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Rassegna Stampa del 03/10/2017

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Indice Articoli

Sky inizia a licenziare oltre 100 persone

Sky non ascolta il giudice del lavoro e manda 102 lettere di licenziamento

Sì al decreto Franceschini tv: più morbido, almeno per la Rai

Sì alle quote italiane ma le tv non ci stanno

Più spazio in tv ai film italiani. Per decreto

Più film italiani in prima serata Il decreto contestato dalle tv

Altro regalo di Franceschini ai registi di sinistra

In tv il cinema italiano ora ha il posto in prima fila

Più fiction tv italiane le quote non bastano

Broadcaster delusi, produttori felici

Cinema, i tre decreti che completano la riforma

Accordo tra Comuni e Fieg per rilanciare la rete delle edicole

Tv, si rafforzano Rai 1 e Canale 5

Chessidice

Google aiuterà gli editori a trovare abbonati online

Stampa, raccolta a -9,2%

Editori, l’ Ue discute sul copyright

Arrivano le edicole 2.0

Sgravi per la solidarietà

Google aiuterà gli editori a vendere le news online. Finisce il modello ‘first click free’, arriva il ‘flexible sampling’: gli editori decideranno quando passare al pay

Siglato protocollo Anci-Fieg per salvaguardare le edicole e trasformarle in ‘rete di servizi al cittadino’

La pubblicità sulla stampa in calo del 9,2% ad agosto. I dati Fcp: quotidiani -10,3%, settimanali -5%, mensili -8,6% (TABELLA)

Citynews lancia Europa.Today.it quotidiano online dedicato alle news sulle istituzioni comunitarie. Fernando Diana: progetto sostenuto dal Parlamento Europeo

Al via il progetto “Buon Senso” per orientare i ragazzi tra le notizie

Addio a “Si” Newhouse il magnate dell’ editoria che amava la cultura

Fieg e Comuni patto per rilanciare le edicole italiane

Articoli web gratis Google si arrende: decide l’ editore

«Servizi ai cittadini nelle edicole»

L’ allarme degli Editori per i rischi dell’ E-privacy

Sky inizia a licenziare oltre 100 persone

Il Fatto Quotidiano
Marco Palombi
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Funziona così nell’ azienda cool e friendly, nella società coi conti benedetti da aumenti degli utili a tre cifre (+139% nel 2016/2017), nell’ impresa impegnata nel sociale (ora vuole salvare gli oceani), che premia la creatività e che sparge le sue magiche stelline su questa povera provincia dell’ impero anglofono. Funziona, dicevamo, così. Uno (o una) è lì che lavora in sala montaggio o in regia a Roma quando gli arriva una telefonata: “Puoi presentarti in Hr?”. In quell’ azienda cool eccetera sarebbe l’ ufficio del personale, le risorse umane: una volta arrivato lì, magari prendendo l’ auto o il bus da una sede distaccata, il tizio o la tizia che prima erano in sala di montaggio o in regia riceve dalle mani di “Hr” una lettera. È il suo licenziamento con effetto immediato. A quel punto il tizio o la tizia se ne vanno a casa, qualcuno piangendo e qualcuno no, e da quel momento inizia la loro nuova vita di esuberi Sky. È Sky Italia, infatti, l’ azienda che ieri pomeriggio ha iniziato – sulla base di procedura di licenziamento collettivo avviato a maggio (ringraziare il Jobs act) – a cacciare in questo modo non proprio urbano 102 suoi dipendenti della sede di Roma considerati “esuberi” vuoi in sé, vuoi perché non hanno accettato il trasferimento a Milano (ma, pare, ai più fortunati si concede ancora la possibilità di ripensarci, scegliendo tra la ghigliottina e la lettera d’ addio). Commenti dell’ azienda non pervenuti, reazioni dei sindacati confederali o di quello dei giornalisti (per lo più al riparo dalla mannaia) al momento impercettibili. Questa, però, non è solo una storia di scarso bon ton aziendale, né solo l’ ennesima dimostrazione che il rispetto per il lavoro (articolo 1 della Costituzione) e la responsabilità sociale delle imprese (articolo 41) arrivano esattamente nel punto in cui si rischia di intaccare i profitti o i ricchi benefit dei manager. Non è solo questo. Sky Italia, infatti, avviando le procedure di licenziamento in questa maniera, sta anche dimostrando palese indifferenza rispetto a una recente sentenza della magistratura, che l’ ha condannata per comportamento anti-sindacale. Il problema è questo. Ormai, dopo un decennio in cui il diritto del lavoro è stato manomesso in ogni modo dai governo, sui licenziamenti le speranze legali sono poche. I trasferimenti collettivi, però, sono regolati dalla legge se si tratta di decisioni “unilaterali” dell’ azienda. E qui – dice la sentenza del 22 agosto – lo sono: in sostanza, dice il giudice, Sky non ha né spiegato come doveva (codice civile) le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” dietro la chiusura della sede di Roma; né ha attivato le procedure previste dal Contratto nazionale di categoria (art. 57), prima tra tutte il coinvolgimento del sindacato, preferendo scegliere a suo piacimento – cioè senza tener conto di norme e leggi che tutelano, per dire, chi vive situazioni particolari come una malattia – chi cacciare e chi no. Sky non è interessata a lacci e lacciuoli, cavilli, leggi e sentenze: da ieri manda a casa anche chi rifiuta un trasferimento deciso in maniera censurata da un giudice. Ma se va bene, però, salverà gli oceani.

Sky non ascolta il giudice del lavoro e manda 102 lettere di licenziamento

Il Manifesto

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II Incurante della sentenza del giudice del lavoro, Sky Italia va avanti imperterrita. E ieri ha inviato decine e decine di lettere di «licenziamento immediato» per tecnici e amministrativi che lavorano nella sede di Roma, che a breve sarà dunque chiusa. Ieri tra i corridoi di via Salaria, da dove ancora trasmette Sky Tg24, si sono vissuti momenti di grande tensione. Le lettere sono arrivate all’ improvviso e molti tecnici hanno lasciato il posto di lavoro provocando ritardi nel montaggio e nella messa in onda dei servizi. Al momento il Comitato di redazione dei giornalisti ha solidarizzato con i colleghi licenziati tramite un comunicato ma non prevede forme di protesta per oggi, tanto meno scioperi. La procedura di licenziamento collettivo aperta lo scorso 16 maggio per 124 persone (14 gior nalisti, di cui 5 hanno rifiutato il trasferimento) ha avuto un iter assai accidentato. Se l’ Fnsi – il sindacato dei giornalisti – il 6 aprile ha firmato un accordo che aumenta da 27 a 31 il numero di posti rimanenti «nella nuova sede di Roma Centrale Montecitorio» e aumenta gli incentivi al trasferimento, per tecnici e amministrativi il 2 agosto si è arrivati ad un «verbale di mancato accordo» che ha aperto le porte ai licenziamenti, quantificati in 102 dalla stessa azienda. Nel frattempo però il 22 agosto il giudice Laura Baiardi del tribunale del Lavoro di Roma ha sancito il comportamento antisindacale di Sky Italia, accettando il ricorso proposto dal sindacato Ugl. Nel dispositivo il giudice contesta il «mutamento volontario della sede di lavoro» verso Milano, considerandolo invece «imposto». Il trasferimento della sede romana di Sky a Milano infatti è stato fatto senza le «comprovate esigenze tecniche, organizzative e produttive» previste dall’ articolo 57 del contrato nazionale di lavoro, così come Sky non aveva aperto le procedure di contrattazione che permettono al sindacato di avanzare controproposte. La sentenza aveva dato speranza ai tanti lavoratori non in grado di potersi spostare a Milano- molti usufruiscono della legge 104 per assistere familiari – o che avevano scelto di «non accettare con riserva» il trasferimen to. II 20 settembre anche i sindacati confederali avevano chiesto a Sky di tenere conto della sentenza del tribunale di Roma e di far riaprire la trattativa. Ma l’ azienda ha deciso di andare allo scontro. La scorsa settimana a 34 lavoratori più tentennanti è arrivata un’ ultima offerta per trasferirsi, ma è stato solo uno stratagemma aziendale per confondere ulteriormente le acque. Si prepara dunque una lunga battaglia legale. «L’ illegittimità del trasferimento trascinava con sé anche la procedura di licenziamento collettivo – ribadisce l’ avvocato Pierluigi Panici che assiste molti lavoratori e giornalisti – . Quello di Sky Italia è un atto di protervia e di disprezzo e di aperta ribellione agli ordini dell’ autorità giudizia ria». m. fr.

Sì al decreto Franceschini tv: più morbido, almeno per la Rai

Il Fatto Quotidiano
Carlo Tecce
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Il Consiglio dei ministri ha approvato una versione docile del cosiddetto decreto Franceschini – da chiamare Franceschini Tv – per obbligare le televisioni tradizionali a spendere di più per i prodotti audiovisivi europei e italiani e gli italiani a guardare di più cinema e fiction europee e italiane. Non si tratta di mezzo miliardo di euro all’ anno da aggiungere ai 750 attuali, ma di circa la metà – perché le quote d’ investimento sono dimezzate rispetto alle bozze della legge – e con gradualità fino al 2020. Ora lo schema prevede lo sfrenato entusiasmo del ministro per la Cultura, che può rivendicare le regole imposte a un mercato domestico falcidiato da quello globale (non regolato, appunto) e le proteste delle emittenti private, non tanto la pubblica Rai, che lamentano un’ invasione governativa nei bilanci e, peggio ancora, nei palinsesti. Palazzo Chigi ha corretto il testo di partenza che aveva causato la ribellione unanime – fenomeno molto raro per l’ Italia – di Sky, Rai, Mediaset e sorelle. Per esempio, Viale Mazzini parte dall’ odierno 15 per cento e arriva al 20 del fatturato per l’ audiovisivo, non più al 30; mentre le private passano dal 10 al 15. Per onorare il modello francese, il ministro ha importato la fascia oraria 18-23 per la prima serata in cui va trasmessa un’ opera italiana, un film, una fiction, un documentario originale o un cartone animato. Il risultato è sostenibile per Viale Mazzini: 252 minuti ogni 7 giorni per il cinema tricolore non impone rivoluzioni di palinsesti, mentre le private – alcune a digiuno di pellicole – dovranno reperire un film alla settimana. Siccome la Rai è in gran parte sostenuta dal canone e dunque pianifica gli investimenti con un’ entrata sicura e più o meno precisa, Viale Mazzini non è stravolta dal decreto di Franceschini e può rischiare di perdere un paio di punti di share con un prodotto scadente. Mediaset e sorelle, invece, che vivono di pubblicità, non possono sacrificare una serata per rianimare la fabbrica autoctona del cinema. Come sempre, le parole aiutano. Cosicché Franceschini non prescrive più un’ opera in lingua italiana, ma un’ opera di “espressione italiana”: un film girato in Marocco con attori giapponesi, montaggio cinese, ispirato ai Promessi Sposi è considerato senz’ altro un’ opera di “espressione italiana”. Un’ emittente privata può farcire il palinsesto con prodotto modesto, ma se il pubblico scappa, chi ripaga il danno? Non Franceschini. Il ministro è impegnato a celebrare il decreto delegato, incurante del percorso che lo separa dal varo, fra commissioni parlamentari, regolamenti dell’ Autorità di controllo (Agcom), parere del Consiglio di Stato e deroghe per i canali tematici. Il decreto sfornato dal Cdm potrà subire dei ritocchi; vacillano già le sanzioni fino a 5 milioni di euro o al 2 per cento del fatturato per chi non si adegua alla legge. È vero che in quest’ ultima stagione di impenitenza collettiva le televisioni hanno ignorato l’ Agcom felice di essere ignorata, ma è pur vero che bullonare un mercato nazionale nella flessibilità del mercato globale è uno sforzo più inutile che deleterio. Se fossero sufficienti poche decine di milioni di euro per portare Rai o Sky a competere con Netflix o con Google – che fanno economia di scala e spalmano le spese ovunque – oppure a ritornare all’ epopea di Cinecittà, oggi Franceschini sarebbe osannato e sarebbe il capo della sinistra. Non pare.

Sì alle quote italiane ma le tv non ci stanno

Il Mattino
Oscar Cosulich
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È arrivato ieri dal Consiglio dei ministri l’ ok al decreto che modifica il Testo unico dei servizi media audiovisivi e radiofonici (il cosiddetto «Tusmar») e nel mondo dello spettacolo c’ è una netta spaccatura. In che cosa consiste il decreto Franceschini? Presto detto: il Tusmar prevede l’ obbligo di aumentare progressivamente gli investimenti e la programmazione di prodotti audiovisivi italiani ed europei da parte delle emittenti televisive e delle piattaforme a pagamento e on line (Netfilx, Amazon e agli altri operatori on demand, in questo caso recependo in anticipo una direttiva europea in corso di approvazione). Il decreto obbliga le televisioni italiane ad aumentare la quota di film e fiction italiane messe in onda in prima serata: nel prime time (fascia oraria 18-23) una quota del tempo settimanale di diffusione deve essere riservata a film, fiction, documentari e cartoni italiani: 12% per la Rai, 6% per gli altri fornitori. Si tratta di almeno un film, o una fiction italiana a settimana per ogni canale tv (due per la Rai). Il nuovo impianto è mutuato dal sistema francese: viene definita una quota minima per tutte le opere europee pari al 55% per tutti gli operatori per il 2019 (quota elevata al 60% dal 2020); a decorrere dal 2019, è introdotta una sotto quota riservata alle opere italiane, pari per la Rai ad almeno la metà della quota prevista per le opere europee e per le altre emittenti ad almeno un terzo. Per gli investimenti obbligatori il testo prevede che passino gradualmente dal 10 al 15% per le private (l’ entrata a regime è fissata al 2020) e dal 15 al 20% per la Rai. Le sanzioni previste per chi non si adegua saranno sancite dall’ Agcom: da 100.000 euro a 5 milioni. Il decreto è sostenuto, oltre che dal ministro, dalla maggior parte delle firme del cinema, dalle associazioni degli autori e dai produttori indipendenti. Dall’ altra parte i broadcaster hanno definito come «insostenibili» le quote: le nuove regole sarebbero troppo stringenti e penalizzanti e metterebbero a forte rischio l’ occupazione del settore. Le emittenti private parlano di «impostazione anacronistica, dirigistica e punitiva». «Già quando fu approvata la direttiva Tv senza frontiere sugli obblighi per la televisione di mandare in onda prodotti europei», ricorda il regista e sceneggiatore Maurizio Sciarra, «ci fu una levata di scudi, eppure è stata proprio quella direttiva l’ occasione della nascita della fiction italiana, da Montalbano a Gomorra. Questo decreto è un’ opportunità di svecchiare il nostro prodotto e renderlo più rilevante a livello europeo: combatterlo è una forma di miopia di chi vuol tenere le mani libere su produzione e autorialità». Ma potrebbe essere difficile garantire una programmazione così intensiva di film italiani in prima serata? Sciarra «trova strano che Rai Cinema produca o coproduca una così grande mole di film, senza poi utilizzare il diritto d’ antenna per mandarli in onda, lasciandoli cadere in un buco nero dove non saranno mai visti». Riccardo Tozzi, fondatore e presidente della società di produzione indipendente Cattleya (dalla sua, appunto, «Gomorra», venduto in 190 paesi) scinde l’ aspetto televisivo da quello cinematografico: «La mia impressione è che l’ incremento delle quote, specialmente per quanto riguarda la fiction, sia graduale e sostenibile, anche perché spinge le televisioni verso un settore in amplissima espansione, quindi fa sicuramente il loro interesse». «Il discorso si fa più sensibile dal punto di vista cinematografico», prosegue Tozzi, «perché per le tv il cinema non è il prodotto primario e quindi per loro non è un settore cruciale. D’ altra parte, mentre il prodotto televisivo italiano ora è fortissimo, del nostro cinema non si può certo dire lo stesso. Il vero problema è capire in che direzione vogliamo andare: mi rendo conto che per una televisione le quote di diffusione vanno a toccare la libertà di palinsesto», conclude il produttore, «il fatto è che in Italia si realizzano 250 film all’ anno, che sono un’ enormità, ma la maggior parte di questi non è programmabile in prima serata. Starà a noi produttori e agli autori entrare in una visione produttiva che permetta di realizzare tutti i tipi di film, per avere un’ offerta più equilibrata. Nelle serie tv questo prodotto già c’ è, nel cinema bisogna impegnarsi insieme per farlo, perché non basta un decreto per creare qualcosa che non c’ è». Non ha dubbi nemmeno Andrea Purgatori, sceneggiatore e portavoce dell’ associazione 100 autori: «Più risorse significano più concorrenza, più qualità. Il fatto che siano investiti 400 milioni l’ anno sull’ audiovisivo può sembrare tanto, ma in Francia (sul cui modello si basa questo decreto) ne investono 800. In questo provvedimento, sicuramente, ci saranno nel tempo aggiustamenti e rettifiche, ma è un importantissimo primo passo perché non si limita a finanziare, ma obbliga anche a garantire una diffusione di quello che si è finanziato». E le critiche delle emittenti? «Noi dobbiamo pensare a un prodotto audiovisivo pronto per il mercato internazionale, non possiamo accontentarci di avere solo Gomorra, ci vuole un ventaglio di offerte diverse. Abbiamo sempre pensato che i produttori dovessero essere al nostro fianco, se invece loro vorranno fare le barricate è bene che sappiano che ne troveranno altrettante contro di loro». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Più spazio in tv ai film italiani. Per decreto

Italia Oggi

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Più spazio in prima serata tv a film e fiction made in Italy. Almeno il 55% dovrà essere di produzione europea. E tra questi almeno la metà (per la Rai) e almeno un terzo (per le altre emittenti) dovrà essere di produzione italiana. Nel prime-time, in particolare, oltre a quote minime variabili per le produzioni italiane, vengono definite quote minime di investimento da parte delle aziende tv su lavori made in Italy. È quanto prevede un dlgs, varato ieri in prima lettura dal Cdm, sulla promozione delle opere da parte dei fornitori di servizi media audiovisivi. Il decreto prevede anche una moratoria al 2018 per consentire ai fornitori di adeguarsi. Sarà l’ Agcom a verificare il rispetto degli obblighi e a comminare le sanzioni; queste vengono aumentate (fino a un massimo di 5 mln di euro o 2% del fatturato). Il provvedimento introduce anche obblighi di programmazione e investimento per l’ on demand. Altri due schemi di dlgs, licenziati sempre ieri in prima lettura dal Cdm, intervengono sempre nell’ audiovisivo. Uno perfeziona la disciplina dei rapporti di lavoro in coerenza col «Jobs Act» e definisce le professioni. L’ altro delinea un nuovo sistema di tutela dei minori nella visione delle opere, abolisce la censura e responsabilizza gli operatori cinematografici. Obblighi di programmazione. Il nuovo impianto normativo è mutuato dal sistema francese. In particolare: 1) viene definita una quota minima per tutte le opere Ue pari al 55% per tutti gli operatori per il 2019 (quota elevata al 60% a partire dal 2020); 2) dal 2019 verrà introdotta una sotto quota riservata alle opere italiane, di qualsiasi genere, pari: per la Rai, ad almeno metà della quota prevista per le opere europee; per le altri emittenti, ad almeno un terzo della quota prevista per le opere europee; 3) il rispetto delle percentuali va riferito all’ intera giornata di programmazione; 4) nel prime-time (fascia oraria 18-23) una quota del tempo settimanale di diffusione dovrà essere riservata a film, fiction, documentari e cartoni italiani: 12% per la Rai, 6% per gli altri fornitori. Si tratta di un film o fiction o documentario o animazione italiani a settimana. Per la Rai l’ obbligo sarà di 2 opere italiane a settimana, di cui una cinematografica. Obblighi di investimento. Per i fornitori diversi dalla concessionaria di servizio pubblico: 1) gli introiti netti annui sono la base per il calcolo degli investimenti richiesti; 2) la quota di investimento riservata all’ acquisto o al pre-acquisto o alla produzione di opere Ue è pari ad almeno il 10% (quota elevata al 12,5% da gennaio 2019 e al 15% dal 2020). Per il 2018 la quota sarà riferita interamente a opere prodotte da produttori indipendenti. Dal 2019 a queste ultime opere sono riservati i cinque sesti delle quote previste; 3) all’ interno della quota prevista per le opere europee, il decreto riserva direttamente alle opere cinematografiche italiane la quota minima del 3,5% degli introiti netti annui. Tale percentuale viene innalzata al 4% per il 2019 e al 4,5% dal 2020. Oggi è il 3,2%. Per la Rai: la base per il calcolo degli investimenti richiesti sono i ricavi annui da canone, più i ricavi pubblicitari connessi; la quota di riserva al pre-acquisto o all’ acquisto o alla produzione di opere Ue è pari ad almeno il 15% dei ricavi annui. Tale quota è elevata al 18,5% dal gennaio 2019 e al 20% dal 2020. Per il 2018 la quota è riferita interamente a opere prodotte da produttori indipendenti, mentre per il 2019 e dal 2020, a queste ultime opere sono riservati i cinque sesti delle quote previste. All’ interno della quota complessiva per le opere europee, il decreto riserva direttamente alle opere cinematografiche italiane, la quota minima del 4% dei ricavi complessivi netti. Percentuale che sale al 4,5% per il 2019 e al 5% dal 2020. Oggi è il 3,6%.

Più film italiani in prima serata Il decreto contestato dalle tv

Corriere della Sera
Paolo Conti
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ROMA «Sono norme concrete che servono ad aiutare, tutelare e valorizzare la creatività, la fiction e il cinema italiani. Il decreto legislativo sosterrà le produzione di cinema e opere italiane anche portandole in prime time tv». Ieri Dario Franceschini, ministro per i Beni e le attività culturali, appariva molto soddisfatto dopo l’ approvazione in Consiglio dei ministri del decreto legislativo sulla promozione delle opere italiane ed europee da parte dei network televisivi che introduce obblighi di programmazione e investimento anche per l’ universo on demand, come Netflix o Amazon. Secondo Franceschini l’ impianto è mutuato dal sistema francese che, sostiene il ministro, «dagli anni Ottanta rappresenta uno degli esempi più virtuosi in materia di promozione di opere europee e nazionali». Il decreto, secondo il ministro, anticiperebbe il nuovo testo della direttiva dell’ Unione Europea sui media tv. Ed ecco di cosa si tratta. Aumenta la quota minima di programmazione quotidiana per emittente riservata a film, fiction e programmi di produzione europea: 50% nel 2018, 55% nel 2019 e 60% nel 2020. Le opere italiane dovranno essere per la Rai almeno la metà della quota europea e un terzo per le emittenti private. Il rispetto delle percentuali è riferito all’ intera giornata. Ed ecco il punto più contestato dalle emittenti, Rai compresa. Nel prime time, dalle 18 alle 23, una quota del tempo settimanale di programmazione deve essere riservata a film, fiction, documentari, cartoni italiani: il 12% per la Rai, il 6% per le altre tv. Ovvero due opere italiane a settimana per la Rai, di cui un film; e un film o fiction o documentario o cartone per gli altri. Il testo prevede anche un obbligo di quote di investimenti di acquisto o pre-acquisto o alla produzione di opere europee degli introiti netti annui: almeno il 10% nel 2018, 12,5% dal gennaio 2019 e 15% nel 2020. Di questa quota il 3,5% va alle opere italiane nel 2018, il 4% nel 2019 e il 4,5% nel 2020. Per la Rai le quote per le produzioni europee salgono al 20% nel 2020 (15% nel 2018, 18,5% nel 2019) e al 5% per le opere italiane (4% nel 2018, 4,5% nel 2019). Positiva la reazione dell’ Associazione nazionale industrie cinematografiche audiovisive multimediali (Anica). «Nei cambiamenti globali dirompenti con cui si misurano le nostre industrie, è una riforma che va sostenuta, perché può permettere ai produttori e creatori di contenuti di fare un salto di qualità e di dimensioni, e non limitarsi a subire processi troppi grandi per un paese come il nostro». Giancarlo Leone, presidente dell’ Apt, l’ Associazione Produttori Televisivi: «Il provvedimento mette sempre più al centro del sistema televisivo l’ audiovisivo italiano dei produttori indipendenti e questo è un elemento di crescita per tutti». Nessun commento ufficiale dai network televisivi (Rai, Mediaset, La7, Sky Italia, Discovery Italia, Viacom, Fox, Walt Disney Italia, De Agostini editore), ma fonti di alcuni broadcaster privati lasciano trapelare la fortissima insoddisfazione, sottolineando che «l’ impostazione anacronistica, dirigistica e punitiva del ministro Franceschini è rimasta sostanzialmente immutata nel testo condiviso dal Consiglio dei ministri. Ad essere danneggiata sarà così l’ intera produzione audiovisiva italiana, con pesanti ricadute negative sull’ occupazione del settore».

Altro regalo di Franceschini ai registi di sinistra

Libero

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ENRICO PAOLI Per il rampante ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, il decreto su cinema e televisione, approvato dal Consiglio dei ministri, garantirà all’ intero settore dell’ audiovisivo «equilibrio e trasparenza», valorizzando «la creatività del cinema italiano». Nelle intenzioni dell’ esponente dell’ esecutivo guidato dal premier, Paolo Gentiloni, può darsi che sia così. Anche perché sarebbe stato lo stesso capo del governo, sempre attento a mantenere in equilibro la bilancia dei rapporti con i mondi che contano, a chiedere all’ antagonista di Matteo Renzi nel Pd una limatura del testo. Le emittenti televisive, unite nella protesta come non era mai capitato in passato, hanno sempre sottolineato il fatto che «subiranno» gli effetti del provvedimento varato governo, mutuato dal sistema francese senza un vera interpretazione, visto che il mercato italiano è molto diverso da quello transalpino. Non solo. La scarsa concertazione sul contenuto del provvedimento, tanto che nella fase finale Franceschini ha incontrato solo i favorevoli e non i contrari, è la dimostrazione del fatto che si tratta di una operazione politica più che tecnica. Il risultato, non molto brillante a dire il vero, sarà quello di vedere i palinsesti di Rai, Mediaset, Sky, La7 e di altri canali presenti sia sul digitale che sul satellite, scritti da Palazzo Chigi, confermando la delusione degli editori. Il «decreto Franceschini», contestato dagli editori con ben due lettere puntute inviate a Palazzo Chigi nel giro di poche settimane, prevede che «almeno» il 55% dei film e delle fiction trasmesse dalle tv dovranno essere di produzione europea. Tra queste, almeno la metà per la Rai e almeno un terzo per le altre emittenti, dovranno essere rigorosamente «Made in Italy». Per il cosiddetto prime time (la fascia della prima serata) sono fissate quote minime variabili per produzioni italiane, e vengono stabiliti delle quote minime di investimento da parte delle aziende televisive su lavori italiani. Regole che, una volta a regime, rischiano di mettere seriamente in crisi le emittenti italiane. Non a caso la corte dei conti francese, non molto tempo fa, ha sottolineato la necessità di rivedere la legge transalpina. Aspetto, questo, non secondario dato che Franceschini, ospite di Otto e mezzo, il programma de La7 condotto da Lilly Gruber, ha candidamente ammesso di aver copiato il dispositivo legislativo dai colleghi parigini. Le pressioni degli editori televisivi e le indicazioni arrivate da oltralpe hanno indotto il titolare del Mibact, che con il decreto approvato dal Cdm punta a conquistare le simpatie (ovviamente elettorali) della cosiddetta intellighenzia di sinistra che trova nel «cinema d’ autore» la sua sublimazione, a prevedere una moratoria sino al 2018, per consentire ai fornitori di servizi media il progressivo adeguamento alla nuova disciplina. Sarà l’ Agcom a verificare il rispetto degli obblighi e a comminare le sanzioni, che il decreto aumenta sensibilmente: fino a un massimo di 5 milioni di euro o il 2% del fatturato. Tanto per avere un’ idea se trasmettessero un porno in prima serata la multa sarebbe al massimo di 300mila euro. Ma tant’ è, evidentemente il cinema d’ autore batte la tutela dei minori. Inoltre, almeno per sterilizzare in partenza la rivolta delle emittenti, l’ entrata a regime del decreto è stata spostata al 2020. Le percentuali di investimento nelle opere europee con la previsione di una percentuale minima per quelle italiane, salgono sia per la Rai (dal 15 al 20% dei ricavi complessivi annui, con una rivisitazione della gradualità dell’ aumento rispetto all’ ultimo bozza circolata) che per le tv private (dal 10 al 15% degli introiti netti annui). Obblighi di programmazione e investimento sono imposti pure a Netflix, Amazon e agli altri operatori del web, recependo così in anticipo la direttiva europea in corso di approvazione. Peccato che quest’ ultimi trasmettano solo film e serie tv, zero intrattenimento. E che programmando qualche filmetto inglese e francese, mettendoci dentro anche una produzione regalata al Belpaese, alla fine se la caveranno, non avendo una vera e propria «prima serata», giusto per dire. Il «decreto Franceschini, passa ora all’ esame delle Commissioni competenti di Camera e Senato, al Consiglio di Stato e alla Conferenza Stato-Regioni per i pareri. per tornare in Consiglio dei ministri entro l’ 11 dicembre, quando scade la delega. A rendere ancor più problematica la «digeribilità» del provvedimento, come hanno ampiamente spiegato i broadcaster nelle loro lettere inviare al ministero, l’ anticipazione di quanto previsto nel nuovo testo della direttiva Eu sui «servizi media e audiovisivi». Provvedimento, quello europeo, in via di definizione. Dunque potrebbe anche finire con il confliggere con quello voluto da Franceschini. twitter@enricopaoli1 riproduzione riservata LE CONTESTAZIONI Il «decreto Franceschini» fissa delle quote sui film e le fiction trasmesse dalle televisioni pubbliche e private: «almeno» il 55% di questi dovrà essere di produzione europea. E tra queste produzioni almeno la metà per la Rai e almeno un terzo per le altre emittenti, dovranno essere rigorosamente «Made in Italy». Il decreto è stato contestato con ben due lettere inviate dagli editori a Palazzo Chigi. IL RINVIO Le pressioni degli editori televisivi hanno portato a una moratoria sul provvedimento. L’ entrata a regime del decreto, infatti, è stata spostata al 2020. Da ricordare, inoltre, che gli obblighi di programmazione e investimento sono imposti pure a Netflix, Amazon e agli altri operatori del web, recependo così in anticipo la direttiva europea in corso di approvazione. IL CONFLITTO L’ approvazione del provvedimento è messo a rischio anche dalle anticipazioni che emergono sul nuovo testo della direttiva dell’ Unione Europea sui «servizi media e audiovisivi». Si tratta di una normativa ancora in via di definizione e che alla fine potrebbe confliggere con quello voluto dal ministro Dario Franceschini.

In tv il cinema italiano ora ha il posto in prima fila

La Stampa
FULVIA CAPRARA
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Film, fiction, cartoni animati, documentari italiani ed europei guadagnano finalmente un posto in prima fila in tv. Le quote di programmazione e di investimenti nel settore aumentano e così le sanzioni per chi non dovesse adeguarsi alla nuova normativa. Dopo i mugugni e le contrapposizioni, il Consiglio dei Ministri ha approvato ieri il decreto legislativo che impone ai canali tv (compresi Netflix, Amazon e altri operatori del web) regole precise sulla messa in onda di opere made in Italy. Per il 2018 è prevista una moratoria, ma, a partire dal 2019, uno spazio del prime-time (fascia oraria 18-23) dovrà essere settimanalmente riservato alla nostra produzione. Per la Rai l’ obbligo è di 2 opere italiane a settimana di cui una cinematografica, mentre la quota degli investimenti sale dal 15% fino (nel 2020) al 20% dei ricavi complessivi annui. Per le tv private si passa dal 10 al 15% degli introiti netti dell’ anno: «È un provvedimento concreto – dichiara il ministro Franceschini – che serve a tutelare e valorizzare il cinema, la fiction, la creatività italiani». Il modello di riferimento, spiegano al Mibact , è «mutuato dal sistema francese che, fin dagli Anni 80, rappresenta uno degli esempi più virtuosi in materia». Il testo, cui sono state apportate modifiche dovute alle polemiche degli ultimi giorni, passa adesso alle Commissioni parlamentari, al Consiglio di Stato e alla Conferenza Stato-Regioni, quindi non è ancora definitivo: «Il provvedimento – commenta il presidente dell’ Apt Giancarlo Leone – mette sempre più al centro del sistema l’ audiovisivo italiano dei produttori indipendenti, e questo è un importante elemento di crescita». Eppure non tutti sono soddisfatti, anzi, tra i broadcaster la protesta cresce: «Mi rendo conto che certe quote elevate del cinema possano creare problemi di accettazione, ma credo sia compito dei produttori individuare, con i rappresentanti delle emittenti, tutti i modi per trasformare quello che oggi sembra un vincolo in una straordinaria opportunità». In un post su Facebook la produttrice di Indigo Francesca Cima commenta con soddisfazione: «Il governo crede davvero che l’ audiovisivo italiano possa rappresentare una risorsa importante per l’ economia, per l’ identità e per la crescita culturale, industriale e professionale di questo Paese. Anche noi. Grazie». I broadcaster, invece, si scagliano contro «l’ impostazione anacronistica, dirigistica e punitiva» adottata dal Ministro: «Ad essere danneggiata – dichiarano – sarà così l’ intera produzione audiovisiva italiana, con pesanti ricadute negative sull’ occupazione del settore. Le imprese di broadcasting, duramente penalizzate dalle nuove disposizioni di legge, sono quelle che con i loro investimenti garantiscono lo sviluppo dell’ industria creativa e difendono la cultura in ambito europeo». La battaglia più importante è vinta, ma l’ impressione è che ne seguiranno altre. BY NC ND ALCUN DIRITTI RISERVATI.

Più fiction tv italiane le quote non bastano

Il Mattino
Valerio Caprara
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Non c’ è niente da fare, siamo fatti così. Gli opposti estremismi all’ italiana rischiano di guastare gli umori e le opere di un politico tendente al moderato, al colto e al suadente come Dario Franceschini. Ieri il decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri, peraltro generato dalla «sua» Legge sul cinema che ha interrotto un periodo annoso di vuoto. Attorno a questa legge, infatti, salutata con grande favore dalla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori – che impone vincoli alquanto pesanti alle tv nazionali e alle aziende come Netflix o Amazon che operano nella distribuzione via internet di film, serie e altri contenuti d’ intrattenimento sembra riaccendersi – si registra l’ aspra contesa tra liberisti e protezionisti. È lecito al proposito esimersi dal ruolo di ultrà? Diamo un’ occhiata, intanto, ai punti cruciali del decreto: nella (teoricamente) benemerita intenzione di ridare ossigeno alla perenne spossatezza del prodotto tricolore, la nuova normativa si muove essenzialmente sul doppio binario dei palinsesti e degli investimenti. La riforma obbliga, in effetti, le emittenti statali e private ad aumentare la quota di film italiani trasmessi in prima serata (addirittura con una ricetta da farmacia culturale: un film o una fiction alla settimana su ogni canale, ben due invece sul groppone di mamma Rai) e a portare gli investimenti in prodotti nostrani sino al 15% per le private e al 20% per la Rai. Senza parlare delle multe, oggettivamente spropositate, stabilite per chi non rispetta le costrizioni: da centomila a cinque milioni di euro, oppure sino al 3% del fatturato nel caso che il valore di tale percentuale superi i cinque milioni. Per i nostalgici dello slogan – già oggetto qualche anno fa di una marea di trombonate patriottiche e subdoli fraintendimenti soprattutto in Francia, «l’ arte e la cultura non sono merci come le altre» – il decreto è troppo blando e quindi inadatto a rieducare il popolo bue con le auspicabili manette legislative e le necessarie piogge di dazi. Per gli esponenti più veementi di matrice liberale il passo del ministro Pd riporta il comparto ai nefasti diktat dell’ autarchia, ai muri che difendono l’ Arte del malvagio straniero, al delirio dirigista che sogna da sempre di portare gli spettatori a vedere i film giusti con l’ ausilio dei carabinieri. Con l’ inevitabile risultato futuro di farli riparare ancora di più di quanto notoriamente fanno nelle cospicue e libere braccia dei nuovi mezzi di comunicazione come pc, tablet o smartphone. È la stessa preoccupazione, per la verità, espressa dalla lettera recapitata a Franceschini dai principali broadcaster dalla Rai a Mediaset, da Sky a La7, da Fox a Disney e De Agostini- in cui si sostiene che il provvedimento, estremamente rilevante per gli effetti peggiorativi sotto il profilo editoriale, economico e occupazionale, «risulta costituire di fatto una nuova imposizione insostenibile a danno dei maggiori operatori televisivi nazionali». Non è per trasformarli in arbitri salomonici ed esangui, però, che le reazioni di tutti gli «utilizzatori» da quelli appassionati, competenti e aggiornati a quelli, generici, occasionali o solo curiosi- dovrebbero essere sintonizzate su un solido pragmatismo. Il decreto promuove il bene o il male dell’ industria dell’ audiovisivo? Il massiccio aiuto promesso al made in Italy servirà davvero a farlo procedere in una direzione sprovincializzata e competitiva? Il principio delle quote obbligatorie (strumento di per sé ambiguo e assai scivoloso, se non puramente demagogico) servirà a qualcosa di concreto una volta applicato alle opere di finzione? Le risposte sarebbero positive solo qualora si nutra fiducia e non è un’ impresa facile- nell’ efficacia della loro attuazione. È ancora vivido il ricordo, infatti, delle tante volenterose leggi a cominciare da quella del 1994 voluta da produttori importanti come Cristaldi collegati una tantum alle associazioni più barricadiere dei cineasti cosiddetti «autori» – che costruirono ponti d’ oro per il cinema nazionale ottenendone in cambio una valanga di film indecenti, inutili o mirati a poche decine di fanatici cinéfili. Insomma i produttori specialmente quelli italiani, possono certo avere bisogno di tutele e riconoscimenti, però se li devono meritare. Il segreto (di Pulcinella) sta nell’ impegnativa congiunzione «se»: il giro di vite autonomista, un po’ alla catalana, a dirla tutta, placherebbe i tormenti dei sospettosi o riottosi solo se si tradurrà in un maggior numero di prodotti che sfidino lealmente gli stranieri sul piano della qualità e nello stesso tempo coinvolgano fortemente il pubblico disamorato per colpa loro. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Broadcaster delusi, produttori felici

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Ci saranno più cinema italiano in prima serata in tv e più investimenti da parte delle emittenti in produzioni indipendenti europee ed italiane. Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo che riforma le norme in materia di promozione delle opere europee e italiane da parte dei fornitori di servizi di media audiovisivi. E alla fine, il day after sembra quello di un campo di battaglia con vincitori e vinti. I broadcaster ci hanno provato a far desistere il ministro per i Beni Culturali, Dario Franceschini, dal procedere su un atto che, nei fatti, è in attuazione della Legge sul cinema e l’ audiovisivo nella parte in cui viene richiesta la riscrittura dell’ articolo 44 del Tusmar sulle quote di investimento obbligatorio dei broadcaster in opere europee di produttori indipendenti. Qui le tv hanno giocato una partita, anche con fermezza, stringendo fra di loro una santa alleanza e contestando con due lettere il decreto che poi, però, alla fine è stato approvato ieri in Consiglio dei ministri, con qualche modifica rispetto all’ ultima bozza. A taccuini chiusi si parla nel mondo delle tv di «profonda delusione» e di «impostazione anacronistica, dirigistica, quasi ad personam, e punitiva del Ministro Franceschini ». Differente, come immaginabile, il mood nel mondo del cinema e delle produzioni tv. «Il governo crede davvero che l’ audiovisivo italiano (cinema, serie, animazione, documentari) possa rappresentare una risorsa importante per l’ economia, per l’ identità e la crescita culturale, industriale e professionale di questo Paese», scrive su Facebook Francesca Cima (presidente dei produttori Anica). «Sono certo – punta a stemperare i toni Giancarlo Leone, presidente dei produttori televisivi (Apt) – che la massima collaborazione tra i produttori indipendenti aderenti all’ Apt e le emittenti televisive riuscirà ad esprimere in modo proattivo quegli elementi critici che oggi vengono vissuti negativamente dalle emittenti. Lo sforzo congiunto delle parti consentirà alla televisione ed al cinema di espressione italiana di essere sempre più presenti anche sul mercato internazionale». Parole, queste ultime, da vivere più che altro come un auspicio, dopo settimane di muro contro muro attorno a un provvedimento pensato per andare incontro alle necessità dell’ audiovisivo come del cinema italiano. Il primo ha dimensioni molto inferiori rispetto ai battistrada europei, Uk in testa, e i nuovi player come Netflix e Amazon con le loro produzioni originali pongono non pochi interrogativi a tutto il sistema. Il cinema italiano, dal canto suo, continua a perdere appeal e quote. Dalle tv è però arrivato un no secco a un provvedimento vissuto come un “conto” posto sul loro tavolo. Certo, a confrontare le bozze successive del decreto, hanno ottenuto sia la moratoria per il 2018 sia un aumento delle quote inferiore a quanto inizialmente previsto: dal 15% degli introiti netti attuali al 18,5% nel 2019 al 20% nel 2020 per la Rai ; dal 10% al 12,5% nel 2019 al 15% nel 2020 per le tv commerciali. Quote ancora eccessive secondo le tv, sottoposte anche a obblighi di programmazione : dovrà esserci almeno un film o una fiction italiana a settimana per ogni canale tv in prime time, due per la Rai. A questo si è aggiunto un elemento di forte scontro: le sottoquote previste per le opere cinematografiche italiane. La Rai dovrà investire una percentuale (in salita dal 4% al 5% del 2020) in opere cinematografiche italiane e lo stesso (dal 3,5% al 4,5%) dovranno fare le tv commerciali. E a far litigare è stato anche il nodo sanzioni: alzate fino a 5 milioni e, secondo indiscrezioni, al 2% (dal 3% previsto nelle ultime bozze) del fatturato per le più grandi. Per il Ministro Franceschini si tratta di «un provvedimento concreto che serve a aiutare, tutelare e valorizzare il cinema, la fiction e la creatività italiane». Il testo, spiega una nota del Mibact, contiene «obblighi di programmazione e investimento imposti pure a Netflix, Amazon e agli altri operatori del web, recependo così in anticipo la direttiva europea in corso di approvazione». Il provvedimento passa adesso alle Commissioni parlamentari, al Consiglio di Stato e alla Conferenza Stato Regioni per i pareri di merito. Dovrà tornare in Cdm per l’ approvazione definitiva entro l’ 11 dicembre, quando scade la delega. Un tempo supplementare cui con ogni probabilità le tv guarderanno con molto interesse. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Cinema, i tre decreti che completano la riforma

Il Sole 24 Ore
Antonello Cherchi
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Il puzzle della riforma del cinema, arrivata con la legge 220 dell’ anno scorso, si è completato. Dopo i vari decreti ministeriali, diversi già operativi, ieri è stata la volta dei provvedimenti più attesi: i tre decreti legislativi che danno attuazione alle altrettante deleghe contenute nella riforma. Si tratta del provvedimento sulle quote di programmazione e di investimenti delle Tv da destinare ai film e fiction di produzione europea, di quello che riscrive le regole della censura delle pellicole e, infine, del decreto sui profili professionali di chi lavora sul set. I tre Dlgs hanno ricevuto ieri il via libera preliminare del Consiglio dei ministri e ora dovranno affrontare un impegnativo iter: conferenza Stato-Regioni, parere del Consiglio di Stato, giudizio delle commissioni parlamentari. L’ obiettivo è arrivare al traguardo del via libera definitivo di Palazzo Chigi entro il 13 dicembre, data di scadenza della delega. Sulla carta, i tempi ci sono, ma bisogna anche mettere in conto che da metà ottobre il Parlamento, a partire dal Senato, sarà impegnato dalla legge di bilancio. I nuovi aiuti al cinema – in particolare il provvedimento sui “passaggi” in Tv dei film europei – si aggiungono a quelli già previsti, come il tax credit, che fa registrare nel 2016 un’ ulteriore crescita delle agevolazioni da parte del sistema: si è, infatti, passati dai 160 milioni di euro del 2015 ai 162 milioni di credito d’ imposta utilizzati l’ anno scorso. E,intanto, per il 2017 ci sono disponibili 221 milioni. L’ attuazione delle deleghe «Un provvedimento concreto che serve ad aiutare, tutelare e valorizzare il cinema, la fiction e la creatività italiane»: così il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, ha commentato il decreto sulla promozione del cinema approvato ieri dal Consiglio ministri. Si tratta del provvedimento che più ha dato da fare, soprattutto dopo la presa di posizione delle emittenti sulle nuove quote. Il tavolo di lavoro con il ministero è rimasto aperto fino a qualche giorno fa e il testo – che, insieme agli altri due era atteso a Palazzo Chigi da tempo – è stato ulteriormente limato. A partire dal 2019 cresce la quota che i gruppi televisivi – comprese le Tv on demand – dovranno riservare alla programmazione dei film, delle fiction e dei programmi di produzione europea, fino ad arrivare nel 2020 al 60% del palinsesto (al netto dei tempi di trasmissione dedicati a telegiornali, sport, quiz, televendite e pubblicità). La metà di quella quota la Rai dovrà riservarla alle pellicole italiane (si scende a un terzo per le altre emittenti). Crescono anche gli investimenti delle televisioni nelle produzioni cinematografiche: nel 2020 la Rai dovrà mettere a disposizione per tale obiettivo il 20% dei propri introiti netti (con il 5% da destinare al made in Italy), mentre per le altre Tv la quota sarà del 15% (con il 4,5 per i film italiani). Sul sistema vigilerà l’ Agcom, che avrà a disposizioni sanzioni più severe. Sulla censura si passerà a un sistema di autoregolamentazione (sarà il produttore a indicare l’ eventuale divieto, che poi passerà al vaglio di una commissione dei Beni culturali) e viene introdotto il “bollino” sulle visioni per i minori di sei anni (se consigliabili o meno). Il terzo decreto interviene sulle professioni del set, i cui profili sono stati in buona parte già oggetto del jobs act. Il nuovo provvedimento, dunque, sistematizza il tutto. Il tax credit Continua a crescere l’ utilizzo del credito d’ imposta messo a disposizione del cinema. Negli ultimi anni è aumentata la dote: nel 2016 era di 227 milioni, con 162 milioni effettivamente chiesti, a vario titolo, dai produttori. «Le somme inutilizzate – spiega Nicola Borrelli, responsabile della direzione cinema dei Beni culturali – sono state in parte utilizzate per l’ operazione Cinecittà , mentre 20 milioni vanno a incrementare il fondo di sostegno al cinema per il 2017». Quest’ anno sono disponibili complessivamente 420 milioni, di cui 221 per il tax credit. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Accordo tra Comuni e Fieg per rilanciare la rete delle edicole

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Comuni ed editori scendono in campo, insieme, per salvaguardare la rete delle edicole. È un obiettivo sicuramente ambizioso quello del protocollo sottoscritto ieri a Roma fra Fieg (Federazione editori di giornali) e Anci (Associazione nazionale Comuni Italiani). Un atto che prenderà corpo in un tavolo di lavoro bilaterale per declinare tutta una serie di misure per tendere una mano a vittime di questa lunghissima crisi che sta colpendo l’ editoria cartacea. Per combattere questa crisi il settore attende con sempre maggior impazienza il varo del Dpcm con cui si darà completa attuazione all’ avvio del credito d’ imposta al 75 o 90% per chi investe in pubblicità. Non c’ è dubbio però che, al di là delle misure che arriveranno, a fare le spese della crisi dell’ editoria siano state migliaia di edicole, strette tra il calo di vendite dei giornali di carta e l’ aumento dei costi di gestione. «La funzione dei quotidiani nel dibattito è fondamentale», commenta il presidente dell’ Anci e sindaco di Bari Antonio Decaro. Con il protocollo, spiega dal canto suo il presidente Fieg Maurizio Costa, «si avvia un percorso per riqualificare e ridefinire il ruolo e la funzione dei tradizionali punti vendita della stampa, favorendone l’ ammodernamento e trasformandoli in luoghi al servizio della comunità locale, dove il cittadino, insieme al proprio giornale, può chiedere un certificato, prenotare una visita medica, acquistare l’ ingresso ad un museo». Alla base ci sono le novità introdotte dalla manovrina estiva, che vanno dalla liberalizzazione degli orari alla possibilità di aprire edicola con la semplice Scia. Questo protocollo arriva dopo una anche dopo la legge per favorire i piccoli comuni. Il protocollo – che ha avuto una prima sperimentazione nell’ area di Firenze – prevede la sensibilizzazione di tutte le amministrazioni comunali, a partire dai comuni capoluogo di regione/provincia, affinché riducano considerevolmente i canoni delle edicole per le occupazioni permanenti e temporanee di suolo pubblico ed esonerino dall’ imposta le locandine editoriali dei quotidiani e dei periodici esposti nei locali pubblici. Si punta anche a dare agli edicolanti la possibilità di ampliare le categorie di beni e i servizi offerti ai cittadini e turisti (pagamento ticket, prenotazioni visite mediche, spedizioni e recapiti corrispondenza, eccetera) garantendo che la parte maggioritaria degli spazi del punto vendita sia comunque destinato all’ esposizione e alla vendita della stampa. Altri obiettivi: promozione di iniziative per assicurare una presenza capillare dei punti vendita della stampa, anche nelle aree periferiche; individuazione dei criteri volti alla liberalizzazione degli orari e dei periodi di chiusura dei punti vendita con l’ obiettivo di garantire la presenza di rivendite di giornali in ogni momento possibile; previsione di iniziative per riqualificare e ridefinire il ruolo e la funzione dei tradizionali punti vendita della stampa con politiche di sostegno per la ristrutturazione/sostituzione dei manufatti utilizzati per la vendita. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Tv, si rafforzano Rai 1 e Canale 5

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Lo scenario televisivo autunno 2017 descrive bene quella che potrebbe essere la tv italiana dei prossimi anni: si rafforzano sia Rai 1, sia Canale 5, che in prima serata in settembre dominano senza se e senza ma, tracciando un gap incolmabile e con ascolti tripli rispetto agli inseguitori. Potrebbero essere loro, quindi, gli unici due canali veramente generalisti del futuro. Gli altri cinque canali tradizionalmente considerati generalisti, invece, soffrono tutti, in particolar modo La7, Rai 3 e Rai 2. E soffrono per la impetuosa avanzata di Tv8 (Sky), Nove (Discovery) e Rai 4, tutte reti che, rispetto al settembre 2016, crescono a ritmi tra il 30 e il 45%. Molto dipende dal calendario dei palinsesti: qualche canale ha scelto di partire subito con le produzioni a maggiore impatto. Qualcuno, invece, si è preso del tempo per capire il da farsi. La nuova direzione di La7, ad esempio, ha scelto questa strada, lasciando piuttosto scarico il palinsesto della tv di Urbano Cairo in settembre, in attesa del via alle novità targate Diego Bianchi (partito in prime time venerdì scorso 29 settembre), Nanni Moretti (ciclo di film al sabato sera dal 30 settembre) e Massimo Giletti (al via nelle prossime settimane al mercoledì sera). Per tutto il mese di settembre, quindi, La7 ha giocato la sua partita in pratica solo al martedì sera con Giovanni Floris e al giovedì sera con Corrado Formigli. E le audience, di conseguenza, ne hanno risentito: la share media del mese, infatti, è del 3,3% nella prima serata Auditel (20.30-22.30), e del 3% nella prima serata effettiva dalle ore 21 alle 23. In entrambi i casi La7 perde il 21%, ovvero un quinto degli ascolti, rispetto al settembre 2016. Peraltro i debutti di Diego Bianchi (3% di share) e di Moretti (2,2%) non è che lascino intuire grandi stravolgimenti delle medie nei prossimi mesi. Il problema più grosso è che alle spalle di La7 si fa ormai minacciosa la presenza di Tv8, canale in chiaro che, potendo attingere alla ricchissima library di contenuti e di diritti di Sky, cresce in maniera decisa. Sale al 2,6% medio in settembre nella prima serata Auditel (+45% sul settembre 2016) e al 2,7% nel prime time 21-23 (+33%). La tendenza parla da sola: dal 13 settembre al 1° ottobre Tv8 ha battuto La7 in prima serata per 11 volte su 19. Sul target commerciale 15-64 anni, inoltre, come vedremo più avanti, Tv8 è già sopra a La7 di quasi un punto di share in prime time. Bene Rai 4 all’ 1,6% di share, con un +31% rispetto al settembre 2016 quando già era in posizione privilegiata sul bouquet di Sky, e un buon +34% di Nove (che diventa +46% nella prima serata 21-23). Il canale ha raggiunto Real Time (altro brand di Discovery Italia) all’ 1,5% di share (1,6% per entrambi nel prime time 21-23) e si coccola, ovviamente, il suo prodotto di punta, ovvero Fratelli di Crozza. Il programma ha centrato il 3,5% di share su Nove (5,5% complessivo su tutte le reti Discovery) al debutto lo scorso 22 settembre e il 3,8% solo su Nove lo scorso 29 settembre. Insomma, circa la metà degli ascolti che faceva su La7, ma andando in onda su una rete, Nove, che di base faceva meno di un terzo degli ascolti medi di La7. Per questo motivo a Discovery sono più che soddisfatti del lavoro di Crozza e della sua squadra. Analizzando gli ascolti di settembre non in base al target individui (le persone dai 4 anni in su) ma considerando quello commerciale 15-64 anni, su cui i centri media impostano le pianificazioni pubblicitarie, la realtà televisiva italiana ha in effetti già subito cambiamenti: in prima serata prevale Canale 5 (15,49% di share, circa 0,75 punti in più sul settembre 2016), davanti a Rai 1 con il 14,31% (cresce di 0,4 punti). Rai 2 (7,2%), Italia Uno (6,5%) e Rai 3 (4,9%) sono in calo, tiene botta Rete 4 (3,4%), tallonata da vicino da Tv8 di Sky col suo 3,33% (1,1 punti di crescita sul settembre 2016), che supera di slancio La7 (scesa al 2,58%, giù di 0,6 punti rispetto a 12 mesi fa). In nona posizione Nove con l’ 1,8% (0,5 punti in più).

Chessidice

Italia Oggi

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Sky, prime lettere di licenziamento. Sono arrivate le prime lettere di licenziamento ai dipendenti tecnici e amministrativi di Sky che non hanno accettato il trasferimento da Roma a Milano. Il trasferimento riguarda varie direzioni aziendali e, da un punto di vista giornalistico, coinvolge anche la redazione di Sky Tg24 (vedere ItaliaOggi del 18/1/2017). Nella capitale resteranno la redazione politica del telegiornale e quella che copre il Centro Italia (in tutto poco più di 30 giornalisti). Sky Tg24 inizierà a trasmettere da Milano da fine mese. Vodafone Tv, nuove funzionalità per i canali Viacom. Con l’ accordo tra Vodafone Italia e Viacom International Media Networks Italia per la Vodafone Tv, i canali Paramount Channel e VH1 (già disponibili nell’ offerta lineare) adottano una serie di nuove funzionalità avanzate che consentono di mettere in pausa, registrare i programmi preferiti e vedere contenuti già andati in onda. Citynews sbarca in Europa. Il gruppo editoriale specializzato nell’ informazione locale online lancia il quotidiano Europa.Today.it. La nuova testata avrà una redazione europea a Bruxelles gestita dai giornalisti Dario Prestigiacomo e Alberto D’ Argenzio, che presiederanno le sedi del Parlamento Ue sia a Bruxelles sia a Strasburgo, in modo tale da seguire le decisioni delle istituzioni comunitarie e in particolare quelle dell’ Europarlamento. Triboo, risultato netto nel semestre per 1 mln di euro. La società quotata all’ Aim e specializzata in e-commerce e servizi digitali ha chiuso il primo semestre 2017 con un risultato netto adjusted pari a 1 mln euro (-38% rispetto allo stesso periodo dell’ anno scorso). I ricavi netti consolidati hanno raggiunto quota 31,6 mln di euro (+3,6%), l’ ebitda adjusted consolidato è pari a 4,5 mln (-6%). L’ indebitamento finanziario netto, invece, si è attestato a 1,4 mln rispetto a disponibilità liquide di 4,16 mln al 31 dicembre 2016. Variazione, hanno fatto sapere da Triboo, in larga misura dovuta al pagamento di dividendi e ai significativi investimenti in partecipazioni e immobilizzazioni.

Google aiuterà gli editori a trovare abbonati online

Italia Oggi

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Google lancerà questa settimana nuovi strumenti che dovrebbero aiutare gli editori a ottenere maggiori ricavi online attraverso la vendita dei contenuti. In primo luogo il motore di ricerca abbandonerà il First click free il programma che richiedeva ai siti di news a pagamento di concedere almeno tre articoli gratuiti al giorno agli utenti che raggiungevano il contenuto passando da una ricerca o da un link su Google News. Al suo posto sarà lanciato un nuovo programma chiamato Flexible sampling con cui sarà l’ editore a decidere quanti articoli lasciare gratuiti al mese a ciascun utente prima di richiedere il pagamento. Google consiglia che gli articoli liberi siano una decina al mese, ma comunque continuerà a indicizzare tutti i contenuti dell’ editore al di là delle scelte in tal senso. In passato chi non partecipava al First click free, invece, non aveva indicizzati interamente i contenuti e per questo era in genere meno preminente nei risultati di ricerca. Il Wall Street Journal, per esempio, ha visto calare il traffico dal motore del 45% nel momento in cui ha deciso di uscire dal programma First click free. Infine Google metterà a disposizione strumenti che attraverso le informazioni sull’ utente e le sue preferenze dovrebbero aiutare a vendere abbonamenti online più semplicemente.

Stampa, raccolta a -9,2%

Italia Oggi
MARCO LIVI
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Ancora un segno negativo per gli investimenti in comunicazione sulla carta stampata. Secondo i dati dell’ Osservatorio Stampa Fcp relativi al periodo gennaio-agosto 2017 il fatturato pubblicitario del mezzo stampa in generale ha registrato un calo del 9,2% rispetto allo stesso periodo dell’ anno precedente raggiungendo i 564,7 milioni di euro. In particolare, nei primi 8 mesi dell’ anno i quotidiani nel loro complesso hanno segnato un andamento negativo sia a fatturato (-10,3%, a quota 360 milioni di euro) sia a spazio (-4,8%). Per quanto riguarda le singole tipologie, la commerciale nazionale ha evidenziato un -13,7% a fatturato e un -11,2% a spazio, la commerciale locale un -6% a fatturato e un -2,7% a spazio, la legale un -11,9% a fatturato e -12,3% a spazio. La tipologia Finanziaria ha ottenuto un -16,4% a fatturato e un -12,8% a spazio, la Classified un -4,3% a fatturato e un -3,4% a spazio. I periodici hanno visto un calo sia a fatturato del 7% (pari a 204,7 milioni di euro) sia a spazio del 4%. I settimanali hanno registrato un decremento sia a fatturato (giù del 5% a 111,3 milioni di euro) sia a spazio (-3,5%), i mensili evidenziano invece una diminuzione dell’ 8,6% a fatturato (pari a 86,6 milioni di euro) e del 4,5% a spazio. Le altre periodicità hanno chiuso il periodo con un -16,4% a fatturato (a quota 6,7 milioni di euro) e un -6,2% a spazio. © Riproduzione riservata.

Editori, l’ Ue discute sul copyright

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Continua il suo percorso nel Parlamento e nel Consiglio Ue la proposta di direttiva che riconosce in capo agli editori di giornali uno specifico diritto connesso al diritto d’ autore sugli articoli. Ma mentre in Parlamento due commissioni su tre incaricate di fornire il proprio parere hanno appoggiato la formulazione che darebbe piene garanzie agli editori, un indebolimento della proposta originaria potrebbe arrivare dal Consiglio Ue. La presidenza estone ha infatti adottato una bozza di compromesso che intende inviare al Parlamento per raggiungere un accordo sul testo presentato dalla Commissione europea a settembre dello scorso anno che ha visto l’ opposizione della maggior parte dei paesi e per contro l’ appoggio di Italia, Germania, Francia, Spagna e Portogallo. La bozza di compromesso della presidenza estone contiene due ipotesi: l’ eliminazione dall’ ambito di applicazione del diritto degli estratti degli articoli (gli snippet) utilizzati dagli aggregatori come Google News, oppure la sostituzione del diritto connesso con una generica «presunzione di rappresentanza dei diritti degli autori delle opere editoriali». Quest’ ultima ipotesi è persino peggiorativa rispetto all’ attuale legislazione italiana sul diritto d’ autore. Il diritto connesso nella legislazione europea è già presente per esempio per i broadcaster radio e tv, le cui trasmissioni sono sempre protette sebbene essi a volte non siano titolari del diritto d’ autore di ciò che trasmettono, per esempio un film o una serie tv. In altre parole, il broadcaster può agire contro terzi che per esempio ritrasmettano online il proprio canale in virtù del diritto connesso e non in virtù del diritto d’ autore che resta in capo a chi ha creato il contenuto. La proposta di direttiva presentata a settembre dello scorso anno, che modifica l’ attuale copyright europeo per tenere conto delle innovazioni del digitale, riconosce un diritto connesso anche in capo agli editori per l’ utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico, accanto al diritto d’ autore dei giornalisti. Sicuramente il diritto connesso per gli editori sarà esteso anche alla carta, non solo all’ online, grazie a emendamenti presentati sia in Parlamento che in Consiglio. Le norme italiane in quest’ ambito (del 1942) sono già avanti, perché gli editori sono titolari del diritto d’ autore su giornali e riviste quali opere collettive, mentre non accade così in altri paesi. La direttiva permetterebbe perciò di uniformare il diritto europeo e di chiarire cosa accade nel digitale in quei paesi in cui le leggi fanno riferimento ancora soltanto alla carta come per l’ Italia. Si tratta di dare agli editori certezza sullo sfruttamento dei propri contenuti anche online e maggiore potere contrattuale nei confronti degli operatori del web e degli aggregatori di notizie. Anche perché nella formulazione originaria la tutela del diritto connesso vale anche sugli estratti degli articoli, gli snippet, che per esempio si trovano su Google News. Le associazioni europee degli editori, tra cui l’ Enpa (quotidiani) presieduta da Carlo Perrone e l’ Emma (magazine), nelle quali è presente la Fieg, premono perché la formulazione della direttiva resti quella originale formulata dalla Commissione europea che darebbe pieno controllo dei contenuti, anche negli estratti. Il risultato peggiore di un possibile compromesso, però, non sarebbe tanto l’ esclusione degli snippet dall’ ambito di applicazione della direttiva, quanto dalla sostituzione del diritto connesso con la presunzione di rappresentanza dei diritti degli autori delle opere editoriali. Ciò significa che l’ editore è ritenuto rappresentante del diritto d’ autore in capo al giornalista con il rischio di dover dimostrare volta per volta a terzi questa rappresentanza. «Una stampa libera e indipendente», spiegano le associazioni degli editori, «può esistere solo se ci sono sufficienti ricavi per pagare giornalisti, fotografi e freelance e per finanziare la loro formazione e la sicurezza. Oggi, la prospettiva è sempre più ridotta, a causa della diminuzione dei ricavi dalla carta stampata che non sono stati recuperati con il digitale nonostante l’ aumento dei lettori». I motivi di tutto ciò dipendono dal fatto che i grandi motori di ricerca (ma non solo Google, chiariscono) e altri player rendono il contenuto degli editori disponibile gratuitamente e che parallelamente si perdono anche gli introiti pubblicitari perché gli utenti passano direttamente alla ricerca e ai social network. © Riproduzione riservata.

Arrivano le edicole 2.0

Italia Oggi
FRANCESCO CERISANO
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Sconti fiscali per le edicole. I comuni potranno applicare alle rivendite di giornali canoni ridotti per l’ occupazione di suolo pubblico, nonché esentare gli edicolanti dalle imposte pagate sulle locandine editoriali dei quotidiani e dei periodici. E persino valutare riduzioni delle imposte immobiliari (Imu e Tasi). Le edicole si trasformeranno in veri e propri centri servizi per i cittadini dove sarà possibile richiedere certificati anagrafici, pagare i ticket, prenotare visite mediche, spedire o ricevere corrispondenza. Il tutto h24 perché i comuni potranno liberalizzare gli orari di apertura delle edicole con l’ obiettivo di garantire l’ offerta del servizio in ogni momento possibile. Sindaci ed editori di giornali si stringono reciprocamente la mano per offrire più servizi ai cittadini sul territorio, sfruttando la presenza capillare delle edicole e porre un freno alla crisi profonda dell’ editoria. E lo fanno con un protocollo d’ intesa, sottoscritto ieri da Anci e Fieg, che punta a ripensare il ruolo delle rivendite di giornali, ampliando le categorie di beni e servizi offerti al pubblico. Editori e sindaci scommettono sul fatto che una rete di rivendite potenziata e moderna, in grado di offrire all’ utenza servizi ad alto valore aggiunto, possa porre un freno alla progressiva riduzione delle edicole e al contempo, moltiplicando «le occasioni di incontro tra le testate e il lettore», far bene ai giornali. Con il protocollo d’ intesa, l’ Anci si impegna a sensibilizzare tutte le amministrazioni comunali (a partire dai comuni capoluogo di regione e di provincia) affinché riconoscano alle edicole le agevolazioni individuate come necessarie per rilanciare il settore. Non solo. Le amministrazioni comunali dovranno assicurare una presenza capillare dei punti vendita della stampa anche nelle aree periferiche. I municipi potranno inoltre attuare politiche di sostegno per la ristrutturazione delle edicole Nella loro progressiva trasformazione in centri servizi per il cittadino, le edicole dovranno comunque destinare la maggioranza degli spazi all’ esposizione e alla vendita della stampa. Il protocollo d’ intesa prevede la costituzione di un tavolo bilaterale che valuterà le modalità delle iniziative previste dall’ accordo e ne verificherà l’ andamento. Il presidente dell’ Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro, ha sottolineato l’ utilità per i cittadini dell’ ampliamento dei servizi offerti dalle edicole. «Con l’ accordo che abbiamo sottoscritto, si amplia l’ offerta di beni e servizi sul territorio, aumentando l’ accesso dei cittadini», ha osservato. Mentre per il presidente della Fieg, Maurizio Costa, con il protocollo firmato con l’ Anci, «si avvia un percorso per riqualificare e ridefinire il ruolo e la funzione dei tradizionali punti vendita della stampa, favorendone l’ ammodernamento e trasformandoli in luoghi al servizio della comunità locale, dove il cittadino, insieme al proprio giornale, può chiedere un certificato, prenotare una visita medica, acquistare l’ ingresso ad un museo»,

Sgravi per la solidarietà

Italia Oggi
DANIELE CIRIOLI
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Solidarietà fa non più rima con produttività. Da quest’ anno, infatti, lo sgravio contributivo del 35% spetta «a pioggia» alle imprese che riducono l’ orario di lavoro oltre il 20% per evitare i licenziamenti, con stipula di un contratto di solidarietà difensiva. Non è più necessario, in altre parole, realizzare un miglioramento della produttività in misura pari allo sgravio, condizione prevista dalle vecchie regole. A stabilirlo è il decreto n. 2/2017. Imprese in Cigs. Lo sgravio, operativo dal 21 marzo 2014, è stato introdotto dal dl n. 34/2014 (convertito dalla legge n. 78/2014), a favore delle imprese soggette a Cigs (cassa integrazione guadagni straordinaria), nel caso stipulino contratti di solidarietà difensivi che prevedano la riduzione generalizzata dell’ orario di lavoro al fine di evitare licenziamenti per motivo oggettivo. Per gli anni 2014 e 2015 la disciplina è stata quella del dm n. 83312/2014, poi sostituito dal dm n. 17981/2015 efficace per l’ anno scorso. Incentivi a pioggia. Novità essenziale, che si applica da quest’ anno (anche per gli anni futuri), è la scomparsa della condizione della «produttività». Infatti, finora, requisito base per poter accedere allo sgravio, è stato l’ individuazione di strumenti di miglioramento della produttività di misura almeno pari allo sgravio. A tal fine, la disciplina prevedeva, entro il primo anno di validità dell’ accordo di solidarietà, lo svolgimento di specifici accertamenti ispettivi finalizzati, appunto, alla verifica dell’ effettiva adozione di strumenti di miglioramento della produttività. Lo sgravio contributivo. Lo sgravio si applica alle contribuzioni dovute a Inps e Inpgi da parte del datore di lavoro, con riferimento ai lavoratori interessati alla riduzione dell’ orario oltre il 20%. Lo sconto è del 35% per un periodo massimo pari alla durata del contratto di solidarietà e, comunque, non oltre 24 mesi. In ogni caso, lo sgravio è riconosciuto fino a esaurimento delle risorse pubbliche, pari a 30 mln di euro annui. In caso di esaurimento, il ministero ne dà comunicazione sul proprio sito internet, www.lavoro.gov.it, insieme all’ elenco delle imprese ammesse allo sgravio (vale l’ ordine cronologico di presentazione). La domanda. Lo sgravio è riconosciuto a domanda che l’ impresa deve produrre esclusivamente a mezzo Pec (posta elettronica certificata) al ministero del lavoro, con modulistica e modalità che saranno rese note sul sito dello stesso ministero. Per quanto riguarda i termini, invece: a) con riferimento all’ anno 2017 l’ istanza è presentata dal 30 novembre al 10 dicembre dalle imprese che al 30 novembre hanno stipulato un contratto di solidarietà, nonché dalle imprese che hanno avuto un contratto di solidarietà in corso nell’ anno 2016; b) a partire dal 2018 l’ istanza va presentata dal 30 novembre al 10 dicembre di ogni anno dalle imprese che al 30 novembre dello stesso anno hanno stipulato un contratto di solidarietà, nonché da quelle che hanno avuto un contratto di solidarietà in corso nel secondo semestre dell’ anno precedente.

Google aiuterà gli editori a vendere le news online. Finisce il modello ‘first click free’, arriva il ‘flexible sampling’: gli editori decideranno quando passare al pay

Prima Comunicazione

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Google fa un nuovo passo verso gli editori e mette fine alla politica del “First click free”, che consentiva di leggere un minimo di tre notizie gratis prima di arrivare a quelle a pagamento, inaugurando il ‘Flexible Sampling’. Lo ha annunciato online il colosso di Mountain View, precisando che in base a questa nuova policy gli editori saranno in grado di decidere autonomamente quanti contenuti mettere gratuitamente a disposizione del lettore prima di attivare il ‘paywall’, ovvero la consultazione a pagamento. Richard Gingras (foto Niemanlab.org) Nel dare il via a quello che definisce un “processo a lungo termine”, Google, nel nome della condivisione, presterà la sua assistenza agli editori per capire come semplificare il processo di acquisto dei contenuti da parte dell’ utente e, nel lungo periodo, intende “aiutare gli editori a raggiungere nuovi lettori, far crescere gli abbonamenti e i ricavi sviluppando una suite di prodotti e servizi”. Infatti, “sebbene le ricerche mostrino che le persone stanno cominciando ad abituarsi a pagare per le notizie – sottolinea Mountain View -, talvolta la macchinosità del processo per attivare un abbonamento può rappresentare un disincentivo e ovviamente questa non è una buona notizia per gli editori di news che vedono negli abbonamenti una fonte di fatturato di crescente importanza. Il nostro obiettivo è far si che gli abbonamenti funzionino in modo semplice ovunque e per tutti”. La decisione di passare alla ‘prova flessibilè arriva dopo un periodo di ricerche e di esperimenti congiunti con il New York Times e il Financial Times. Proprio da questi due quotidiani vengono i primi commenti positivi. “Siamo anche incoraggiati dal desiderio di Google di considerare altri modi di supportare i modelli di business in abbonamento e siamo felici di continuare a lavorare con loro per costruire soluzioni intelligenti al problema”, ha commentato Kinsey Wilson, adviser di Mark Thompson, ceo del New York Times. E per Jon Slade, chief commercial officer di Ft, “è importante ora costruire su quanto finora discusso e e accelerare il processo” ( Repubblica )

Siglato protocollo Anci-Fieg per salvaguardare le edicole e trasformarle in ‘rete di servizi al cittadino’

Prima Comunicazione

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“Comuni ed editori insieme per salvaguardare la rete delle edicole e trasformarla in rete di servizi al cittadino”. Con questo obiettivo l’ Anci e la Fieg hanno sottoscritto oggi a Roma un protocollo d’ intesa. “La funzione dei quotidiani nel dibattito e’ fondamentale – commenta il presidente dell’ Anci e sindaco di Bari Antonio Decaro – sono infatti media che, mettendo a confronto opinioni ed analisi, esprimono diverse posizioni su temi di carattere generale e di attualita’, consentendo all’ opinione pubblica di approfondire l’ informazione. Non si puo’ ridurre la discussione ai soli, se pur utili, passaggi televisivi o ai post sui social network”. Il presidente dell’ Anci ha sottolineato poi l’ utilita’ per i cittadini dell’ ampliamento dei servizi che le edicole possono offrire. “Con l’ accordo che abbiamo sottoscritto, si amplia l’ offerta di beni e servizi distribuendola sul territorio, aumentando l’ accesso dei cittadini”. “La profonda crisi che attraversa il settore dell’ editoria quotidiana e periodica – ha dichiarato Maurizio Costa, presidente della Fieg – ha avuto pesanti conseguenze anche sulla rete di distribuzione della stampa. Le recenti novita’ legislative volte alla liberalizzazione del sistema distributivo della stampa e della vendita di giornali costituiscono una prima utile risposta per moltiplicare le occasioni di incontro tra i giornali e i lettori. Con il protocollo firmato oggi, insieme ai Comuni, si compie un ulteriore passo avanti: si avvia un percorso per riqualificare e ridefinire il ruolo e la funzione dei tradizionali punti vendita della stampa, favorendone l’ ammodernamento e trasformandoli in luoghi al servizio della comunita’ locale, dove il cittadino, insieme al proprio giornale, puo’ chiedere un certificato, prenotare una visita medica, acquistare l’ ingresso ad un museo”. Il protocollo prevede la sensibilizzazione di tutte le amministrazioni comunali, a partire dai comuni capoluogo di regione/provincia, affinche’: riducano considerevolmente i canoni delle edicole per le occupazioni permanenti e temporanee di suolo pubblico ed esonerino dall’ imposta le locandine editoriali dei quotidiani e dei periodici esposti nei locali pubblici; diano agli edicolanti la possibilita’ di ampliare le categorie di beni e i servizi offerti ai cittadini e turisti (pagamento ticket, prenotazioni visite mediche, spedizioni e recapiti corrispondenza, eccetera), garantendo che la parte maggioritaria degli spazi del punto vendita sia comunque destinato all’ esposizione e alla vendita della stampa; promuovano iniziative volte ad assicurare una presenza capillare dei punti vendita della stampa, anche nelle aree periferiche; individuino criteri volti alla liberalizzazione degli orari e dei periodi di chiusura dei punti vendita con l’ obiettivo di garantire la presenza di rivendite di giornali in ogni momento possibile; prevedano iniziative volte a riqualificare e ridefinire il ruolo e la funzione dei tradizionali punti vendita della stampa con politiche di sostegno per la ristrutturazione/sostituzione dei manufatti utilizzati per la vendita. Il protocollo prevede, inoltre, la costituzione di un tavolo bilaterale che valutera’ le modalita’ delle iniziative previste dall’ accordo e ne verifichera’ l’ andamento. (ITALPRESS)

La pubblicità sulla stampa in calo del 9,2% ad agosto. I dati Fcp: quotidiani -10,3%, settimanali -5%, mensili -8,6% (TABELLA)

Prima Comunicazione

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I dati dell’ Osservatorio Stampa Fcp relativi al periodo gennaio-agosto 2017 raffrontati con i corrispettivi 2016. Il fatturato pubblicitario del mezzo stampa in generale registra un calo del -9,2% . Lo dicono i dati dell’ Osservatorio Stampa Fcp (xls). In particolare i quotidiani nel loro complesso registrano un andamento negativo sia a fatturato -10,3% che a spazio -4,8%. Le singole tipologie segnano rispettivamente: La tipologia Commerciale nazionale ha evidenziato -13,7% a fatturato e -11,2% a spazio. La pubblicità Commerciale locale -6,0% a fatturato e -2,7% a spazio. La tipologia Legale ha segnato -11,9% a fatturato e -12,3% a spazio. La tipologia Finanziaria ha segnato -16,4% a fatturato e -12,8% a spazio La tipologia Classified ha segnato -4,3% a fatturato e -3,4% a spazio. I periodici segnano un calo sia a fatturato del -7,0% che a spazio del -4,0%. I settimanali registrano un andamento negativo sia a fatturato del -5,0% che a spazio del -3,5%. I mensili segnano un calo a fatturato -8,6% e a spazio -4,5%. Le altre periodicità registrano -16,4% a fatturato e -6,2% a spazio. – Leggi o scarica i dati dell’ Osservatorio Stampa Fcp di agosto 2017 (xls)

Citynews lancia Europa.Today.it quotidiano online dedicato alle news sulle istituzioni comunitarie. Fernando Diana: progetto sostenuto dal Parlamento Europeo

Prima Comunicazione

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Il Gruppo Editoriale Citynews annuncia la pubblicazione del quotidiano digitale Europa.Today.it. La nuova testata Citynews avrà una redazione europea a Bruxelles gestita da due giornalisti di lunga esperienza, Dario Prestigiacomo e Alberto D’ Argenzio, i quali saranno presenti nelle sedi del Parlamento Ue sia di Bruxelles che di Strasburgo in modo tale da poter dare notizie in diretta sui fatti inerenti le istituzioni comunitarie ed in particolare l’ Eurocamera. “Questo progetto, che riceve per il suo primo anno di vita il sostegno economico del Parlamento Europeo – dichiara Fernando Diana, co-founder del Gruppo Editoriale Citynews -, è la nostra prima iniziativa al di fuori del territorio nazionale e si prefigge l’ obiettivo di creare un innovativo sistema editoriale che sposi l’ informazione europea con quella locale. Con Europa.Today, Citynews si ripropone di colmare il vuoto informativo sulle iniziative del Parlamento Ue in Italia, sottolineato da Eurobarometro Parlameter del 2016, promuovere il dialogo nella cittadinanza e tra gli attori sociali sulle attività del Parlamento e degli eurodeputati e ridurre la distanza tra gli italiani e le istituzioni comunitarie. La nostra presenza fisica presso le istituzioni europee di Bruxelles e Strasburgo ci fornirà, inoltre, un punto di osservazione privilegiato e una capacità unica di riportare nei nostri territori locali le attività e iniziative che li riguardano direttamente”. Dario Prestigiacomo, dopo brevi esperienze all’ Ansa e al Giornale di Sicilia, ha collaborato con La Repubblica dal 2006 al 2014. Nel 2012 si trasferisce a Bruxelles dove inizia a collaborare con l’ Agenzia Vista e con l’ Huffington Post. “Il nostro progetto è molto esteso – afferma Dario – e l’ idea di fondo che ha portato Citynews alla sua realizzazione è stata quella di poter diffondere notizie europee di prossimità. Faremo un ampio uso di contenuti video (reportage ed interviste), di infografiche e contrasteremo il fenomeno delle fake news, che affligge da sempre tutte le attività svolte dal Parlamento europeo, affrontandone e smontandone almeno una ogni settimana. Alberto D’ Argenzio vive a Bruxelles dal 2000, quando inizia l’ attività di giornalista free lance, occupandosi principalmente di Europa. Collabora con l’ Ansa ed ha coperto per diversi media italiani e stranieri la guerra in Georgia del 2008. “Il progetto prevede di utilizzare il portale Europa.Today non come uno spazio impermeabile in cui concentrare le notizie sul Parlamento Ue – precisa Alberto -, ma come un contenitore da cui attingere le notizie stesse e riversarle, attraverso la presenza di widget fissi nelle home page, nei quotidiani del Gruppo Editoriale Citynews, in modo da ampliarne la visibilità e catturare in maniera trasversale l’ attenzione dei lettori. A questo scopo la nuova piattaforma Europa.Today.it pubblicherà articoli utilizzando un linguaggio meno burocratico e soprattutto realizzerà un’ importante e scrupolosa attività di Fact Checking, analizzando i principali temi al centro del dibattito del Parlamento Ue”.

Al via il progetto “Buon Senso” per orientare i ragazzi tra le notizie

La Repubblica
RAFFAELLA DE SANTIS
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L’ INIZIATIVA DI LATERZA CON IL MINISTERO DELL’ ISTRUZIONE ROMA. Orientarsi nel flusso continuo delle informazioni e capire come scegliere le notizie e come comunicarle. È questo l’ obiettivo del progetto Buon Senso lanciato dagli editori Laterza e dal ministero dell’ Istruzione e della Ricerca. «È diventato prioritario investire energie sulla scuola», ha detto Giuseppe Laterza presentando il progetto nella sede del Miur. Insieme all’ editore c’ erano la ministra Valeria Fedeli, la direttrice di Rai Cultura Silvia Calandrelli, il direttore del Tgr Rai Vincenzo Morgante. La Rai è partner dell’ iniziativa insieme a Repubblica, La Stampa, la Gazzetta del Mezzogiorno e altre realtà, tra cui la Fondazione Giovanni Agnelli e l’ Istat. In questa prima fase sperimentale saranno coinvolti alcuni istituti di Torino, Roma e Bari. Gli studenti saranno seguiti da giornalisti, scrittori, registi, sociologi, tra cui Fabio Geda, Alessandro Leogrande, Igiaba Scego, Francesco Remotti, Andrea Segre, Sergio Rubini. Si tratterà di aiutare i ragazzi a strutturare e consolidare le loro competenze per leggere la realtà, capendo come si riconosce una notizia, come si risale alle fonti, come ci si documenta. Il tema scelto per il primo anno è l’ immigrazione. La sfida, ha spiegato Laterza, sarà trasformare il senso comune in buon senso: «Buon senso implica un giusto equilibrio tra razionalità ed emotività, tra interessi immediati e di lungo periodo, tra idee generali ed esperienza individuale». Gli studenti saranno chiamati a mettersi alla prova con video, saggi, reportage e spettacoli teatrali. Alla fine, il 28 maggio, si terrà una manifestazione all’ Auditorium Parco della Musica per presentare i lavori. «Questa sperimentazione in futuro potrà riguardare anche altre scuole», ha detto la ministra Fedeli. E sul significato dell’ iniziativa, ha aggiunto: «Quelli proposti in questo progetto sono percorsi di cittadinanza attiva e consapevole». Laterza ha concluso facendo proprio l’ invito di Piero Calamandrei a considerare la scuola come agente di mobilità sociale e garanzia di democrazia. LA PRESENTAZIONE Giuseppe Laterza con la ministra Valeria Fedeli.

Addio a “Si” Newhouse il magnate dell’ editoria che amava la cultura

La Repubblica
ANTONIO MONDA
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NEW YORK Con la morte di Samuel Irving Newhouse Jr, scomparso domenica a New York all’ età di quasi novant’ anni (li avrebbe compiuti a novembre), se ne va uno degli ultimi rappresentanti di un mondo che ha forgiato e dominato la cultura, non solo americana, degli ultimi cinquant’ anni. “Si”, come era chiamato dagli amici, era un titano dell’ editoria ma soprattutto un uomo che incarnava come pochi altri la più imprescindibile delle qualità di coloro che hanno reso grande l’ America: la visione, lo sguardo aperto e profetico sul futuro. Per comprenderne il potere basti pensare che in occasione del suo compleanno bloccava il Mo-MA per un’ anteprima mondiale del film più atteso dell’ anno, e chiedeva ad Andrew Sarris, il più grande critico americano, di presentare la pellicola spiegandone l’ importanza. Le serate proseguivano quindi nel suo spettacolare appartamento affacciato sul fiume Hudson, dove interveniva la crema della città, in un rito che contemplava sempre lo stesso menù, a cominciare dalla torta inglese al rabarbaro. E quelle cene esclusive consentivano di ammirare anche una delle più belle collezioni d’ arte del mondo: alle pareti opere di Van Gogh, Cézanne, Jackson Pollock, Jasper Johns, Lucian Freud, Francis Bacon e molti altri, affidate a un curatore privato, che ogni tanto cambiava posizione ai capolavori. Una collesione che negli ultimi anni si è arricchita con le opere di Damien Hirst, Jeff Koons e Giacometti. È stato un filantropo e un mecenate delle arti, ma anche un uomo d’ affari dal fiuto ineguagliabile: nel 1978 acquistò Random House, la più importante casa editrice americana, per 60 milioni di dollari, per rivenderla poco più di quindici anni dopo per 1,4 miliardi. Il suo nome è associato soprattutto alla proprietà del gruppo editoriale Condé Nast, nonostante ciò rappresentasse soltanto una parte del suo impero. La acquistò nel 1959 per accontentare la prima moglie Mitzi, che amava Vogue, ma poi cominciò ad appassionarsi alla nuova avventura: la sua linea editoriale era quella di non pubblicare riviste che vendessero meno di un milione di copie, con l’ eccezione di AD. Fanno parte dell’ impero anche Vanity Fair, GQ, Condé Nast Traveller. E il New Yorker, la più importante rivista culturale del mondo, tenuta in vita da lui anche quando perdeva fino a 20 milioni di dollari l’ anno. Newhouse intuì prima di ogni altro come stava cambiando il mondo dell’ informazione e mutò radicalmente il modo di proporre le notizie: il glamour acquista un ruolo centrale, arricchito tuttavia di pezzi di primissima qualità. In particolare su Vanity Fair. Si è trattato di una rivoluzione irreversibile, che lui realizzò offrendo compensi straordinari quanto inediti, e teorizzando che nel mondo dell’ arte e della cultura «lo spreco è essenziale per ottenere qualcosa di valido». Chi lo ha frequentato recentemente lo ricorda molto provato nel fisico ma ancora attento alle scelte imprenditoriali: è stato lui a occuparsi in prima persona del trasferimento del quartier generale della Condé Nast nella Freedom Tower, il grattacielo costruito sulle rovine di Ground Zero. Negli ultimi tempi ricordava spesso i genitori, ebrei russi, e l’ università di Syracuse, la sua alma mater, dove poi ha finanziato la più importante scuola di giornalismo del paese. E a chi gli chiedeva di raccontare le sue maggiori passioni parlava degli unsung heroes, gli eroi anonimi, i grandi non celebrati dai media: «Tutti ricordano Joe Louis e Rocky Marciano: ma io voglio bene a Ezzard Charles, ha perso con entrambi ma è stato anche lui campione del mondo». ©RIPRODUZIONE RISERVATA LA FOTO A destra, Si Newhouse fotografato con la direttrice di Vogue Anna Wintour e lo stilista Oscar de la Renta nel 2011 CON TRUMP Sopra, Newhouse stringe la mano al futuro presidente americano Donald Trump nel 1987.

Fieg e Comuni patto per rilanciare le edicole italiane

La Repubblica

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ROMA. «Comuni ed editori insieme per salvaguardare la rete delle edicole e trasformarla in rete di servizi al cittadino». Con questo obiettivo l’ Anci, l’ Associazione dei Comuni, e la Fieg, la Federazione degli editori di giornali, hanno sottoscritto ieri a Roma un protocollo d’ intesa. Il protocollo prevede la sensibilizzazione di tutte le amministrazioni comunali affinché riducano i canoni delle edicole per le occupazioni di suolo pubblico; diano agli edicolanti la possibilità di ampliare le categorie di beni e i servizi offerti dalle prenotazioni delle visite mediche ai recapiti di corrispondenza; liberalizzino gli orari. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

Articoli web gratis Google si arrende: decide l’ editore

La Repubblica

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ROMA. Gli editori accolgono con favore la decisione di Google di rivedere il sistema “First Click Free” che obbligava gli editori a offrire ogni giorno tre articoli gratis prima della consultazione a pagamento. Con l’ adozione del “Flexible Sampling” saranno ora gli editori a decidere in autonomia quali e quanti contenuti offrire gratis. La svolta sul “futuro degli abbonamenti digitali”, illustrata sul blog di Google dal vicepresidente News Richard Gingras, nasce da «ricerche che mostrano come le persone si abituano a pagare per le notizie». Tuttavia, si spiega, la macchinosità del processo per attivare un abbonamento può essere un disincentivo. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.

«Servizi ai cittadini nelle edicole»

Corriere della Sera

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Èstato firmato ieri a Roma, dalla Associazione nazionale Comuni italiani (Anci) e dalla Federazio-ne italiana editori giornali (Fieg), un protocollo per «salvaguardare la rete delle edicole e trasformarla in rete di servizi al cittadino». Antonio Decaro, presidente di Anci, ha sottolineato «la funzione fondamentale dei quotidia-ni che con opinioni e analisi consen-tono all’ opinione pubblica di appro-fondire l’ informazione». Per il presi-dente di Fieg, Maurizio Costa, «si av-via un percorso per riqualificare e ri-definire ruolo e funzione dei tradizio-nali punti vendita della stampa, favo-rendone l’ ammodernamento: il citta-dino con il giornale, può chiedere un certificato, prenotare una visita medi-ca, acquistare l’ ingresso a un museo». Il Sindacato nazionale autonomo giornalai è «rammaricato per non essere stato coinvolto» e sottolinea che «la Fieg non può rappresentare la rete di vendita della stampa. Chiedia-mo di essere convocati con la massi-ma urgenza per valutare i contenuti del protocollo».

L’ allarme degli Editori per i rischi dell’ E-privacy

Corriere della Sera
Ivo Caizzi
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L’ Associazione europea degli editori di giornali e new media Enpa di Bruxelles, presieduta da Carlo Perrone, sta facendo pressione sull’ Europarlamento per far modificare le proposte di nuova regolamentazione a tutela della privacy dei cittadini sulla Rete. Gli editori sostengono che, invece di offrire maggiori garanzie ai lettori dei giornali, finiscono per consentire l’ accesso ai loro dati personali ai giganti del web come Google o Facebook «in totale contraddizione con gli interessi dei cittadini europei e penalizzando in Europa la stampa libera, indipendente e pluralistica». All’ Enpa temono che l’ impatto delle nuove regole Ue sulla E-privacy possa essere così preoccupante da mettere a rischio il futuro dell’ informazione digitale. Google ha però lanciato un segnale di dialogo agli editori di giornali, proponendo un nuovo sistema per favorire la sottoscrizione dei loro abbonamenti a pagamento. Un primo periodo di prova con i quotidiani New York Times e Financial Times avrebbe dato risultati positivi. Anche Facebook intenderebbe lanciare un progetto in grado di aumentare gli introiti di un gruppo di testate preventivamente selezionate.


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