel punto gli operatori della Polizia postale prendono in carico il caso, secondo un meccanismo già rodato. Ma come si fa a distinguere tra l’ opinione scomoda che è frutto di libertà di pensiero e ciò che è evidente manipolazione? Il caso di scuola, dato che siamo in campagna elettorale e le polemiche sul tema non mancano, è quello che ha coinvolto due settimane fa Laura Boldrini. Diffusa su Whatsapp e poi sui social, una bufala virale accusava infatti la presidente della Camera di aver assunto a Palazzo Chigi il nipote di 22 anni, con uno stipendio di 8 mila euro al mese. Ma dopo rapide indagini, e la smentita ufficiale della stessa Boldrini, la polizia ha acclarato che si trattava di una bufala bella e buona. A occuparsi fisicamente degli accertamenti sulle fake news, sarà uno specifico dipartimento della Polizia postale di Roma, al lavoro ventiquattr’ ore su ventiquattro. Che dopo la fase di raccolta delle segnalazioni, passerà alla attività di Osint, ossia di intelligence. A questo punto gli incarichi si biforcano: un nucleo di poliziotti postali comincia a fare il fact checking, per capire se la notizia è davvero una bufala. Ma se i sospetti sono già ben fondati, un altro gruppo si mette sin da subito sulle tracce degli indirizzi web che l’ hanno pubblicata e degli utenti che l’ hanno diffusa sui social, allo scopo di eliminarla dalla rete, o di limitarne la diffusione. Per capire che cosa succede nel concreto, torniamo al caso Boldrini. Una volta appurata la falsità della notizia, il Commissariato di Polizia pubblica sul proprio sito ufficiale e sulla frequentatissima pagina social (900mila utenti), un breve comunicato. E quando possibile anche la foto della fake news incriminata, attraversata da una banda in diagonale, e corredata da una inequivocabile scritta in maiuscolo: Fake. Gli utenti, come accaduto nel caso Boldrini, cominciano a condividere in rete la notizia segnalata dai social della Polizia come fasulla. Un meccanismo virale al contrario. Cioè virtuoso. E naturalmente, in parallelo, scattano gli estremi della denuncia per gli autori del misfatto e l’ ordine di rimozione per i siti che l’ hanno pubblicata. Contro bufale virali, soluzioni virali. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Richiamo Agcom, la rivolta delle tv: patetico e offensivo
Corriere della Sera
Antonella Baccaro
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ROMA Fioccano i richiami dell’ Autorità per le Comunicazioni (Agcom) alle emittenti sul rispetto della par condicio elettorale. Ma piovono anche le polemiche sui bizantinismi prodotti dal nuovo regolamento contro cui si scagliano La7 e Mediaset, che già avevano messo in guardia l’ Autorità sulla difficile applicabilità delle nuove norme. Un confronto che si fa sempre più duro e che rischia di deflagrare mentre manca poco più di un mese all’ appuntamento elettorale. Ad appiccare il fuoco sono le segnalazioni dell’ Agcom sulle trasmissioni andate in onda nel periodo 15-21 gennaio. Ce n’ è un po’ per tutti, tranne che per le reti Rai che non siano il canale all news . Si parte da «un forte richiamo» a La7 per «il tempo di parola e il tempo di notizia» dedicato, specie nelle edizioni principali, a M5S e Lega a scapito di Pd e Forza Italia. Stesso monito riguarda Tg4 e a Studio Aperto per «l’ elevato tempo di notizia fruito da Forza Italia a svantaggio delle altre forze politiche, in particolare nelle edizioni principali». Un richiamo va anche a Skytg24 per «l’ eccessivo tempo di parola, riflesso anche nel tempo di notizia, destinato a M5S, Leu e Lega». Ultima tirata d’ orecchi è diretta a Rainews per lo squilibrio «nei tempi di parola a favore di Leu e a detrimento del Pd». Per «tempo di parola» si intende il tempo fruito direttamente da un soggetto politico «in voce», senza mediazione giornalistica, ovvero attraverso dichiarazioni, interviste, interventi in Aula, conferenze stampa. Mentre «tempo di notizia» è quello attribuito nei notiziari alle varie forze politiche per esprimere la loro posizione. Sferzante la replica del direttore del TgLa7 Enrico Mentana: «Sapete quale sarebbe il tempo di parola dato alle due liste citate? Quattro minuti e 12 secondi per il M5S e un minuto e 50 secondi per la Lega. In nove ore e mezza di notiziari. È francamente patetico, irrispettoso e offensivo per il lavoro che svolgiamo». L’ emittente La7 poi precisa che il richiamo di Agcom «si riferisce esclusivamente alle edizioni principali del TgLa7 che, essendo un notiziario, segue necessariamente l’ agenda politica e la cronaca dei fatti» che portano cioè alla ribalta, di volta in volta, questo o quel partito. Stessa osservazione giunge da Mediaset, che rileva come gli unici richiami che la riguardano sono relativi al tempo di notizia. «Ovvero – si spiega – il tempo dedicato nei Tg a titolare e a dare notizia delle posizioni o delle iniziative di questa o quella forza politica, la cui rilevanza giornalistica dipende dai fatti del giorno e dalla sensibilità professionale di ogni singola redazione». Più in generale Mediaset fa notare come «il fatto che siano coinvolte nei presunti squilibri cinque diverse testate tv nazionali, significa che le norme si stanno rivelando di difficile interpretazione». Per questo, fa sapere l’ emittente, Mediaset ha già inviato all’ Agcom la scorsa settimana una richiesta di chiarimenti, «rimasta ancora senza riscontro per orientare meglio il lavoro delle nostre testate». L’ ultima osservazione è del segretario della commissione di Vigilanza Rai, Michele Anzaldi (Pd), per il quale però la notizia è un’ altra: «In quasi tutte le emittenti ci sono squilibri che danneggiano il Pd. Un quadro imbarazzante: non si era mai visto un simile trattamento a reti unificate contro lo stesso partito».
Artefiera Bologna si fa bella
La Stampa
FRANCESCO RIGATELLI
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Come sarà Artefiera di quest’ anno? A Bologna dal 2 al 5 febbraio arriva la seconda edizione della gestione di Angela Vertesse. Dalle anticipazioni il suo sembra un taglio sempre più curatoriale, con grande attenzione alle gallerie italiane. In totale sono 152 quelle selezionate, che insieme ad altri 30 espositori del mondo dell’ editoria, della grafica e della creatività si preparano a riempire i padiglioni della Fiera di Bologna. Confermata la sezione principale, arricchita del progetto Modernity, poi Solo show con gallerie che puntano tutto su un artista, e Nueva vista per chi presenta più artisti emergenti. Tra le novità di questa 42° edizione anche un convegno internazionale, in collaborazione con l’ Istituto universitario di architettura di Venezia, per approfondire il rapporto tra mostre e fiere. In centro, Art city, con la nuova direzione artistica di Lorenzo Balbi, apre dieci luoghi bolognesi agli artisti, tra tutti il russo Vadim Zakharov con la sua attesa performance. E inoltre dieci eventi esplorano le contaminazioni tra linguaggi del contemporaneo con alcuni dei nomi più interessanti della scena artistica. Grande attenzione agli orari di apertura estesi e ad un itinerario pensato per bambini dagli 8 ai 14 anni. Inoltre, sabato 3, torna l’ Art city white night, la notte bianca con visite straordinarie ai musei bolognesi. Tra i tanti eventi della settimana prossima, mercoledì 31, al Teatro Duse debutta il tour internazionale della Premiata Forneria Marconi, che li porterà poi negli Stati Uniti, in Sudamerica, in Olanda e in Gran Bretagna. A 14 anni dall’ ultimo album di inediti, lo storico gruppo progressive rock Anni 70 torna sulle scene con «Emotional tattoos», pubblicato contemporaneamente in italiano e in inglese. francesco.rigatelli@mailbox.lastampa.it BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
I cinesi di Orient Hontai in corsa per la Serie A
Il Sole 24 Ore
Antonella Olivieri
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Entro fine settimana le buste con gli eventuali rilanci dovranno essere consegnate. Ma se la trattativa privata per aggiudicare i diritti della serie A dovesse fallire l’ obiettivo di superare il miliardo, la palla passerebbe probabilmente all’ intermediario Mediapro che secondo le voci avrebbe offerto, in via preliminare, 990 milioni. Tutto il calcio italiano – dopo Inter e Milan – potrebbe diventare così un po’ più cinese, se a dare le carte sarà Mediapro e se ha ragione il sito spagnolo «El confidencial» che dà per imminente la firma dell’ accordo per il passaggio del 54% della holding Imagina, che controlla Mediapro, al fondo di private equity cinese Orient Hontai Capital. L’ accordo in realtà era già stato annunciato a ottobre. Orient Hontai aveva accettato di riconoscere 850 milioni per la quota di controllo del gruppo che ha in mano i diritti del calcio spagnolo, valorizzando in tutto la holding la bellezza di 1,6 miliardi, pari a 10 volte l’ Ebitda. Il fondo cinese era riuscito a ottenere l’ esclusiva nei negoziati lo scorso mese di maggio, spiazzando – secondo quano riferiva la Reuters – altri pretendenti tra cui la francese Vivendi e la connazionale Wanda. A vendere tre azionisti: il gruppo di private equity spagnolo Torreal, che detiene il 23%, il broadcaster messicano Televisa, che ha il 19%, e uno dei soci fondatori, Gerard Romy che è in possesso di una quota del 12%. Secondo lo schema, gli altri due soci fondatori, Jaume Roures e Tatxo Benet, dovrebbero vincolare i rispettivi pacchetti del 12% ciascuno a un patto di sindacato con il partner cinese, mantenendo di fatto le redini operative del gruppo spagnolo, ma nel capitale dovrebbe restare anche il gruppo pubblicitario inglese Wpp. L’ intesa resta però soggetta all’ approvazione del Governo di Pechino, che ultimamente ha frenato le acquisizioni cinesi all’ estero nel campo dello sport e dell’ intrattenimento. Ad ogni modo, se Mediapro scenderà in campo sulla serie A, si potranno riaffacciare al tavolo altri interlocutori, come Telecom, che hanno messo sul piatto solo un cip di presenza al primo giro. Tim ha offerto infatti 30 milioni per il pacchetto online, nettamente sotto la base d’ asta di 160 milioni. Se l’ asta si fosse chiusa, i diritti per trasmettere online sarebbero andati a Sky, che ha offerto 170 milioni (i 160 milioni di base più 10 milioni per l’ Over the top). Una mossa quella della pay-tv satellitare interpretata più in chiave difensiva per sbarrare il passo a possibili nuovi player, che di business in senso stretto, visto che Sky potrebbe utilizzare solo l’ internet tv Now tv. Con il passaggio del dossier all’ intermediario spagnolo, in predicato di diventare di proprietà cinese, le carte si rimescolerebbero un’ altra volta e c’ è chi non esclude che, se l’ operazione andasse in porto, per far tornare i conti Mediapro possa sondare l’ interesse a parte del pacchetto online anche degli altri operatori telefonici presenti in Italia. Non sembrerebbero esserci margini, in ogni caso, per un’ offerta combinata tra Tim e Mediaset che, di suo, non pare essere disposta ad andare oltre i 200 milioni già offerti per il pacchetto digitale terrrestre (base d’ asta 260 milioni), dato che il piano industriale contempla anche l’ opzione senza calcio che comporterebbe un ridimensionamento dell’ audience, ma anche la speranza di centrare finalmente il pareggio (di bilancio). © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Ascolti, Rtl 102,5 sempre in vetta
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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I dati di ascolto del sistema radiofonico italiano nel periodo 4 maggio-18 dicembre 2017 mostrano uno scacchiere di potenze in fm ormai ben delineato. Dal punto di vista delle singole emittenti, Rtl 102,5 la fa da padrona, staccando nettamente la concorrenza sia nel giorno medio (8,3 milioni di ascoltatori), sia nel quarto d’ ora medio (parametro più usato dai centri media per le pianificazioni pubblicitarie), con 713 mila ascoltatori. Il gruppo guidato da Lorenzo Suraci, peraltro, vede anche consolidarsi gli ascolti sia di Radiofreccia (724 mila ascoltatori nel giorno medio), sia di Radio Zeta l’ Italiana (731 mila), entrambi in netto miglioramento rispetto alla precedente rilevazione Ter per il semestre 4 maggio-9 ottobre 2017: «Ancora una volta con tutta la mia squadra», racconta Suraci, «abbiamo provato un sentimento ingovernabile: siamo felici. Continueremo a lavorare con la stessa passione di sempre: intrattenendo e informando con professionalità e correttezza». Nella graduatoria del giorno medio, dietro a Rtl 102,5 si conferma Radio Dimensione Suono, con i suoi 5,7 milioni di ascoltatori. Mentre al terzo posto c’ è Radio Italia (5,1 milioni), tallonata da vicinissimo da Radio Deejay (5,1 mln). È quinta la 105 di Radio Mediaset, con i suoi 4,9 milioni. Considerando invece la classifica del quarto d’ ora medio, c’ è qualche scambio di posto: in seconda posizione sale 105 (601 mila ascoltatori), seguita da Rds (460 mila), Deejay (431 mila) e, al quinto gradino, da Radio Italia (395 mila). Eduardo Montefusco, presidente di Rds, è soddisfatto e spinge sulla trasformazione di Rds in entertainment company: «Stiamo lavorando bene su tutte le leve, e lo dimostrano sia i 5,7 milioni di ascoltatori che ci vedono al secondo posto nel giorno medio, sia la crescita sui quarti d’ ora. Da diversi anni abbiamo cambiato paradigma, e siamo una entertainment company che produce format audiovisivi, integrando il territorio». Felice pure Mario Volanti, editore e presidente di Radio Italia: «Una crescita continua che riguarda anche il nostro comparto web e social e che premia lo sforzo e il lavoro di tutta l’ azienda. Ma Radio Italia non si ferma mai: siamo in piena attività e ci prepariamo ai prossimi appuntamenti in programma. Prima tappa Sanremo 2018, dove raggiungeremo un record: 30 anni di dirette radiofoniche a copertura della kermesse. A seguire, il nostro grande evento Radio Italia live – Il Concerto, che si terrà in piazza Duomo a Milano attorno alla metà di giugno». Più concentrati sul miglioramento dell’ indagine Ter i commenti, invece, di Radio Mediaset e Deejay. Per Paolo Salvaderi, amministratore delegato di Radio Mediaset (105, Virgin Radio, R101 e Subasio), «i risultati annuali sono perfettamente in linea con le nostre aspettative. Sapevamo che la messa a punto di un nuovo impianto di ricerca, che consegni una indagine efficace per editori e mercato, necessita di tempo e impegno. E il nostro interesse è rivolto alla implementazione della ricerca. Il 2017 è per noi solo il punto di partenza». Linus, direttore di Radio Deejay, sottolinea invece che «essere tornati stabilmente e abbondantemente sopra i 5 milioni di ascoltatori è un grandissimo e quasi inaspettato risultato. Ora sarà interessante leggere i risultati che arriveranno dalle novità che verranno introdotte nel 2018. Finalmente verranno incrementate le interviste sui cellulari, e quindi avremo una fotografia più credibile dell’ ascolto radiofonico. Tra l’ altro la nuova tranche coincide esattamente con la ripartenza di Fiorello, dal 29 gennaio tutti i giorni alle 19 su Deejay con il suo Rosario della sera». Ed è naturale che Linus si attenda una spinta nelle audience pure dal ritorno del canale televisivo Deejay Tv, appena ripartito in chiaro all’ lcn 69 del digitale terrestre. Al netto delle singole emittenti, tuttavia, sul mercato lo scontro è ormai una faccenda che riguarda sei grossi poli, in lotta per spartirsi i circa 410 milioni di euro di valore pubblicitario del mezzo radio, che dovrebbe chiudere il 2017 in crescita fra il 6 e il 7%. Radio Mediaset e le altre emittenti raccolte da Mediamond valgono oltre 14 milioni di ascoltatori nel giorno medio e quasi 1,3 milioni di ascolti nel quarto d’ ora medio. Ma Gedi tallona il Biscione da vicino con 13,6 milioni nel giorno medio e oltre un milione di ascolti nel quarto d’ ora. Il gruppo Rtl 102,5 vale invece 9,8 milioni nel giorno medio e 838 mila nel quarto d’ ora, seguito dai canali Rai a 8,9 milioni nel giorno medio e 717 mila nel quarto d’ ora. Rds è a 6,6 milioni (e 528 mila nel quarto d’ ora), mentre il gruppo di Radio 24, che dal 1° gennaio raccoglie pure Kiss Kiss, pesa 4,6 milioni nel giorno medio e 278 mila nel quarto d’ ora: «Gli ottimi risultati dimostrano la forza di Radio 24. Bene ha fatto il gruppo a continuare a credere e rafforzare l’ asset radiofonico», conclude Guido Gentili, direttore editoriale del gruppo Sole-24 Ore. © Riproduzione riservata.
Disney comprerà Sky, comunque vada
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Comunque vada Sky sarà di Disney. Questo si scommette fra gli analisti americani, dopo che il martedì la Competition and Markets Authority (Cma), l’ antitrust inglese, ha bloccato provvisoriamente l’ acquisizione del 61% di Sky da parte della 21st Century Fox di Rupert Murdoch che già possiede il restante 39%. Se anche il parere definitivo che la Cma dovrà dare al governo inglese il 1° maggio sarà infatti negativo, comprando gli asset della Fox, così come già pattuito, Disney non si troverebbe tra le mani uno dei pezzi più pregiati. Per questo il gigante americano non dovrebbe farsi troppi problemi a intervenire direttamente per comprare il 61% di Sky. Il parere negativo della Cma, anche se provvisorio, è infatti un grande ostacolo sull’ operazione di Fox da 11,7 miliardi di sterline. La commissione ha parlato delle «preoccupazioni sul pluralismo dei media» che non saranno superate se non con un atto concreto che neutralizzi l’ influenza della famiglia Murdoch su Sky News, il canale di informazione del gruppo. Sky News, unito al Sun e al Times, che Murdoch possiede attraverso la News Corp, costituirebbe una eccessiva concentrazione in grado di influenzare opinione pubblica e politica. Il punto è quindi se Murdoch per sbloccare la situazione si vorrà privare di Sky News o troverà un modo per mostrare che non influenza la sua linea editoriale. Per Sky il canale all news è prestigio e influenza, più che fonte di ricavi, dal momento che gli abbonamenti arrivano soprattutto dalla presenza dei contenuti, sport in primis. Il discorso perciò non è economico. Il punto è se anche per Disney, il destinatario finale di tutto il pacchetto, sia o meno importante avere Sky News. Già negli Stati Uniti la società guidata da Bob Iger possiede Abc News e una sinergia fra i due canali potrebbe essere molto utile per coprire gli eventi a livello internazionale quando Sky News non avrà più alcun collegamento con Fox News che resterà a Murdoch. Ammettendo però che Sky voglia tenere il canale di news, anche se la Cma decidesse di dare parere definitivo negativo all’ acquisizione, Disney con tutta probabilità comprerebbe direttamente Sky. La piattaforma è quello che il gigante americano cerca: uno sbocco diretto verso gli spettatori europei che porta in dote 23 milioni di abbonati, fra Regno Unito, Irlanda, Italia, Germania e Austria. Nel comunicato con cui annunciava l’ accordo Disney ha parlato di Sky come della «televisione a pagamento di maggior successo in Europa e le imprese creative con piattaforme dirette al consumatore innovative e di alta qualità, marchi risonanti e un management team forte e rispettato», mentre Iger dal canto suo ha definito Sky il «gioiello della corona» degli asset di Fox. © Riproduzione riservata.
Chessidice in viale dell’ Editoria
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Google ha speso più di tutti in lobby in Usa nel 2017. Per la prima volta nella sua storia, nel 2017 Google è stata l’ azienda che ha speso più di tutti per influenzare la politica di Washington. Google ha così rotto una tradizione che vedeva in testa gruppi attivi nei settori delle tlc, energetico e della difesa. La controllata di Alphabet ha superato il suo stesso record investendo oltre 18 milioni di dollari per fare pressing sul Congresso, sulle agenzie federali e in generale sulla Casa Bianca su questioni che spaziano dall’ immigrazione alla riforma fiscale passando per tematiche antitrust. Il colosso tech ha anche tentato di condizionare le autorità in merito alla regolamentazione della pubblicità online, fonte essenziale dei ricavi del gruppo. Stando al Center for Responsive Politics, Google non è stato l’ unico gruppo tech ad aumentare le sue spese in lobby. Anche Facebook, Amazon e Apple hanno superato i propri record per fare pressing sui legislatori Usa. Il social network ha aumentato le spese in questo campo del 32% nel 2017 rispetto al 2016; per Apple l’ incremento è stato del 51%. Le spese da parte di queste quattro società hanno superato i 50 milioni di dollari durante quello che è stato il primo anno di presidenza di Donald Trump. Gruppi tech a parte, tra i top spender in lobby nel 2017 sono emersi At&t, Boeing e Comcast. Benioff (Salesforce): i social devono essere tassati come le sigarette. I social network sono come le sigarette, l’ alcol o lo zucchero: una dipendenza e un rischio per la salute delle persone, e come tali dovrebbero essere tassati. A dirlo non è un vecchio arnese della old economy ma Marc Benioff, fondatore e amministratore delegato di Salesforce, tra le principali società al mondo per soluzioni di cloud computing e tra le prime billion company degli anni 2000. Oggi ha una capitalizzazione di mercato da 60 miliardi di dollari. «Penso che [gli stati] dovrebbero comportarsi con i social network come fanno con le sigarette: avvertire chi li usa che creano dipendenza e fanno male alla salute», ha detto Benioff alla Cnbc. «Sono assolutamente certo che queste tecnologie sono disegnate apposta per rendere gli utenti sempre più dipendenti da esse». Benioff ha quindi chiesto che i governi intervengano per regolamentarne l’ uso, anche educando i genitori dei più piccoli a valutare i rischi per la salute che derivano da un utilizzo eccessivo dei social. Fake news, Papa: il dramma è lo screditamento sistematico. «Il dramma della disinformazione è lo screditamento dell’ altro, la sua rappresentazione come nemico, fino a una demonizzazione che può fomentare conflitti. Le notizie false rivelano così la presenza di atteggiamenti al tempo stesso intolleranti e ipersensibili, con il solo esito che l’ arroganza e l’ odio rischiano di dilagare. A ciò conduce, in ultima analisi, la falsità». Lo scrive Papa Francesco in un messaggio a tutti i giovani del mondo in occasione della prossima Giornata Mondiale della Gioventù, domenica 13 maggio. «La verità vi farà liberi. Fake news e giornalismo di pace», è il titolo del messaggio. Casta Diva lancia Blue Note Off. Continua il progetto di Casta Diva per diffondere la cultura della musica jazz nelle città italiane. Dopo le prime due edizioni di JazzMI, la multinazionale attiva nel settore della comunicazione ha lanciato Blue Note Off, nuovo brand di Blue Note Milano (parte di Casta Diva Group) che ha come obiettivo quello di portare il jazz dello storico locale di via Borsieri in location inusuali. Casta Diva dal nuovo progetto si aspetta un incasso di circa 500 mila euro nel 2018. Il nuovo programma partirà da Sisal Wincity di Piazza Diaz che ospiterà 14 concerti a partire dal 5 febbraio e che vede protagonisti, tra i primi: Ragonese Bros, Naim, «Lands Project» Decorato e Costantini, Pat Rich, Lady Dillinger. Carlo Parisi rappresentante Fnsi nel cda Casagit. È Carlo Parisi il nuovo rappresentante della Federazione nazionale della stampa italiana nel consiglio di amministrazione della Casagit, la Cassa autonoma di assistenza integrativa dei giornalisti italiani. Lo ha nominato la giunta esecutiva della Fnsi su proposta del segretario generale Raffaele Lorusso. Parisi è segretario generale aggiunto della Fnsi, presidente della Commissione contributi e vigilanza dell’ Inpgi e segretario del Sindacato giornalisti della Calabria. MasterChef, prova con la cucina kosher. Oggi alle 21,15 su Sky Uno HD nuovo appuntamento con la settima edizione di MasterChef Italia prodotta da Endemol Shine Italy con i giudici Antonia Klugmann, Bruno Barbieri, Joe Bastianich e Antonino Cannavacciuolo. I 16 cuochi amatoriali sono pronti per affrontare una nuova Mystery Box e per la prova in esterna dovranno preparare un pranzo per la celebrazione del Bar Mitzvah, la cerimonia per festeggiare il passaggio all’ età adulta, fondamentale nella religione ebraica. Sarà quindi indispensabile seguire alla lettera i dettami della cucina kosher. Brandmade: +107% nel 2017 con 1 milione di fatturato. BrandMade chiude il 2017 con oltre 1 milione di euro di fatturato, il doppio rispetto all’ anno precedente: una crescita del +107% che segue il +38% del 2016 e che porta ora l’ agenzia a prevedere un ulteriore raddoppio per il 2018. La marketing advisory agency di Trilud Group nata nel 2013 ha anche arruolato nel suo team come business developer Arianna Castoldi, già sales account in Trilud Group, sotto il managing director Marco Schifano e con il coordinamento della head of sales di Trilud Group Alexia Beverina.
L’ Agcom bacchetta i telegiornali I direttori si ribellano
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L’ Agcom batte un colpo e gli addetti ai lavori si ribellano. L’ Autorità ha emesso cinque richiami ad altrettante testate, con segnalazioni di squilibri per altre emettenti. Un «verdetto», quello del consiglio dell’ Autorità che ha suscitato la dura reazione di alcuni dei diretti interessati. Nel mirino il Tg de La7, il Tg4, Studio Aperto, SkyTg24 e Rainews accusate di aver favorito questo o quel partito. Un intervento «patetico, irrispettoso e offensivo per il lavoro che svolgiamo», secondo il direttore del Tg de La7, Enrico Mentana. Di «anomalie» e «irrigidimento» ingiustificato parla invece Mediaset. Nel dettaglio, in relazione al periodo 15-21 gennaio, l’ Agcom ha deciso di deliberare un forte richiamo al Tg de La7 per il tempo concesso a M5S e Lega a svantaggio di altri partiti; un forte richiamo a Tg4 e a Studio Aperto in relazione all’ elevato tempo di notizia fruito da Forza Italia; un richiamo a Sky Tg24 per l’ eccessivo tempo destinato a M5s, Liberi e Uguali e Lega e un richiamo a Rainews per lo squilibrio registrato nei tempi di parola a favore di Liberi e Uguali.
La riscossa della radio I politici la usano più della tv
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ENRICO PAOLI Su quel muro infinito rappresentato dalla Rete, lo scrittore e giornalista Duilio Chiarle ha lasciato un «graffito» che merita la pena d’ esser rilanciato: «La tv non ha ucciso la radio, Internet non ucciderà la poesia». Sui versi che prevalgono sul Web ci asteniamo. Sulla radio no. Perché la previsione dei The Buggles, gruppo inglese che negli Ottanta cantava «Video Killed the Radio Star» («La Tv ha ucciso la stella della Radio»), non si è affatto avverata. Anzi, è avvenuto l’ esatto contrario. La cugina della tv non solo si è presa la rivincita, tornando ad essere un media primario, ma sta addirittura dettando l’ agenda politica. Molto più di quanto non facciano i talk show televisivi, retrocessi a megafono elettorale. I leader di tutti gli schieramenti, una mattina sì e l’ altra pure, accettano di buon grado gli inviti dei conduttori dei vari programmi radiofonici, ai quali affidano lo spot del giorno. E se una volta c’ era «Radio anch’ io», storico programma di Radio Rai, oggi nell’ etere si danno battaglia brand importanti con Radio 24, Rtl 102,5 (la prima radio del Paese, stando alla rilevazione realizzata da Ter), Radio Deejay, Rds, Radio Capital e il gruppo che fa capo a RadioMediaset, ovvero Radio 105, Virgin Radio, R101 e Radio Subasio. Insomma, per capire quale sarà il tema del giorno bisogna accendere la radio, non la tv. E visto che le emittenti radiofoniche viaggiano su tutti i canali di trasmissione, dall’ etere al web, il contatto è estramente semplice. Concetto che editori e leader politici hanno fatto proprio. Per scendere nel concreto, nella giornata di ieri, gli annunci del giorno di Bersani e Berlusconi sono arrivati dai microfoni di «Radio 24 mattino», l’ emittente del Sole 24 Ore, che conta sulla conduzione di Luca Telese e Oscar Giannino. L’ amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, Renato Mazzoncini, ha scelto «Circo Massimo», il contenitore del mattino di Radio Capital affidato a Massimo Giannini, per delineare le strategie dell’ azienda. Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, in linea con il suo ruolo istituzionale, ha spiegato a Giorgio Zanchini, conduttore di «Radio Anch’ io», storico programma di Radio Uno Rai, dove si candiderà. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’ Italia, invece è stata ospite dello spazio gestito da Pierluigi Diaco all’ interno del programma «Non Stop News», condotto insieme a Fulvio Giuliani e Giusi Legrenzi su Rtl 102,5, dove ha tratteggiato il prossimo governo del centrodestra. Ma non ci sono solo i programmi-contenitore del mattino a dare la linea. Appuntamenti serali e d’ intrattenimento come «Zapping» su Radio Rai, condotto da Giancarlo Loquenzi, «La Zanzara» su Radio 24 con Giuseppe Cruciani al timone della trasmissione più irriverente dell’ etere, e «Un giorno da pecora» su Radio Uno Rai, molto spesso «creano» la notizia. E quando non lo fanno suscitano dibattito. Che non è cosa da poco. Sarà pure un caso, ma come ha «fotograto» l’ Istat nell’ ultima rilevazione statistica, se un italiano su due ascolta la Radio una ragione ci sarà. E i dati di ascolto lo confermano. Rtl 102,5 è ancora leader assoluta delle radio italiane con 8.326.000 ascoltatori nel giorno medio, come conferma l’ indagine Ter. RadioMediaset (Radio 105, Virgin Radio, R101, Radio Subasio), cui fanno capo le attività radiofoniche del Gruppo Mediaset, si conferma primo Gruppo radio nazionale negli ascolti. Ottime le performance di Radio Deejay: con 5.171.000 ascoltatori nel giorno medio ed una crescita dell’ 8,6% nell’ ultimo anno, registra la sua migliore performance degli ultimi 5 anni. Trend in leggero calo per Radio Capital, fisiologico nei periodi di cambiamento del palinsesto come quello che ha recentemente interessato l’ emittente, con circa 1,6 milioni di ascoltatori al giorno. Chiusura da record per Radio 24, che nel 2017 ha registrato un risultato mai raggiunto prima. Il Cdr del Giornale Radio Rai, invece, esprime «grande preoccupazione per il calo degli ascolti delle reti radiofoniche». A viale Mazzini, forse, hanno un problema serio da affrontare. twitter@enricopaoli1 riproduzione riservata Pierluigi Diaco (Rtl 102,5), Giorgio Zanchini (Radio Rai), Giuseppe Cruciani (Radio 24) e la coppia dirompente Tony e Ross (Radio 105), sono fra le «voci» più seguite dagli ascoltatori italiani che utilizzano la Radio più della Televisione.
La7, Rai, Sky e Mediaset L’ Agcom bacchetta tutti
Il Giornale
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Roma Arrivano i primi richiami dall’ Agcom a diverse emittenti televisive per il mancato rispetto della par condicio e l’ informazione si rivolta. Questione di tempi troppo lunghi concessi ad un partito piuttosto che ad un altro. Squilibri non consentiti in periodo di campagna elettorale dall’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che ieri ha deliberato alcuni provvedimenti che si riferiscono al periodo che va dal 15 al 21 gennaio. Per il Tg di La7 è stato deciso un «forte richiamo» in relazione al tempo di parola e al tempo di notizia dedicato, soprattutto nelle edizioni principali, ai politici del M5s e a quelli della Lega, a svantaggio del Pd e di Forza Italia. Il direttore Enrico Mentana (nella foto sopra) non l’ ha presa bene e ha replicato con durezza: «Se è vero che chi ben comincia è a metà dell’ opera, peggio di così nelle rilevazioni Agcom non si poteva iniziare». Mentana ha definito l’ intervento dell’ Authority «patetico, irrispettoso e offensivo» per il lavoro dei giornalisti, calcolando che su 21 tiggì presi in considerazione, dunque su nove ore e mezza di notiziari, il tempo di parola dato alle due liste sotto accusa sarebbe stato in totale di 4 minuti e 12 secondi per il M5s e 1 minuto e 50 secondi per il Carroccio. Tg4 e a Studio Aperto avrebbero invece dedicato più tempo a Fi rispetto agli altri partiti e per questo hanno ricevuto anche loro un forte richiamo. Mentre Skytg24 avrebbe concesso un eccessivo spazio ai pentastellati, a Liberi e Uguali e alla Lega. Il richiamo per Rainews è invece sullo squilibrio nei tempi di parola a favore di LeU e a detrimento del Pd. Per Mediaset il fatto che cinque diverse testate siano coinvolte nei presunti squilibri, significa che le norme sulla par condicio «si stanno rilevando di difficile interpretazione». Osserva inoltre che «le sue testate sono le uniche tra le richiamate a non aver violato i limiti di tempo parola, ma il tempo di notizia», e fa notare come il tempo dedicato ad una certo argomento nei Tg dipende «dai fatti del giorno e dalla sensibilità professionale di ogni singola redazione». DA.
Agcom striglia cinque tg: par condicio violata La7 e Mediaset: norme complesse, noi corretti
Il Messaggero
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L’ INFORMAZIONE ROMA L’ argomento è spinoso e le norme lasciano ampio spazio all’ interpretazione, quindi, come in ogni vigilia elettorale, la polemica sulla par condicio in tv esplode puntualmente. A dare fuoco alle polveri sono i richiami – «forti» o senza aggettivi – rivolti dall’ Agcom a cinque testate colpevoli di favoreggiamenti, nei rispettivi «tempi di notizia e di parola» verso alcuni partiti e, conseguentemente, di discriminazioni delle quali – a leggere il comunicato dell’ Autorità di garanzia sulle comunicazioni – risulterebbe vittima principale il Pd. Infatti, esaminata la settimana dal 15 al 21 gennaio, l’ Agcom ha deciso «un forte richiamo alla testata TgLa7 per il tempo concesso a M5S e Lega a svantaggio di altri partiti; un forte richiamo a Tg4 e a Studio Aperto in relazione all’ elevato tempo di notizia fruito da Forza Italia; un richiamo a Sky Tg24 per l’ eccessivo tempo destinato a M5S, LeU e Lega; un richiamo a Rainews per lo squilibrio registrato nei tempi di parola a favore di LeU». Prima ancora che i destinatari del monito dell’ Agcom reagissero con una serie di dure repliche, il sempre vigile deputato dem e segretario della commissione di Vigilanza Rai, Michele Anzaldi, sottolineava che «i pesanti richiami dell’ Agcom mostrano un quadro imbarazzante: in quasi tutte le emittenti ci sono squilibri che danneggiano il Pd, unico partito svantaggiato da tutte le reti sanzionate. Non si è mai visto – aggiungeva l’ esponente democrat – un simile trattamento a reti unificate contro lo stesso partito». Tagliente, sull’ opposto versante, la reazione di Enrico Mentana, che definisce l’ intervento Agcom «francamente patetico, irrispettoso e offensivo del lavoro che svolgiamo. Se è vero che chi ben comincia è a metà dell’ opera – afferma il direttore del TgLa7 – peggio di così nelle rilevazioni Agcom non si poteva iniziare. Sapete quale sarebbe – dice Mentana – il tempo di parola dato alle due liste citate? 4 minuti e 12 secondi per M5S e 1 minuto e 50 secondi per la Lega, su un totale di nove ore e mezza di notiziari». La stessa La7 rivendica un comportamente «sempre equo e corretto» dell’ emittente nelle proprie cronache politiche. Da parte sua Mediaset, rilevato «l’ irrigidimento» di Agcom in un contesto «iper-regolato solo per tv e radio e di disparità rispetto al web», osserva che «il fatto che siano coinvolte nei presunti squilibri cinque diverse testate tv nazionali, significa che le norme si stanno rivelando di difficile interpretazione, a meno che non si immagini un illecito comportamento concertato». Singolare, infine, la presa di posizione del Partito radicale transnazionale transpartito, i cui esponenti Maurizio Turco e Marco Beltrandi protestano per essere ignorati nei monitoraggi Agcom, anche se il loro partito, a norma di Statuto, non può prender parte alle elezioni, mentre la lista Bonino è sovraesposta sui media. Ma si tratta solo di un nuovo capitolo della faida senza esclusione di colpi che oppone i presunti veri eredi del messaggio di Marco Pannella ai revisionisti Radicali italiani di Emma Bonino e Riccardo Magi. Mario Stanganelli © RIPRODUZIONE RISERVATA.
L’ Agcom richiama cinque tv “Violata la par condicio”
La Repubblica
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L’ Agcom ha richiamato cinque testate tv al rispetto della par condicio elettorale. In particolare il Tg de La7 ha concesso troppo tempo a M5S e Lega a svantaggio di altri partiti; Tg4 e Studio Aperto hanno fatto lo stesso con Forza Italia; Sky Tg24 con M5S, Liberi e Uguali e Lega; Rainews si è sbilanciata a favore di Liberi e Uguali. Contro il richiamo hanno protestato il direttore del TgLa7, Enrico Mentana, e Mediaset.