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Quel libro da Nobel ritrovato (a Napoli), il caso Gluck contro l’Ikeaizzazione della cultura

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Il Nobel alla scrittrice americana Louise Glück è arrivato, diciamoci la verità, inatteso. Il gotha della critica letteraria mondiale pensava a molti autori, Merilynne Robinson, Cormac MaCarthy, Ko Un, Ngugi wa Thiong’o, Pierre Michon, ma non alla poetessa statunitense. Che ha ambientato una delle sue raccolte di poesie più importante “Averno” in Italia.

Le librerie italiane sopravvissute si agghindano a festa in occasione dell’assegnazione del premio Nobel, promuovendo i libri dei vincitori. Sono ormai delle Ikea della carta, purtroppo la crisi ha reso il libraio tradizionale una sorta di feticcio del passato.

Ma questa volta gli uomini marketing, i fighetti del book, sempre presi a parlarsi tra di loro di quanto sono capaci, hanno preso una cantonata. Le opere della Glück erano ritenute non adatte al mercato, trattate come frutta da non portare sul banco alimentare.

Per fortuna una piccolissima casa editrice, gemmata da una piccolissima libreria, la Dante & Descartes di Napoli, aveva pubblicato la raccolta “Averno” della vincitrice del Nobel. Ne aveva venduto 200 copie, a dimostrazione dello iato tra mercato, qualità e cultura, ma questo è un altro discorso.

Ora la piccola casa editrice è alla ribalta delle cronache nazionali, ma nessuno risponde alla più semplice delle domande: non è compito di uno Stato moderno rianimare la cultura nazionale, dando voce ai piccoli editori di libri che lasciano traccia della cultura di questo nostro disarmato mondo? Andando oltre il mercato e l’ikeizzazione della cultura. Perché i libri non sono soprammobili.

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