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Rassegna Stampa del 26/11/2017

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Indice Articoli

Mario Ricciardi dirigerà «il Mulino»

La guerra delle fake news. Più affari che propaganda

Zagrebelsky & C. contro Scalfari «No Eugenio, siamo sbalorditi»

«Napoli c’ è» premiate le eccellenze della cultura

Prossima sfida i campionati di calcio

Tra i big del web partita miliardaria per diritti sportivi e «live streaming»

30 anni di Striscia

Chi paga

Mario Ricciardi dirigerà «il Mulino»

Corriere della Sera

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È Mario Ricciardi, docente di Filosofia del diritto all’ Università Statale di Milano, il successore di Michele Salvati alla direzione della rivista «il Mulino». Gli altri membri del comitato di direzione, eletto ieri a Bologna dall’ assemblea dei soci dell’ Associazione culturale il Mulino, sono Massimo Livi Bacci, Paolo Pombeni, Carlo Trigilia e Gianfranco Viesti. Inoltre Bruno Simili è stato confermato nel ruolo di vicedirettore. Nato a Salerno nel 1967, Ricciardi insegna anche alla Luiss-Guido Carli di Roma e ha lavorato presso la University of Manchester e la Queen’ s University di Belfast. Membro della direzione del «Mulino» dal 2012, guiderà la rivista per un triennio, fino al 2020. Fondato a Bologna nel 1951 da un gruppo di giovani (tra cui Fabio Luca Cavazza, Pierluigi Contessi, Federico Mancini, Nicola Matteucci, Luigi Pedrazzi) «il Mulino», che esce con cadenza bimestrale, è una delle riviste più importanti nel campo delle scienze sociali, dalla quale è nata nel 1954 l’ omonima società editrice. La testata ha anche un sito, rivistailmulino.it, che ospita note e interventi quotidiani.

La guerra delle fake news. Più affari che propaganda

Il Fatto Quotidiano
Virginia Della Salae Carlo Di Foggia
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Fake news: Matteo Renzi ha deciso di farne lo slogan della nuova Leopolda. “Termineremo la giornata lottando contro le fake news – ha detto venerdì – Stanno accadendo delle cose incredibili. Il New York Times ha pubblicato un pezzo su quello che sta avvenendo in Italia su questo: sono state oscurate pagine con sette milioni di like che spargono veleno e falsità contro di noi”. I tempi. Il pezzo del New York Times a cui fa riferimento Renzi è stato pubblicato proprio venerdì. Il titolo (Italy, Bracing for Electoral Season of Fake News, Demands Facebook’ s Help) richiama due elementi ormai sempre presenti quando si parla di campagna elettorale: le notizie false diffuse sui social network e l’ arruolamento di questi ultimi in un’ opera di pulizia che può essere l’ anticamera della censura. In questo caso, con un elemento in più: la presunta relazione tra siti e profili di sostegno ai 5stelle che avrebbero diffuso notizie e immagini false sul conto del Pd (come la presenza di alcuni esponenti del partito al funerale di Totò Riina) e quelli omofobi e razzisti, nonché filo-russi, che discenderebbero dai sostenitori della Lega Nord. L’ articolo, però, è innescato da un “rapporto” redatto da Andrea Stroppa, fondatore di Ghost Data e consigliere di Renzi per la Cybersicurezza. Il consigliere. È lo stesso che ha imbeccato il sito BuzzFeed per l’ inchiesta di qualche giorno fa su un’ altra galassia di siti “poco attendibili”, anch’ esso citato dal Nyt e da Renzi. Stroppa, classe 1994, non è un tecnico ma può contare su una notevole rete di relazioni. È consulente del World Economic Forum e siede nella fondazione di Lapo Elkann. Arriva al grande pubblico per i suoi rapporti con Marco Carrai, che lo ha chiamato nell’ azienda di sicurezza informatica Cys, fondata con l’ ex Eni Leonardo Bellodi e l’ Aicom di Mauro Tanzi, proprio nel periodo in cui era dato in procinto di essere nominato a capo della struttura di cyber security dei servizi segreti a Palazzo Chigi, poi saltata. È stato il responsabile della sicurezza quando il sito per il Sì al referendum costituzionale è stato hackerato da Anonymous e proprio per Anonymous, quando era minorenne, fu indagato dopo l’ attacco ai siti di un sindacato della polizia penitenziaria, della Guardia costiera, della Banca di Imola e della Luiss. Ottenne poi il “perdono giudiziale” dal Tribunale dei minori. Oggi risulta cofondatore di Ghost Data, società di analisi di dati (che non risulta registrata in Italia) insieme a un programmatore russo, Pavel Lev, e vive di consulenze aziendali. L’ analisi di Stroppa dimostrerebbe la connessione tra i siti che “promuovono movimenti politici rivali anti-establishment critici nei confronti del signor Renzi e del governo di centro-sinistra” e la pagina web ufficiale di un movimento che promuove Matteo Salvini, noiconsalvini.org (nome della lista con cui il leader della Lega si presenta al Sud). In comune hanno i codici Google. In pratica, ci sarebbe una connessione tra la propaganda pro Cinque Stelle e quella leghista. Il metodo. Per dimostrarlo, Stroppa ricorre ai codici usati per tracciare la pubblicità e il traffico web su quei siti. Scopre, come può fare qualunque informatico, che sono condivisi anche da una serie di altri siti come IoStoConPutin.info. I siti condividono un identificativo (Id) univoco assegnato da Google Analytics (che raccoglie le statistiche dei siti) e un numero AdSense con il quale Google gestisce gli annunci pubblicitari (e versa i ricavi al possessore). Le repliche. Google ha inviato al Fatto la replica completa fornita anche al New York Times, che ne ha pubblicata una parte: “Non abbiamo dettagli sugli amministratori del sito e non possiamo speculare sul motivo per cui hanno lo stesso codice dell’ annuncio – spiega -. Qualsiasi editore che utilizza la versione self-service dei nostri prodotti può aggiungere il codice al proprio sito. Spesso vediamo siti non collegati che utilizzano gli stessi ID , quindi non è un indicatore affidabile che due siti siano connessi”. Il Movimento 5 stelle ha sottolineato che il sito in questione non è riconducibile ai loro media ufficiali mentre il guru web di Salvini, Luca Morisi ha riconosciuto che noiconsalvini.org condivideva i codici di Google di siti fuori dall’ universo politico della Lega. Ha spiegato che un ex sostenitore del M5s aveva contribuito a costruire il sito e ha incollato i codici della sua pagina fan. Ha poi spiegato che pensava di aver cambiato i codici. I codici. Il codice di Analitycs è spesso parte dei codici di costruzione dei siti web: se lo sviluppatore è lo stesso è probabile che lo ri-utilizzi. Diverso è per AdSense. Il Fatto ha verificato che oggi questi siti non condividono più il codice per la pubblicità, ma almeno fino a settembre scorso sì. Lo stesso codice era condiviso da almeno 30 siti (come patrioti.info, italyfortruymp.info ecc.), di cui 10 visibili e solo 2 di possibili fan del M5S , info5stelle.info e videoa5stelle.info, che però il Nyt non cita mai. Le spiegazioni.Avere il codice AdSense significa avere il portafoglio della pubblicità. Perché condividerlo? La gestione di decine di siti che producono contenuti a ciclo continuo è complessa, e non sempre alla portata di un partito (la Lega ha i conti pignorati). Tre le possibili spiegazioni: 1) noiconsalvini ha commissionato a una società specializzata larealizzione del sito consentendogli di raccogliere la pubblicità come parte del compenso, e la gestione dell’ analytics è parte del servizio; 2) La società ha inserito la pubblicità di AdSense senza avvertire noiconsalvini; 3) noiconsalvini ha trovato il modo di raccogliere più pubblicità possibile (e quindi ricavi) ampliando la sua platea potenziale con siti che inneggiano ai 5stelle o altri temi non proprio assimilabili a quelli della Lega. In ogni caso, più che la propaganda è il business a spiegare le connessioni, anche perché i professionisti che spuntano fuori – anche quando si accusa la Russia – alla fine risultano sempre italiani.

Zagrebelsky & C. contro Scalfari «No Eugenio, siamo sbalorditi»

Il Giornale
Paolo Bracalini
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Paolo Bracalini Con una semplice frase Eugenio Scalfari si sta rovinando tutte le amicizie. Da saggio venerabile a vecchio rimbambito reazionario il passo è lungo, eppure basta aver detto «tra Berlusconi e Di Maio sceglierei Berlusconi» per colmarlo in un lampo. Il fondatore di Repubblica nell’ ordine è stato: redarguito dalla stessa Repubblica, accusato di essere un vecchio fascista da Flores d’ Arcais di Micromega (famiglia Espresso), sbertucciato dai grillini e dal Fatto. Mancavano solo gli amici di Libertà e Giustizia, il prestigioso club di intellettuali già firmatari di innumerevoli appelli lanciati proprio dalla Repubblica di Scalfari, ma eccoli rispondere all’ appello. «Caro Eugenio, noi di Libertà e Giustizia siamo rimasti sbalorditi dalla tua dichiarata preferenza per Berlusconi, rispetto a Luigi Di Maio, in vista delle prossime elezioni. Non riusciamo a comprendere e tantomeno ad accettare come una figura con la tua storia di giornalista e di intellettuale possa dimenticare cosa ha rappresentato Berlusconi per il nostro paese» scrivono in una lettera aperta – con una nota di dolore mista ad indignazione per il tradimento del «Caro Eugenio» – gli illustri consiglieri di presidenza di Libertà e Giustizia. Ovvero Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti, Tomaso Montanari, Nadia Urbinati, Lorenza Carlassare, Roberta De Monticelli, Paul Ginsborg, Elisabetta Rubini, Valentina Pazé, Salvatore Settis. Tutti «repubblicones» della prima ora, come ricordano loro stessi, ancora ribadendo – se Scalfari non l’ avesse afferrata – tutta l’ incredulità per l’ esternazione filo-Berlusconi del loro ex sodale di battaglie politiche. «Noi di Libertà e Giustizia, che per tanti anni abbiamo condiviso con il Gruppo Espresso-Repubblica battaglie e convinzioni, in quella tua dichiarazione non ci riconosciamo proprio, né ci riesce di ridimensionare la nostra delusione». La storia di Libertà e Giustizia in effetti è intrecciata in modo inestricabile con quella di Repubblica, fondata da Scalfari. L’ editore Carlo De Benedetti è uno dei soci fondatori di LeG, Sandra Bonsanti – assunta a Repubblica proprio da Scalfari – è stata una firma del quotidiano, come pure altri dei consiglieri di LeG delusi da Scalfari: da Settis a Montanari a Ginsborg al sommo costituzionalista Zagrebelsky («l’ amico Zagrebelsky» con cui Scalfari già duellò sul referendum di Renzi). Un piccolo dramma nel mondo di Repubblica che ha appena cambiato grafica e inventato un nuovo carattere tipografico, chiamandolo Eugenio proprio in onore suo. Nel caso insistesse, si fa sempre in tempo a cambiarlo.

«Napoli c’ è» premiate le eccellenze della cultura

Il Mattino

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Tredicesima edizione per il Premio «Napoli c’ è», assegnato ogni anno da l’«Espresso napoletano» a coloro che si siano adoperati, a Napoli e in Campania, attraverso la loro opera personale o associativa, nella promozione dei valori di cultura, legalità, solidarietà, valori che la rivista si impegna ogni mese a diffondere. La serata conclusiva del Premio si terrà domani alle 20,30 presso il Teatro Acacia di Napoli, e sarà presentata da Gino Rivieccio e Veronica Maya. Attenzione puntata quest’ anno in particolare sul mondo della cultura, volano di sviluppo, e sul ricchissimo patrimonio artistico della Campania che, attraverso una gestione oculata sta portando ad una sensibile rinascita. Ecco i premiati: Paolo Giulierini, direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli; Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico di Paestum; Gennaro Rispoli, direttore del Museo delle Arti Sanitarie agli Incurabili; Andrea Viliani, direttore del Museo Madre; Pierpaolo Forte, presidente della Fondazione Donnaregina per le Arti contemporanee; Lina Sastri, attrice, cantante, regista; Anna Maria Minicucci, direttore generale dell’ Azienda ospedaliera Santobono-Pausilipon; Vincenzo Staiano, responsabile della pizzeria ‘O zi’ Aniello; Lorenzo Mazzeo, avvocato; Gianni Pignatelli e Salvatore Naldi, imprenditori. I premiati riceveranno una scultura realizzata appositamente dall’ artista Lello Esposito. Lina Sastri si esibirà nella recitazione di una sua poesia, anticipando la presentazione, in programma martedì alle 18 alla Feltrinelli a Chiaia, del suo libro «Pensieri all’ improvviso». La presentazione rientra negli eventi di preparazione a NapoliCittàLibro, il Salone del Libro e dell’ Editoria che si terrà a Napoli dal 24 al 27 maggio, organizzato dalle case editrici Rogiosi, Guida e Polidoro. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Prossima sfida i campionati di calcio

Il Sole 24 Ore
Ri.Ba.
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Facebook è in gara con Twitter e Snapchat per ottenere da Fox i diritti online degli highlights dei Campionati del Mondo di calcio di Russia 2018. E ha già nel mirino le Olimpiadi di Tokyo 2020. In ballo oltre ai numeri delle audience generate dagli eventi sportivi più popolari, ci sono ovviamente i ricchi portafogli degli investimenti pubblicitari legati ai grandi eventi. I giganti del web hanno bisogno di contenuti che fanno grandi numeri per garantirsi gli spot tra un tempo e l’ altro e quelli che partono quando si clicca su un video: il video, a differenza dell’ inserzione classica sul web, a margine o a pop-up su un sito, obbliga gli utenti a vedere un contenuto pubblicitario per accedere all’ evento sportivo. Lo sport esce quindi dagli schermi televisivi per accedere sulle piattaforme digitali e anche sui servizi di streaming video come Netflix che ha cominciato a sua volta a investire pesantemente sullo sport con la produzione di documentari, tra cui uno sulla Juventus. Il prossimo obiettivo per lo streaming sul web è il calcio. I campionati europei più famosi. A partire dalla Premier League. La società di ricerca Ampere Analysis stima una somma di 200 milioni dollari a stagione per i diritti delle dirette su Internet del campionato inglese. Secondo Ed Woodward, il direttore generale del Manchester United, Amazon sta considerando di entrare nella gara per diritti del campionato inglese. Sky e British Telecom hanno pagato 6,7 miliardi di dollari per poter trasmettere per tre anni le sfide della Premier. Il contratto scade alla fine del campionato 2018-2019. Amazon ha già prodotto un docuseries sul Manchester City. Il primo passo per entrare in un mercato allettante in termini di audience e pubblicità com’ è il calcio. «Sono sicuro che i giganti del web come Amazon e Facebook saranno della partita per i diritti della Premier», ha detto il dirigente dello United. Che ha riportato ciò che ha sentito attorno al tavolo dei dirigenti della Premier League ma anche, in prospettiva europea, degli appetiti per la Champions e per la Uefa. «Credo che assisteremo a un aumento dell’ interesse da parte dei big del tech. Sono i benvenuti. Saremo contenti di aprire anche a loro». In gioco ci sono i diritti del calcio britannico, della Ligue francese con un campionato aumentato d’ interesse dopo l’ arrivo di Neymar al Psg, della Liga spagnola, la Bundesliga e anche e soprattutto della Serie A, il campionato di calcio italiano, considerando i tanti tifosi all’ estero negli Stati Uniti, America Latina, Cina, Medio Oriente e Africa delle squadre italiane più note, Juve, Milan e Inter e Roma in testa. Un bacino smisurato. La televisione insomma sta perdendo il primato dell’ audience per la trasmissione dello sport in diretta. A favore delle piattaforme digitali e dei social network. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Tra i big del web partita miliardaria per diritti sportivi e «live streaming»

Il Sole 24 Ore
Riccardo Barlaam
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Facebook, Amazon, Twitter & C. sono il nuovo Eldorado dei diritti sportivi. Tra i big dell’ hi-tech è iniziata una partita a suon di milioni di dollari per lo streaming digitale dei grandi eventi. Lo sport è uno dei rari vettori di emozioni collettive. E non c’ è niente di meglio di un social network, una piazza virtuale, per monetizzare l’ audience generata dallo sport. A partire da questa considerazione e dall’ enorme potenziale di reddito generato dalla condivisione via social e dalla pubblicità, i giganti del web da un paio d’ anni hanno cominciato a investire per poter per trasmettere in diretta gli eventi sportivi “da bar”. Sono partiti negli Stati Uniti. Puntando, per ora, qualche gettone anche in Europa. Un territorio nuovo, in parte ancora inesplorato, in rapidissima evoluzione. La prima a scendere in campo è stata Twitter: nell’ aprile 2016 si è aggiudicata per 10 milioni di dollari la gara che la vedeva contrapposta a Yahoo!, Amazon, Verizon e Facebook per i diritti di trasmissione in digitale della “Thursday night american football”. Il pre-partita e i dieci match del giovedì sera del campionato di Football americano Nfl. Lo ha fatto attraverso Periscope, l’ app di live streaming controllata da Twitter. Quest’ anno Amazon si è presa la rivincita. E si è aggiudicata per 50 milioni di dollari, in diretta concorrenza con Twitter – che sta vivendo un complesso periodo di rilancio – e soprattutto con Netflix, l’ asta della Nfl per trasmettere i match della “Thursday night” in live streaming in 200 paesi del mondo. Così da fine settembre gli abbonati di Amazon Prime Video possono assistere ai turni infrasettimanali del campionato di football americano. Il gruppo di Jeff Bezos a differenza di Twitter non ha tenuto l’ esclusiva solo sul web ma, per recuperare parte dell’ investimento, ha deciso di ri-trasmettere le partite sui canali televisivi tradizionali, come Nbc, Fox, Espn e Cbs. Dal web al tubo catodico. Football americano e non solo. Dal 3 novembre scorso gli abbonati di Amazon Prime Video possono seguire in diretta le finali giovanili del circuito di tennis Atp. È il primo passo: presto il servizio streaming di Amazon trasmetterà i live di tutte i 34 eventi dell’ Atp World Tour, dopo la scadenza del contratto con Sky a fine 2018. Amazon ha tirato fuori 13 milioni di dollari l’ anno per aggiudicarsi i diritti dell’ Atp World Tour: dal 2019 gli abbonati del suo servizio video potranno vedere Nadal, Federer e Djokovic nei vari tornei in giro per il mondo del circuito Atp, compresi Montecarlo, Madrid, Parigi, Miami e Shanghai. «Sono i primi passi nello sport – spiega Jay Marine, responsabile Video di Amazon in Europa – stiamo imparando da queste prime esperienze per capire come rispondono i nostri clienti». Paradigmatica è stata la partita per i diritti televisivi e digitali che si è giocata e conclusa da poco per la Premier League di cricket indiano fino al 2022. Campionato visto da oltre un miliardo di persone. In India nessun altro sport – calcio, basket, Formula Uno – ha lo stesso seguito. Ci sono canali televisivi che offrono partite e dibattiti infiniti 24 ore su 24 sul cricket che nel secondo paese più popolato del mondo è una vera e propria mania. E lo è anche per i tanti indiani che vivono all’ estero. Facebook ha partecipato alla gara per la conquista dei diritti per lo streaming digitale della serie A di cricket indiana (Ipl) da qui fino al 2022. Ha offerto 600 milioni di dollari per poter trasmettere tutti i match sul popolare social network che ha due miliardi di utenti attivi al mese – solo in Italia supera i 30 milioni. Senza considerare poi gli altri due prodotti di proprietà del gruppo di Mark Zuckerberg: Instagram, 700milioni di utenti attivi; WhatsApp, 1,2 miliardi di utenti. I 600 milioni di dollari messi sul piatto dal colosso di Menlo Park non sono bastati. Il Board of Control for Cricket in India, ossia la federazione nazionale professionistica del gioco del cricket, ha preferito Star India, società controllata dalla 21-Century Fox di Rupert Murdoch, che ha offerto ben 2,6 miliardi di dollari per i diritti televisivi e digitali combinati . Ad ogni modo, i 600 milioni offerti da Facebook la dicono lunga sulle ambizioni dei giganti del web sui diritti televisivi sul web. La “puntata” di Facebook è significativa anche per un secondo motivo: in termini di valore si tratta della cifra più elevata mai offerta per lo streaming digitale sportivo. Persa una battaglia ma non la guerra. La società di Zuckerberg quest’ anno ha messo a budget 6,25 miliardi di dollari per il live broadcasting. Facebook sta già trasmettendo tanto sport in diretta, non tanto con l’ acquisizione dei diritti sportivi ma attraverso accordi commerciali e partnership con chi i diritti li ha. Un modello di business che potrebbe essere seguito dai giornali per diffondere i contenuti pay sul social network: in questi casi Facebook non punta tanto all’ esclusività dei diritti sportivi ma piuttosto si pone come distributore. «Stiamo lavorando molto con le società che hanno in mano i diritti sportivi. Nei primi sei mesi del 2017 abbiamo trasmesso più di 3.500 eventi sportivi in diretta su Facebook», confermano dalla società. Gli sport? Sono i più diversi. Il primo evento trasmesso è stato lo scorso anno: la partita di calcio tra Manchester United ed Everton della Premier League inglese. A cui sono seguiti i match del campionato di basket americano. Tutti gli incontri di questa stagione della Major League di Baseball. Le tappe della Coppa del mondo di Surf. Fino alle partite delle fasi finali della prossima Champions League di calcio che, negli Stati Uniti, nel 2018 sarà possibile seguire in diretta da Facebook. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

30 anni di Striscia

La Stampa
ANTONIO RICCI
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Dalla copertina del suo libro, Me tapiro (Mondadori), Antonio Ricci ci guarda severamente, come se ci avesse ancora una volta colto in fallo. Ha l’ aria di un pastore luterano, un filosofo nordico che annuncia l’ Apocalisse, un guru vegano, un nuovo carismatico leader post-renziano e post-grillino. Tranquilli, è anche questa una recita del mago dei travestimenti, dell’ Arsenio Lupin del fuorionda. Ci sta dicendo: imparate a guardare oltre le apparenze. Ne racconta di cose, nelle 252 pagine del libro, il capo della setta dei Tapirofori, ben supportato dalle domande di un intervistatore intelligente, Luigi Galella. Ritrae dal vero Berlusconi e Grillo, detta ritratti affettuosi (Villaggio, Hunziker, De André), scaglia fulmini e saette, mena botte da orbi (Vespa, Fazio, Bonolis, la supponente sinistra d’ oggi), finisce per sbozzare un impietoso ritratto della nazione, si rivela finissimo analista politico. Ricicla il trash quotidiano con la ribalderia della satira, e diventa pedagogico. La vera libertà è molto costosa ma lui dichiara di sentirsi bene solo in battaglia. «Sono carsico – dice -, quando il gioco si fa duro sbuco fuori, ci metto la faccia». Ma chi è il vero Ricci? Quello che lui racconta, o il racconto è il depistaggio di un uomo che non ama apparire, che detesta la visibilità e ogni venerdì anela a tornarsene, lui abitatore di residence, nella casa di Alassio, a curare amorosamente le raccolte di agapanti, glicini, piante grasse e agrumi? Forse nell’ epoca dei database, bisogna cercarlo nei numeri. Quarant’ anni di successi che hanno inventato e imposto un linguaggio tv (lui ricorda gli apprezzamenti di Umberto Eco e Federico Fellini, che in tv guardava solo Drive in ), trecento cause tutte vinte, milioni di euro fatti risparmiare allo Stato con le denunce di sprechi insensati, truffe, imbrogli e raggiri. Il Grande Inquisitore dell’ inautentico, della patacca, della ciarlataneria, del buonismo non lascia nulla al caso. Maniaco del dettaglio, è un orologiaio, un coach che organizza al millimetro la sua squadra. Quando gli danno del «goliarda» si arrabbia: «Io faccio ricerche sociologiche». Forse tutto è cominciato quan do il piccolo Antonio, 4 anni, inghiotte una caramella che rischia di soffocarlo. La madre accorre, lo solleva per i piedi, lo scuote con decisione. Il bambino sente una lama del cervello, ma in quei pochi secondi concitati impara a vedere il mondo capovolto. Da allora non smetterà di cercare di raddrizzarlo. La stessa fitta dolorosa gli si ripresenta qualche anno fa all’ annuncio del progetto di quattro torri di ottanta metri che avrebbero snaturato il centro storico di Albenga. Arma i suoi missili e il progetto è bloccato. Allo stesso modo aveva salvato dalla speculazione Villa la Pergola ad Alassio e con un lavoro di anni la trasforma, con la moglie Silvia, in un relais con un piccolo museo, affettuoso omaggio ai Montagu, agli Hanbury e alla colonia inglese che l’ aveva abitata. E reinventano un giardino che è puro incanto. Lo Zorro che ogni sera vendica le nefandezze che dobbiamo subire è poliedrico, quasi un ossimoro vivente. Mecenate occulto, ha una laurea molto gramsciana su Francesco Jovine, una specializzazione nella tutela dei beni artistici, è cantautore e front-man di una band di rockettari, fa il cabarettista part-time al Derby di Milano con Cochi, Funari e Jannacci, torna a Genova con i treni della notte per presentarsi la mattina all’ università. Ha messo in musica Villon e Baudelaire, ed è in grado di congegnare un apocrifo di Montale credibile. Diventa il più giovane preside d’ Italia, poi l’ amicizia con Beppe Grillo lo porta in Rai, dove a 27 anni firma gli spettacoli del sabato sera. Da lì in avanti la strada è segnata. E tuttavia l’ inafferrabile Ricci si rivela più malinconico del previsto: «Mi atterrisce l’ idea di lasciare traccia. Tutti i mali del mondo hanno origine da chi vuole assurgere all’ immortalità». Sostiene di essere già morto e di vivere in una realtà parallela, avatar di se stesso. Si rassicuri, Maestro. Dai dati in nostro possesso, lei potrebbe anche essere il primo degli immortali. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Chi paga

L’Espresso
Stefano Vergine
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Una legislatura può costare cara. Specie se ti chiami Silvio Berlusconi e gestisci il partito come un’ azienda. Coadiuvato dai suoi figli, negli ultimi dieci anni il Cavaliere è stato il principale finanziatore della politica italiana. Ha sborsato di tasca propria la bellezza di 109 milioni di euro. Come lui nessuno mai. Alle sue spalle, sebbene distanziata, c’ è però una lunga fila di imprenditori che ama fare regali alla politica. Industriali, armatori, ras degli appalti pubblici, re delle cliniche private, signori dell’ accoglienza migranti, nomi noti dell’ alta borghesia e della finanza. C’ è persino qualche grande evasore, imprenditori bancarottieri e altri con frequentazioni malavitose. Gente di fede politica dichiarata, ma anche donatori laici che preferiscono fare un regalo a tutti per evitare di puntare sul cavallo perdente. L’ Espresso, grazie a documenti ufficiali, ha analizzato le donazioni private arrivate a partiti e politici italiani dal 2008 a oggi. Emerge una radiografia del passato per immaginare il futuro. Perché le prossime elezioni saranno le prime senza il finanziamento pubblico ai partiti. Le prime in cui, per effetto di una legge varata a furor di popolo dal governo Letta, i partiti dovranno affidarsi completamente alle donazioni. Ecco perché è utile sapere chi ha già le spalle coperte. Ripartiamo da Berlusconi, di gran lunga la testa di serie numero uno tra i finanziatori della politica. Che cosa sarebbe oggi Forza Italia senza i soldi del suo fondatore? Un partito poverissimo. Se infatti consideriamo solo le donazioni private ricevute da FI negli ultimi dieci anni (escludendo i denari giratigli dal Popolo delle Libertà) il totale arriva a 117 milioni. Dei quali 106 sono stati regalati da Silvio e famiglia. Berlusconi è l’ unico dei big spender italiani ancora ufficialmente in gioco. Gli altri due uomini piazzati sul podio delle donazioni hanno infatti smesso da qualche anno di finanziare la cosa pubblica. Con motivazioni diverse. Gian Marco Moratti, patron delle raffinerie Saras, nel solo 2011 ha messo sul piatto 12 milioni di euro per la campagna elettorale della moglie Letizia a sindaco di Milano. Investimento andato in fumo, dato che alla fine a spuntarla è stato Giuliano Pisapia. Diverso il profilo dell’ altro grande finanziatore. Costruttore, editore e finanziere, Francesco Gaetano Caltagirone ha regalato all’ Udc oltre 3 milioni di euro in dieci anni: quasi due terzi di quanto ricevuto in totale dal partito guidato dall’ ex genero Pier Ferdinando Casini. Ex, appunto. E infatti, da quando i due non sono più parenti, il finanziamento si è improvvisamente bloccato. Se Berlusconi e Moratti hanno preferito fare donazioni personali, Caltagirone – così come tanti altri – ha spesso usato le sue società per sostenere la politica. Particolare rilevante se si considerano i vantaggi fiscali. La vecchia legge prevedeva una detrazione del 19 per cento limitata ai primi 109 mila euro donati. Regola valida sia per i cittadini che per le aziende. Non a caso i grandi finanziatori hanno spesso scelto la taglia da 100 mila. Da un paio d’ anni le cose sono però cambiate. Oltre all’ abolizione del finanziamento pubblico e alla possibilità di devolvere ai partiti il 2 per mille, il parlamento ha modificato le regole per chi dona. La detrazione è stata alzata al 26 per cento, ma il limite su cui viene calcolata è sceso a 30mila euro. Traduzione? Oggi il risparmio fiscale non può andare oltre i 7.792 euro, quasi un terzo rispetto al passato. Le soglie restano uguali per cittadini e aziende, ma c’ è una novità: sia le persone che le società possono finanziare al massimo 100 mila euro. O meglio, le prime possono superare la fatidica soglia solo donando a più partiti. Insomma, la nuova legge cerca di mettere un freno alle maxi elargizioni, avvantaggiando quelle diffuse e di piccola entità. Ma la sostanza non cambia: le donazioni private diventeranno fondamentali per la politica. Renzi chi? All’ appello c’ è tutto il giglio magico. Il grande assente nella lista dei donatori del Pd è lui, Matteo Renzi. Dal 2008 a oggi non c’ è traccia di un suo versamento nelle casse del partito né in quelle delle sezioni locali. È vero, l’ ex premier non è mai stato parlamentare: non vale dunque per lui la prassi, comune a quasi tutte le forze politiche, di girare parte dell’ indennità al partito. Ma che dire allora di Giancarlo Muzzarelli, sindaco di Modena, che ha regalato all’ organismo nazionale quasi 10 mila euro? Altra scuola. Basta guardare quanto fatto dai membri storici del centro sinistra. Gente come Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo e Rosy Bindi: dal 2012 a oggi hanno speso più di 280 mila euro per mantenere la “Ditta”. C’ è però anche un’ altra particolarità che riguarda il Pd: il partito nazionale conta pochissime donazioni private. C’ è ad esempio quella di Patrizio Bertelli, proprietario di Prada insieme alla moglie Miuccia, che nel 2013 ha regalato 100 mila euro. E quella del produttore cinematografico, Aurelio De Laurentis, che l’ anno scorso, attraverso la Filmauro, ha staccato un assegno da 50 mila euro (50 li aveva versati al Pdl nel 2013). La maggior parte dei benefattori privati del centro sinistra si annida però in provincia. È lì che gli imprenditori preferiscono versare il loro contributo. Così per esempio nella sezione di Cesena troviamo la donazione di una società del gioco legale, la HippoGroup. Senza dimenticare le elargizioni delle cooperative, rosse e bianche, dei consorzi e delle cliniche private. E i regali ricevuti dai singoli parlamentari. Come Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’ Economia, che attraverso l’ associazione AReS ha ricevuto 17 mila euro dalla British American Tobacco e 7 dalla Cisl. Sindacato oggi impegnato a discutere con il governo la riforma delle pensioni. Chi invece ha dato poco utilizzando canali ufficiali sono i grillini. Grillo Giuseppe, comitato elezioni europee 2014: 54 mila euro. Un po’ pochini. Beppe e i suoi seguaci, si sa, non copiano i partiti tradizionali. Nei documenti pubblici si contano in tutto poche decine di migliaia di euro di donazioni. Ma allora come fanno i 5 Stelle a finanziarsi? E dove finiscono i soldi di deputati e senatori? Innanzitutto, ricordano dal movimento, abbiamo rinunciato a 42 milioni di rimborsi elettorali. E poi ci sono i soldi versati dai parlamentari in due fondi, il più ricco dei quali è quello dedicato al microcredito per le imprese (22,3 milioni di euro). E la propaganda elettorale? Le varie feste organizzate a Rimini, Roma o Palermo? Un parlamentare grillino che preferisce non essere citato racconta che per questi eventi vengono aperti dei conti correnti sui quali tutti, potenzialmente anche degli imprenditori, possono versare soldi. Un sistema difficilmente tracciabile, insomma. Proprio come per le fondazioni politiche, il grande buco nero del finanziamento ai partiti, che continuano a restare opache grazie alla possibilità di non dover dichiarare l’ identità dei donatori. È il caso della misteriosa fondazione “1000 nomi”, che ha versato 100 mila euro all’ ex ministro Giulio Tremonti. O della Kairos di Vicenza, quasi 50 mila euro a Alessandra Moretti per le regionale del Veneto. Tornando alla lista pubblica dei finanziatori della politica, ci si imbatte in un paio di casi particolari. Partiti praticamente inesistenti, ma con entrate rilevanti. Sono le creature personali di Giampiero Samorì e Corrado Passera. Manager di successo che hanno investito alla grande nei propri partiti personali. Senza però aver ottenuto particolare fortuna. Al suo Mir, acronimo di Moderati in rivoluzione, Samorì ha regalato più di 2 milioni di euro in cinque anni. Parecchio, visto lo 0,24 per cento ottenuto alle ultime elezioni. Ha speso più o meno la stessa cifra Passera, ma anche qui sono stati soldi buttati al vento dato che alla fine l’ ex ministro ha scelto di appoggiare Stefano Parisi nella corsa a sindaco di Milano. C’ è poi chi finanzia tutti, da destra a sinistra passando per il centro. Categoria variegata. C’ è Sergio Scarpellini, immobiliarista sotto processo per corruzione (avrebbe pagato tangenti a Raffaele Marra, ex braccio destro di Virginia Raggi), che negli ultimi dieci anni ha sborsato 222 mila euro per finanziare un po’ tutto l’ arco parlamentare, da La Destra di Storace al Pd passando per Verdini e Baccelli. Se le donazioni di Scarpellini si traducono spesso in appartamenti offerti gratuitamente al partito di turno, Gianfranco Librandi punta tutto sui bonifici effettuati dalla sua Tci Telecomunicazioni Italia, azienda del varesotto che produce luci a led. Partito da Forza Italia e approdato nel Pd dopo una parentesi da tesoriere con Scelta Civica, Librandi si è dimostrato trasformista anche nei finanziamenti politici. Per dire: negli ultimi due anni è riuscito nell’ impresa di sostenere contemporaneamente Fratelli d’ Italia, Pd, Mariastella Gelmini e gli ultimi due candidati-sindaco di Milano, Beppe Sala e Stefano Parisi. Trascende la dicotomia destra-sinistra anche il gigante della carne Cremonini, proprietario delle catene di ristoranti Roadhouse Grill e Chef Express. Negli ultimi dieci anni ha donato circa 120 mila euro: soldi andati a Forza Italia e Ncd, ma anche a due volti noti del centro sinistra come gli ex ministri Cécile Kyenge e Paolo De Castro. Stessa strategia per l’ ex presidente del Palermo, Maurizio Zamparini, che attraverso le sue imprese ha finanziato al contempo il senatore del Pd Nicola Latorre, l’ Mpa di Raffaele Lombardo e il Grande Sud di Gianfranco Micciché. Profili nazionali, ma espressioni dei territori dove Zamparini ha investito in progetti commerciali. I re degli appalti Portatori di interessi economici concreti sono anche i ras degli appalti. Le cui donazioni, ora che i finanziamenti pubblici sono stati aboliti, rischiano di risultare ancor più cruciali per i partiti. Prendiamo Vito Bonsignore. Partito dalla Dc, passato per il Pdl e approdato oggi al Nuovo centro destra di Alfano, il politico siciliano è titolare della società di ingegneria Mec. L’ impresa ha finanziato soprattutto lo stesso Bonsignore, regalandogli 4,5 milioni di euro all’ epoca in cui sedeva sui banchi del Parlamento europeo in quota Pdl. Ma dalle casse aziendali sono partiti bonifici diretti anche ad altri parlamentari: 20 mila euro a Fabrizio Cicchitto e altri 20 mila al sottosegretario Ncd Giuseppe Castiglione, mentre ad Angelino Alfano è stato offerto lo spostamento aereo durante la campagna elettorale del 2013 al costo di 8.400 euro. Il metodo Bonsignore funziona. Perché prima o poi l’ appalto arriva. Come nel 2010, quando il Cipe – governo Berlusconi in carica – concede il via libera alla superstrada Ragusa-Catania: della cordata di aziende che si aggiudica l’ appalto fa parte proprio la Mec. Anche il gruppo Gavio, interessato al business di strade e autostrade, contribuisce al finanziamento della politica nazionale. Nel 2008 ha elargito 400 mila euro a Forza Italia. Cinque anni più tardi ha regalato 50 mila euro a Ugo Sposetti, storico tesoriere dei Ds. Ha speso invece un po’ meno il colosso delle costruzioni Astaldi, in lizza per la realizzazione del Ponte sullo Stretto. Nel 2008 l’ azienda ha staccato un assegno da 100 mila euro a Forza Italia. Alle elezioni successive ne ha dati altri 10 mila a Linda Lanzillotta, eletta con Scelta Civica e moglie di Franco Bassanini, all’ epoca presidente di Cassa Depositi e Prestiti e dunque potenziale finanziatore dell’ opera. Un ruolo da donatore (70 mila euro in totale) se lo è ritagliato anche Gemmo, l’ azienda vicentina che ha realizzato le parabole del sistema Muos a Niscemi, in provincia di Caltanissetta. Opera contestatissima. Forse per questo il gruppo veneto nel 2008 ha donato 15 mila euro al Movimento per l’ Autonomia dell’ allora governatore siciliano Raffaele Lombardo, che tre anni dopo firmerà il via ai lavori. Nel balletto dei finanziamenti privati non poteva mancare Alfredo Romeo. L’ imprenditore campano, finito di recente al centro del caso Consip, gestisce appalti in tutta Italia. Pubblici, molto spesso. Chi ha finanziato? All’ amico Italo Bocchino – che dopo la fallimentare avventura in Futuro e Libertà diventerà suo consulente personale – alle ultime politiche Romeo ha donato 25 mila euro, ma è con il centro sinistra che l’ imprenditore si è rivelato più generoso: con la sua Isvafim ha distribuito equamente altri 75 mila tra Nicola Latorre, Massimo Paolucci (ora Mdp) e il Centro democratico di Tabacci. Tra le cooperative rosse più attive c’ è invece la Cpl Concordia. Nei due anni precedenti allo scandalo in cui è finita per presunti accordi con la camorra (a ottobre i vertici sono stati assolti) ha contribuito alla causa del Pd con 53 mila euro: piccole somme suddivise tra Sposetti, l’ ex ministra Kyenge, la lista per Ambrosoli presidente della Regione Lombardia e due sezioni locali del partito. Do ut des I signori dell’ accoglienza-migranti non sono da meno. Anche loro, come i ras degli appalti, vivono di politica. Perché devono mantenere buoni rapporti con chi gestisce flussi e decide strategie. Bastano pochi spiccioli per farlo. La cooperativa La Cascina, area Comunione e Liberazione, ha interessi nel più grande centro per richiedenti asilo, quello siciliano di Mineo. Una gestione messa sotto la lente d’ ingrandimento dalla magistratura. Nell’ indagine che ha coinvolto i vertici della coop bianca è rimasto impelagato anche il sottosegretario Giuseppe Castiglione del Nuovo centrodestra, il partito di Alfano e Lupi. E proprio a Lupi nel 2013 arriverà una mancia da 5 mila euro da Salvatore Menolascina, all’ epoca amministratore delegato de La Cascina. L’ ex ministro ne riceverà altri 5 mila da Camillo Aceto, ras dell’ accoglienza con la sua Senis Hospes, ma comunque legato al mondo della coop La Cascina. Senis Hospes ha foraggiato anche il Pdl per un totale di 15 mila euro, mentre la cooperativa vicina a Cl ha distribuito offerte anche a sinistra. Nel 2013 10 mila euro finiranno infatti al “Comitato provvisorio città di Roma” del Pd, che nello stesso periodo registra un’ entrata di identico importo dalla cooperativa 29 giugno. Esattamente quella di Salvatore Buzzi, il boss dell’ accoglienza condannato nel processo Mafia Capitale. Cemento, servizi, migranti. E sanità. Tutti settori in cui l’ aggancio politico aiuta. Nel caso delle cure private il vero business ruota attorno agli accreditamenti presso le aziende sanitarie locali, garanzia di introiti sicuri. Per questo gli imprenditori della sanità privata dedicano parte del loro budget a sostenere i politici. Tra i più generosi c’ è Federfarma, che rappresenta le farmacie private convenzionate con il servizio sanitario. L’ Aiop, che raccoglie circa 500 case di cura in tutta Italia. Ma soprattutto Multimedica, colosso lombardo dei poliambulatori privati, che negli ultimi dieci anni ha versato 190 mila euro ai partiti: quasi tutti finiti a Forza Italia, ma anche alla Lega Nord. Proprio i partiti che hanno governato in Lombardia. Ora, con le elezioni regionali in arrivo, l’ azienda sanitaria controllata da Daniele Schwarz ha messo una fiche da 15 mila euro su Lombardia Popolare, il nuovo movimento dell’ ex ministro Lupi, espressione di Comunione e Liberazione e da sempre sensibile al mondo delle cure private. In classifica non potevano mancare i big dell’ industria italiana. Il più generoso è Giovanni Arvedi, fondatore dell’ omonimo gruppo siderurgico, che ha concentrato i suoi regali nel 2008, alla vigilia delle elezioni poi vinte da Berlusconi. Attraverso le sue società, l’ imprenditore ha donato 300 mila euro a Forza Italia. Scommessa vinta solo a metà. Per diversificare il rischio, infatti, Arvedi ha regalato 200 mila euro anche al Pd Lombardia, dove hanno sede quasi tutti i suoi stabilimenti. Ancor più variegata la lista dei beneficiari del gruppo Maccaferri. La multinazionale bolognese dell’ ingegneria meccanica ha usato una tattica particolare: donazioni piccole, suddivise con estrema imparzialità. Il risultato è che i 200 mila euro investiti da Gaetano Maccaferri, membro di Confindustria e del consiglio superiore della Banca d’ Italia, sono finiti in mille rivoli: dal Pd a Renato Brunetta, da Scelta Civica agli autonomisti siciliani di Lombardo. Ha scelto invece una strada opposta l’ ex presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. Attraverso Mapei, la sua azienda, l’ imprenditore emiliano ha puntato tutto su un unico cavallo. Sbagliato. Squinzi ha infatti investito 60mila euro per finanziare la campagna elettorale a sindaco di Milano di Stefano Parisi, infine sconfitto da Sala. Dalla Turchia a Cuffaro Che cosa lega la fedelissima di Berlusconi, Licia Ronzulli, a uno degli uomini più ascoltati dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan? Un bonifico da 20 mila euro datato 2014. La donazione in favore dell’ allora europarlamentare di Forza Italia, oggi considerata vicinissima al Cavaliere, è firmata Hasan Cuneyd Zapsu. Imprenditore di successo basato a Istanbul, consulente di gruppi globali come Coca Cola e Rosatom, fondatore del partito turco Akp e consigliere speciale di Erdogan, Zapsu ha un solo legame noto con l’ Italia: un ruolo da «senior advisor» per il gruppo Ferrero, quello della Nutella, che proprio nel 2014 ha ottenuto dalla Commissione europea l’ ok alla contestata fusione con l’ azienda turca Oltan, uno dei principali produttori di nocciole al mondo. Perché Zapsu ha regalato 20mila euro alla Ronzulli? Contattato da L’ Espresso, il consulente di Erdogan non ha risposto. La Ronzulli ci ha invece spiegato di conoscere l’ imprenditore dal 2012. Tra noi c’ è «una buona amicizia», per questo gli ho chiesto «un aiuto per la mia campagna elettorale». C’ è un legame con la Ferrero? Nessuno, garantisce l’ ex parlamentare, che dice di aver appreso da L’ Espresso della consulenza di Zapsu. Ha chiarito la sua posizione anche Salvatore Cuffaro, beneficiario di una donazione particolare. Nel 2013 il politico siciliano si trova infatti in carcere a Rebibbia. La condanna per favoreggiamento aggravato dall’ aver agevolato Cosa nostra è diventata ormai definitiva. Eppure, proprio quell’ anno, secondo i documenti ottenuti da L’ Espresso, Cuffaro riceve un versamento di 220 mila euro da Forza Italia. Perché? «È quanto mi dovevano per la campagna elettorale del 2006, quando diventai presidente della Regione», ci ha risposto l’ ex governatore siciliano. «L’ Udc saldò subito la sua parte. Forza Italia, nel frattempo diventato Pdl, chiuse invece il debito sette anni dopo. Ma io ci tengo a precisare che di quella cifra non ho mai visto un euro, del resto mi trovavo in carcere. I soldi sono serviti a estinguere il debito contratto all’ epoca con la banca per la campagna elettorale». Caso risolto, dunque. Ma Cuffaro, che mastica politica da quando è nato e sa che forma assumono i poteri forti, cosa pensa della fine del finanziamento pubblico? «È stata una garanzia di libertà», dice, «ora il rischio è che i partiti finiscano in mano ai privati. Del resto danno un contributo perché hanno delle speranze, mentre il partito che non ha bisogno di denaro non crea alcuna aspettativa nei privati». Seguendo il ragionamento di Cuffaro, viene da pensare che Giovanni Toti di aspettative ne abbia create parecchie. D’ altronde la campagna elettorale dell’ attuale presidente della Liguria, scelto da Berlusconi per violare la storica roccaforte della sinistra, è stata lunga e dispendiosa. Per fortuna sono arrivati in suo soccorso un po’ di denari privati. Certo, da un pezzo grosso dell’ imprenditoria come Aldo Spinelli – ex patron del Genoa e del Livorno – c’ era da aspettarsi qualcosa in più dei 15 mila euro donati. Ma tant’ è. L’ aiuto simbolico è comunque servito: dopo l’ elezione di Toti, Spinelli ha acquistato insieme a Msc il Terminal Rinfuse di Genova. La maggior parte delle donazioni per Toti sono però arrivate dalla Fondazione Chan impossibile dunque conoscere l’ origine del denaro. Tra i pochi ad aver fatto bonifici diretti c’ è l’ imprenditore Giovanni Calabrò, sponsorizzato dallo stesso Toti per l’ acquisto del Genoa calcio. Non proprio una mossa felice, visto che quest’ anno la Cassazione ha condannato Calabrò a sei anni per bancarotta. Meloni e mattoni «C’ è l’ Italia colpevole di Angiola Armellini, che non paga di ereditare un impero senza aver fatto nulla, nasconde due miliardi di euro al fisco». Parola di Giorgia Meloni, che durante la campagna elettorale per diventare sindaco di Roma descriveva così la grande ereditiera da sempre in affari con il Comune capitolino (incassava più di 4 milioni all’ anno per l’ affitto di suoi appartamenti usati come case popolari). I documenti analizzati da L’ Espresso permettono di raccontare un inedito retroscena sul rapporto tra la Meloni e la donna accusata di evasione fiscale. La leader di Fratelli d’ Italia ha infatti ricevuto donazioni da quattro società che fanno capo alla Armellini, per un totale di 20 mila euro. Spiccioli- ma sempre ben accetti- per “lady no tax”, che col mattone ha guadagnato miliardi. Ai quali si aggiunge una mancetta dei costruttori romani, i Mezzaroma. Una donazione da 1.500 euro attraverso una società del gruppo. Imprenditori che hanno sempre avuto simpatie per la destra: nel 2010 hanno versato 100 mila euro al partito di Berlusconi, nel quale la Meloni era ministro. Tra i finanziatori della leader di destra alle elezioni comunali – 210 mila euro in totale – c’ è anche la società Corallobeach. Il titolare è Claudio Balini, ras dei lidi del litorale e parente di Mauro Balini, a cui la magistratura ha sequestrato beni per 50 milioni di euro. Mauro Balini, per gli investigatori, ha legami con la malavita locale. Insomma, pecunia non olet. Neppure per l’ erede di Almirante. n Il più generoso è Berlusconi (con se stesso). Poi Moratti, Bonsignore, Caltagirone. La mappa degli imprenditori che finanziano i politici.


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