Indice Articoli
Tempi stretti per il bonus pubblicità
Tv, fronte comune sulle «quote»
Editori tv a Franceschini: no all’ obbligo di più investimenti
Eurosport all’ attacco sulla pay tv
Il garante Ue: serve chiarezza ma prevarrà il buonsenso
Pubblicità online e l’ ostacolo Ue
Vittorio Farina si dimette da presidente e ad di Netweek
Telefonini e Sky, la grande truffa ha fatto 13
Le tv protestano contro il governo: quote insostenibili sugli audiovisivi
Tutti uniti contro il decreto Franceschini.
Il Gazzettino di Venezia festeggia i suoi 130 anni
I network tv scrivono a Franceschini: no a quote di produzioni Ue e italiane
Più prodotti italiani nei nostri palinsesti Ma le tv protestano “Sono fuori mercato”
Rcs cerca l’ accordo con Gems-Feltrinelli per i libri
Il direttore del Tempo indagato per avere chiesto un’ intervista
Grillo insulta i giornalisti e prepara le nuove purghe
Tempi stretti per il bonus pubblicità
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Siamo agli sgoccioli. È atteso in tempi brevi, ben prima del 22 ottobre che invece è il termine previsto, il Dpcm con cui si darà completa attuazione all’ avvio del credito d’ imposta al 75% (90% se a investire sono piccole e medie imprese, microimprese e startup innovative) per le imprese e i lavoratori autonomi che investono in campagne pubblicitarie su quotidiani, periodici, sulle emittenti Tv e radio locali. È questione di giorni dunque, a quanto risulta al Sole 24 Ore, la pubblicazione dell’ atto che darà concreto avvio al “bonus pubblicità”, l’ agevolazione introdotta dalla manovra correttiva 2017 e prevista per soggetti i cui investimenti supereranno nel periodo interessato dell’ 1% il valore degli investimenti, di analoga natura, effettuati nell’ anno precedente. Un’ operazione, questa, fortemente richiesta dalla Fieg al Tavolo editoria in ottemperanza, peraltro, di quanto previsto nella legge 198/2016. Accanto a questa misura la manovra correttiva ha poi partorito un ulteriore intervento a favore del settore, con misure di sostegno alle imprese editrici di nuova costituzione, attraverso la previsione di bandi annuali della presidenza del Consiglio per l’ assegnazione di finanziamenti per la realizzazione di progetti innovativi. Quella del credito d’ imposta per la parte incrementale degli investimenti in pubblicità è una misura che il settore dell’ editoria attende con molto interesse. I numeri del resto continuano a posizionare il barometro sul maltempo. E grandi spiragli non se ne vedono. Il “Rapporto sull’ industria italiana dei quotidiani” – ricerca realizzata ogni anno dall’ Asig (Stampatori) e dall’ Osservatorio tecnico “Carlo Lombardi” e presentato ieri a Bologna nel corso di Ediland Meeting 2017, organizzato insieme con Fieg – ne dà una chiara testimonianza. Il biennio 2015-2016 si è chiuso con un calo complessivo della diffusione dei quotidiani di poco inferiore al 20% con flessione accentuata nell’ ultimo anno (-11,5% contro il -9% del 2015). Il Rapporto segnala poi che «i primi mesi del 2017 non sembrano discostarsi da questo trend». Non va meglio la raccolta pubblicitaria con un mercato che, se a livello generale si mostra in ripresa, ha dall’ altra parte nella stampa cartacea un punto sul quale intervenire, visto che fra 2010 e 2017 il calo degli investimenti pubblicitari sul mezzo è stato di oltre il 50% «a un ritmo doppio rispetto al mercato», si legge sempre nel Rapporto. «La profonda crisi che attraversa l’ editoria impone cambiamenti importanti», ha commentato il direttore generale della Fieg, Fabrizio Carotti. «Bisogna prendere atto che gli economics si sono stabilizzati, purtroppo, al livello più basso delle previsioni», ha aggiunto dal canto suo Gianni Paolucci, presidente Asig. Non che sia tutto da buttare. Secondo Audipress un quotidiano negli ultimi tre mesi è andato nelle mani del 70% degli italiani sopra i 14 anni (il 33% lo legge tutti i giorni). E anche la “reputazione” e il ritorno in tal senso degli investimenti su carta stampata rappresentano elementi di favore. Il credito di imposta sulla pubblicità incrementale è comunque atteso come misura necessaria per una ripresa degli investimenti nel settore. L’ anticipo dei tempi rispetto al 22 ottobre è legato alla volontà del Governo (il dossier è seguito in particolare dal ministro Luca Lotti) di facilitare le pianificazioni pubblicitarie delle aziende. All’ interno del decreto, peraltro, dovrebbe essere messo nero su bianco che il credito d’ imposta varrà a partire già dal secondo semestre di quest’ anno. Sarà così sancito fuori da ogni dubbio un timing che la legge comunque contiene in sè, visto che le misure previste dalla manovra della scorsa estate sono entrate in vigore dal giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale. In questo modo, con una pubblicazione in tempi rapidi per come è attesa, gli ultimi mesi dell’ anno potrebbero vedere uno sprint di investimenti in pubblicità sui quali, quindi, si andranno ad applicare crediti di imposta del 75 o del 90% sul valore incrementale. Importante sarà avere anche la parola definitiva del Dpcm sulla base alla quale applicare il calcolo del valore incrementale. Vale a dire: è da considerare l’ intero novero di investimenti messi in campo dal soggetto che vuole avvalersi dei crediti d’ imposta o l’ incremento va calcolato sui singoli mezzi: stampa da una parte e Tv e radio locali dall’ altra? Il Dpcm in arrivo, a quanto risulta al Sole 24 Ore, dovrebbe mettere in chiaro la validità della distinzione per mezzi. Saranno esclusi gli investimenti sul web. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Tv, fronte comune sulle «quote»
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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I principali gruppi televisivi italiani si sono uniti e hanno scritto direttamente al ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, per dire un secco «no» al decreto legislativo di modifica delle quote di investimento obbligatorio dei broadcaster in opere europee di produttori indipendenti. Il decreto legislativo di modifica dell’ articolo 44 del Tusmar sta per approdare in Consiglio dei ministri. Il timore dei broadcaster è che ciò accada nel Cdm di domani anche se, a quanto risulta al Sole 24 Ore, in Consiglio dei ministri il decreto sarebbe previsto fra un paio di settimane. Il condizionale diventa però d’ obbligo in particolar modo ora, perché sarà necessario verificare la risposta del Mibact a una iniziativa forte e presa all’ unisono dai nove maggiori broadcaster del panorama nazionale: Rai, Mediaset, Sky, Discovery, La7, Viacom, Fox, Disney, De Agostini. Un fronte comune per protestare contro una bozza di decreto nella quale l’ obbligo di investire in opere europee di produttori indipendenti salirebbe dal 10% attuale del fatturato al 15% nel 2018 e al 20% entro il 2019 per le tv commerciali, mentre per la Rai gli obblighi di investimento passerebbero dal 15% attuale al 20% nel 2018 per raddoppiare al 30% entro il 2019. Le bozze del decreto, si legge nella lettera inviata dai broadcaster, «contengono previsioni particolarmente critiche e non sostenibili» tali da determinare «impatti negativi a livello economico ed editoriale per tutto il sistema radiotelevisivo». Si tratta di «maggiori e insostenibili obblighi in tema di investimenti e programmazione» con un aumento «insostenibile» dai circa 750 milioni totali del 2015 a circa 1,2-1,3 miliardi a regime nel 2019. Valutazioni, tiene a ribadire l’ industria televisiva, che arrivano da un settore teso «a offrire sempre nuove opportunità di sviluppo al mercato della produzione indipendente (solo negli ultimi 10 anni gli investimenti dei broadcaster nel settore della produzione indipendente sono stati pari a circa 10 miliardi di euro)» e in cui lavorano «circa 22mila persone con occupazione indiretta di 90mila persone». Sottolineando dunque «il totale fallimento del tavolo di lavoro» che aveva l’ obiettivo di formulare proposte per aggiornare il quadro normativo italiano, la richiesta è di riaprire le discussioni. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Editori tv a Franceschini: no all’ obbligo di più investimenti
Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Rai, Mediaset, La7 e ancora Sky, Discovery, Viacom, Fox, Walt Disney e De Agostini: tutti i principali gruppi televisivi presenti in Italia si stanno muovendo, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, contro la modifica dell’ articolo 44 del Tusmar (Testo unico servizi media audiovisivi radiofonici), promossa dal ministro dei beni culturali Dario Franceschini in vista del consiglio dei ministri di domani. L’ articolo 44 riguarda lo sviluppo e la diffusione della produzione audiovisiva europea ma la sua modifica porta, secondo gli editori tv, ad aumentare gli obblighi di programmazione e quelli d’ investimento con un sistema complicato di quote e sottoquote, tra produzioni indipendenti e opere italiane. Tanto più che la nuova regolamentazione, sempre secondo il giudizio dei broadcaster espresso in una lettera al ministro, non tiene conto delle conseguenze economiche per il settore. Impatto che, invece, può essere quantificato in un aumento della spesa in contenuti per oltre 500 mln di euro, portando gli investimenti complessivi a quota 1,2-1,3 mld nel 2019. Negli ultimi 10 anni il comparto ha sostenuto con una spesa di 10 mld le produzioni indipendenti, che ora rischiano di essere colpite da norme non sostenibili per il sistema. Infine, la preoccupazione degli editori tv si concentra su maggiori sanzioni, minori deroghe e possibili vantaggi impliciti per colossi del web e over-the-top (ott).
Eurosport all’ attacco sulla pay tv
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Eurosport Italia entra a gamba tesa nel mercato della pay tv nazionale con una offerta commerciale di quelle che potrebbero solleticare molti sportivi italiani: fino al prossimo 31 ottobre, infatti, è valida la promozione che consente a chiunque di abbonarsi a tutta l’ offerta di Eurosport Player, ovvero lo streaming a pagamento di Eurosport, al prezzo di 29,99 euro complessivi per 12 mesi. Cioè 30 euro all’ anno (non al mese, all’ anno) per vedere in esclusiva tutte le partite del campionato italiano di basket, dell’ Eurolega, i tornei di tennis del grande Slam (escluso Wimbledon) con collegamento multiplo su numerosi campi, i grandi giri e le classiche di ciclismo, i più importanti meeting di atletica leggera e di nuoto, tutti gli sport invernali, culminando con le Olimpiadi di Pyeongchang (Corea del Sud) dall’ 8 al 25 febbraio 2018, e gli sport motoristici, con la 24 Ore di Le Mans e la Superbike. Insomma, gli sportivi che non amano particolarmente il calcio potrebbero trovare molto interessante questa opzione, certamente più conveniente rispetto a quelle di Mediaset Premium o di Sky. Piattaforme sulle quali, peraltro, si vedono anche i canali di Eurosport. Con l’ acquisizione dei diritti pay del campionato di basket e di quelli free e pay dell’ Eurolega, Eurosport Italia fa un passo in avanti nella localizzazione della sua offerta. Ha versato alla Lega basket Serie A circa 6 milioni di euro per il triennio 2017-2020, con l’ esclusiva del campionato sia per l’ Italia (prima era di Sky, e versava alla Lega Serie A circa un milione di euro all’ anno), sia per l’ estero (per il biennio 2018-2020, prima i diritti erano di Mp Silva), e si prepara, per la prima volta in maniera organica, a trasmettere un prodotto destinato prevalentemente al pubblico italiano (non a quello paneuropeo), con un pre e post gara in studio, commentatori con un volto (e non solo in voce), e programmi settimanali studiati ad hoc per valorizzare il basket tricolore. Come spiega Luigi Ecuba, senior director Sports di Discovery Italia (gruppo che controlla Eurosport), «per la prima volta ci sarà tutto il campionato di basket in diretta, in Hd, su più piattaforme». Per uno sforzo produttivo «enorme», aggiunge Alessandro Araimo, executive vice president general manager Discovery Italia, «che porterà Eurosport a essere la casa del basket, con partite su Eurosport 2, e con Eurosport player che mostrerà tutti i match, sia live, sia on demand, e pure contenuti integrativi. Il basket deve tornare a essere popolare in Italia». Si inizia il 23 settembre, con la Supercoppa di Lega da Forlì, con una squadra di commentatori di alto livello (e in parte scippata a Sky) che vedrà tre grandi ex assi del basket come Carlton Myers, Andrea Meneghin, Hugo Sconochini affiancare le voci di Andrea Solaini, Nicolò Trigari e Luca Gregorio. © Riproduzione riservata.
Chessidice
Italia Oggi
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Il Gazzettino festeggia 130 anni con Mattarella. Venerdì lo storico quotidiano del Nordest, compie 130 anni e per l’ occasione festeggerà a Palazzo Ducale a Venezia, alla presenza, fra gli altri, del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. All’ evento sarà presentato il restyling del quotidiano che sarà in edicola da sabato 23 settembre. Marie Claire #Likes in edicola. In occasione della Fashion Week milanese, Marie Claire #Likes torna in edicola con un numero dedicato ai mondi che stanno subendo grandi metamorfosi: la moda, l’ arte, l’ editoria, il design, la sostenibilità e la comunicazione. Il servizio moda, col fotografo Fabrizio Ferri, è anche protagonista della mostra «Change» a Milano, in via della Spiga, dal 18 al 26 settembre.
Il garante Ue: serve chiarezza ma prevarrà il buonsenso
Italia Oggi
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Domanda. Giovanni Buttarelli, Garante europeo della protezione dei dati, le associazioni di editori e operatori Internet sono in allarme: le nuove norme potrebbero danneggiare il settore… Risposta. Ogni volta che c’ è una nuova iniziativa di questo tipo si genera panico non sempre giustificato. Abbiamo incontrato più volte le associazioni e fornito rassicurazioni. Alcuni dei punti dal loro rappresentati riguardano tutti i siti web che fanno pubblicità e quindi necessitano di una soluzione globale che in parte dipenderà dalla discussione del regolamento ePrivacy che deve essere ancora definito. Ci sono una novantina di emendamenti. Allo stato attuale c’ è grande continuità e su temi importanti come la profilazione e i cookies non stravolgimenti rispetto al presente. D. Sarà preservato il sistema attuale? R. Con il sistema attuale l’ utente spesso dà il consenso senza leggere. Dobbiamo fornire strumenti adeguati per fare scelte consapevoli. E deve essere chiaro tutto, compreso sapere se il consenso riguarda solo quel sito o quella sessione o si estende anche a siti terzi. È giusto ricevere pubblicità di prodotti che ho cercato su altri siti e in altre sessioni quando visito un quotidiano per leggerne le notizie? Da una disciplina ragionevole il settore ha da guadagnare rispetto al comportamento dei giganti mondiali e la novità è che questi principi si applicheranno a chiunque anche se non stabilito nel territorio Ue. D. Pensa che la proposta ePrivacy andrà in porto nei tempi previsti? R. C’ è un lieve ritardo ma non è detto che non possa essere colmato. Attenzione però, la presenza di questo secondo pezzo va a favore degli operatori che conosceranno da subito le norme che li riguardano. Vorrei dare un messaggio incoraggiante: nello sviluppo e applicazione di queste norme prevarrà il buon senso. Vogliamo deburocratizzare ed evitare formalismi. Oggi c’ è troppo formalismo e per giunta il sistema è fariseo: l’ utente accetta ma nessuno poi effettivamente va a verificare cosa accade e il comportamento degli operatori non sempre è omogeneo.
Pubblicità online e l’ ostacolo Ue
Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Il mondo dell’ editoria e dell’ advertising online è in grande fermento. Fra poco meno di 10 mesi, il 25 maggio del prossimo anno, entrerà in vigore il nuovo regolamento europeo sul trattamento dei dati personali, il General data protection regulation (2016/679). Ma il problema è che in quella stessa data la Commissione europea vorrebbe varare un altro regolamento, quello sull’ ePrivacy che tradurrà in pratica per l’ online i principi del Gdpr basati sull’ opt in, ovvero sull’ obbligo di richiedere preventivamente agli utenti il consenso per il tracciamento del loro comportamento online ai fini della pubblicità personalizzata. L’ allarme è stato lanciato tra gli altri dal presidente di Iab Italia, Carlo Noseda: «le nuove regolamentazioni mettono a rischio la salute della pubblicità digitale e quella dell’ intero settore dei media con un risvolto nettamente negativo sull’ indotto, sull’ occupazione e, di conseguenza, sull’ intera economia digitale». Gli editori italiani di siti web hanno già da tempo un sistema con cui chiedono il consenso agli utenti per l’ utilizzo di cookies. È infatti del 2014 il provvedimento del Garante della privacy a cui sono seguite linee guida l’ anno successivo. Eppure qualcosa potrebbe cambiare anche qui. «In Italia ora vige la possibilità di usare il cosiddetto soft opt-in», spiega il direttore generale di Iab Italia Daniele Sesini, «cioè l’ utente può prestare il suo consenso anche solo con lo scroll della pagina web. Se non modificata, la proposta di regolamento ePrivacy prevedrà al contrario che tutte le interazioni tra il fornitore di un servizio online e un dispositivo dell’ utente che comportino la memorizzazione e elaborazione di dati (praticamente tutte le attività su Internet) dovranno essere soggette al consenso espresso, per esempio tramite banner». C’ è poi un’ altra questione. La proposta permette che il consenso possa essere dato anche attraverso le impostazioni del browser, il programma usato per navigare. Questo significa che l’ utente può decidere a priori di bloccare (o accettare) i cookies che determinano la profilazione. Una scelta, in questo caso, che non sarebbe presa di volta in volta con minore chance di cambiare idea al momento. Vedremo cosa riusciranno a ottenere le attività di lobbying delle associazioni degli operatori, Iab in testa. Per ora la proposta ha ricevuto una novantina di emendamenti e tutto potrebbe cambiare. «Il solo Gdpr modifica la privacy in generale», chiarisce Laura Liguori, avvocato dello studio Portolano Cavallo. «Ma comunque resta in piedi la normativa cookies che attualmente viene dalla direttiva ePrivacy del 2009 che aveva modificato la precedente del 2002. L’ attuale modo per raccogliere il consenso per i cookies è spesso un consenso implicito, non è né espresso né tantomeno esplicito. Quando l’ attuale normativa fu approvata a livello europeo si voleva superare l’ allora vigente sistema dell’ opt-out ma di fatto dopo vari confronti si fini per accettare una soluzione ibrida come quella attuale». Di buono c’ è che il Gdpr prevede che non siano soltanto le aziende europee a doversi adeguare, ma qualsiasi altra azienda che offra i suoi servizi in Europa, compresi i big del web. C’ è chi sostiene che comunque vada per i siti premium con contenuti di qualità non sarà un problema. Intanto otterrebbero il consenso esplicito facilmente dai propri visitatori fedeli e in secondo luogo, anche se non avessero pubblicità personalizzata, comunque offrirebbero agli inserzionisti utenti pregiati. «È vero che se voglio fare una campagna autorevole decido di pianificare sul giornale online più autorevole», commenta Sesini. «Ma questi giornali hanno una quantità di traffico enorme, come faccio a usare le inserzioni in maniera più attenta? Non è la stessa cosa pubblicizzare una Bmw Serie 7 o un’ utilitaria. Probabilmente ho bisogno di contattare target molto diversi. Se non ho i dati dell’ utente come faccio a capire se erogare una o l’ altra pubblicità? Inoltre i cookies, che nulla dicono di chi sta dietro lo schermo, sono demonizzati spesso senza motivo e per contro sono molto utili per una buona esperienza dell’ utente». © Riproduzione riservata.
Vittorio Farina si dimette da presidente e ad di Netweek
Prima Comunicazione
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Il consiglio di amministrazione di Netweek è stato informato oggi sulle dimissioni irrevocabili di Vittorio Farina dai ruoli di presidente e amministratore della società. Lo annuncia una nota. Il 14 settembre si era appreso che Vittorio Farina è stato arrestato per il presunto reato di bancarotta fraudolenta nel fallimento della Ilte , l’ Industria Libraria Tipografica Editrice che un tempo stampava numerosi quotidiani e le Pagine Gialle. Il cda di Netweek, spiega ora la nota della società, preso atto delle dimissioni di Farina e ribadendo la continuità della gestione così come definita nel board dell’ 11 settembre, ha convocato un cda straordinario per venerdì 22 settembre, per la nomina di un nuovo presidente e la cooptazione di un nuovo amministratore. La società, si aggiunge, ribadisce che i soci di DHolding srl, società che esercita il controllo su Netweek sono i seguenti: Mario Farina 89,5%; Vittorio Farina, direttamente e tramite controllate, 7,3%; Domani srl, società controllata dai figli di Vittorio Farina, 3,2%.
Telefonini e Sky, la grande truffa ha fatto 13
Il Manifesto
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Negli scritti e nei convegni si sprecano le parole, con qualche ridondanza: capitalismo cognitivo, capitalismo digitale. Insomma, la nuova età, dopo il lungo ciclo manifatturiero e fordista. A questo si allude quando ci si riferisce ai gestori della telefonia, oppure alle televisioni satellitari post-generaliste. Quante illusioni, che reto rica. La verità ce la racconta con realismo l’ episodio – volgare e incredibile – della fatturazione delle bollette telefoniche ogni 28 giorni sia sul mobile sia sul fisso, invece che una volta al mese. Tradotto per i cittadini utenti e consumatori: un aggravio di un 8,3% sul dovuto richiesto in gran silenzio da Tim, Vodafone, Wind Tre e Fastweb. E a ottobre seguirà la stessa strada Sky, che almeno ha avvisato in agosto gli abbonati pur senza il battage che accompagna le consuete campagne pubblicitarie. In un suk trasparenza e affidabilità sono decisamente maggiori. Che vergogna, cari signori che insegnate al mondo cos’ è il futuro tecnologico e dove sta la modernità. La storia è nota e si trascina da diverse settimane ma se non si blocca rischia di diventare un cattivo precedente anche per le altre utility, dal gas all’ elettricità. È vero che (diamone atto) l’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si è mossa, fin dal marzo scorso, con la delibera n.121/17/Cons «Misure a tutela degli utenti per favorire la trasparenza e la comparazione delle condizioni economiche dell’ offerta dei servizi di comunicazione elettronica». Tuttavia, i padroni delle nuvole hanno fatto finta di niente, pur essendo abbondantemente passati i novanta giorni previsti per il ritorno alla cadenza mensile. Salvo i soliti ricorsi alla giustizia amministrativa, oggetto di critica odi desiderio ad ore alterne. L’ Agcom, per fortuna, ha annunciato appositi provvedimenti sanzionatori, che speriamo siano forti e imminenti. Tuttavia, c’ è qualcosa che non quadra. La scelta di passare da dodici a tredici bollette annuali è avvenuta contestualmente da parte delle diverse aziende, configurandosi così un classico cartello nella logica del trust. Che fa, dunque, l’ Autorità per la concorrenza, cui spetterebbe una funzione di traino? È curioso che il governo abbia ipotizzato una segnalazione all’ Autorità medesima, quando sarebbe stato corretto il contrario. Come pure è significativo (e persino bizzarro) che si stia immaginando di infilare nella prossima legge di stabilità una specifica norma sullo scadenzario dei pagamenti. In fondo, le autorità indipendenti furono immaginate nell’ ordinamento proprio per evitare un eccessivo ricorso alla legislazione primaria, valorizzando piuttosto atti e regolamenti veloci. Siamo di fronte, dunque, a un caso davvero emblematico, che ci illumina sul deficit etico del capitalismo digitale italiano e sull’ arretratezza delle culture antitrust. Speriamo che l’ incubo si concluda presto e che si ascoltino le associazioni dei consumatori, cui è ben difficile dare torto. C’ è materia, infatti, per una class action, per sanare un’ ingiustizia che investe milioni di persone. È augurabile che non ce ne sia bisogno. Ma, se davanti a un simile caso di scuola, le autorità competenti non riescono ad avere la meglio, c’ è da dubitare che possano svolgere il loro ruolo sui vari fenomeni distorsivi del sistema. PS. A fine ottobre scadono i termini per la stesura del testo del contratto di servizio della Rai, cui dovrà apporre – dopo discussione e approfondimenti – il sigillo la commissione parlamentare di vigilanza. Che ne è? Il silenzio è d’ oro o non c’ è ancora nulla?
Le tv protestano contro il governo: quote insostenibili sugli audiovisivi
Corriere della Sera
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Rai, Mediaset, La7, Sky, Discovery, Viacom, Fox, Disney, De Agostini. Sono queste le nove emittenti televisive che hanno inviato una lettera al ministro Dario Franceschini per protestare contro il decreto del governo che «di fatto quasi raddoppia gli oneri delle emittenti in tema di programmazione e investimenti in opere europee e italiane, con un’ insostenibile incidenza sui bilanci aziendali». Le televisioni, inoltre, spiegano di aver preso visione del testo «per caso e solo di recente», mentre si prevede che il provvedimento possa arrivare già domani in Consiglio dei ministri. Ambienti vicini al ministero sostengono invece che il governo avrebbe garantito alle aziende la massima partecipazione e ritiene di aver intrapreso la giusta strada per favorire la crescita della produzione cinematografica e televisiva nazionale. Nelle bozze di decreto circolate, è previsto un aumento della percentuale sul fatturato dal 10% al 15% nel 2018, fino ad arrivare al 20% entro il 2019. La Rai dall’ attuale 15% salirebbe al 20% per raddoppiare al 30% entro il 2019. Non è escluso, però, che nel testo finale le percentuali vengano in parte modificate per venire incontro alle emittenti. Per il momento, nella lettera congiunta le tv parlano di «un aumento insostenibile per il settore: dai 750 milioni di euro complessivi di investimento sugli introiti netti annui delle emittenti si arriverebbe a circa 1,2/1,3 miliardi nel 2019. Il decreto prevede maggiori e irragionevoli obblighi in capo ai broadcaster, con un sistema di quote e sottoquote assolutamente inattuabile, molto più complesso e articolato rispetto a quello attuale». Le nove aziende sottolineano inoltre come queste misure limitino fortemente la libertà editoriale e contrattuale degli editori, ponendo anche l’ accento sulle sanzioni ritenute «smisurate e sproporzionate». (r.s.)
Tutti uniti contro il decreto Franceschini.
Il Giornale
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Tutti uniti contro il decreto Franceschini. Il ministro della cultura Dario è riuscito, suo malgrado, a «produrre» una unità di intenti da parte delle imprese televisive nazionali. I maggiori player del settore, ossia Rai, Mediaset, Sky, Discovery, La7, Viacom, Fox, Disney, De Agostini non vogliono l’ approvazione di questo decreto che, di fatto, quasi raddoppia gli oneri delle emittenti in tema di programmazione e investimenti in opere europee e italiane del cinema cosiddetto indipendente. Un provvedimento che, secondo le aziende interessate, sarebbe insostenibile per i bilanci aziendali e che oltretutto rischiava di passare all’ insaputa dei diretti interessati che hanno preso visione del provvedimento per caso e solo di recente, mentre si prevede che possa arrivare sul tavolo del consiglio dei ministri già forse domani, 21 settembre. Il decreto prevede maggiori oneri in capo ai broadcaster che sono comunque già obbligati a finanziare, con una quota del 10% rispetto al fatturato totale, i cosiddetti produttori indipendenti. Nella lettera gli operatori sottolineano che queste misure limitano fortemente la libertà editoriale e contrattuale degli editori e prevedono un aumento «oggettivamente insostenibile» per il settore che in dieci anni ha finanziato le produzioni indipendenti con circa 10 miliardi di euro. Oggi la quota destinata a questi ultimi è pari a circa 750 milioni di euro complessivi di investimento (dato 2015) sugli introiti netti annui delle emittenti. Mentre il provvedimento prevede di raddoppiare la quota al 20% arrivando così, entro il 2019, a 1,2-1,3 miliardi con un incremento di oltre 500 milioni. Si prevede anche un innalzamento delle quote di programmazione che salgono anche oltre alla soglia prevista dalla normativa europea. Inoltre viene introdotto anche l’ obbligo di rispettare queste ultime su base giornaliera e in determinate fasce orarie limitando così l’ autonomia dei broadcaster. E per gli inadempienti si prevedono sanzioni elevate. Le aziende coinvolte nel provvedimento hanno sottolineato che il governo non ha svolto alcuna analisi economica per stimare l’ impatto di queste nuove regole nel mercato radiotelevisivo, sia con riferimento agli investimenti effettuati negli ultimi anni sia sugli effetti economici futuri sul sistema. Il decreto sembra infatti riproporre una serie di disposizioni previste nella normativa francese, senza considerare però che il mercato audiovisivo d’ oltralpe è diverso da quello italiano e che, di recente, la stessa Corte dei Conti francese ha preso atto del mancato rilancio dell’ audiovisivo francese a livello internazionale a causa di un quadro normativo troppo rigido. Le imprese televisive nazionali evidenziano infine al governo il loro disappunto per non aver raccolto nessun elemento di quanto emerso nel corso dei quasi tre anni di lavoro del tavolo tra emittenti e produttori, organizzato peraltro su iniziativa dello stesso ministro Franceschini e del sottosegretario Antonello Giacomelli. MC.
Il Gazzettino di Venezia festeggia i suoi 130 anni
Il Messaggero
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L’ EVENTO ROMA Venerdì 22 settembre Il Gazzettino di Venezia festeggerà 130 anni di vita. L’ evento verrà ospitato a Palazzo Ducale alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, del presidente della Regione, Luca Zaia, del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. Il presidente del Gazzettino, Azzurra Caltagirone, e il direttore del giornale Roberto Papetti, insieme a esponenti del mondo economico e culturale del territorio, discuteranno dell’ importanza, sia dal punto di vista sociale che culturale, che il quotidiano ha avuto e continua ad avere nel territorio. L’ evento sarà anche l’ occasione per presentare il restyling del quotidiano – che nella nuova veste sarà in edicola già da sabato 23 – reso possibile grazie a un importante investimento effettuato dal Gruppo Caltagirone Editore per l’ acquisto di una nuova rotativa che consentirà di stampare un giornale in full color a una velocità di 80.000 copie l’ ora. Nella prima parte dell’ evento, che avrà inizio alle 17.30, Ilvo Diamanti e Romano Prodi tratteranno il tema della crisi attraverso un dialogo sul nord-est. Nella seconda parte, Arrigo Cipriani, Carlo Nordio, Federica Pellegrini e il direttore Papetti dibatteranno sulla storia de Il Gazzettino e sul suo legame con il territorio. Nel corso della serata verrà inoltre proiettato un estratto del documentario «Storia de Il Gazzettino», prodotto da Rai Storia, con immagini inedite tratte dalle teche Rai e riprese della nuova rotativa. All’ interno della manifestazione sarà inoltre possibile ammirare, nella Loggia Foscara, l’ esposizione «Il Gazzettino, l’ arte e gli artisti».
I network tv scrivono a Franceschini: no a quote di produzioni Ue e italiane
Il Messaggero
MARCO MOLENDINI
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IL CASO Stavolta i network televisivi sono tutti d’ accordo, pubblici, privati, satellitari, terrestri. Rai, Mediaset, Sky, Discovery, La7, Viacom, Fox, Disney, De Agostini se la sono presa, per mezzo di una lettera inviata a Franceschini, con l’ iniziativa del governo che, nel consiglio dei ministri di domani, si potrebbe trasformare in un decreto che, dicono, «quasi raddoppierebbe gli oneri delle emittenti in tema di programmazione e investimenti in opere europee e italiane, con un’ insostenibile incidenza sui bilanci aziendali». IL TESTO UNICO La protesta si riferisce al progetto di revisione dell’ articolo 44 del Tusmar (il Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici) che, in pratica, aumenterebbe la quota di investimento obbligatorio verso opere europee e italiane sul fatturato dei network commerciali dal 10 attuale al 15 per cento nel 2018 e al 20 entro il 2019. Per la Rai dall’ attuale 15 si salirebbe al 20 e al 30 entro il 2019. Il decreto prevede anche una stretta protezionistica con un vincolo del 60 per cento di opere europee e italiane. Le emittenti pubbliche e private (che sostengono di aver preso visione del provvedimento «per caso e solo di recente») considerano il progetto «irragionevole», con un sistema di quote e sottoquote che viene definito «inattuabile, molto più complesso e articolato rispetto a quello attuale» col rischio di limitare «fortemente la libertà editoriale e contrattuale degli editori e un aumento oggettivamente insostenibile per il settore» (gli editori televisivi hanno investito 10 miliardi di euro nella produzione indipendente negli ultimi 10 anni). In pratica si passerebbe dai circa 750 milioni di euro complessivi del 2015 a circa 1,2/1,3 miliardi nel 2019, con un incremento di oltre 500 milioni. LE SANZIONI La lettera di protesta fa riferimento anche alle sanzioni che sarebbero «sanzioni smisurate e sproporzionate rispetto ad ogni altra tipologia di violazione». Secondo le emittenti firmatarie il decreto ripropone una serie di disposizioni già previste nella normativa francese, senza considerare che il mercato audiovisivo d’ oltralpe è profondamente diverso da quello italiano e che, di recente, la stessa Corte dei Conti francese ha preso atto del mancato rilancio dell’ audiovisivo francese a livello internazionale a causa proprio di un quadro normativo troppo rigido. Le imprese televisive nazionali evidenziano, infine, il loro disappunto perché il governo non ha raccolto nessun elemento da quanto è emerso nel corso dei quasi tre anni di lavoro tra emittenti e produttori, in un tavolo organizzato su iniziativa dello stesso ministro Franceschini e del sottosegretario Antonello Giacomelli. Marco Molendini © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Più prodotti italiani nei nostri palinsesti Ma le tv protestano “Sono fuori mercato”
La Repubblica
MAURO FAVALE
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ROMA. Con il doppio degli spettatori e il quadruplo degli investimenti per il cinema, la Francia, rispetto all’ Italia, è decisamente un altro pianeta. Ma è proprio alla legislazione francese che si ispira il decreto a cui sta lavorando il governo che raddoppia le quote obbligatorie d’ investimenti in opere italiane ed europee riservate alle emittenti televisive. Venerdì, la riforma dell’ articolo 44 del Testo unico della radiotelevisione (il cosiddetto Tusmar) preparata dal ministro dei Beni culturali Dario Franceschini arriverà in consiglio dei ministri mentre è in corso un braccio di ferro con i broadcaster. È di ieri la dura lettera di protesta firmata da Rai, Mediaset, Sky, Discovery, La7, Viacom, Fox, Disney e De Agostini che criticano il sistema delle quote che, scrivono, «di fatto quasi raddoppia gli oneri delle emittenti in tema di programmazione e investimenti in opere europee e italiane, con un’ insostenibile incidenza sui bilanci aziendali». In pratica, da un punto di vista di programmazione, se ora al cinema italiano ed europeo viene di solito riservata la seconda serata inoltrata, con la riforma le tv avrebbero l’ obbligo di anticipare alla prima serata una quota maggiore di film e serie nostrane. Il timore dei broadcaster è una fuga di spettatori su piattaforme alternative. Ma a preoccupare maggiormente è l’ aumento degli investimenti: le emittenti commerciali finora sono vincolate a investire il 10% del fatturato annuale alla produzione, al finanziamento e all’ acquisto di opere italiane ed europee. Con la modifica, invece, questa quota salirebbe al 15% nel 2018 e al 20% nel 2019. Diverso il discorso per la Rai, già al 15%, che passerebbe al 20 e poi al 30% in due anni. «Un aumento insostenibile per il settore – scrivono i broadcaster nella loro lettera – dai circa 750 milioni di euro complessivi sugli introiti netti annui delle emittenti si arriverebbe a circa 1,2-1,3 miliardi a regime nel 2019, con un incremento di oltre 500 milioni». Troppo, dicono le tv, specie in presenza di un mercato cinematografico e un pubblico più orientato alle mega produzioni targate Usa. Nel mirino finisce anche il sistema delle sanzioni per chi non rispetta le quote: addirittura «maggiori che per la violazione della tutela dei minori», scrivono ancora le tv. Inoltre, la riforma «inciderebbe sulle scelte editoriali e commerciali dei broadcaster» che in ogni caso, negli ultimi 10 anni, hanno investito oltre 10 miliardi di euro nella produzione indipendente in Italia. Franceschini, però, tira dritto: respinge al mittente le accuse di aver costruito un decreto senza consultare le tv («Ai tavoli sono stati coinvolti per tempo tutti gli attori della partita», dicono dal ministero) e venerdì porterà il decreto in consiglio dei ministri, forse con qualche ritocco al ribasso delle quote per non inasprire il conflitto. «L’ obiettivo è fare passi avanti verso il sistema francese », è il ragionamento del ministro: lì, gli spettatori al cinema sono in crescita costante e l’ industria dell’ audiovisivo è in espansione. «Ma quel sistema – contestano le tv – è frutto di una visione politica dell’ industria nazionale che si è sviluppata lungo decenni ». Lo scontro, insomma, prosegue. Venerdì il prossimo round. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Lettera a Franceschini di Rai, Mediaset, Sky, La 7, Discovery, Viacom, Fox Disney e De Agostini La terza stagione di “Gomorra” prodotta da Sky Atlantic, Cattleya e Fandango in collaborazione con Beta Film FOTO: ©ANSA Il ministro dei Beni e delle attività culturali Dario Franceschini.
Rcs cerca l’ accordo con Gems-Feltrinelli per i libri
MF
ANDREA MONTANARI
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I libri allegati al Corriere della Sera per anni hanno sostenuto i conti di Rcs Mediagroup. Una soluzione che ora Urbano Cairo vuole tornare a sperimentare, anche se il business librario è sempre stato marginale per la Cairo Communication. A un anno e mezzo dal closing della cessione di Rcs Libri alla Mondadori (operazione definita nell’ ottobre 2015), il numero 1 della casa editrice di via Rizzoli è pronto a rilanciare la sfida. Così, come rivelato ieri da Libero, sta per definire il lancio dell’ attività di pubblicazione dei libri. Il brand sarà Solferino per rafforzare l’ unione con il quotidiano diretto da Luciano Fontana. Rcs avrà la possibilità di portare sul mercato fino a 100 titoli all’ anno: si tratta di un numero rilevante, visto che la sola Feltrinelli, per fare un esempio, propone circa 250 novità su base annua. Cairo dovrà trovare un distributore e, vista la composizione del mercato, è plausibile che cerchi un accordo con il polo Mauri Spagnol-Feltrinelli, vero competitor di Mondadori. Ma c’ è chi non esclude che Rcs possa comprare La nave di Teseo (ha rilevato la Baldini&Castoldi), la casa editrice promossa da Elisabetta Sgarbi (ex Bompiani) e partecipata dagli eredi di Umberto Eco, da Piergaetano Marchetti (già presidente di Rcs), Giacaranda Caracciolo Falck, azionista del gruppo Gedi (Repubblica-Stampa), Furio Colombo, Natalia Aspesi e il banchiere Guido Maria Brera. Ovviamente, a firmare i libri saranno principalmente i giornalisti del CorSera a esclusione di Massimo Gramellini (Longanesi), forse gli ex direttori Ferruccio de Bortoli e Paolo Mieli e magari autori de La nave di Teseo. Irraggiungibile invece Roberto Saviano: la Feltrinelli non lo molla. (riproduzione riservata)
Anche il Fatto Quotidiano, filo pentastellato, prende le distanze dalle primarie M5s dicendo che esse sono delle primarie farsa
Italia Oggi
SIMONA SOTGIU
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Molte critiche, pochi elogi, tante perplessità. Il Fatto Quotidiano, giornale di certo non lontano dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, non risparmia rilievi alle primarie per la premiership organizzate dai Pentastellati: otto nomi, ma solo uno di spicco, quello di Luigi Di Maio. Sul metodo delle primarie, nella quarta pagina del quotidiano diretto da Marco Travaglio si sono espressi giornalisti e intellettuali più o meno vicini al Movimento. Ecco che cosa hanno scritto. Le primare farsa – L’ aveva già detto qualche giorno fa, e lo ribadisce anche oggi. Per il direttore del fattoquotidiano.it Peter Gomez queste primarie sono una farsa: «Se si fanno le primarie si deve dare a tutti i candidati la possibilità di farsi conoscere e a tutti gli elettori il tempo necessario per maturare un voto consapevole», scrive Gomez. «Aprire alle candidature un giorno prima delle votazioni, come adesso, mantiene la forma dello strumento democratico, ma non la sostanza». Gomez lascia ancora una finestra aperta al dubbio: «Vedremo in futuro se quanto accade ora è solo un errore di gioventù dei 5S, o un brutto passo verso una deriva plebiscitaria che poco c’ entra con la democrazia partecipativa». Un altro partito del leader – Storicamente vicino al Movimento 5 Stelle, questa volta il professore di Storia contemporanea alla Cattolica di Milano Aldo Giannuli prende le distanze. «Io ho avuto molta simpatia per i 5Stelle quando erano il Movimento del “uno vale uno”. E adesso che fanno? Eleggono un capo? Grillo e Casaleggio non hanno mai usato quell’ espressione, definendosi sempre i “garanti”. Adesso rischia di diventare un altro partito del leader, come Forza Italia, Lega e Pd». Il prof Giannuli si lascia poi andare a una previsione: «Ho paura che prenderanno una batosta memorabile già in Sicilia. Mi dispiace molto per chi continua a sperare che il Movimento svolga per i cittadini quel ruolo che aveva promesso di svolgere». Un inutile teatrino – Neanche il fondatore del Fatto Quotidiano ed ex direttore del giornale ora guidato da Marco Travaglio, Antonio Padellaro, lesina critiche alla messa in scena delle primarie a 5 Stelle. «Se Grillo avesse detto subito: “Luigi Di Maio è il più adatto, punto e basta”, si sarebbe evitato il teatrino imbarazzante delle finte primarie e della ricerca affannosa di qualche antagonista di ripiego, che da settimane consente ai vari capataz del Partito democratico di mettere alla berlina la “finta democrazia” dei 5 Stelle». Una messa in scena di cui si sarebbe potuto fare a meno. I numeri contano – Posto il risultato ormai scontato della competizione, a contare saranno i numeri. Lo sostiene il politologo Gianfranco Pasquino ospitato nella quarta pagina del Fatto di oggi. «La mancanza di un competitor significa qualcosa. Che Di Maio sia imbattibile non lo credo; che abbia idee che rappresentano tutto il Movimento mi pare improbabile; che sia un po’ troppo vicino a Grillo e a Casaleggio è un problema». E se la mancata presentazione di un candidato (davvero) alternativo è un’ occasione persa per l’ espressione de dissenso, a mostrarne le dimensioni sarà probabilmente il numero dei votanti su Rousseau. I partiti tradizionali sono peggio – Dopo una schiera di critiche a modalità, regole, sostanza delle primarie a 5 Stelle, a chiedersi «dove sarebbe la mancanza di democrazia rispetto ai partiti tradizionali?» è Daniela Ranieri, giornalista del Fatto. «Si deve spiegare dove sta scritto che chi vince le primarie da segretario sia automaticamente il candidato premier», argomenta Ranieri. «È una cosa che ha deciso il Pd. Tanto è vero che c’ è chi pensa di derogare a questa regola “democratica” e candidare Gentiloni. E che Letta è stato abbattuto da Renzi con un voto in direzione. Così come Forza Italia “candida” B. e non interpella certo la base. Non si capisce perché il M5S, che non ha un segretario, deve provare il suo indice di democraticità costringendo Fico e Di Battista a correre contro Di Maio». Nessuno stupore – A chiudere la serie di commenti raccolti sulla quarta pagina del Fatto è Andrea Scanzi, secondo cui la democrazia interna nel Movimento 5 Stelle non c’ è mai stata e per i suoi elettori pare non essere un problema. «La corsa solitaria di Di Maio fa un po’ ridere, e di sicuro il Pd con le primarie è più democratico, ma chi si stupisce vive su Marte». Il nome di Di Maio, spiega la firma del Fatto, «è sempre stato l’ unico nome spendibile. «”Uno vale uno”», scrive Scanzi, «ma Grillo e Casaleggio valgono mille. Ed è forse l’ unica maniera per tenere attaccata una forza così atipica». Formiche.net.
Il direttore del Tempo indagato per avere chiesto un’ intervista
Libero
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VITTORIO FELTRI Gian Marco Chiocci, direttore del Tempo di Roma, è vittima di una proditoria richiesta di rinvio a giudizio perché – dicono i soliti magistrati – avrebbe fornito indiscrezioni a Carminati, il cecato di Mafia capitale, circa le indagini a suo carico. Non conosco i dettagli della vicenda, ma è la prima volta che un giornalista viene perseguito per aver dato delle notizie anziché averle trovate o ricevute. Già questo mi sembra paradossale. Come si fa a processare un direttore per un reato che non c’ è? Da quando in qua il capo di un quotidiano invece di pubblicare informazioni ne dà a qualche balordo? Siamo di fronte a un fatto eccezionale meritevole di approfondimento. A me risulta che Chiocci, giustamente, volendo fare il proprio mestiere non facile, avesse chiesto una intervista a Carminati. Cosa legittima. Ma costui gliela avrebbe rifiutata. Altra cosa legittima. Niente di più. Il direttore di un quotidiano non è in grado di aiutare un delinquente, al massimo può cercare di strappargli qualche ammissione di colpevolezza. Quindi non capisco per che motivo debba essere messo alla sbarra con una accusa tanto improbabile. Vabbè, sorvoliamo. Però non completamente. Coinvolgere un redattore di vaglia in una vicenda giudiziaria complicata come quella romana a nostro parere è un atto grave e probabilmente arbitrario. Protestiamo. E alziamo la voce per difenderlo pur sapendo che il nostro esercizio può solo danneggiarlo. Conosco Chiocci da oltre venti anni. Fui io ad assumerlo al Giornale su segnalazione del padre, Francobaldo, inviato fuoriclasse dalla scrittura di alto livello. Era un ragazzo o poco più e si era distinto come cronista di razza al Tempo. Lo inserii nel mio organico romano con l’ intento di sperimentarne le capacità. Nel giro di pochi mesi ebbi la conferma della sua abilità come cacciatore di scoop. Non sbagliò un colpo e mi convinsi che fosse degno di entrare definitivamente nella squadra magnifica del Giornale di quei tempi memorabili, quando il foglio fondato da Montanelli era in crescita irresistibile. Da allora in poi Gian Marco crebbe velocemente e divenne un uomo di punta della redazione. Un autentico segugio dotato di fiuto raro che gli consentì di svettare nel grigio panorama dei reporter. Trascorsero anni e anni durante i quali Chiocci consolidò la sua professionalità, imponendosi quale miglior fico del bigoncio giornalistico nazionale. Al punto che alcuni anni orsono egli è stato scelto per dirigere il Tempo, testata storica fondata nella Capitale dal mitico Angiolillo. Questo dovrebbe bastare a garanzia della onestà dell’ uomo di cui parliamo. Invece i Pm di Roma lo hanno incastrato, considerandolo un complice di Carminati, e intendono sottoporlo a procedimento giudiziario. Il che non solo ci addolora ma ci indigna. Chiocci è una persona perbene oltre che un ottimo scrivano. Lasciatelo stare per favore. Il suo lavoro è utile a tutti, specialmente ai lettori. Dargli addosso è un’ operazione vergognosa, ovviamente ingiusta. riproduzione riservata.
Grillo insulta i giornalisti e prepara le nuove purghe
Il Tempo
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Il clima non è proprio quello che dovrebbe precedere una festa. E così il nervosismo si traduce nell’ ormai abituale scarica di insulti contro i giornalisti. «Vi mangerei tutti solo per il gusto di vomitarvi» sbraita Beppe Grillo nei confronti dei cronisti che lo attendono all’ uscita dell’ hotel Forum di Roma. Un’ uscita a cui ha replicato a stretto giro la Federazione Nazionale della Stampa: «Grillo provoca nausea anche a digiuno». Le ragioni di tanta tensione sono molteplici. In Sicilia il tribunale di Palermo ha confermato la scelta cautelativa di annullare le Regionarie che avevano incoronato il candidato governa tore Giancarlo Cancelleri. E come se non bastasse i sondaggi sembrano allontanare sempre di più quella vittoria che, nelle intenzioni del MoVimento 5 Stelle, avrebbe dovuto rappresentare il volano per il successivo trionfo a livello nazionale. E, proprio a questo proposito, anche la querelle sorta intorno alle primarie per il candidato premier – con Luigi Di Maio unico big in corsa e gli ortodossi sul piede di guerra – non fa che alimentare un clima da guerra. Il rischio è che la vittoria annunciata del vicepresidente della Camera sia battezzata da un numero di votanti troppo esiguo e quindi delegittimata fin dall’ inizio Così, la «Rimini a 5 Stelle» prevista nel week end, che nelle intenzioni dei vertici sarebbe dovuta essere l’ occasione per far partire l’ operazione Palazzo Chigi, rischia di trasformarsi nel deflagratore di tutte le tensioni interne nel MoVimento. Il caso Sicilia, si diceva. Per molti, la decisione del giudice di annullare le Regionarie rischia di gettare nel caos il MoVimento. Dal blog di Grillo provano a ridimensionare tutto: «Giancarlo Cancelleri era, è e sarà il candidato presidente del Movimento cinque stelle. #SceglieteIlFuturo». Lo stesso Cancelleri, che ha annunciato ricorso, ha escluso che si possa votare di nuovo on line: «Siamo fuori tempo massimo. La scadenza per presentare il simbolo è questo sabato 23 settembre e dobbiamo inoltre raccogliere 3.600 firme per la presentazione della lista. Per questo motivo il Movimento 5 Stelle sarà presente alle regionali siciliane del 5 novembre con il sottoscritto, Giancarlo Cancelleri, candidato alla Presidenza della Regione e con la lista, a me collegata, votata dagli iscritti il 4 luglio 2017». Al contrario secondo Marco Giulivi, l’ uomo che con il suo ricorso ha fatto saltare il meccanismo, non c’ è alternativa alla ripetizione, a meno di non volere sconfessare «i valori di onestà del M5S». Anche su Facebook e Twitter scatta la reazione di attivisti e simpatizzanti, tanto da indurre il Pd palermitano a parlare di «indegna caciara social contro il Tribunale». E dai Dem anche un quesito per gli elettori: «Affidereste le chiavi della Regione siciliana a chi non è nemmeno in grado di organizzare, senza violare le proprie regole interne, una votazione online?». Intanto, Grillo avrebbe fatto recapitare un messaggio molto chiaro agli ortodossi: «Se qualcuno proverà ad alzare la cresta, gliela faremo abbassare». D’ ora in poi, si ragiona dalle parti di Milano, le proteste di chi si oppone al nuovo corso- che porterà alla nomina di un candidato premier investito di tutti i poteri del capo politico – non saranno più tollerate. Il riferimento è ai mugugni dell’ ala ortodossa, guidata da Roberto Fico, che ancora fatica a digerire la scelta dei vertici di equiparare il candidato alla Presidenza del Consiglio a «capo della forza politica». Una svolta obbligata dalla legge elettorale attualmente in vigore ma voluta anche da Grillo, il quale a Italia 5 Stelle spiegherà le ragioni della sua «exit strategy» prima di consegnare le chiavi del Movimento a Luigi Di Maio. Le posizioni del leader M5S e di Fico restano distanti: il parlamentare campano continua ata cere dopo aver esternato il proprio dissenso sulla svolta al vertice nel corso di un colloquio telefonico avuto con Grillo. E a questo punto si aprono anche interrogativi sul futuro degli esponenti più in vista dell’ ala ortodossa, che hanno pur sempre una presa sull’ elettorato grillino. C’ è chi ritiene che il silenzio di Fico preluda un suo allontanamento dal MoVimento. Se ne saprà di più proprio a Rimini. Inzialmente, non era previsto alcun intervento del presidente della Commissione di Vigilanza Rai. Ora, invece, Fico è stato inserito in cartellone per venerdì. Le sue parole sono attese dai vertici con grande preoccupazione.