Indice Articoli
Anche Cantone indaga sui costi di Fazio
In 135.000 con Milena. Le firme per un’ altra Rai
Viacom punta sull’ Italia e fa shopping nella tv free
Rai francese con 80 milioni di euro in meno
Sky, tra brand già affermati e più produzioni di serie originali
chessidice in viale dell’ editoria
Viacom investe sulla tv in chiaro
Fusione Sky-Fox a rischioper gli scandali dell’ emittente Usa
L’ informazione i rischi del web e il precariato
Ad agosto la Gazzetta ha battuto Repubblica in edicola
Anche Cantone indaga sui costi di Fazio
Il Fatto Quotidiano
Stefano Feltri
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La Rai prende tempo e non ha alcuna fretta di rispondere alle richieste di chiarimenti dell’ Anac, l’ autorità anticorruzione, sui nuovi contratti di Fabio Fazio. Ha tempo fino alla fine del mese e non ha ancora dato segni di attività. Le risposte da Viale Mazzini arriveranno quasi certamente quando Fazio sarà già in onda, visto che la prima puntata è prevista per il 24 settembre. Ma anche il conduttore e la nuova società di cui è socio, Officina, sono stati sollecitati dall’ Anac. E anche loro sono chiamati a rispondere dei dettagli di un investimento faraonico per la televisione pubblica. Come rivelato ieri dal Fatto, il contratto di Fazio vale 2 milioni e 240 mila euro a stagione per quattro anni (in totale 8.960.000 euro). Per i diritti del format per quattro stagioni, inoltre, Viale Mazzini pagherà 2 milioni e 816 mila euro per i 4 anni (704 mila euro a stagione). Infine, ci sono 12 milioni di euro alla società Officina per l’ anno 2017-2018 per la produzione e la realizzazione del programma, cifra che comprende anche la trasmissione di Massimo Gramellini, Le parole della settimana, in onda il sabato a partire da ottobre. L’ Anac si è attivata dopo un esposto del deputato del Pd Michele Anzaldi, molto battagliero sulle questioni Rai. E l’ autorità di Raffaele Cantone ha mandato una lista di richieste di chiarimento. Ha chiesto copia del nuovo contratto di Fazio e anche di quello vecchio con Rai3, scaduto, per analizzare come sono state motivate le variazioni di costi e compensi. L’ attenzione si concentra poi su due delle voci di spesa: quei 2,8 milioni di euro per i diritti del format della trasmissione. Fazio è titolare di quei diritti e li cede a Officina (di cui è socio) ponendo “come condizione inderogabile per la messa a disposizione di Rai del format proprio l’ affidamento alla stessa della produzione del programma, quale garanzia di tutela artistico-editoriale del format da lui creato”. Ora, l’ Anac ha ben chiaro che non si può pretendere di mettere a gare con un bando la prima serata di Rai1. Ma visto che si tratta di denaro pubblico, Cantone ha titolo di vederci chiaro. In fondo, come ha osservato Anzaldi in una interrogazione parlamentare, il format di Che tempo che fa non ha un mercato internazionale e quindi il suo valore è difficile da stimare e Officina è una società costruita ad hoc per l’ operazione, non certo un fornitore Rai che ha già dimostrato di saper reggere quel tipo di impegno. La Rai ha una certa autonomia sulle scelte artistiche. Ma in quanto tv di Stato dovrà dimostrare all’ Anac di aver rispettato il principio di “efficienza ed economicità degli affidamenti”, cioè di aver fatto delle scelte di investimento sensate, in rapporto ai costi e ai potenziali ricavi. E quindi dovrà presentare anche una stima della redditività potenziale, cioè quanti soldi può incassare dalla pubblicità in base allo share atteso. Al Corriere della Sera, ieri, Fazio ha dichiarato che “il programma è pressoché interamente ripagato dalla pubblicità”. Che significa che la pubblicità non coprirà proprio tutti i costi.
In 135.000 con Milena. Le firme per un’ altra Rai
Il Fatto Quotidiano
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La petizione lanciata dal Fatto Quotidiano a sostegno di Milena Gabanelli ha già raggiunto oltre 135.000 adesioni in soli quattro giorni. La stessa Gabanelli, intervenendo sul Fatto di ieri, ha ringraziato coloro che hanno espresso la propria solidarietà, specificando anche di non sentirsi né una vittima né un martire. La petizione, a cui si può aderire tramite ilfattoquotidiano.it o su change.org, è diretta ai vertici della Rai ed è stata lanciata con un appello firmato da Peter Gomez, Antonio Padellaro e Marco Travaglio, dopo che la giornalista aveva annunciato la propria autosospensione dalla tv pubblica. “Siccome noi cittadini siamo i veri proprietari della Rai – si legge nell’ appello – vogliamo rompere questo muro di silenzio e di assuefazione, rivendicare il nostro diritto a un’ informazione pubblica libera e indipendente (soprattutto nell’ anno delle elezioni) e smascherare il giochino di chi tenta di ridurre questo ennesimo scandalo a normale routine burocratica, contrattuale o caratteriale”. Oltre 135.000 cittadini lo hanno detto chiaramente: stiamo con Milena Gabanelli e la rivogliamo subito in Rai.
Viacom punta sull’ Italia e fa shopping nella tv free
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Lancio di un nuovo canale in chiaro sul 49 del digitale terrestre e acquisto del 50% di Super!, canale kids di proprietà di De Agostini Editore, posizionato al 47. Con queste due mosse Viacom toglie il velo sulle sue ambizioni in Italia, lanciando una sfida che ben traspare dalle parole del ceo Italia, Medio Oriente e Turchia, Andrea Castellari: «Vogliamo essere presenti in questo Paese come grande player. Puntiamo a diventare a medio termine il quinto editore tv per ascolti». Superando il gruppo Cairo per intendersi. Ma la mossa di Viacom è un segnale per tutto il panorama tv in cui, nel 2017, il free-to-air si è reso protagonista. Sony Pictures Network ha acquisito il 45 e il 55 dalla Tbs di Costantino Federico (l’ editore di ReteCapri) lanciando sul 45 il canale Pop, per bambini, e Cine Sony (al 55) sul mondo del cinema. La multinazionale Usa Scripps ha dal canto suo lanciato Food Network sul 33 (la ex posizione della “albanese” Agon Channel). E ancora: De Agostini partirà sul 59 con il canale maschile Alpha e Mediaset ha acquisito il canale 20 (quello di ReteCapri), sempre da Tbs. Un risiko in cui Viacom ha un ruolo di rilievo avendo preso la raccolta di tutti i nuovi canali nati in chiaro (tenendo Mediaset fuori dal discorso). Ora arriva il nuovo progetto sul free, sul quale Viacom è presente con Paramount Channel (sul 27), dedicato al cinema, e Vh1 (sul 67): canale musicale per il quale «stiamo pensando a unire prodotti a tema musicale alla rotazione musicale». In questo novero c’ è da considerare ora anche Super!, con De Agostini Editore che si dichiara «particolarmente soddisfatta di annunciare un accordo strategico con una delle più importanti media company al mondo. Accordo che amplia una collaborazione con Viacom già in atto da anni su raccolta pubblicitaria e contenuti e che rafforzerà il canale». E soprattutto da ottobre Viacom scenderà in campo sul canale 49, acquisito da Scripps che lì trasmetteva Fine Living (nei mesi scorsi era circolata la cifra di 9 milioni). «Con Scripps abbiamo fatto questo accordo che prevede la cessione dell’ Lcn e un’ importante intesa di lungo termine sui contenuti». Lo share è quindi attorno al 3%, con la partenza dal prossimo 22 ottobre di Spike: nuovo canale Viacom concentrato sulla fascia 25-54 anni e occhio attento in particolare al pubblico maschile. L’ obiettivo nel medio termine è 1 punto di share. «Noi abbiamo avuto l’ esperienza di Paramount Channel che al lancio si è attestato immediatamente sul punto di share» dice Castellari precisando che Paramount è stato «posizionato su un target molto giovane e profilato, che piace all’ utente pubblicitario». Come a dire che allargando la library il canale potrebbe fare di più, ma l’ intento di Viacom è di puntare a prodotti di altissima profilazione. E questo sia come editore sia come concessionaria: «Abbiamo assunto questo ruolo solo per le realtà che riteniamo perfette per noi. Essere un network, come vogliamo, significa non solo raccogliere pubblicità, ma anche richiedere logiche di entrata particolari». In questo, Viacom si vede come «porta d’ ingresso per multinazionali in Italia» dove, sul fronte pubblicitario, il gruppo lavora con 18 canali tv in concessione di cui 9 free (c’ è anche Radio Italia Tv) e 11 pay (compresi i +1) in esclusiva su Sky e di cui per 9 raccoglie pubblicità. «Con Sky il nostro rapporto è solidissimo. Siamo principalmente un editore pay; lì è il nostro nucleo generante. Mtv è in esclusiva su Sky. Con i canali a marchio Nick siamo i primi al mondo nell’ area kids. Comedy è primo tra i canali terzi Sky sull’ entertainment». Ora però la sfida anche sul free-to-air, mercato cui Tv8 (Sky) e Nove (Discovery) hanno già dato una sferzata. Panorama troppo presidiato? «Evidentemente – replica Castellari – secondo noi ci sono delle prospettive. Sul target 25-54, che è commercialmente il più pregiato, il 42% dell’ audience oggi sta nei canali sopra il 20». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Rai francese con 80 milioni di euro in meno
Italia Oggi
DA PARIGI GIUSEPPE CORSENTINO
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Il compito di dare la brutta notizia, il presidente Emmanuel Macron, prima di partire per le Antille francesi devastate dall’ uragano Irma (una mazzata imprevista di qualche miliardo di euro sulla prossima legge finanziaria), l’ ha affidato alla sua ministra della Cultura, Françoise Nyssen: annunciare ai vertici di France Télévisions, di Radio France, di Arte e di France Médias Monde, che «l’ audiovisuel publique est invité de se serrer la ceinture», che il sistema radiotelevisivo pubblico, finanziato dallo Stato per oltre quattro miliardi di euro, dovrà bongré malgré, tirare la cinghia, fare economie, tagliare almeno 80 milioni di euro di costi: 50 la tv, 20 la radio, e il resto tra Arte e France Monde, quella che si era messa in mente, pensate, di lanciare quest’ anno un canale in lingua spagnola per il Sudamerica con una sede a Bogotà, Colombia. La ministra, un paio di giorni fa, ha invitato a pranzo i «magnifici quattro» dell’ audiovisuel publique (l’ ambiziosissima Delphine Ernotte, la patronne di France Télévisions, ex protegé di Hollande che in questi mesi ha fatto di tutto per accreditarsi nell’ inner circle macroniano e si è fatta vedere più volte a fianco del giornalista televisivo Bruno Roger-Petit (un suo dipendente, insomma) appena nominato nuovo portavoce del presidente; l’ affascinante Mathieu Gallet, capo di Radio France, talmente intimo, très proche come si dice qui, di Macron da alimentare mille pettegolezzi sempre smentiti; Marie-Christine Saragosse, responsabile di France Médias Monde, figlia di un «émigré» italiano rifugiatosi in Francia durante il fascismo; e Veronique Cayala, presidente di Arte dopo una carriera da grand commis al ministero della Cultura dai tempi di Giscard d’ Estaing, e a tutti e quattro ha dato la «mauvaise nouvelle», la cattiva notizia. Ufficialmente nessuno dei quattro ha protestato né ha fatto dichiarazioni. Un po’ perché se lo aspettavano (il 14 giugno, si erano presentati dalla stessa ministra Nyssem per chiedere una riforma del canone ma, il 31 agosto, appena tornato dalle ferie, Gérard Darmanin, ministro del Bilancio, aveva fatto sapere che riformare e aumentare il canone non era nell’ agenda del governo), un po’ perché sono convinti, come accade con la Rai in Italia del resto, che un opportuno lavoro di lobbying su governo e maggioranza parlamentare (in questo caso, il partito unico di Macron) riuscirà a dare, da qui all’ autunno, i suoi frutti. Cioè a dire, ridurre i tagli e magari ottenere, eterogenesi dei fini, qualche risorsa in più, per esempio a France Télévisions che oggi spende più di 400 milioni di euro per la fiction francese e si sa quanto la fiction sia importante per l’ industria del cinema e la politica culturale della Francia nel mondo. I precedenti sembrano autorizzare tutti gli «arriéres pensées» dei quattro top manager dell’ emittenza pubblica. Nel 2013 (Hollande appena insediato all’ Eliseo) l’ allora ministro della Cultura, la socialista Aurélie Filippetti, trombata alle ultime politiche e ora editorialista all’ emittente radiofonica Rtl si scontrò pubblicamente con il presidente di France Télévisions, Remy Pflimlin, uomo del vecchio presidente Nicolas Sarkozy, proprio sulla proposta del governo di tagliare 86 milioni di euro dal finanziamento pubblico. Come c’ era da aspettarsi, non se ne fece nulla o quasi: il taglio di 86 milioni fu ridotto a 36, finanziato in gran parte da un consistente aumento del canone, cioè messo a carico dei contribuenti, e Radio France ebbe addirittura un aumento di 5 milioni di euro. Finirà così anche stavolta, nonostante la faccia feroce del ministro del Bilancio Darmanin e i mille problemi di una finanziaria «lacrime e sangue» che Macron e Edouard Philippe, il capo del governo, debbono presentare al Parlamento entro il 27 settembre? Per rendersi conto della partita che si sta giocando tra politica e sistema radiotelevisivo pubblico va detto che il taglio annunciato di 80 milioni di euro è niente a confronto delle risorse impegnate attraverso un complicato meccanismo contabile fatto di Com, di Contracts d’ objetifs et de moyens (equivalenti ai contratti di servizio tra la Rai e il suo azionista ministero del tesoro) che alla fine non rispettano quasi mai gli obiettivi come denuncia tutti gli anni la Corte dei conti. In base a questi Com, lo stato versa nelle casse di France Télévisions 3,9 miliardi di euro (su un budget complessivo di 3 miliardi) e 607 milioni a Radio France (su un budget di 653). Ebbene, nonostante questo «cash flow» che alimenta il sistema, Radio France non ha mai chiuso il bilancio in utile dal 2014 (il pareggio è annunciato per il 2018), mentre France Télévisions ha i conti in equilibrio solo dal 2016 e solo da un paio d’ anni è impegnata a mettere ordine tra i suoi centri di costo e a tenere sotto controllo le spese (per esempio, applicando il blocco del «turnover»: un’ assunzione ogni due pensionamenti come in tutta la pubblica amministrazione). Da ultimo, c’ è la variabile sindacale: la Cgt, la Cgil francese ha denunciato che questo taglio di 86 milioni di euro equivale ad almeno 500 «suppressions de postes» e perfino i dirigenti sono sul piede di guerra. La direttrice di France Inter, Laurence Bloch, per esempio, intervistata dal Figaro ha dichiarato che il clima in azienda è «très lourd», pesantissimo e che con la spada di Damocle dei tagli non si può lavorare. L’ autunno caldo di France Télévisions è appena cominciato. © Riproduzione riservata.
Sky, tra brand già affermati e più produzioni di serie originali
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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C’ è un segno di discontinuità rispetto alle passate serate upfront dei palinsesti di Sky Italia. Questa volta, infatti, l’ amministratore delegato Andrea Zappia si presenta abbronzato come non mai e con una barbetta di qualche giorno che fa molto lupo di mare. Insomma, parafrasando gli slogan di Sky, si potrebbe definire «La miglior abbronzatura di sempre» per un manager che si appresta a guidare il gruppo in un mondo con «contenuti infiniti e senza limiti», nel quale «Sky è un punto di riferimento ma non un punto fermo, perché è sempre in movimento. Non si adatta al cambiamento, ma lo determina». I tre punti su cui Zappia insiste nel suo discorso agli investitori pubblicitari sono «la costruzione di brand rilevanti. Sia per i canali di Sky, Fox o Disney, sia per i brand di contenuti come X-Factor o MasterChef. Marchi che sono la cosa più giusta per i vostri brand», dice rivolgendosi al pubblico. Il secondo punto è invece lo storytelling, «nuovo e diverso, e che rappresenta la forza del gruppo Sky. C’ è una accelerazione nella produzione di serie originali Sky, con investimenti forti per controllare meglio il prodotto e dare creatività nuova ai nostri clienti». Infine, l’ importanza crescente della tv in chiaro, con i successi di «Tv8 che cresce molto bene anche con prodotti originali tutti suoi, tipo Guess my age», il gioco condotto da Enrico Papi. Tutto questo condito da tanta tecnologia nuova: «Anche qui stiamo accelerando il percorso: sono arrivati i Box sets», aggiunge Zappia, «e poi Sky Go plus. Tra poco lanciamo il nuovo decoder Sky Q, con Ultra Hd e 4K. Ed entro la fine del nostro anno fiscale (giugno 2018, ndr) metteremo in commercio lo Sky sound box, per avere anche un audio straordinario e su misura per i singoli clienti». Chicche della serata mondana? Beh, Alessandro Cattelan che, rivolgendosi a Joe Bastianich, lo definisce «nella versione J-Ax», poiché si presenta indossando un cappellino al contrario, occhiali, giubbotto di pelle, e un look eccessivamente giovanilistico (alla Jovanotti dei tempi di «È qui la festa», tanto per intendersi) per un uomo di 49 anni. Pure Manuel Agnelli è piuttosto tremendo col cappellaccio da spaventapasseri e, nel quartetto di giudici di X-Factor (il talent parte oggi su Sky Uno), si è notata l’ assenza di Fedez. Sul red carpet centinaia di scatti per Diletta Leotta e Ilaria D’ Amico. Per un match che, comunque, finisce in parità. Anche se gli intenditori hanno, in verità, solo occhi per Anna Billò. © Riproduzione riservata.
chessidice in viale dell’ editoria
Italia Oggi
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Google, addio al primo click gratuito sui siti di news. Google sta per porre fine alla politica del «primo click gratuito», che consente agli utenti del motore di ricerca di poter accedere ai contenuti integrali dei siti di notizie senza esserne, però, abbonati. Si tratta di una mossa che, secondo il ceo di News Corp, Robert Thomson, potrebbe aiutare gli editori a far impennare il numero di abbonamenti. Per anni il gigante di Mountain View ha cercato di incoraggiare gli editori a prendere parte a un programma che consente agli utenti di avere accesso gratuitamente a una quantità limitata di contenuti su siti di notizie in abbonamento. Alcuni editori pensano che questa politica abbia impattato negativamente sulla crescita di abbonamenti e che il fatto di non partecipare al programma li penalizzi nelle pagine dei risultati di ricerca di Google. Il Wall Street Journal, di proprietà di News Corp, ha deciso di uscire dal programma quest’ anno e, per questo motivo, ha visto calare del 38% i click dal motore e dell’ 89% da Google News lo scorso mese rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Questo perché, secondo quanto affermato da un portavoce, i suoi articoli avrebbero subito un downgrade nei risultati. Con la fine al «primo click gratuito», Google darà la possibilità agli editori di scegliere in che modo permettere l’ accesso ai propri contenuti attraverso il motore di ricerca. Secondo quanto affermato da fonti vicine al dossier, il gigante di Mountain View continuerà a permettere agli editori di offrire un estratto gratuito delle proprie storie, senza alcuna penalizzazione nel caso non vogliano farlo. Google/2, al via le candidature per Fondo innovazione. Si apre il quarto round di candidature per presentare progetti e richiedere finanziamenti all’ interno del Fondo per l’ innovazione della Digital News Initiative promossa da Google. Le candidature di questa stagione rimarranno aperte per le prossime quattro settimane, fino al 12 ottobre. Nasce la filiale italiana di Schibsted Media Group. La multinazionale norvegese ha annunciato la costituzione in Italia della propria branch Schibsted Italy a cui fanno capo Subito, InfoJobs e Pagomeno. Oltre a questi brand, Schibsted Italy controlla anche Schibsted Italy Business, società che fornisce servizi di teleselling e customer care. Ceo di Schibsted Italy è Melany Libraro, già ceo di Subito dal 2014. A Barbara Ferrieri la comunicazione di Netflix Italia. Barbara Ferrieri, che a luglio si era dimessa da Discovery Italia dove era communications senior director, dal 2 ottobre sarà il nuovo direttore della comunicazione di Netflix per l’ Italia. La società americana, che offre contenuti pay in streaming, ha iniziato il suo servizio sulla Penisola il 22 ottobre 2015. E Ferrieri, dalla base europea di Netflix, ad Amsterdam, curerà la comunicazione e i rapporti con la stampa nel ruolo di Originals publicity manager. Risponderà ad Alicia Deza, responsabile Spain & Europe. Riccardo Bocca lascia il settimanale L’ Espresso. Riccardo Bocca, 53 anni, dal 2001 critico televisivo del settimanale L’ Espresso, ha annunciato alla redazione le sue dimissioni dal giornale, dove curava la seguitissima rubrica Gli Antennati. Il suo futuro dovrebbe essere in tv.
Viacom investe sulla tv in chiaro
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Nell’ estate del 2015, con la vendita dell’ lcn 8 di Mtv a Sky, il gruppo televisivo Viacom Italia aveva rivisto tutto il suo business, quasi abbandonando la tv in chiaro per privilegiare il rapporto con Sky, di cui era divenuto fornitore di canali pay esclusivi come, appunto, Mtv, Nickelodeon e Comedy Central. Poi, dal 2016, il gruppo guidato da Andrea Castellari torna a investire sulla free: il 27 febbraio nasce Paramount channel (lcn 27) e in luglio parte Vh1 (lcn 67) al posto di Mtv Music. E ora il business della tv in chiaro diventa nuovamente centrale per Viacom Italia, con l’ acquisizione del 50% di Super! (lcn 47) da De Agostini e, come anticipato da ItaliaOggi del 9 agosto scorso, il lancio, il prossimo 22 ottobre, del nuovo canale Spike all’ lcn 49, dove finora è andato in onda Fine living (del gruppo Scripps) che sarà chiuso. «Il nostro obiettivo», spiega Castellari a ItaliaOggi, «è posizionare Viacom come editore che già vale il 3% di share nella giornata (1% di Super, 1% di Paramount channel, 0,2% di Vh1, e poi tutti gli ascolti dei canali in pay su Sky, partendo da quelli a marchio Mtv e passando per i Nickelodeon e i Comedy central, ndr), e che, col lancio di Spike, punta a scalare la classifica, passando da sesto a quinto editore televisivo in Italia (superando, quindi, La7, ndr). Ci vorrà il tempo che ci vorrà, ma pure per Spike l’ obiettivo di share è quello dell’ 1% sulle 24 ore». C’ è poi il lavoro sulla concessionaria pubblicitaria Vimn advertising, che già ora raccoglie 19 canali che superano complessivamente il 5% di share, collocandola, quindi, tra le principali concessionarie in Italia: «E, peraltro», prosegue Castellari, «è stata assegnata a noi la raccolta di quasi tutti i nuovi canali del digitale terrestre, dai due di Sony a Food network di Scripps fino al prossimo Alpha di De Agostini». Curiosa la stretta collaborazione tra Viacom e Scripps, gruppo che, a livello internazionale, è stato appena acquisito da Discovery, ovvero da un concorrente diretto di Viacom: «Noi abbiamo ottime relazioni col management di Scripps», commenta Castellari, «e, di fatto, avevamo già deciso tutto in primavera, quando è partito Food network all’ lcn 33: Viacom avrebbe raccolto la pubblicità del canale, abbiamo chiuso un accordo di partnership di lungo periodo per fornire loro contenuti, e abbiamo comprato l’ lcn 49 di Fine living». Il canale Fine living, nato nella primavera del 2014 e raccolto da Prs, verrà quindi chiuso in ottobre per fare posto a Spike. Questo brand televisivo, che fa già parte del portfolio Viacom nel mondo, verrà presentato ufficialmente in Italia il 17 ottobre. È destinato a un target 25-54 anni, prevalentemente maschile: «Useremo molto la library», racconta Castellari, «e all’ inizio faremo poche produzioni originali. Ci terremo anche fuori dalle aste per i diritti tv in ambito sportivo. Sono conscio che il comparto è ben presidiato (Dmax, e poi, nei prossimi giorni, Alpha di De Agostini, ndr) ma abbiamo anche il vantaggio di partire per ultimi (il 22 ottobre, ndr) e quindi decidere bene il posizionamento. Di sicuro non scimmiotteremo Dmax né punteremo su un genere action cattivo. Cercheremo di essere un canale interessante e molto largo. Il primo anno, ripeto, dovremo capire bene il posizionamento e i gusti del pubblico, e dare a Spike il tempo di prendere la sua forma all’ lcn 49». C’ è anche l’ operazione di acquisto del 50% di Super!. Ma perché De Agostini vi cede la metà di un canale che va bene? «Viacom e De Agostini sono due aziende che stanno facendo un matrimonio», risponde Castellari, «che hanno progetti internazionali interessanti e che in Italia collaborano da tanti anni (Super! è infatti raccolto da Vimn advertinsg, ndr) in modo piacevole. Ora arriva anche Alpha, e, insomma, la cessione del 50% di Super! è una sorta di prova d’ amore». L’ ultimo esercizio di Viacom Italia, chiuso al settembre 2016, mostra ricavi in crescita a quota 52,8 milioni di euro con un ebit positivo di 2,3 milioni e un utile di 2,5 milioni. Il business della tv in chiaro, nei prossimi esercizi, avrà un peso sempre maggiore, probabilmente superando il 50% dei ricavi: «Non parlo di numeri», conclude Castellari, «ma posso dire che da un punto di vista economico la parte free è importantissima. Certo, resta nel cuore la parte Sky, che è il fulcro del nostro modello culturale. Noi facciamo prodotti a rischio audience, per un pubblico giovane che non sta mai fermo, si sposta di continuo e che però abbandona con un trend costante la tv generalista: negli ultimi cinque anni l’ audience sul segmento 25-54 anni per i canali dall’ lcn 20 in poi è passata dal 26 al 48% di share. Il mercato della pubblicità chiede quel target, 25-54 anni. Proviamo a soddisfarlo». © Riproduzione riservata.
Fusione Sky-Fox a rischioper gli scandali dell’ emittente Usa
Corriere della Sera
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C’ è il rischio che gli scandali di Fox possano far «deragliare» i piani per la fusione miliardaria con Sky targata Rupert Murdoch. Secondo il Financial Times l’ affare da 11,7 miliardi di sterline continua a incontrare difficoltà. Il ministro per la Cultura britannico, Karen Bradley, vuole che la fusione sia sottoposta a un esame molto ampio da parte dell’ Antitrust.
L’ informazione i rischi del web e il precariato
La Gazzetta del Mezzogiorno (ed. Taranto)
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l Un «microfono aperto» ai lavoratori del settore dell’ informazione, dai giornalisti ai tecnici, per portare sotto i riflettori i problemi di chi, quotidianamente, liaccende per dare risalto alle problematiche degli altri raccontando vertenze, storie e fatti, ma che mai riesce a parlare di sè. Cgil, Slc Cgil e Assostampa hanno portato in un’ assemblea pubblica le storie di alcune figure emblematiche del settore: giornalisti precari, uffici stampa, giornalismo sul web, fotografi e tecnici. Una serata importante, per ribadire «ancora una volta – sottolineano gli organizzatori – che quello dell’ informazione non è un hobby ma un mestiere fondamentale e necessario a far circolare idee e informazioni e sviluppare una coscienza critica persino in una città martoriata come il capoluogo jonico». La crisi economica ha «travolto ormai – viene sottolineato – anche gli operatori dell’ informazione: giornali, tv locali e radio sono in gravissima difficoltà. Sfruttamento, assenza di diritti, precariato, cassaintegrazione, contratti di solidarietà, contributi irrisori, stipendi non pagati, sudditanza verso un certo modo di fare politica, sono ormai all’ ordine del giorno». C’ è tanto da fare, affinché «nell’ era del web l’ idea di una stampa libera non rimanga che un’ illusione, dato che, come ribadito ieri, la circolazione di notizie “vere e verificabili” consente lo sviluppo critico e culturale della società (e Taranto ne ha davvero bisogno) che, alla luce di quanto avvenuto negli ultimi anni, ha bisogno essenziale di recuperare una sua identità attraverso la corretta informazione ed affermazione reale di fatti ed accadimenti». «Abbiamo deciso di aprire, sulla base spiegano Andrea Lumino (Slc Cgil Taranto), Paolo Peluso (Cgil Taranto) e Mimmo Mazza (Assostampa Puglia) – delle richieste ed idee avanzate dai lavoratori, una vertenza sul mondo dell’ informazione: inevitabilmente il confronto ora passerà con le aziende del settore perché, come detto nell’ assemblea di ieri sera, anche quella dell’ editoria deve essere una classe imprenditoriale seria e non più improvvisata visto il ruolo delicato e pubblico che l’ informazione gioca. Il primo passo è fatto e prossimamente apriremo al confronto precedentemente detto: è una responsabilità di tutti e come Slc, Cgil e Assostampa non abbiamo intenzione di venirne meno».
Ad agosto la Gazzetta ha battuto Repubblica in edicola
MF
ANDREA MONTANARI
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La premessa è d’ obbligo: agosto è, assieme a luglio, un mese d’ oro per i giornali sportivi. A trainare le vendite sono le notizie relative al calciomercato. Resta il fatto che l’ estate 2017 ha registrato una novità assoluta: per la prima volta, al netto di eventi straordinari (tipo la vittoria dell’ Italia al Mondiale 2006), la Gazzetta dello Sport ha venduto più copie in edicola di Repubblica. I numeri non sono ancora ufficiali ma da quel che trapela sembra che la testata diretta da Andrea Monti abbia venduto 186 mila copie in edicola contro le 183 mila di Repubblica. È, come detto, la prima volta che la Gazzetta sorpassa il quotidiano diretto da Mario Calabresi. A incidere sul dato di agosto, ovviamente, le news e le indiscrezioni relative al mercato del Milan (la campagna faraonica del nuovo corso societario Yonghong Li-Elliott) e le aspettative per la nuova Inter di mister Luciano Spalletti. Con questo exploit il gruppo Rcs Mediagroup si pone ai vertici del settore, visto che il giornale più venduto in edicola lo scorso mese è stato il Corriere della Sera diretto da Luciano Fontana con quasi 215 mila copie. È comunque plausibile che già a partire da settembre le cose cambino e si torni alla storica sfida tra le due principali testate nazionali generaliste, ossia Repubblica e Corriere. (riproduzione riservata)