Indice Articoli
Più appeal per spot e inserzioni
Le altre misure per il settore
Caltagirone, meno Generali e addio all’ opa sulla Editore
Caltagirone, fallisce la fuga dalla Borsa “Prezzo troppo basso”
Caltagirone Editore, Opa priva di efficacia le adesioni si fermano al 71,13% del capitale
Rolling Stone a fine corsaIn vendita la Bibbia del Rock
Anche a metà settembre va in onda la televisione delle repliche
Caltagirone Editore, inefficace l’ opa per il delisting
Caso Farina, sotto la lente tutte le testate cedute
Cairo lancerà «Solferino 26» casa editrice anti Mondadori
«Rolling Stone» Usa finirà in vendita
Opa Chiara Finanziaria priva di efficacia
Una nuova sfida hi-tech e quella scatola tornerà magica
Il declino del pensiero rock Rolling Stone è in vendita
Comunicato dell’ assemblea dei giornalisti
Più appeal per spot e inserzioni
MF
BRUNO PAGAMICI
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Crediti d’ imposta fino al 90% della spesa per imprese e professionisti che investono in campagne pubblicitarie su quotidiani, periodici, emittenti televisive e radiofoniche. A partire dal 2018 il bonus pubblicità è la nuova agevolazione fiscale introdotta dalla manovra correttiva 2017 dei conti pubblici (dl 50/2017, art. 57-bis), concedibile ai soggetti beneficiari solo se il valore degli investimenti effettuati supera dell’ 1% il valore degli analoghi investimenti sostenuti nell’ anno precedente, sugli stessi mezzi di informazione. Per rendere concretamente operativo il bonus fiscale, sarà necessario attendere le relative disposizioni di attuazione, la cui emanazione è affidata a un futuro Dpcm da adottare, nel rispetto della normativa europea sugli aiuti di stato, entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, e cioè entro il 22 ottobre 2017. Poiché il credito d’ imposta opera in compensazione in dichiarazione dei redditi, il Dpcm per l’ attuazione della normativa dovrà necessariamente essere emanato prima della scadenza per la presentazione annuale del dichiarativo (invio entro il 31 ottobre). Con tale decreto dovranno essere definiti: le tipologie di investimento che danno diritto al beneficio; i casi di esclusione; le procedure di riconoscimento, concessione e utilizzo del credito; la documentazione richiesta, nonché il sistema dei controlli volti ad assicurare il rispetto dei limiti previsti dalla legge. In attesa del decreto di attuazione, sembra probabile l’ esclusione dal bonus degli investimenti pubblicitari effettuati sul web. Il credito d’ imposta. Il bonus pubblicità è la nuova agevolazione fiscale istituita dalla manovra correttiva 2017 (dl 50/2017, art. 57-bis), in ottemperanza agli obiettivi prefissati con la legge delega 198/2016 circa l’ introduzione di nuovi benefici fiscali per gli «investimenti pubblicitari incrementali su quotidiani e periodici nonché sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali» mediante il riconoscimento di «un particolare beneficio agli inserzionisti di micro, piccola o media dimensione e alle startup innovative». Il legislatore ha previsto la possibilità per lavoratori autonomi, professionisti e imprese di poter fruire di un nuovo credito d’ imposta per gli investimenti incrementali in pubblicità. Il bonus fiscale opera sotto forma di credito d’ imposta e pertanto a partire dal 2018, i professionisti, lavoratori autonomi e le imprese di qualsiasi natura giuridica, potranno beneficiare del credito d’ imposta in compensazione con la dichiarazione dei redditi (l’ importo del bonus andrà inserito nel quadro RU). L’ obiettivo del legislatore è duplice: da un lato, spingere imprese e lavoratori autonomi a utilizzare gli strumenti pubblicitari per sostenere lo sviluppo e la crescita della propria attività e, dall’ altro, sostenere, convogliando risorse finanziare il comparto dell’ editoria e dell’ emittenza radiofonica e televisiva locale come riconosciuto dall’ art. 2, comma 2, legge n.198/2016. Il beneficio sarà attribuito nel 2018 con riferimento agli investimenti pubblicitari effettuati a far data dall’ entrata in vigore della legge di conversione del dl 50/2017, ossia dal 24 giugno 2017. Beneficiari e misure agevolative. Dalla lettura dell’ art. 57-bis della manovra correttiva 2017, il bonus pubblicità ossia il credito d’ imposta pari al 75 o al 90% che spetta ai contribuenti in caso di investimenti in campagne pubblicitarie aventi un importo maggiore di almeno l’ 1% rispetto a quanto investito per lo stesso settore nell’ anno precedente, spetta ai seguenti beneficiari: – lavoratori autonomi, ivi compresi i professionisti (sia iscritti che non iscritti ad albi, ruoli o collegi); – imprese: di qualsiasi natura giuridica. I requisiti del bonus pubblicità verranno tuttavia ufficializzati con il decreto attuativo. Gli investimenti agevolabili. Il riconoscimento del credito d’ imposta è connesso agli investimenti in campagne pubblicitarie sulla stampa quotidiana e periodica e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali. Tali aspetti dovranno essere confermati con il decreto attuativo e l’ estensione del bonus pubblicità anche alle campagne promozionali sul web probabilmente non verrà attuata. Uno dei più importanti requisiti richiesti per beneficiare del bonus pubblicità è quello di effettuare gli investimenti in misura maggiore rispetto all’ anno precedente, per cui se nel 2017 si è investito 10 mila euro, per beneficiare del bonus occorre che nel 2018 venga speso almeno l’ 1% in più rispetto ai 10 mila dell’ anno prima, per cui almeno 10.100 euro. Ovviamente le aliquote del 75 o del 90% si applicano sul valore incrementale, cioè su 100. In ogni caso, pertanto sarà prima necessario verificare che l’ ammontare degli investimenti pubblicitari realizzati in un determinato anno sia superiore, almeno dell’ 1%, a quello degli investimenti effettuati nell’ anno precedente. Quindi, se si considera il 2018, per beneficiare del bonus pubblicità occorre che: – nell’ anno precedente alla domanda del bonus, si siano effettuati investimenti pubblicitari; – che tali investimenti, nel 2018, nell’ anno di interesse, siano maggiori di almeno l’ 1% rispetto al 2017; – che l’ investimento in campagne pubblicitarie avvenga su: quotidiani e periodici; emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali. Pmi e startup innovative. Nel caso in cui l’ investimento pubblicitario sia da parte di micro imprese, piccole e medie imprese e startup innovative, il credito d’ imposta è elevato al 90% rispetto al 75% previsto per le altre categorie. Il bonus è fruibile solo sotto forma di credito d’ imposta in compensazione tramite modello F24 previa relativa domanda al dipartimento per l’ Informazione e l’ editoria della presidenza del consiglio dei ministri. Il decreto attuativo del presidente del consiglio fisserà i dettagli operativi del bonus: le regole, i requisiti, le modalità con cui presentare la domanda, i contribuenti beneficiari del bonus fiscale per gli investimenti pubblicitari e per quale tipologia di strumento editoriale spetterà il nuovo credito d’ imposta fino al 90%. Le modalità di calcolo. Dovrà essere chiarito dal decreto attuativo se il calcolo deve essere effettuato per massa, ovvero distinguendo tra i vari mezzi di comunicazione prescelti per gli investimenti pubblicitari (quest’ ultima tesi sembra la più probabile). A tale fine, per gli investimenti effettuati nel primo periodo d’ imposta (e cioè dal 24 giugno 2017 al 31 dicembre 2017), appare logico ritenere che il parametro storico da porre a raffronto (le spese di analoga natura sostenute nel 2016) sia corrispondentemente ragguagliato al periodo 24 giugno 2016-31 dicembre 2016. Il punto dovrà essere tuttavia confermato dal decreto attuativo. Pertanto, se si ipotizza che nell’ anno 2017 non sia stato effettuato nessun investimento pubblicitario, nel 2018 sarà incentivabile l’ intera spesa in pubblicità. La decorrenza. L’ agevolazione, che scatta dal 2018, riguarderà, salvo contraria previsione del decreto di attuazione, gli investimenti effettuati dal 24 giugno 2017. Per stabilire il momento di effettuazione degli investimenti appare ragionevole l’ applicazione dell’ art. 109, comma 2, lett. b) del Tuir, che stabilisce che le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute alla data in cui le prestazioni sono ultimate. (riproduzione riservata)
Le altre misure per il settore
MF
BRUNO PAGAMICI
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Oltre al bonus pubblicità, che è stato introdotto dal legislatore anche per cercare una soluzione alternativa agli incentivi statali per la ripresa dell’ editoria, al sostegno a favore del comparto si aggiungono i finanziamenti che potranno essere concessi alle imprese editrici di nuova costituzione per promuovere progetti d’ impresa innovativi. In materia di investimenti pubblicitari per imprese e professionisti le novità quindi non mancano. Per quest’ ultima categoria, occorrerà valutare caso per caso l’ opportunità di accedere al bonus pubblicità. A meno di soluzioni completamente dirimenti da parte del decreto di attuazione (che dovrà essere emanato entro il prossimo 22 ottobre), i professionisti, specie se iscritti ad albi, ruoli ecc. dovranno attenersi alle regole in materia di pubblicità informativa disciplinate dai rispettivi ordini professionali. Sempre dal decreto di attuazione è particolarmente attesa l’ indicazione che dovrà essere fornita relativamente all’ agevolabilità degli investimenti pubblicitari sul web. Agevolazioni a favore dell’ editoria. Gli incentivi fiscali per gli investimenti pubblicitari incrementali su quotidiani, periodici ed emittenti televisive e radiofoniche locali, previsti dalla legge editoria n. 198/2016, sono stati introdotti con l’ art. 57-bis della manovra correttiva, assieme a misure di sostegno alle imprese editoriali di nuova costituzione. In particolare il disposto prevede, oltre alla concessione di incentivi fiscali, anche misure di sostegno in favore delle imprese editoriali di nuova costituzione. Il comma 2 dell’ art. 57-bis fa riferimento all’ emanazione di bando annuale per l’ assegnazione di finanziamenti alle neo imprese editrici con decreto del capo del dipartimento per l’ informazione e l’ editoria della presidenza del consiglio dei ministri. Ciò, al fine di «favorire la realizzazione di progetti innovativi, anche con lo scopo di rimuovere stili di comunicazione sessisti e lesivi dell’ identità femminile, e idonei a promuovere la più ampia fruibilità di contenuti informativi multimediali e la maggiore diffusione dell’ uso delle tecnologie digitali». I finanziamenti saranno concessi nel limite massimo di spesa stabilito annualmente con il Dpcm che definirà la ripartizione delle risorse del Fondo per il pluralismo e l’ innovazione dell’ informazione assegnate alla Presidenza del consiglio dei ministri tra i diversi interventi di competenza (art. 1, comma 6, della legge 198/2016). Anche in questo caso il limite massimo di spesa per il finanziamento della misura verrà stabilito annualmente con apposito Dpcm. Sono invece già fissati i tetti di spesa per finanziare i prepensionamenti dei giornalisti delle aziende editoriali in crisi, con età anagrafica di 58 anni per le donne e di 60 per gli uomini, che abbiano maturato almeno 25 anni di contributi: si tratta in tutto di 45 milioni di euro, distribuiti tra il 2017 e il 2021. Il caso dei professionisti. Il Dpcm di attuazione del bonus fiscale, che dovrà essere approvato entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, per i professionisti potrebbe tuttavia presentare, per la piena titolarità del diritto, dei vincoli in più, anche se la riforma degli ordinamenti professionali (attuata con il dpr 137/2012) ha previsto che «è ammessa con ogni mezzo la pubblicità informativa avente a oggetto «l’ attività delle professioni regolamentate, le specializzazioni, i titoli posseduti attinenti alla professione, la struttura dello studio professionale e i compensi richiesti per le prestazioni» (art. 4, comma 1). In ogni caso, per maggiori informazioni ed eventuali conferme, occorrerà attendere il decreto attuativo. Professionisti con albo. Per quanto riguarda i professionisti con albo, in particolare, dovranno attenersi alle regole in materia di pubblicità informativa stabilite dal dpr n. 137 del 7 agosto 2012, con il quale viene autorizzata la pubblicità informativa che non sia ingannevole, equivoca o denigratoria su: – attività delle professioni regolamentate; – specializzazioni e titoli posseduti; – struttura del proprio studio; – compensi richiesti per le prestazioni professionali. L’ inerenza delle spese pubblicitarie. In merito alle categorie professionali, è opportuno valutare un ulteriore aspetto. Perché le spese di pubblicità sostenute possano essere portate in deduzione è necessario che esse rispondano al principio di inerenza. Tuttavia, secondo una interessante interpretazione della Ctp di Lucca (sentenza n. 722/2015), i costi pubblicitari sostenuti dal contribuente si considerano sempre inerenti, a meno che non siano state evidentemente eluse delle norme tributarie. Secondo quanto previsto dal decreto attuativo del dm 19 ottobre 2008, all’ art. 1, comma 1, si considerano inerenti alle spese effettivamente sostenute e documentate riferibili a erogazioni a titolo gratuito di beni e servizi, effettuate con finalità promozionali o di pubbliche relazioni, il cui sostenimento risponda a criteri di ragionevolezza in funzione dell’ obiettivo di generare anche potenzialmente benefici economici per l’ impresa. Aspetti contabili. Poiché l’ art. 57-bis prevede che la concessione del credito d’ imposta sia sottoposta agli «eventuali adempimenti europei», il decreto di attuazione dovrà anche chiarire la compatibilità dell’ agevolazione con la normativa europea degli aiuti di stato. Peraltro, si ritiene che sussista tale compatibilità, poiché, quanto ai beneficiari, si tratta di misura agevolativa a carattere generale. Quanto al trattamento contabile, il principio Oic 24, i costi di pubblicità possono rientrare tra i costi capitalizzati nella voce BI1 «Costi di impianto e di ampliamento» dello stato patrimoniale se rispettano i requisiti previsti dai paragrafi 41-43 dello stesso Oic 24 ovvero: – i costi siano sostenuti in modo non ricorrente; – esista un rapporto causa-effetto tra i costi in questione e il beneficio (futura utilità) che dagli stessi la società si attende. Qualora invece non soddisfino i suddetti requisiti, tali costi devono essere spesati nella voce B7 del conto economico, come previsto dall’ Oic 12. Digitale agevolato? Il governo ritiene di dover escludere i giornali editi sul web perché non espressamente citati dalla recente legge che elenca i soggetti autorizzati a raccogliere pubblicità. Sarà tuttavia il decreto di attuazione a sciogliere alcuni dei dubbi relativi al testo approvato che fa riferimento alla pubblicità su «stampa quotidiana e periodica e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali». La ratio della norma è che non sono agevolati gli investimenti pubblicitari su web o mobile che non siano su testate giornalistiche, mentre rientra nel credito d’ imposta tutta la pubblicità effettuata su tv e radio. C’ è in particolare un dubbio da chiarire legato alle testate online, perché la legge, quando si riferisce alle televisioni e alle radio, specifica che possano essere analogiche o digitali, comprendendo le web tv, mentre riferendosi alla stampa quotidiana e periodica non riporta ulteriori indicazioni. Altro punto che necessiterà di chiarimenti in sede di decreto attuativo: la spesa incrementale rispetto agli investimenti sullo stesso mezzo riguardano l’ intera categoria (tv, radio ecc.) oppure si distingue tra quotidiano e periodico o, ancora, tra cartacei e telematici? E ancora: come si considerano ad esempio le agenzie di stampa? Entrata in vigore. Secondo quanto stabilito durante l’ iter parlamentare, «il credito d’ imposta si attribuisce, nel 2018, relativamente agli investimenti pubblicitari effettuati a far data dall’ entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge» e cioè dal 24 giugno 2017, essendo la legge 96/2017 pubblicata sul supplemento ordinario 95 della Gazzetta Ufficiale 144 del 23 giugno 2017. Si ritiene quindi che l’ agevolazione sia immediatamente operativa, poiché assumono rilevanza le spese in campagne pubblicitarie sostenute a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (24 giugno 2017). Sul punto interverranno comunque i chiarimenti da parte del decreto attuativo e dell’ Agenzia delle entrate. (riproduzione riservata)
Caltagirone, meno Generali e addio all’ opa sulla Editore
MF
PAOLA VALENTINI
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Proprio mentre prende atto del fallimento dell’ opa sul 27% di Caltagirone Editore lanciata dalla stessa famiglia di immobiliaristi (ieri il comunicato ufficiale di rinuncia), riprende il trading di Francesco Gaetano Caltagirone sui titoli Generali. Dalle comunicazioni di internal dealing si apprende che l’ imprenditore romano ha venduto 1 milione di azioni Generali a seguito dell’ esercizio di diritti di opzione call a scadenza. Le azioni rappresentano lo 0,064% del capitale di Generali, di cui lo stesso Caltagirone è vicepresidente vicario non esecutivo. L’ operazione è avvenuta venerdì scorso ed è stata realizzata in due tranche da Fincal, una delle holding dell’ imprenditore. La prima ha avuto per oggetto 500 mila azioni cedute al prezzo unitario di 13 euro per un totale di 6,5 milioni; la seconda, relativa a un pacchetto di pari quantità, è stata messa sul mercato a 13,5 euro per azione per un controvalore di 6,75 milioni. L’ incasso totale è stato quindi di 13,25 milioni. Con questa cessione Caltagirone scende dal 3,62% al 3,55% del capitale delle Generali. Come risulta dal sito del gruppo triestino (aggiornato al 15 settembre), l’ editore-immobiliarista è sul podio dei maggiori azionisti della compagnia assieme a Delfin (la holding di Leonardo Del Vecchio) che ha il 3,16% e Mediobanca, primo socio con il 13,03%. Partito da una quota di poco superiore al 2%, da inizio 2016 Caltagirone è via via salito fino a diventare secondo azionista approfittando delle depresse quotazioni del titolo (a metà 2016 era sceso sotto i 10 euro). Lo scorso aprile era arrivato a detenere oltre il 3,6% del Leone. Sul fronte borsistico, infine, c’ è da segnalare che ieri a Piazza Affari il titolo Generali ha terminato le contrattazioni in rialzo dell’ 1,24% a 15,51 euro per azione. (riproduzione riservata)
Caltagirone, fallisce la fuga dalla Borsa “Prezzo troppo basso”
Il Fatto Quotidiano
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Si è chiusa l’ Opa lanciata da Chiara Finanziaria, società del gruppo Caltagirone, su Caltagirone Editore. Le adesioni sono state pari a 96.810 azioni, lo 0,28% dei titoli oggetto dell’ offerta. L’ Opa è quindi fallita. Lo scorso mese il gruppo che fa capo all’ imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone aveva annunciato l’ intenzione di togliere dal listino di Borsa la Caltagirone editore (23.400 soci) lanciando un’ Offerta pubblica d’ acquisto (Opa) sulla quota che ancora non controlla della società che edita diversi quotidiani, tra cui Il Messaggero. Caltagirone ne ha il 65% e aveva offerto un euro per azione ai soci di minoranza. Un prezzo che valuta la società 125 milioni. Problema: solo contando liquidità e patrimonio netto vale 3,8 euro ad azione. Nei giorni scorsi, Caltagirone ha così alzato il prezzo a 1,22 euro. Alcuni fondi, tra cui Amber, hanno raccolto una quota superiore al 10% e così sono riusciti a bloccare l’ Opa (serviva almeno l’ 80%). Stando ai nuovi consiglieri nominati nel cda (in alcuni casi esperti di acquisizione) sembra che l’ intenzione di Caltagirone era di vendere la parte editoriale una volta ritirata la società dalla Borsa. Ma il piano è naufragato.
Caltagirone Editore
Il Mattino
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Si è chiusa l’ Opa lanciata da Chiara Finanziaria, società del gruppo Caltagirone, su Caltagirone Editore. Sono state portate in adesione – si legge in una nota – 96.810 azioni, pari a circa lo 0,286% dei titoli oggetto dell’ offerta. Alla luce dei risultati provvisori dell’ offerta – sottolinea la nota – non risulta avverata la condizione sulla soglia in quanto, ad esito del nuovo periodo di adesione, l’ offerente deterrebbe una partecipazione complessiva – tenuto conto della partecipazione direttamente o indirettamente detenuta dall’ offerente e dai soggetti in concerto – pari al 71,134% della totalità delle azioni emesse dall’ emittente. Tutto ciò premesso, l’ offerente comunica di non avvalersi della facoltà di rinunciare alla condizione sulla soglia e che, pertanto, l’ offerta è da considerarsi priva di efficacia. Pertanto – conclude la nota – le azioni portate in adesione all’ offerta saranno restituite nella disponibilità dei rispettivi titolari, senza addebito di oneri o spese a loro carico entro domani (oggi per chi legge, ndr).
Caltagirone Editore, Opa priva di efficacia le adesioni si fermano al 71,13% del capitale
Il Sole 24 Ore
R.Fi
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Non va in porto l’ offerta promossa da Chiara Finanziaria su Caltagirone Editore nonostante il prezzo più rotondo. Secondo i primi dati preliminari ieri, a chiusura dell’ Opa, risultavano consegnate complessivamente 96.810 azioni, pari allo 0,286% delle azioni oggetto dell’ offerta e allo 0,077% del capitale sociale per un controvalore di 118.108,20 euro. Alla luce dei numeri provvisori non si è dunque avverata la condizione sulla soglia, e secondo quanto si legge in un comunicato diffuso dall’ emittente l’ offerta «è da considerarsi priva di efficacia. Pertanto, le azioni portate in adesione saranno restituite nella disponibilità dei rispettivi titolari, senza addebito di oneri o spese a loro carico». L’ offerta era stata lanciata a 1 euro per azione, poi incrementata a 1,22 euro, su 33,8 milioni di azioni con l’ obiettivo di promuovere il successivo delisting della società. Tuttavia, considerate le azioni detenute direttamente e indirettamente dall’ emittente più quelle in mano ai soggetti di concerto, è stata raggiunta la quota del 71,134% del capitale. Una percentuale, dunque, distante dall’ obiettivo prefissato. Di qui la decisione di non raccogliere anche i titoli ricevuti. Va detto che il mercato già scontava il risultato negativo dell’ Opa. Il titolo, infatti, anche ieri ha chiuso leggermente al di sopra del prezzo dell’ offerta archiviando la seduta in progresso del 2,8% a 1,286 euro. L’ 8 giugno scorso, prima dell’ annuncio dell’ Opa, il titolo viaggiava a 0,84 euro ma dal 5 luglio successivo le quotazioni non sono mai scese sotto 1,20 euro e il 4 settembre sono arrivate a toccare anche 1,5 euro. Complice, tra l’ altro, l’ ingresso in forze del fondo Amber che, secondo gli aggiornamenti Consob, ora possiede il 5,515% del capitale. La famiglia Benetton, invece, che deteneva il 2,2% circa, ha ceduto la quota sul mercato. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Rolling Stone a fine corsaIn vendita la Bibbia del Rock
Corriere della Sera
Massimo Gaggi
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NEW YORK Nel 1967 Jann Wenner, un ventenne newyorchese che aveva attraversato l’ America per andare all’ università in California, studente fuoricorso di quella di Berkeley, attivista del «Free Speech Movement» negli anni d’ oro della cultura hippy, si fece prestare 7.500 dollari dalla sua famiglia e dai parenti della fidanzata. Con quei soldi iniziò a San Francisco, insieme al critico musicale Ralph Gleason, l’ avventura di Rolling Stone : la rivista che sarebbe diventata la voce principale della controcultura californiana degli anni Sessanta e Settanta. E poi, dopo il trasferimento della redazione dalla West Coast a New York, la bibbia della musica rock e punk e della «pop culture» mondiale. Ieri, a mezzo secolo esatto dall’ inizio di questa entusiasmante cavalcata, Jann e il figlio Gus hanno gettato la spugna: Rolling Stone è in vendita. La crisi dell’ editoria – meno ricavi dalle vendite e forte calo degli introiti pubblicitari – è arrivata anche qui. In più il magazine paga un brutto incidente del 2014 dal quale non si è mai pienamente ripreso: Rolling Stone denunciò un caso di stupro collettivo nel campus della University of Virginia, ma il caso si rivelò una montatura. Ritiro dell’ articolo, denunce, processi, patteggiamenti: la vicenda ha avuto un costo elevato per la rivista sul piano economico (condannata a pagare un indennizzo di 3 milioni di dollari), ma, soprattutto, in termini di perdita di credibilità. Tramonto triste e doloroso di un organo di stampa che ha inciso profondamente sulla cultura e anche sul dibattuto politico valorizzando scrittori come Tom Wolfe e Hunter Thompson e che ha lanciato, ad esempio, la fotografa Annie Leibovitz, scoperta quando era una studentessa ventenne dell’ Art Institute di San Francisco. E che, tra tante rockstar, ha avuto il coraggio di mettere in copertina anche papa Francesco: abiti candidi ma icona di uno straordinario cambiamento. Tramonto, ma non fine della storia: nonostante le difficoltà, Rolling Stone diffonde ancora un milione e mezzo di copie pagate e, tra giornale di carta e piattaforme digitali, raggiunge un bacino di 60 milioni di americani. Stanco e consapevole dei suoi limiti nella gestione delle nuove tecnologie, Jann si è affidato alle banche per la ricerca di imprenditori giovani che, oltre a essere disposti a mettere sul piatto parecchi soldi per il controllo di Rolling Stone , abbiano anche la capacità di sfruttare pienamente le potenzialità di queste piattaforme digitali. L’ editore non vorrebbe uscire di scena: lui e il figlio Gus, oggi direttore generale del gruppo editoriale, sperano di poter restare in azienda come manager, ma si rendono conto che ciò dipenderà dalla volontà del compratore. Che potrà rilevare solo il 51 per cento del capitale dell’ azienda, visto che il restante 49 per cento era già stato ceduto l’ anno scorso a BandLab Technologies, una società di Singapore. Per far fronte alle difficoltà dell’ azienda, la famiglia Wenner aveva già venduto US Weekly e Men’ s Journal , gli altri giornali di un gruppo nel quale, ora, oltre al magazine, rimane solo Glixel, un sito di videogiochi. C’ è, quindi, da chiedersi cosa resterà, dopo questo ulteriore colpo di scena, di un rivista celebre per le sue copertine (come quella del 1981, l’ immagine ripresa dalla Leibovitz di John Lennon nudo, in posizione fetale, tra le braccia di Yoko Ono), per i ritratti (come quello sugli aspetti meno noti di Steve Jobs), ma anche per articoli che hanno avuto un’ influenza politica rilevante. Anche in anni recenti. Celebre quello del 2009 nel quale Matt Taibbi, dopo il crollo di Wall Street, descrisse Goldman Sachs, fin lì la banca d’ affari più autorevole e riverita dei Pianeta, come una piovra. O l’ intervista del 2010 a Stanley McChrystal, zeppa di critiche all’ allora vicepresidente Joe Biden, dopo la pubblicazione della quale il generale fu costretto a dimettersi dal comando delle forze degli Usa e dei suoi alleati impegnate in Afghanistan e ad accettare il prepensionamento.
Anche a metà settembre va in onda la televisione delle repliche
Italia Oggi
ANDREA MONTANARI
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Ok, la domenica sera, all’ ora di cena, è dedicata tipicamente allo sport, quasi sempre il calcio. Almeno televisivamente parlando. Magari con una bella pizza e una birra ghiacciata, modello Fantozzi. Quindi di solito si tende a non proporre sul piccolo schermo dei gran capolavori o eventi live di rilievo. Va in onda insomma il ricordo, il passato, la replica infinita. Anche in una serata, come quella di domenica 17, nella quale Sky Sport e Mediaset Premium mandavano in onda un match non certo di cartello, il posticipo Genoa-Lazio e su SkySport2 andava in scena la finale dell’ Eurobasket, partita avvincente ma per pochi intimi come spesso accade per il basket che ha visto trionfare la Slovenia. Ecco fatte queste debite premesse le tv generaliste non hanno certo dato il meglio della loro offerta. Basti dire che a trionfare è stata, come sovente accade in prime time, Rai1 con la replica dell’ ultima puntata della 3° stagione (è in arrivo la 5° stagione) di Un passo dal cielo con uno share del 14,78%. A contendere la vittoria a Terence Hill ci hanno provato Alessandro Siani e Claudio Bisio con la replica (una delle tante) del loro Benvenuti al Nord, anno 2012 (e sequel di Benvenuti al Sud) che però si sono fermati al 12,78%. Di déjà vu in déjà vu ecco spuntare su Italia1 la pellicola della serie X-Men: X-Men conflitto finale, del 2006, ha registrato un dignitoso 5,69%. Più «anziano» (anno 2002) ancora l’ ironico e irriverente Prova a prendermi della coppia dorata di Hollywood, Leonardo DiCaprio e Tom Hanks trasmesso da Rete4 che ha incassato il 5% di share. Per non farsi perdere nulla anche Tv8 (gruppo Sky) ha riproposto la replica di Masterchef 6. Evidentemente molte donne ieri sera erano in possesso del telecomando visto che l’ ascolto medio è stato del 4,6%. Ancora più retrò la scelta di La7 (non nuova a film degli anni 50-60-70) che ha trasmesso Indovina chi viene a cena? (festeggia i 50 anni essendo del 1967, auguri) che ha registrato un modesto 2,95%, sotto la media della rete di Urbano Cairo in prima serata (3,35%). In totale, questa offerta televisiva che sa tanto di passato e vecchio ha comunque catturato più del 45% dei telespettatori italiani e ha rubato spazio a un prodotto originale e dal taglio prettamente culturale come il film-documentario trasmesso da Rai3 e dedicato alla figura del cantante e artista napoletano Pino Daniele, scomparso nel gennaio di due anni fa che ha incassato solo il 4,9%, di poco sotto la media di rete in prime time (6,03%). Peggiore, in questo senso, è stata la scelta del terzo canale di stato di trasmettere in seconda serata lo spettacolo Sanghenapule portato in scena al Piccolo Teatro di Milano da Roberto Saviano e Mimmo Borrelli che ha tenuto incollati, si fa per dire, davanti al piccolo schermo solamente 330 mila spettatori per un modestissimo 1,91% di share (la media di Rai3 in seconda serata sfiora solitamente il 5%).
Caltagirone Editore, inefficace l’ opa per il delisting
Italia Oggi
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Non è andata a buon fine l’ offerta totalitaria finalizzata al delisting della Caltagirone Editore. A ieri, infatti, con il nuovo periodo di adesione all’ offerta pubblica di acquisto sono state portate 96.810 azioni, pari a circa lo 0,286% dei titoli oggetto dell’ opa e allo 0,077% del capitale sociale dell’ emittente, per un controvalore di 118.108 euro. In base ai risultati provvisori, quindi, Chiara Finanziaria sarebbe arrivata a poco più del 71% delle azioni e così «non risulta avverata la condizione sulla soglia» e l’ offerta «è da considerarsi priva di efficacia». L’ 8 settembre Chiara Finanziaria aveva alzato il prezzo dell’ opa da 1 euro a 1,22 euro e il periodo di adesione è stato prorogato al 18 settembre. L’ offerta pubblica di acquisito riguardava tutte le azioni (32,7% il flottante) tranne quelle detenute anche indirettamente da Caltagirone (il 60,7%), quelle dei familiari (4,6%) e le azioni proprie (1,8%).
Caso Farina, sotto la lente tutte le testate cedute
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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L’ arresto negli scorsi giorni di Vittorio Farina, uno dei principali stampatori italiani, con l’ accusa di bancarotta fraudolenta relativa al fallimento della Ilte, potrebbe avere una serie di risvolti anche in relazione al mercato dei periodici. Infatti Farina, attraverso la sua Dprint, nel corso degli anni aveva creato un polo editoriale di un certo peso, rilevando, in particolare, tutte le testate della ex Guido Veneziani editore, poi a sua volta fallita. Nel 2017, tuttavia, nel giro di qualche mese la Dprint si è liberata di tutte le sue più importanti testate: attorno a febbraio ha ceduto Stop, Miracoli, Top, Confessioni e Confessioni oro alla Periodici italiani srl di Fabio Caso, e poi In Famiglia alla Gmp Periodici di Giuseppe Pilera, e, infine, il polo di Vero al fratello Mario Farina. Tutte cessioni di ramo di azienda che adesso verranno analizzate dagli inquirenti per verificarne l’ adeguatezza o meno. Di certo i giornalisti che lavorano in queste testate fanno fatica a trovare pace, dopo gli anni di caos prima sotto Veneziani, poi con Farina, e, adesso, sotto Caso, che, a singhiozzo, porta in edicola i vari periodici. Quanto, però, alla vicenda dell’ acquisto delle testate da Dprint, Caso si dice «tranquillo. Sono vicende scollegate, lontane nel tempo, con soggetti diversi. Mi spiace per Vittorio Farina e sono sicuro ne uscirà a testa alta. Io ho pagato il ramo di azienda acquistato da Dprint, ho finito di pagarlo lo scorso giugno e sono sereno. Se poi il tribunale riterrà di richiamare il ramo di azienda sotto la Dprint, dovrà ripagarmi quanto versato e pure i danni». © Riproduzione riservata.
Chessidice
Italia Oggi
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Corriere della Sera Torino, La Rocca direttore. L’ editore Rcs Urbano Cairo ha formalizzato la scelta per la direzione della nuova edizione torinese del Corriere della Sera: si tratta di Umberto La Rocca, ex direttore del quotidiano ligure Secolo XIX e con un passato a Messaggero e Stampa (vedere ItaliaOggi del 12/8/2017). La selezione dei giornalisti è già iniziata e si punta a una redazione di circa 12 persone, provenienti anche da altre edizioni locali del Corriere della Sera. Il debutto del Corsera Torino è atteso per fine ottobre-inizio novembre ma non è escluso che l’ operazione slitti più in avanti. Rcs, il prossimo Giro d’ Italia partirà da Gerusalemme. Nel 2018, per la prima volta, la competizione su due ruote partirà fuori dai confini europei. L’ edizione 101 del Giro d’ Italia è in programma dal 4 al 27 maggio prossimo e seguirà tre tappe sul territorio israeliano. La partenza è anche l’ occasione per ricordare il campione italiano Gino Bartali, insignito come «Giusto fra le Nazioni». Murdoch jr perde in tribunale con Cbs su Ten Network. L’ imprenditore dei media Bruce Gordon e Lachlan Murdoch, figlio del magnate Rupert Murdoch, hanno perso la causa legale intentata per impedire all’ emittente Cbs di acquisire l’ australiana Ten Network Holdings, che versa in stato di insolvenza. Gordon e Murdoch hanno contestato la possibile acquisizione da 201,1 milioni di dollari australiani (134 mln di euro) di Ten Network da parte di Cbs, sostenendo che la loro offerta non è stata opportunamente considerata dai consulenti di KordaMentha, specializzati in casi di insolvenza, che si sono invece pronunciati a favore della proposta dell’ emittente. Venerdì scorso i due imprenditori hanno lanciato una nuova offerta per Ten Network, dopo che il Parlamento australiano ha approvato una legge che rende più facile acquisire quote di controllo nel settore dei media. I creditori valuteranno ora varie opzioni, inclusa la vendita di Ten Network a Cbs, ma potrebbero anche prendere in considerazione l’ ultima offerta di Gordon e Murdoch.
Rolling Stone in vendita
Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Alla vigilia dei suoi 50 anni finisce un’ era per Rolling Stone, la rivista americana considerata la bibbia della musica che ha raccontato anche la politica americana dal 1967 a oggi. L’ editore Jann Simon Wenner, che l’ aveva fondata nel 1967 assieme al critico Ralph Gleason, ha infatti deciso di mettere in vendita la quota di controllo, dopo che già lo scorso anno aveva ceduto il 49% a una società di Singapore, la BandLab Technologies. L’ operazione è appena all’ inizio: alcune banche d’ affari si stanno occupando di sondare possibili compratori, e non si sa nemmeno quale sia la richiesta. Il problema per Rolling Stone è quello della carta stampata tradizionale, ovvero il calo delle vendite e della pubblicità, che non risparmia nemmeno giornali storici come questo. La Wenner Media, presieduta dal fondatore e guidata da suo figlio, il 27enne Gus Wenner, ha negli ultimi tempi ceduto quasi tutti i suoi asset: il settimanale Us Weekly e Men’ s Journal. Evidentemente il sacrificio non è bastato e anche Rolling Stone ora ha bisogno di un appoggio finanziario forte. I due Wenner hanno già espresso il desiderio di continuare a lavorare per la rivista, ma tutto dipenderà dagli acquirenti. Che per Wenner padre sia un grosso sacrificio è risaputo nel settore: ha fondato Rolling Stone quando aveva 21 anni e nonostante successivamente abbia lanciato altre avventure editoriali, è stata quella la testata a cui aveva dedicato la vita. Nel tempo, però, il magazine ha perso la forza che ha sempre avuto nelle generazioni che si sono succedute dal 9 novembre del ’67, il giorno della prima uscita, in poi. È dagli anni 90 che è cominciato il declino di lettori. Tre anni fa un colpo alla forte tradizione giornalistica della testata: la storia di uno stupro di gruppo nell’ Università della Virginia, poi rivelatasi una bufala e per la quale l’ editore ha dovuto sborsare 3 milioni di dollari di risarcimento. Ora non si sa chi prenderà il posto di Wenner nell’ azionariato. La presenza di una quota di minoranza della BandLab, una sorta di community in cui musicisti e fan creano musica e interagiscono tra loro, non rende facile l’ ingresso di un grande gruppo. Uno dei canditati, però, potrebbe essere American Media, la società che ha già acquisito Us Weekly e Men’ s Journal. Rolling Stone ha anche una quindicina di edizioni internazionali, compresa quella italiana, attualmente edita da Luciano Bernardini De Pace su licenza della casa madre americana. Nel primo numero Wenner spiegò come mai scelse questo nome: «Probabilmente vi state chiedendo cosa stiamo cercando di fare. È difficile da dire: una sorta di rivista e una sorta di quotidiano. Il suo nome è Rolling Stone che proviene da un vecchio detto: «una pietra che rotola non raccoglie muschio». Muddy Waters ha usato questo nome in una canzone che ha scritto. I Rolling Stones hanno preso il loro nome dalla canzone di Muddy. Like a Rolling Stone è stato il titolo del primo titolo rock di Bob Dylan. Abbiamo lanciato una nuova pubblicazione che riflette i cambiamenti nel rock and roll e i cambiamenti legati al rock and roll».
Cairo lancerà «Solferino 26» casa editrice anti Mondadori
Libero
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PAOLO BIANCHI Novità nel Magico mondo dell’ editoria libraria. Le nostre fonti la chiamano “Solferino 26”. Aperta la discussione sul nome, ma è certo che Urbano Cairo, probabilmente l’ editore più dinamico d’ Italia, vara un nuovo bastimento da far galleggiare sulle acque infide (e a volte stagnanti) di un settore affollatissimo e dove le battaglie navali sono quotidiane. E comunque, riorganizza la propria flotta. Nel gruppo, che fa capo alla società madre Cairo Communication, da un decennio c’ è posto anche per i libri, con un catalogo partito con titoli commerciali, sia di narrativa italiana e straniera, sia di saggistica, e poi ampliatosi anche a proposte più letterarie e di ricerca. Vendite da alta classifica per l’ annuale oroscopo di Paolo Fox, per dire, ma anche una bella selezione di autori italiani e stranieri. Senza contare i cataloghi d’ arte e i libri illustrati, per esempio l’ annuale Catalogo dell’ Arte Moderna, un classico, prodotto sotto il marchio dell’ Editoriale Giorgio Mondadori. IL MARCHIO Già. Perché qui sta un punto. L’ attenzione che Cairo ha sempre dedicato ai nomi, ai brand. Per esempio, quando acquisì l’ Editoriale Giorgio Mondadori nel 1999, mantenne marchi e loghi che, nell’ ambito delle riviste illustrate di settore (Airone, Bell’ Italia, Bell’ Europa, Arte, eccetera) offrivano una garanzia per i lettori. Non cedette insomma alla vanità di etichettare ogni cosa col proprio nome, sapendo che ne avrebbe avuto vantaggio dal punto di vista del marketing. Su una dozzina di altri periodici di taglio popolare lanciati in seguito (come Di Più, Diva e Donna e Giallo) è finito invece il marchio Cairoeditore con il logo a forma di occhio, un occhio che non perde mai di vista il business. Ma il 2016 è stato l’ anno del colpo grosso, dell’ acquisizione di Rcs Mediagroup, e quindi del Corriere della Sera, della Gazzetta dello Sport, e di una serie di periodici come Oggi e Amica, tanto per dirne un paio. La sezioni libri invece era passata a Mondadori (costituendo quella che in gergo si chiama oggi “Mondazzoli”). La nuova imbarcazione (proseguendo nella metafora navale) servirà a consolidare la presenza nel settore libri, probabilmente caratterizzando meglio i settori, aumentando la produzione, intensificando la distribuzione e sfruttando le possibilità offerte dalle cosiddette sinergie nel nuovo assetto proprietario. Che cosa stia succedendo di preciso ancora non lo sappiamo, perché progetti e modalità esecutive sono in corso, ma ieri l’ editore era presente a una riunione decisiva. Una quaestio aperta è il nome della nuova entità, che in un primo tempo doveva chiamarsi “Solferino 26”, a richiamare l’ indirizzo milanese del Corsera. Senonché, già all’ interno della casa editrice è partito qualche muso lungo. Avrebbe senso chiamare un settore librario con un nome che ricorda un quotidiano, sia pure un quotidiano prestigioso, dunque un altro genere di carta stampata, perché un conto sono i giornali e un conto sono i libri? Oltretutto, anche dal punto di vista commerciale l’ idea ad alcuni non piace. A parte il fatto che l’ indirizzo del Corriere comprende anche il civico 28, e considerato che a ben pochi fra i lettori italiani, anche i più colti, un tale recapito potrebbe far scattare interessanti associazioni di idee, ancora non si capisce che fine farebbe invece il marchio “Cairo” che appare da dieci anni sulle copertine dei libri e che è stato senza dubbio un investimento, ormai riconosciuto da lettori e librai. LA SEDE C’ è poi il fatto, solo apparentemente secondario, che un nome del genere porti come si suol dire sfiga, dato che la storica sede del Corrierone è stata venduta quattro anni fa (è tutto in affitto a due milioni all’ anno), tanto che perfino la Gazzetta dello Sport ha già traslocato da un pezzo dal salotto buono di Brera alla meno eccitante periferia di via Rizzoli (metrò Crescenzago), a pochi metri da quello che fu l’ ingresso principale della casa editrice ai bei tempi, e dove ora giace come una reliquia dimenticata il busto impolverato del fondatore Angelo Rizzoli. C’ è anche la questione della disponibilità del marchio Rcs, che creerebbe però qualche confusione con Rcs Libri, cioè con il marchio librario Rizzoli, come si è detto oggi di proprietà della berlusconiana Mondadori. In pratica, ancora una volta – stavolta sui libri – Cairo si pone in contrapposizione diretta con Berlusconi. Ma nomi a parte, e mentre ciascuno si preoccupa di inopportune intrusioni dei nuovi colleghi, ci sarà da divertirsi a vedere come Cairo, il resuscitatore di aziende decotte, si giocherà la partita, anzi la naumachia, del fare e diffondere libri. riproduzione riservata Urbano Cairo è presidente di Cairo Communication, di RCS MediaGroup (di cui è anche amministratore delegato) e del Torino FC \
«Rolling Stone» Usa finirà in vendita
Il Giornale
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La mitica rivista americana «Rolling Stone» finirà in vendita. Dal 1967, quando fu fondata da Jann Wenner con 7.500 dollari in prestito, racconta il mondo del rock; ma oggi è in difficoltà, anche per alcuni passi falsi della proprietà (e una grossa causa persa). Così Wenner, a 71 anni (spinto dal figlio Gus, a capo di Wenner media), ha dichiarato che lasciare «è semplicemente la cosa intelligente da fare». Spera di trovare qualcuno che capisca la filosofia del magazine e abbia «tanti soldi». Fra i possibili candidati, American Media Inc.
Opa Chiara Finanziaria priva di efficacia
Il Messaggero
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Si è chiusa l’ Opa lanciata da Chiara Finanziaria, società del gruppo Caltagirone, su Caltagirone Editore. Sono state portate in adesione – si legge in una nota – 96.810 azioni, pari a circa lo 0,286% dei titoli oggetto dell’ offerta. Alla luce dei risultati provvisori dell’ offerta – sottolinea la nota – non risulta avverata la condizione sulla soglia in quanto, ad esito del nuovo periodo di adesione, l’ offerente deterrebbe una partecipazione complessiva – tenuto conto della partecipazione direttamente o indirettamente detenuta dall’ offerente e dai soggetti in concerto – pari al 71,134% della totalità delle azioni emesse dall’ emittente. Tutto ciò premesso, l’ offerente comunica di non avvalersi della facoltà di rinunciare alla condizione sulla soglia e che, pertanto, l’ offerta è da considerarsi priva di efficacia. Pertanto – conclude la nota – le azioni portate in adesione all’ offerta saranno restituite nella disponibilità dei rispettivi titolari, senza addebito di oneri o spese a loro carico entro domani (oggi per chi legge, ndr).
Addio Tv
La Repubblica
CRISTINA NADOTTI
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ROMA. Quasi il 10 per cento in meno di apparecchi televisivi venduti tra gennaio e luglio 2017 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Non è il clamoroso – 46 per cento registrato dallo stesso istituto di ricerca, GfK, e per lo stesso periodo in Francia, ma è un dato significativo. Lo è soprattutto se si guarda l’ andamento delle vendite dell’ elettrodomestico per eccellenza su più anni: la tendenza al calo è costante e ha fatto registrare un -12,2 per cento nel 2015, poi un piccolo aumento nel 2016 (+3,7). La risalita è però coincisa con il campionato europeo di calcio, da sempre capace di far anelare a schermi più tecnologici. La corsa all’ ultimo modello argina la deriva del mercato: si comprano meno tv, ma spendendo di più. Il prezzo medio per apparecchio acquistato è cresciuto infatti dai 364 euro del 2015 ai 370 del 2016, fino ai 387 del 2017, con gli acquirenti alla caccia della risoluzione superiore dei tv 4K, la tecnologia che ha reso obsoleto il full HD. Tutto questo non basta comunque a sostenere il volume d’ affari, calato, come per le vendite, in maniera pressoché costante (-11,4 per cento nel 2015, poi un piccolo rialzo, +5,6 nel 2016 e -5,8 del 2017). La crisi dei televisori non è però crisi della tv. Soprattutto i millennial sono sempre incollati a uno schermo, che spesso non è quello dell’ apparecchio tv. «Il crollo delle vendite è l’ effetto di quella che da anni chiamiamo la televisione in qualunque momento e ovunque », spiega Romana Andò, sociologa della comunicazione alla Sapienza e coordinatrice con Alberto Marinelli dell’ Osservatorio Socialtv. «La moltiplicazione degli apparecchi di accesso e degli operatori dei servizi fa sì che oggi si consumino più contenuti – dice l’ esperta – ma non soltanto negli spazi domestici tradizionali e nei tempi canonici della visione». E se all’ inizio queste nuove pratiche di consumo si traducevano nello scaricare in modo più o meno legale film e serie da internet, ora ci sono i grandi servizi di streaming ad aiutare coloro che Andò chiama «i fan dei contenuti tv». «Le pratiche del pubblico più attivo – sottolinea – hanno di fatto anticipato le strategie poi attuate dai maggiori distributori, che stanno trasformando un fenomeno di nicchia in pratiche diffuse. Penso al caso dell’ ultima stagione di serie di successo che Sky ha dovuto mettere in onda in contemporanea mondiale, per evitare lo streaming pirata ». Netflix invece gioca ad anticipare l’ attesa dei fan, a promuovere modalità di fruizione immersive ( binge watching) e realmente costruite sulle esigenze del pubblico». Nel bene e nel male l’ apparecchio tv è stato il focolare moderno, il totem intorno al quale anche le famiglie con orari più disparati e interessi diversi riuscivano a riunirsi, magari per tifare la Nazionale. E ora? «Lo schermo televisivo non ha perso questa funzione – conclude Andò – sebbene oggi coesistano esperienze di visione assai diversificate rispetto ai tempi, ai luoghi e ai rituali di consumo. L’ apparecchio tv tradizionale continua a mantenere il primato tra gli schermi con cui consumare contenuti televisivi: secondo i dati dell’ Osservatorio sul 2016, il 74 per cento del campione usa sempre o spesso la tv principale dell’ abitazione, soprattutto per tempi di visione che superano l’ ora. Non va sottovalutata, infine, la presenza di schermi che garantiscono una condivisione più elettiva, con parenti, amici, compagni o persino sconosciuti ai quali, però, ci unisce la passione per un determinato contenuto. Ricreando così un focolare attorno al quale trovarsi non necessariamente in presenza, ma altrettanto coinvolgente». ©RIPRODUZIONE RISERVATA Vince il consumo possibile ovunque e in qualsiasi momento specie tra gli under 35 Reggono solo i modelli più avanzati ad altissima risoluzione, spinti dagli eventi sportivi.
Una nuova sfida hi-tech e quella scatola tornerà magica
La Repubblica
ANTONIO DIPOLLINA
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L’ ipotesi è: hanno ragione tutti. Succede, ogni tanto: succede che un pezzo di motivazione stia in piedi come un altro pezzo e così via. L’ oggetto televisore troneggiante in salotto è ai limiti dell’ obsoleto, inoltre più o meno hanno già inventato tutto (e il passaggio finale è stata una buona alta definizione media per i modelli nuovi). Succede che Netflix o Amazon Prime siano cose anche e soprattutto da schermo di computer, magari in visione solitaria, succede che anche l’ oggetto ex-misterioso smart-tv sia ormai parte del paesaggio e non emozioni più di tanto (peraltro si ha lo stesso risultato con un vecchio plasma e una chiavetta da trenta euro). Succede che qualcosa non abbia funzionato: per esempio la diffusione del 3D, crollata ai minimi termini in attesa che inventino davvero quello senza occhialini – ma potrebbe volerci di meno a scoprire come sterminare le zanzare per sempre. E mettiamoci anche la crisi e il costo e la concorrenza spietata degli smartphone – è più appagante un Super Ultra Oled 4K chiuso in casa o quell’ aggeggio da 1350 euro che sta arrivando e che si può mostrare a chiunque e ovunque? Insomma è tutto vero, fa fede anche la drastica diminuzione accanto ai cassonetti di quegli scatoloni giganteschi e piatti sotto Natale e vedremo come andrà l’ anno prossimo per i Mondiali di calcio (piccolo problema: bisogna ancora qualificarsi e non è come dirlo). Intanto, altri vaghi segnali contrari: arriva la nuova Gomorra e che cosa decidono quelli di Sky? L’ esordio lo puoi andare a vedere al cinema. Ma il senso rimane quello delle pluri-motivazioni, in attesa che qualcuno venga a spiegarci che arriva davvero un nuovo modello di tv da sogno e inconcepibile finora: oppure (e buonanotte) che quelli sotto i 20 anni decidano che esiste una cosa chiamata tv da guardare sul televisore, e non le mille frattaglie scelte con cui ingozzarsi anche e soprattutto sullo smartphone alla fermata della metro. ©RIPRODUZIONE RISERVATA.
Il declino del pensiero rock Rolling Stone è in vendita
La Repubblica
GINO CASTALDO
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C’ È ANCORA chi definisce Rolling Stone la Bibbia della controcultura, ma ovviamente così non è più, da molti anni. Secondo alcuni fin dal 1976 quando l’ editore decise di spostare baracca e burattini da San Francisco, dove la rivista era nata nel 1967, nel pieno dell’ estate dell’ amore, a New York. Ora il prestigioso marchio è in vendita, e del resto, come ha sottolineato l’ editore Jann Warren, settantunenne, fin dall’ inizio a capo dell’ azienda, che inaugurò grazie a un prestito di 7500 dollari, per l’ editoria indipendente i tempi sono diventati troppo duri, praticamente impossibili. Cambiare è inevitabile. Ma di cambiamenti, come si diceva, la rivista ne ha fatti molti, a cominciare dallo spostamento a New York, aprendo poi progressivamente argomenti e copertine fino a prestare più attenzione a volte alle star del cinema che non ai grandi eroi della musica antagonista. Per altri il vero giorno X è quello di fine anni Novanta quando in copertina apparve in posa sexy la allora diciassettenne Britney Spear. Certo, erano finiti i tempi dell’ avventuroso giornalismo musicale e politico che aveva lanciato il sedicenne Cameron Crowe o il genio estremo Lester Bangs, per non parlare del più folle di tutti, l’ eroe del giornalismo gonzo Hunter S. Thompson, ma è anche vero che a cambiare non è stata la rivista, ovviamente, ma prima di tutto la realtà, la qualità e le ambizioni dell’ universo musicale. A mancare erano le stesse basi della controcultura all’ interno della quale era nato l’ ambizioso progetto della rivista, pensata per essere un testimone vigile e critico dell’ establishment, soprattutto attraverso la musica, ma anche nell’ affrontare direttamente temi politici di interesse collettivo. A rigor di termini, la rivista Rolling Stone decise di chiamarsi così seguendo quel medesimo e celeberrimo verso di Muddy Waters, “I’ m a rolling stone”, da cui avevano tratto il nome gli allora perversi Rolling Stones. Ma è anche vero che nel 1967, quando nacque la rivista, i Rolling Stones c’ erano già da un pezzo, e non è detto che anche la loro torbida aura non abbia ispirato la testata. Per non dire che già due anni prima, a rafforzare ancora di più il concetto, era uscito il pezzo definitivo, Like a rolling stone, col qale Bob Dylan aveva definitivamente messo le sue impronte digitali sulla storia del rock. Solo per dire che difficilmente si poteva trovare ai tempi un nome più efficace. La pietra che rotola ha continuato a espandersi. Tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila ha creato numerose edizioni locali, tra cui, dal 2003, quella italiana, e ha cercato di preservarsi, se non come Bibbia di una controcultura che non esisteva più, come una rivista autorevole, e per questo dal 2004 ha iniziato a pubblicare liste e classifiche delle più importanti vicende della storia del rock, copertine, dischi, concerti, arrivando per la copertina del numero 1000 a immaginare una rilettura ad hoc della celebre cover di Sgt. Pepper, con effetto 3D. I tempi stanno cambiando, the times they are changin titolarono quando nel 2014 misero in copertina Papa Francesco, ma ora il cambiamento, forse definitivo, riguarda anche il destino della celebre testata. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Sono cambiate la realtà e le ambizioni del mondo musicale Negli ultimi anni aveva cercato di mantenere autorevolezza LE COPERTINE Alcune delle prime pagine più significative di “Rolling Stone”
Comunicato dell’ assemblea dei giornalisti
Corriere di Bologna
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Nonostante le ripetute e molteplici sollecitazioni, spesso ignorate dall’ azienda, da parecchi mesi ormai l’ assemblea di redazione del Corriere di Bologna attende che si faccia chiarezza sul destino di tre colleghi (Marco Madonia, Pierpaolo Velonà e Andrea Rinaldi) legati da altrettanti contratti a termine a questa redazione. Oggi, a meno di due settimane dalla scadenza del contratto di Rinaldi (coordinatore del dorso Corriere Imprese fin dal suo primo giorno in edicola), nulla è stato chiarito né sul rinnovo del contratto al collega, né sul destino della stessa testata. Allo stesso modo il futuro dei colleghi Madonia e Velonà, legati a due contratti di sostituzione di colleghi oggi in forza alla redazione del Corriere della Sera , resta in sospeso nonostante i loro contratti scadano il mese prossimo. Dopo mesi in cui l’ azienda ha rifiutato di fornire elementi di chiarezza o aprire una qualsivoglia trattativa, ci troviamo di fronte a due appuntamenti (un incontro a Roma nella sede della Fieg sulle nuove iniziative editoriali di Rcs e un altro a Bologna tra il cdr e i rappresentanti dell’ azienda) che arrivano a ridosso di scadenze che chiediamo di affrontare dalla scorsa primavera, comprimendo così al minimo ogni spazio di confronto. Ci auguriamo che in quelle sedi l’ azienda dimostri di tenere al lavoro e al profilo professionale di questi colleghi tanto quanto questa redazione, pronta a difendere e tutelare i colleghi e il loro contributo al giornale con tutti i mezzi a propria disposizione.