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Rassegna Stampa del 25/08/2017

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Pier Silvio killed the Radio Star: ha speso 155 milioni, ma gli ascolti fanno acqua

Gara 5G nell’ orbita della manovra

Cacciatore di panzane sul web

Chessidice in viale dell’ Editoria

Radio, mercato in agitazione

la radio non è fatta per dirsi vaffa

Facebook agli editori “Venderete le news sul nostro social”

Pier Silvio killed the Radio Star: ha speso 155 milioni, ma gli ascolti fanno acqua

Il Fatto Quotidiano
FQ
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L’ estate sta finendo, la pazienza pure, specie in quel di Cologno Monzese: sul tavolo di Pier Silvio Berlusconi, amministratore delegato di Mediaset, e di Paolo Salvaderi, ceo delle radio del gruppo, è infatti finito un report poco lusinghiero sugli ascolti radiofonici dei primi mesi del 2017 – pessimi. I dati ufficiali saranno comunicati solo a settembre, ma secondo Dagospia il dossier segretissimo già circola tra gli addetti ai lavori, ovvero gli editori radiofonici: da queste cifre si evincerebbe che la massiccia campagna acquisti voluta da Pier Silvio fa acqua da tutte le parti. Il Biscione ha speso 155 milioni in due anni per comprare R101 , 105, Virgin e persino Subasio, senza contare il costoso battage promozionale, sia sulla carta stampata sia in televisione – un bombardamento pubblicitario giudicato sleale, se non in odore di conflitto di interessi, da parte di molti concorrenti radiofonici e subito passato al vaglio di Agcom e Antitrust. Come dire, è stata più la spesa dell’ impresa: le dispendiose uscite decise dal rampollo Berlusconi non corrisponderebbero infatti ad altrettante entrate, anzi. Per questo i vertici aziendali sono sul piede di guerra. Si mormora addirittura – sempre su Dagopsia – che Berlusconi e Salvaderi “sarebbero pronti a prendere carta e penna per impedire in tutti modi e con tutti i mezzi la diffusione di quei numeri riservati che, secondo Mediaset, sarebbero troppo poco attendibili, per non dire infelici e ingenerosi nei confronti del Biscione”. A settembre mancano solo sei giorni: stiamo a sentire.

Gara 5G nell’ orbita della manovra

Il Sole 24 Ore
Andrea BiondiCarmine Fotina
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Le compagnie telefoniche la considerano già cosa fatta. Le telco stanno in sostanza già iniziando a fare i conti con l’ idea che dovranno presto mettere mano al portafogli per affrontare l’ asta per le frequenze del 5G, la quinta generazione di tecnologie su reti mobili: ora in fase di sperimentazione e per la cui commercializzazione occorrerà attendere almeno al 2020. Un’ idea, questa degli operatori, non del tutto campata in aria visto che, a quanto risulta al Sole 24 Ore, ministero dell’ Economia, ministero dello Sviluppo economico e Palazzo Chigi (in particolare il dossier alla presidenza del Consiglio è seguito dal vicesegretario generale Nino Rizzo Nervo), stanno lavorando per trovare la quadra attorno a un progetto che nelle intenzioni dovrà entrare nel menu della prossima legge di bilancio. In un’ intervista pubblicata sul quotidiano La Stampa lo scorso 20 agosto il sottosegretario al Mise con delega alle Comunicazioni, Antonello Giacomelli, ha per primo tratteggiato la possibilità di varare in tempi rapidi l’ asta per le frequenze che serviranno per il 5G, ponendola possibilmente anche come alternativa alla vendita di quote di Poste e Ferrovie. Al di là della dichiarazione, l’ idea di dare un colpo d’ acceleratore sul dossier c’ è e ministeri e tecnici ci stanno lavorando. L’ operazione sulle frequenze in manovra si chiarirà comunque solo a metà settembre. La Nota di aggiornamento del Def, che terrà conto del nuovo dato dell’ inflazione e stabilirà un’ eventuale revisione al rialzo delle previsioni di crescita, sarà determinante per capire i margini di movimento per finanziare misure espansive. E di conseguenza si determinerà anche il fabbisogno della dote di risorse necessarie per le coperture. C’ è comunque un precedente significativo nell’ ultima legge di bilancio. Per il 2017, infatti, si recuperarono 2 miliardi con il rinnovo dei diritti d’ uso delle frequenze 900 e 1800 Megahertz in scadenza, con autorizzazione al cambio di tecnologia, e rinnovo fino al 2029. Ovviamente, la scelta di utilizzare un’ eventuale entrata straordinaria proveniente dalle frequenze a copertura di misure per la crescita sarebbe alternativa a uno scenario che vorrebbe le risorse impiegate per ridurre il debito pubblico, in sostituzione di nuove tranche di privatizzazioni. Scenario, quest’ ultimo, che apparirebbe comunque complicato alla luce delle regole europee sulle entrate effettivamente utilizzabili a questo scopo. Il cantiere riguardante la nota di aggiornamento al Def e la legge di Bilancio è aperto e il premier Paolo Gentiloni, appena rientrato da Amatrice, ha fatto un primo giro di orizzonte insieme al ministro dell’ Economia Pier Carlo Padoan. La stima dei possibili introiti ancora non viene fatta ed è oggetto di valutazioni. «Di sicuro non è inferiore a quello che otterremmo con Poste», aveva detto qualche giorno fa Giacomelli. Le stime circolate nei mesi scorsi in tal senso si aggiravano sui 2 miliardi di euro. A ogni modo occorrerà capire quanta parte di frequenze sarà messe a disposizione. Le frequenze pioniere del 5G sono state individuate dall’ Rspg (Radio spectrum policy group) nella banda 700 Mhz, nei 3.4-3.8 Ghz e nelle onde millimetriche 24.25-27.5 Ghz. Per una possibile asta l’ attenzione dovrebbe concentrarsi solo sulla seconda banda di frequenze. Qualsiasi sia la scelta, i nodi vengono comunque al pettine sul discorso della disponibilità di questo spettro. La banda 700 è ora occupata dai broadcaster che dovrebbero liberarla al 2022 (nella parte alta della forchetta che vede come periodo minimo il 2020). Nel secondo caso, lo spettro al momento disponibile non permette di fare voli pindarici. Sulla parte 3.4-3.6, le frequenze sono occupate dal ministero della Difesa e una buona parte sono state assegnate su base locale a operatori come Tim, Tiscali e Linkem, che le avranno in dote fino al 2022, quindi liberabili dal 2023. Sulla parte 3.6-3.8, ci sono circa 100 Mhz liberi, mentre gli altri sono occupati tendenzialmente da ponti radio Rai. Insomma, la visibilità sulle frequenze che dovrebbero essere liberate diventa centrale. Allo stesso modo occorrerà verificare lo slancio degli operatori che, come detto, hanno allargato i cordoni della borsa per il rinnovo al 2029 dei diritti d’ uso delle frequenze 900 e 1800 Megahertz in scadenza. Nel 2011 l’ esborso per un’ altra asta fu di 4 miliardi da parte degli operatori mobili. Telecom e Vodafone nel 2015 si sono aggiudicati i due lotti di frequenze della cosiddetta Banda L (1452-1492 Mhz) con 230 milioni a testa. Ora l’ asta per il 5G: nuovi esborsi ma dall’ altra parte anche asset certi per il futuro in chiave industriale. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Cacciatore di panzane sul web

Italia Oggi
GOFFREDO PISTELLI
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Fa impressione sentire uno, che si chiama David Alejandro Puente Anzil, parlare con spiccato accento friulano. Uno dei più grandi cacciatore di bufale italiani, col suo sito davidpuente.it, è infatti venezuelano di nascita (1982), «ma peruviano per parte di padre e udinese da parte di madre». I suoi lasciarono il Venezuela nel 1990: «Chavez tentò il golpe nel 1992», dice, «e mio padre aveva annusato l’ aria: ”Meglio andarsene”, disse. Aveva ragione, il resto è la storia attuale». La sua casa venezuelana, racconta, «era piena di oggetti e di richiami al Fogolar furlan». Puente, programmatore informatico, ha lavorato per anni alla Casaleggio Associati, per conto della quale, dal 2007 al 2011, ha gestito anche il sito dell’ Italia dei Valori e il blog di Antonio Di Pietro. Quindi il ritorno in Friuli: «Ma mi lasciai in ottimi rapporti con Gianroberto Casaleggio che, salutandomi, mi disse: ‘Torna quando vuoi: qui per te ci sarà sempre posto’». Domanda. Puente, quando ha cominciato a fare il cacciatore di bufale online, a fare il cosiddetto «debunking», smascheramento, delle peggiori fake news in circolazione? Risposta. Fu proprio durante quel lavoro per l’ Italia dei Valori. D. In che senso? R. Nel senso che mi chiedevano di pubblicare notizie e video, per le quali preferivo però documentarmi, controllare quello che si sapeva dei temi trattati, fare un lavoro preventivo e di verifica. Insomma nel blog di Di Pietro, finché l’ ho gestito io, di scie chimiche non s’ è mai parlato. D. E le è capitato di controllare anche le affermazioni dei «suoi» politici? R. Certo, ricordo una volta che, con un parlamentare IdV, di cui non le faccio il nome, facemmo un video su un’ iniziativa delle Agende Rosse, l’ associazione vicina alla famiglia Borsellino. D. E che successe? R. Fu in Piazza Navona, a Roma ma in treno, di ritorno a Milano, cominciai a fare alcune verifiche sulle agenzie di stampa e capii che le affermazioni fatte dal «mio cliente», se così si può dire, non stavano più in piedi, c’ erano fatti nuovi che le rendevano sbagliate. D. E lei glielo disse? R. Sì, quando mi cercò, sollecitando la pubblicazione, un po’ risentito. Poi ha capito e mi ha ringraziato. D. E quando si è messo a cacciare le balle della Rete? R. A inizio 2014. Rientrato a Udine, messomi in proprio a fare il programmatore, ho avuto voglia di mettere in piedi il blog, che mi costa un sacco di lavoro «extra». Ho messo qualche banner Adsense e da poco ricevo giusto qualche donazione Paypal, ma nulla che mi ripaghi delle energie profuse. Lo considero comunque un impegno civico. D. La bufala che l’ ha fatta più arrabbiare? R. Quella che nega la morte di una delle vittime italiane delle Ramblas: Bruno Gulotta. Una cosa oscena, è come se l’ avessero ammazzato due volte. D. Ho seguito: la rilancia un geometra di Sanremo, che non nomino per non fargli pubblicità, e che passa per grande esperto di complotti: aveva già scritto che Valeria Solesin, una delle vittime italiane del Bataclan, non era mai esistita. R. Un personaggio che parla di scie chimiche e complotti ma che se lo contesti e lo confuti, come ho fatto io, ti «banna» ossia ti esclude dalle sue pagine Facebook e Twitter. Anche sull’ attentato di Nizza, aveva «scoperto», si fa per dire, un falso morto italiano, sennonché fra quanti lo seguivano c’ era una signora che conosceva la vittima e glielo ha scritto. D. Che idea si è fatto dei costruttori di fake news, in genere? Sono militanti politici che si sentono di combattere una battaglia sacra e per i quali anche la menzogna è ammissibile? O persone che vogliono fare soldi con click sui siti, tramite YouTube o Google e le relative pubblicità? R. C’ è di tutto. E io tento a distinguere, non per sminuire un ruolo rispetto a un altro, ma perché c’ è diverso grado di responsabilità e diversi obiettivi. D. Quelli che hanno diffuso la balla dei venditori stranieri spariti delle Ramblas, qualche ora prima dell’ attentato, di che specie erano? Lei ha confutato questa fake news, dimostrando come le foto usate fossero riferite ad altre zone delle città e che in quell’ area vigesse da tempo un divieto. R. Quelli della pagina Facebook España libre información, sono semplicemente degli esaltati, che credono davvero a queste cose, al complotto mondiale, e scrivono queste balle per così dire «nature». D. C’ è chi ci fa i soldi, invece? R. Quelli di Libero Giornale, falso quotidiano online, che gioca e monetizza sfruttando evidentemente i nomi di due testate autentiche. Ma ci fanno anche politica: l’ editore è un signore italiano, legato all’ ultradestra. D. Un altro distributore di bufale è il Fatto Quotidaino, che a colpo d’ occhio si può confondere per il giornale di Marco Travaglio. R. Dietro c’ è un giovanotto che si diverte e che ci fa qualche soldo. Non lo giustifico, ma è visibile che non ha cattive intenzioni rispetto ad altri. D. Ma secondo lei le bufale sono in aumento? R. Non ho dati, ma nella mia personale esperienza ho visto aumentare enormemente, nell’ ultimo anno, le segnalazioni e dico che c’ è un numero crescente di persone, che crede a notizie costruite falsamente. Forse troppe. D. Nell’ ultimo referendum c’ è stato uno scatenamento dei falsari: Matteo Renzi a cui rubano in casa mezzo milioni di euro in Rolex, la moglie assunta a scuola in barba a ogni concorso. R. Sì, poi le 500 mila schede già votate rinvenute a «Rignano sul Membro», una mezza goliardata come si intuisce dal nome della località, simile a quella di nascita dell’ ex-premier, ma le persone che condividono queste notizie, spesso non decifrano l’ ironia, ammesso che sia tale. D. Ma le bufale in rete sono di destra o di sinistra? La panzana delle Ramblas era circolata già l’ 11 settembre del 2001: si disse che gli ebrei, quel giorno, non andarono a lavoro nelle Torri Gemelle, avvisati dell’ imminente attentato. R. In questo momento, almeno per l’ Italia, sono più antigovernative che governative. In genere la falsa notizia è fatta per attecchire dove cova il maggiore malcontento e, in una fase come questa, di crisi economica, le persone arrabbiate si trovano laddove si contesta chi governa, però D. Però? R. Però ricordo che, anche ambienti vicini al Pd e alla sua comunicazione, hanno usato in Rete notizie parziali o forzate. D. Come la traduzione parziale del New York Times, il giorno dell’ addio al calcio di Francesco Totti, in cui si diceva che il sindaco era uno zimbello ma nascondendo che si parlava anche dei 10 anni precedenti? R. Sì oppure quando L’ Unità mise in Rete un video delle berlusconiane di Roma, sostenendo che vi si poteva forse riconoscere una giovane Virginia Raggi. D. Ma poi ammisero che non era lei. R. Sì ma intanto quel video era stato pubblicato. Il direttore, Erasmo D’ Angelis, si giustificò dicendo che era «giornalismo 2.0» e, inizialmente, non sapevo se ridere o piangere. D. A proposito di giornalismo, che effetto le fa vedere che l’ informazione online abbocca spesso alle bufale? R. Mi dà dolore, perché io ho un’ alta considerazione del giornalismo autentico. Solo che oggi c’ è lo spasmo del pubblicare la notizia per primi. D. Un vecchio gusto di dare il «buco», come si dice, alla concorrenza? R. Non solo. Oggi, la velocità di pubblicazione è importante, perché la notizia appare tra le prime nei motori di ricerca e quindi viene spesso ripresa, con conseguente traffico di visitatori sul sito. Però a volte, si fanno errori marchiani. D. Quale smascheramento le ha dato più soddisfazione? R. L’ aver intercettato e scongiurato un danno, su un gruppo Facebook che seguiva Tullio Simoncini, oncologo radiato dall’ Ordine dei medici, perché sosteneva di poter curare i tumori con il bicarbonato. D. Quello secondo il quale il cancro è un fungo? R. Esatto. Monitorando quel gruppo mi sono imbattuto in un medico sudamericano che chiedeva informazioni. L’ ho contattato privatamente, mettendolo sull’ avviso, e lui mi ha ringraziato: «Una mia paziente voleva iniziare questa terapia e io volevo capirne di più. Forse lei le ha allungato la vita». D. Chiudiamo con la Casaleggio Associati, da cui siamo partiti. In una recente intervista al Foglio, lei si è espresso in maniera molto preoccupata per queste ripetute violazioni delle piattaforma Rousseau. R. Mi spiace per la gente, i militanti, che in buona fede la usano, esponendosi a dei rischi per la sicurezza dei propri dati. E poi c’ è un rischio politico più generale. D. Ossia? R. Ossia la Casaleggio ha risposto che i problemi erano stati risolti dopo le «regionarie», ossia le primarie interne prima delle ultime regionali: e prima cosa è successo? Il voto è stato inquinato? D. C’ è il problema della certificazione del voto? R. Che è avvenuta, da parte di una società terza, solo in occasione delle Quirinarie del 2013 e della più recente modifica dello statuto. D. Lei lavorava alla Casaleggio, i rapporti erano buoni col fondatore, diceva poc’ anzi. E adesso? R. Da un annetto si sono interrotti. Prima segnalavo loro le imperfezioni e certi errori, poi smisero di rispondere. D’ altra parte D. D’ altra parte? R. D’ altra parte, se vogliono essere partito di governo, non possono sottovalutare questi rischi. Siamo nell’ epoca di Wikileaks: se ci sono falle nel sistema di sicurezza, ci sono quelli che ci entrano. D. Ma lei è stato solo un dipendente o ha anche creduto nel M5s? R. Sono stato un organizzatore del Meet-Up di Udine, non ho alcun problema ad ammetterlo. Mi pareva un bel progetto, dal basso. Oggi mi sembra tutto mandato in vacca. Ero un idealista e forse lo sono ancora. © Riproduzione riservata.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Canal+ fa squadra con L’ Equipe. Canal+ (gruppo Vivendi) ha firmato per una partnership col quotidiano sportivo transalpino L’ Equipe che permetterà agli abbonati della pay-tv di accedere ai contenuti giornalistici della testata. Il servizio è stato già attivato. Striscia la notizia, la conduzione di Simona Ventura non è prevista. Mediaset smentisce alcune indiscrezioni degli ultimi giorni sulla possibile presenza di Simona Ventura alla conduzione della 30° edizione di Striscia la notizia. Il tg satirico di Antonio Ricci ha fatto sapere di aver «ricevuto numerose telefonate e richieste di conferma da parte di giornalisti e telespettatori. Invitiamo tutti coloro che desiderano saperne di più a risparmiare i soldi e il tempo delle telefonate perché in questa edizione non è prevista la presenza della signora Ventura fra i conduttori di Striscia». La nuova edizione del format di Canale 5 ripartirà alle 20,40 dal prossimo 25 settembre. Mediaset, Equita conferma rating hold. Equita Sim conferma il rating hold su Mediaset con target price a 3,7 euro per azione. Mediaset pubblicherà i risultati del 1° semestre il 26 settembre. Il vicepresidente e a.d. Pier Silvio Berlusconi ha anticipato una raccolta pubblicitaria, incluse le radio, attorno al 2%. Equita segnala che le sue stime sull’ intero anno, che assumono un incremento della raccolta 2017 del 3,8% complessivo, rischiano di essere ottimistiche. Cinema, la prossima stagione punta su Nolan, Coppola, Aronofsky. Si inizia con Kenneth Branagh in sala il 31 agosto nel film Dunkirk di Christopher Nolan. Torna Kevin Spacey il 7 settembre in Baby driver – Il genio della fuga e dalla stessa data Jessica Chastain in Miss Sloane – Giochi di potere di John Madden; c’ è poi James Franco attore e regista di In Dubious Battle – Il Coraggio degli Ultimi. Si prosegue con Tom Cruise dal 14 settembre in Barry Seal – Una storia americana e sempre dal 14 settembre Diane Keaton in Appuntamento al parco di Joel Hopkins. Torneranno sul grande schermo Colin Farrell, Nicole Kidman, Kirsten Dunst dal 21 settembre nel nuovo film di Sofia Coppola L’ inganno e dal 21 settembre anche Colin Firth in Kingsman: Il cerchio d’ oro di Matthew Vaughn. Ryan Gosling ed Harrison Ford il 5 ottobre fanno parte del cast di Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve e sempre dal 5 ottobre Jennifer Lawrence, Javier Bardem, Ed Harris, Michelle Pfeiffer, Brian Gleeson recitano nel film Mother! di Darren Aronofsky. Social Dream, partono le riprese sugli youtuber più seguiti in Italia. Inizieranno nelle prossime settimane le riprese di Social Dream, film sugli youtuber Favij, i Mates e LaSabriGamer, prodotto da Sky, Indiana Production e Web Stars Channel. Il film sarà in presa diretta. La regia del film è affidata a Tak Kuroha, sceneggiatore e regista. Il titolo uscirà al cinema nel 2018 e sarà poi disponibile in esclusiva su Sky. Vanity Fair presenzia alla 74° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia con un numero speciale e due eventi esclusivi. Mercoledì prossimo il settimanale diretto da Daniela Hamaui e Tendercapital, player internazionale indipendente specializzato nell’ asset management, celebrano con un dinner party a Ca’ Rezzonico sul Canal Grande il film Downsizing, diretto dal regista Alexander Payn con gli attori Matt Damon e Kristen Wiig. Giovedì prossimo, invece, Vanity Fair mette in scena la prima retrospettiva italiana dedicata al leggendario fotografo David Montgomery, uno dei protagonisti della Swinging London. La mostra SO WONDERFUL, presso i Granai della Giudecca, raccoglie 30 fotografie di personaggi di fama mondiale. In edicola, infine, arriva un numero speciale di 248 pagine, di cui 40 dedicate alla moda ispirata alla Londra degli Anni 60. Aie, testi scolastici gratuiti per i comuni terremotati. «Siamo felici e orgogliosi di poter contribuire al sostegno delle famiglie che vivono nelle zone colpite dal terremoto nel momento dell’ avvio dell’ anno scolastico», così il presidente dell’ Associazione italiana editori (Aie) Ricardo Franco Levi, a un anno dal sisma del 24 agosto 2016, ha ricordato la convenzione siglata tra Aie e il ministero dell’ istruzione, dell’ università e della ricerca (Miur) per garantire la fornitura gratuita dei libri scolastici agli studenti delle aree terremotate. L’ accordo prevede la distribuzione gratuita dei testi per i prossimi due anni scolastici, il 2017/2018 e il 2018/2019, nei 140 comuni che nell’ ultimo anno sono stati colpiti dal terremoto. Superquark, finale col botto. L’ ultima puntata della stagione di Superquark, trasmessa su Rai 1 mercoledì scorso, ha registrato nel prime time 2,621 milioni di spettatori e uno share del 15,95%. La programmazione televisiva prevedeva invece su Rai 2 un doppio appuntamento con il telefilm Squadra speciale cobra 11: il primo episodio ha realizzato 1,399 milione di spettatori e uno share del 7,7%, mentre il secondo è stato visto da 1,297 milione di spettatori e ha coinvolto il 7,61% di share. Su Rai3, infine, il terzo film della serie dedicata alla Principessa Sissi dal titolo Destino di una imperatrice ha raggiunto 1,21 milioni di spettatori e uno share del 6,93%.

Radio, mercato in agitazione

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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L’ ingresso massiccio di Mediaset nel comparto della radio italiana sta creando parecchia agitazione tra gli storici operatori del settore. Con la preoccupazione di perdere rilevanti fette del mercato pubblicitario, subendo la concorrenza di un colosso della comunicazione come il Biscione guidato da Pier Silvio Berlusconi, che può spostare budget, promuovere in tv a costo zero i suoi brand radiofonici e investire cifre rilevanti in acquisizioni (oltre 155 milioni di euro in due anni per rilevare 105, Virgin, R101 e Radio Subasio). Proprio per questi motivi sono stati presentati esposti all’ Antitrust (presieduta da Giovanni Pitruzzella) e all’ Authority per le comunicazioni, che al momento sono al vaglio dei due enti. C’ è però un dato oggettivo che già balza all’ occhio: il mercato pubblicitario radiofonico, secondo i dati comunicati da Fcp-Assoradio, ha chiuso il primo semestre 2017 con una crescita del 5% rispetto allo stesso periodo del 2016, e con un ottimo trimestre aprile-giugno, addirittura a +9,3% sull’ analogo intervallo 2016. Il gruppo radiofonico Gedi-Espresso, ovvero quello che ha il brand storicamente più apprezzato dai pubblicitari, Deejay, oltre a Capital e m2o, ha però messo a segno un modesto +0,8% nel primo semestre 2017, incassando 29,6 milioni di euro. E pure il gruppo radiofonico di Rtl 102,5, che è l’ emittente più ascoltata in Italia nel giorno medio, ha terminato i primi sei mesi dell’ anno con un risultato piatto, addirittura in leggero calo rispetto all’ anno precedente. Insomma, due tra i poli radiofonici più importanti e commerciali non sembrano essere stati premiati dal mercato in questo 2017, nonostante il comparto radiofonico sia in trend positivo. Perché? Ovviamente secondo alcuni si tratta di pura e semplice concorrenza, di capacità di incontrare o meno le esigenze degli investitori pubblicitari. E in effetti le radio della Rai o Radio 24 hanno una raccolta pubblicitaria in crescita del 5% nel primo semestre, esattamente in linea con il mercato. Così come Rds annunciava crescite buone, a una cifra, nei primi quattro mesi del 2017. In sostanza, è l’ analisi dei più, il mercato della radio sta crescendo in maniera massiccia soprattutto perché le emittenti di Radio Mediaset stanno confrontandosi con il periodo gennaio-giugno 2016, nel quale erano andate particolarmente male, subentrando alla precedente struttura di rete concessionaria. Quelle radio avevano sottoperformato nel primo semestre 2016, ora, a pieno regime, vanno molto bene, e tutto il comparto Fcp-Assoradio riceve questa spinta positiva. Peraltro, va anche detto, le radio di Mediaset si stanno concentrando molto sul miglioramento degli ascolti nel quarto d’ ora medio, che sono poi quelli più usati dai centri media nelle allocazioni dei budget, mentre altre emittenti sono più propense a valorizzare i dati di ascolto nel giorno medio, che invece pesano meno da un punto di vista pubblicitario. A qualcuno, tuttavia, potrebbe anche venire il dubbio che le politiche commerciali molto aggressive di Mediaset rischino effettivamente di comportare qualche distorsione sul mercato, andando a penalizzare alcuni soggetti rispetto ad altri. Ci sono ovviamente gli organi preposti a questi controlli. Ma è già partito il leitmotiv che «prima di Mediaset, quando il mercato radiofonico cresceva, ne beneficiavano tutti gli operatori, tutti gli editori. Ora, invece, il comparto radio cresce, ma ne beneficiano solo alcuni. E questo non va bene». © Riproduzione riservata.

la radio non è fatta per dirsi vaffa

Il Venerdì di Repubblica
Marco Bracconi
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orosa, leggera e poligamica, la radio è forse l’unico tra tutti i media che ci parla di una permanenza dentro al cambiamento. Un permanere di identità linguistica e di prossimità sociale, innanzitutto, perché la radio è ancora capace di aggregare attraverso una voce tanto diversa da riuscire a essere (ancora) viatico di appartenenze, antidoto alla solitudine e perfino vaccino contro le fake news. Massimo Cirri, 59 anni, da oltre un quarto di secolo psicologo nei centri di salute mentale tra Lombardia e Friuli, da due decenni è anche la voce di Caterpillar, storica trasmissione di Rai Radio2. Con Sette tesi sulla magia della radio (Bompiani) ci invita a comprendere la straordinaria e a primavista inspiegabile resistenza di un mezzo che ha saputo oltrepassare il confine del Novecento senza smarrire il suo senso più profondo: far entrare il mondo di fuori in quello di dentro, il pubblico e l’intimo, il singolo e la massa. Nell’era dell’io più o meno narcisistico la radio continua a dire «noi». Perché? «Perché nasce dalla necessità di non far sentire solo nessuno, come ai primordi, con le trasmissioni dalle navi transoceaniche. Il sedimento di una comunità possibile è connaturato alla radio da sempre». Cambia la struttura della famiglia e della società, arriva la tv e poi il digitale, e la radio è sempre lì. «La ragione profonda è che è vicina alla vita quotidiana delle persone, la si ascolta fermi al semaforo, cucinando o facendo altro. Ecco, è in questa poligamia della fruizione la peculiarità del suo permanere». Lei scrive che un appello per radio funziona sempre, o quasi. «La ragione è nel suo essere legata all’istantaneità, all’urgenza, al subito. E vale per il grande e il piccolo, per chi ha perso tutto nel terremoto e per chi ha smarrito il suo cane nel quartiere». Tra le due guerre Brecht e Benjamin avevano intuito la potenzialità «democratica» della radio, invocavano la partecipazione degli ascoltatori. Ma furono anche gli anni di Goebbels e dei proclami mussoliniani via Eiar. «È il lato oscuro, totalitario, che fa perdere quelle potenzialità e declina la radio come messaggio di uno verso i molti; anch’essa, come i popoli, diventa asservita ai bisogni dei regimi». Nella seconda metà del Novecento lo schema si rovescia. La radio diventa la testa d’ariete contro i monopoli dell’informazione di Stato. «E questo si deve anche alla sua modalità produttiva, più leggera degli altri media, perfino artigianale. Non poteva che partire da lì la sfida ai canali unici». Il sogno di Brecht e Benjamin si realizza qualche decennio dopo. Passano ancora trent’anni e arrivano i social, anch’essi presunti partecipati e orizzontali. «Già, ma sono due partecipazioni completamente diverse. C’è il tempo reale e c’è l’interattività, ma ciò che fa la differenza è il valore della voce umana. Tra digitare un vaffanculo e pronunciarlo c’è un confine e la radio, proprio per come è fatta, lo presidia». L’interattività radiofonica e quella del web separate dalla responsabilità, dunque? «Sì, perché quando si parla ci si ascolta di più, c’è un meccanismo di autoregolamentazione in più. Se i social sono spesso una ribellione alla solitudine, la radio alla solitudine è invece un antidoto». Parlava della credibilità della voce. Quindi la radio è allergica alla post verità? «Credo di sì, è più difficile forzare il reale investendo la voce in prima persona, per via diretta con l’ascoltatore». Però la prima fake news nasce quando Orson Welles annuncia via radio lo sbarco dei marziani. «Ah, quella è la meraviglia e il genio di un grande artista. Un elemento di contraddizione che sul mezzo dice la stessa cosa: cos’era se non un gioco teatrale sull’appello e l’urgenza?». I partiti si agitano molto sul web: sottovalutano la radio per la loro propaganda? «Secondo me sì. Ma negli ultimi anni questa reciproca estraneità si è arricchita di nuove ragioni. Se è vero che la politica è sempre più storytelling, allora in radio, per i motivi che abbiamo detto fin qui, questo attacca poco…». Non narrazioni di potere ma leggerezza alla Italo Calvino, allora. «Esatto. E si ritorna al tema della prossimità al quotidiano delle persone. Leggerezza è poligamia, perché fare due cose assieme arricchisce. E poi c’è la porosità, quel varcare continuo dei confini». Quali, se oggi la comunicazione è interamente globalizzata? «La porosità è attraversamento di confine geografico, ma anche di mittente e destinatario e delle reciproche intimità». Vent’anni davanti al microfono. Cosa prova quando si accende la scritta on air? «La sensazione fortissima del momento presente. Quella lucina dice che sei in onda, sì, ma soprattutto dice ogni volta: adesso. Lo dice alla tua vita e, dall’altra parte, alla vita di chi ascolta»

Facebook agli editori “Venderete le news sul nostro social”

La Repubblica
DANIELE VULPI
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ROMA. Gli uni hanno bisogno degli altri. Da una parte ci sono giganti del web come Facebook e Google, che nel 2017 si porteranno a casa complessivamente il 46,6 % della pubblicità digitale globale ma – al tempo stesso – hanno diversi fronti di sofferenza tra cui fake news, Antitrust e tasse; dall’ altra ci sono gli editori dei giornali che, pur alla prese da anni una contrazione del mercato pubblicitario tradizionale, producono informazione di qualità. Due mondi destinati a incontrarsi e a collaborare perché i primi (soprattutto i social) hanno capito che da soli rischiano di diventare la casa delle notizie false, mentre i secondi sanno che tocca spostarsi laddove ci sono i lettori offrendo anche sui social informazioni garantite e, naturalmente, provare a guadagnarci. L’ ultima mossa è di Facebook, social da due miliardi di utenti. Trapelata nelle scorse settimane fa e ribadita ora da n.1 Mark Zuckerberg. È una nuova funzione sperimentale di Instant Articles – il servizio lanciato nel 2015 che porta le news direttamente sul social in blu – pensata per evitare che altri giornali abbandonino la piattaforma causa scarsa redditività come hanno fatto Wall Street Journal, New York Times e Forbes. Evidentemente la pubblicità veicolata da Facebook da sola non basta agli editori e così il social, per tenerli sulla sua piattaforma, ha scelto di testare una nuova possibile fonte di guadagno: promuovere abbonamenti e sottoscrizioni ai contenuti dei giornali presenti su Instant Articles. Come? Lettura gratuita sul social di un certo numero di articoli al mese dopo di che compare il paywall e ci si deve abbonare per continuare a leggere le notizie. Tra le ipotesi anche quella di facilitare la trasmissione dei dati dell’ utente direttamente da Facebook al giornale che a sua volta gestirebbe in totale autonomia la transazione economica con il lettore. Qualche giorno fa anche Google ha fatto sapere che semplificherà il pagamento delle news agli editori. La strada è appena tracciata. Ma funzionerà? Se lo augurano tutti i protagonisti. Anche perché questa è la tessera di un mosaico ben più grande: già a febbraio scorso, per rispondere alle pressioni degli editori e dei regolatori da una parte (privacy, tasse, concorrenza, accaparramento della torta pubblicitaria, fake news) e alla competizione con Google (che aveva già lanciato la Digital News Initiative, per il giornalismo di qualità) il social ha annunciato il Facebook Journalism Project. Che comprende diverse iniziative: scambio con gli editori di una parte dei dati generati dai loro lettori quando interagiscono con i contenuti dei giornali su Facebook, alfabetizzazione digitale degli utenti, monetizzazione pubblicitaria con video e Instant Articles e, appunto, promozione degli abbonamenti e dei contenuti a pagamento per i giornali presenti su Instant Articles. C’ è anche lo sforzo per rendere più evidenti i contenuti di qualità sul social: proprio due giorni fa il social ha messo i loghi dei giornali accanto agli articoli nelle sezioni “trending” e “search”. Bene in vista per dare ai lettori garanzia di fonte certa. In Italia compariranno a giorni. Facebook, insomma, spinge perché la sua comunità sia informata e consapevole. “E non possiamo farlo senza i giornalisti”, ha postato Zuckerberg, “ma ci rendiamo anche conto che le nuove tecnologie possono rendere più difficile per gli editori finanziare il giornalismo su cui tutti fanno affidamento”. E ancora: “Stiamo per testare nuovi modi per far crescere i loro abbonamenti. Se le persone si abbonano dopo aver visto le notizie su Facebook, i ricavi andranno direttamente agli editori che lavorano duramente per scoprire la verità e Facebook non prenderà nulla. Si parte entro la fine dell’ anno con un piccolo gruppo di editori americani e europei. Poi ascolteremo i loro commenti”. ©RIPRODUZIONE RISERVATA In arrivo anche i loghi dei giornali accanto agli articoli nelle sezioni “trending” e “search” Come usiamo i social media per informarci 71.805 Le persone che hanno risposto al sondaggio. Di queste:


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