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Rassegna Stampa del 28/06/2017

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Indice Articoli

Comunicazione, «libro bianco» su regole e trasparenza

Editori: più trasparenza nella pubblicità digitale per arginare i colossi web

Fieg, ora più trasparenza sul digitale Un «libro bianco» per le nuove regole

Upa, più trasparenza su internet

Per il digitale ci sono già le norme che tutelano consumatori e aziende

«Stop ai giganti del web non falsino il mercato»

Notizie Violazione del copyright

Spot e web, il Libro bianco «Regole per la trasparenza»

Bufera sul contratto Rai di Fazio Vigilanza, la difesa di Maggioni

“Se Fazio non firmava subito, scappava a La7”

Perfezionato l’ accordo l’ Espresso-Stampa

Assegnati i Digital Rewards 2017

Repubblica+Stampa, è fusione

L’ Europa attacca: multa da 2 miliardi al colosso Google padrone del mondo

Telecom apre a Mediaset sui diritti tv della Serie A

Mazzata della Ue a Google multa record di 2,4 miliardi “Fa sparire i concorrenti”

Comunicazione, «libro bianco» su regole e trasparenza

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
link

Misuratori terzi indipendenti e certificati; report standard per facilitare la lettura dei dati durante le campagne di comunicazione; lotta senza quartiere alle frodi e al finanziamento dei siti illegali di pubblicità. Sono solo alcune delle regole del gioco messe per iscritto nel “Libro bianco sulla comunicazione digitale”: un vademecum di raccomandazioni in 6 punti (per ora) per la realizzazione del quale è stato necessario quasi un anno di lavoro. Attorno a un tavolo, per la prima volta, si sono riunite tutte le realtà associative della filiera – Upa (in veste di regista), Fieg, Assocom, Fcp, Fedoweb, Iab, Netcomm, Unicom – in rappresentanza di advertiser, agenzie creative e media, concessionarie, publisher, società di ad tech e merchant. Un’ operazione di sistema, quindi, a far capire che il gioco di squadra può premiare, ma anche lasciando intendere che il momento è delicato e la sostenibilità del mondo della comunicazione non può che passare dall’ osservazione di principi e paletti, soprattutto quando si ha a che fare con il magmatico mondo del digitale. È una «guida reale per gli spazi virtuali» ha sintetizzato il presidente Upa (aziende che investono in pubblicità) Lorenzo Sassoli de Bianchi. Nei fatti è uno sforzo congiunto per migliorare conoscenza e trasparenza su questo mondo in crescita e in continua evoluzione, sul quale grava un rapporto non certo facile (ma anche questo in evoluzione) con i due convitati di pietra: quei Google e Facebook che sulla raccolta pubblicitaria fanno la parte del leone. Per dare una misura, secondo eMarketer entro la fine dell’ anno dovrebbero valere il 60% del mercato del digital advertising. E, guardando all’ Italia, hanno un ruolo da protagonista: stimando i loro dati (che non forniscono a Nielsen) il trend della pubblicità digital va in crescita; tenendoli fuori, anche per il web impera il segno meno. Almeno così è stato da febbraio in poi. «Mi sono comunque personalmente confrontato con Google e Facebook – ha precisato il presidente Upa – e ho riscontrato un’ adesione di massima che loro mi hanno autorizzato di rendere pubblica. Unico punto ancora da discutere è il capitolo relativo agli investimenti pubblicitari che non sono autorizzati a rendere noti». Su questo però «c’ è una discussione aperta. Le case madri impongono regole vincolanti sulla pubblicità degli investimenti, ma sono fiducioso che le cose cambieranno e che anche questo nodo possa sciogliersi nei prossimi mesi». Trasparenza, insomma, è emersa più volte come la parola chiave, sia che si parli di pubblicità sia che si parli del versante più “editoriale”, quello dei contenuti. «Sono tre i pilastri – spiega Maurizio Costa, presidente Fieg – sui quali noi come editori e all’ interno del mondo della comunicazione, dobbiamo accendere fari e arrivare a passi in avanti risolutivi: parlo della difesa del copyright contro l’ uso improprio dei contenuti, l’ utilizzo corretto dei dati e il tema della fiscalità». Tre aspetti da considerare con la massima attenzione perché legati a doppio filo all’ attività di quegli Over the top per i quali «il fatturato italiano è stimato in circa 2,5 miliardi di euro, un volume che non può non avere riflessi pesanti e distorsivi sul sistema». Sono tutte ragioni per le quali il confronto con i convitati di pietra è imprescindibile, a partire però dalla disponibilità a fare passi in avanti su regole e trasparenza. Le associazioni del settore, dal canto loro, hanno messo un punto fermo con questo “libro bianco sulla comunicazione digitale”: non un compendio di regole e sanzioni, ma di «linee guida, un parere autorevole che sarà difficile da ignorare» tiene a precisare Sassoli. Peraltro non un lavoro scolpito sulla pietra, ma un work in progress, con contenuti che saranno aggiornati costantemente. A tal proposito è previsto un tavolo permanente che si riunirà semestralmente. Sei intanto sono i capitoli affrontati: “viewability” sia come regole (misuratori certi terzi indipendenti, report standard per facilitare la lettura dei dati) sia come criteri; “trasparenza della filiera” (compravendita di spazi, flussi finanziari, disponibilità dei dati); “ad fraud” e “brand safety e brand policy” (per far diventare norma la lotta alle frodi e ai finanziamenti illeciti attraverso la pubblicità); “user experience” (attraverso la misurazione condivisa degli ad blocker e alle motivazioni che portano a questo fenomeno). © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Editori: più trasparenza nella pubblicità digitale per arginare i colossi web

La Repubblica

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MILANO. Costruire un sistema di regole condivise in una filiera assediata da giganti con poche norme e molti guadagni. È la sfida che si pone il Libro Bianco sulla Comunicazione digitale, presentato ieri a Milano, che ha messo intorno allo stesso tavolo tutti i protagonisti dell’ industria digitale. Dai creativi alle società di e-commerce, dai concessionari agli editori, con l’ obiettivo di creare «una guida reale per spazi virtuali». Spazi dove ormai da alcuni anni spadroneggiano però colossi come Google e Facebook, i cosiddetti OTT (Over-The-Top), che minacciano di prosciugare il bacino della raccolta pubblicitaria digitale. Il testo si articola in sei direttrici. La più ambiziosa auspica una maggiore trasparenza negli investimenti pubblicitari digitali. E maggiore trasparenza è invocata anche in tutta la filiera della compravendita di spazi del programmatic advertising, la modalità di vendita automatizzata della pubblicità. Tra le priorità del testo anche il contrasto delle pratiche con cui si genera traffico inefficace dal punto di vista promozonale. Il Libro si occupa poi della necessità per gli inserzionisti di non pianificare pubblicità su siti contrari alla propria policy o accanto a contenuti contrari alla stessa. Il documento fissa infine nuove regole sulla misura dell’ efficacia degli annunci e definisce linee guida per migliorare l’ esperienza degli utenti online, al fine di scoraggiare l’ utilizzo degli ad block.

Fieg, ora più trasparenza sul digitale Un «libro bianco» per le nuove regole

Corriere della Sera
Fabio Savelli
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MILANO I convitati di pietra sono sempre gli stessi: Google, ieri piegata dalla multa inflittale dalla Commissione europea, e Facebook. Gli over the top, capaci di condizionare il mercato pubblicitario ovunque. Il social network fondato da Mark Zuckerberg è cresciuta nell’ ultimo anno del 43% nella raccolta pubblicitaria nel nostro Paese. Un dato che fa il paio con il declino (strutturale) negli altri mezzi di comunicazione: radio, televisione, editoria, siti Internet. Otto anni fa, nel 2009, la torta complessiva valeva 10 miliardi all’ anno. Nel 2017 non supera i 6,5 miliardi. Ecco perché servono nuove regole. Un «libro bianco» sulla comunicazione digitale. Che apra alla «trasparenza» nella comunicazione e nel commercio elettronico. A farsi promotrici, per la prima volta, le otto associazioni della filiera. Con il beneplacito di Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente di Upa (l’ organismo che riunisce le aziende che investono in pubblicità e comunicazione). Che ha sottolineato di aver trovato una prima apertura anche da parte dei due colossi Usa, «vincolati alle direttive delle case madri» per la diffusione dei dati relativi al loro giro d’ affari. È il tema dirimente. Centrale nel lavoro di Maurizio Costa, presidente della Fieg (l’ associazione degli editori), che ha ricordato di aver negoziato con Google «per oltre un anno e mezzo» raggiungendo un accordo. Nel vademecum condiviso dalle associazioni (oltre ad Upa e Fieg, anche Emanuele Nenna di Assocom, Roberto Liscia di Netcomm, Carlo Noseda di Iab Italia, Massimo Martellini e Giorgio Galantis, presidenti Fcp e Fcp Assointernet, Alessandro Ubertis di Unicom e Giancarlo Vergori, presidente di Fedoweb) due indicazioni chiave: il copyright e la chiarezza fiscale, anche in virtù del recente accordo tra Google e l’ Agenzia delle Entrate. Il tavolo servirà da pungolo sulle evoluzioni del mercato. Senza tralasciare la forza della pubblicità nativa. Che per generare interesse negli utenti assume l’ aspetto dei contenuti del sito sul quale è ospitata. Usata da alcune blogger della moda e replicata anche dalle aziende, con la consulenza delle agenzie di comunicazione, che si stanno strutturando sul «branded content».

Upa, più trasparenza su internet

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Il mondo della comunicazione presenta il suo Libro bianco sul digitale e si prepara per settembre a passare dagli intenti delle regole comuni individuate ai fatti, ossia lanciare una certificazione per gli istituti di rilevazione online come Nielsen e Comscore, tra gli altri. Si tratterà quindi di una sorta di bollino di livello superiore, destinato ad attestare le pratiche delle società specializzate in monitoraggi, per esempio, di campagne pubblicitarie digitali. L’ intenzione di Upa (Utenti pubblicità associati, che riunisce gli investitori italiani sotto la presidenza di Lorenzo Sassoli de Bianchi) e delle altre sette associazioni di settore (Fieg, Assocom, Netcomm, Iab, Unicom, Fedoweb e Fcp) è fissare degli standard industriali uguali per tutto il comparto. Per questo verrà indetto un bando aperto a varie società, senza escludere l’ americana Mrc e la britannica Abc che, nei rispettivi mercati, già rilasciano certificazioni analoghe. Tra le società di rilevazione contattate da ItaliaOggi, che saranno a loro certificate, ha risposto Comscore secondo cui: «Appoggiamo ogni procedura che porti a una maggiore trasparenza», ha dichiarato l’ a.d. tricolore Fabrizio Angelini, «purché non si risolva tutto in una certificazione di quanto già valutato all’ estero da altri enti internazionali. Serve un’ analisi innovativa». Da Nielsen (guidato in Italia dall’ a.d. Giovanni Fantasia), invece, hanno fatto sapere che «il Libro bianco può rappresentare un punto di partenza per una regolamentazione del mercato basata sulla condivisione di principi riconosciuti dai tutti i player della filiera della comunicazione digitale. Nielsen da sempre fa dell’ indipendenza e della trasparenza i tratti distintivi dei propri servizi di misurazione quindi accoglie con favore l’ iniziativa». Intanto, aspettando settembre, si prosegue con la diffusione del Libro bianco sulla comunicazione digitale, che ha debuttato ieri a Milano e a cui hanno lavorato per la prima volta insieme le otto associazioni, concentrandosi su sei aspetti: viewability (la misurazione di come e per quanto tempo viene vista una pubblicità), trasparenza nella lunga e complessa filiera del programmatic advertising (gli spazi venduti in automatico), user experience (con un’ attenzione particolare al fenomeno dell’ ad blocking), ad fraud (creazione illegittima di traffico online), brand safety e brand policy (la creazione di contesti di comunicazione in linea con le strategie dei marchi) e soprattutto la ricerca di una maggiore trasparenza sui dati d’ investimenti pubblicitari. Il Libro bianco è disponibile su www.upa.it. Google e Facebook, tra i vari over-the-top (ott), non comunicano infatti la loro raccolta, pur attirando una stima di circa 2,5 miliardi di euro, ossia il 25% di tutti gli investimenti digitali, a loro volta pari al 28% del totale (secondo dati Fcp). Il tutto in un settore commerciale in cui un euro pianificato online ne genera 25 d’ indotto. Adesso, però, Big G ha manifestato «un accordo di massima ai parametri individuati dal Libro bianco, compresa la trasparenza dei dati», ha spiegato Sassoli de Bianchi, giusto lo stesso giorno in cui è stata annunciata la multa Ue al colosso Usa per 2,42 miliardi di euro (la cifra attesa nei giorni scorsi era intorno al miliardo), a causa di una posizione dominante in Google Shopping (vedere servizio a pagina 26). E dopo che Carlo De Benedetti, oggi presidente onorario di Gedi (Repubblica+ Stampa+Secolo XIX), ha chiamato a nuovi Stati generali dell’ editoria non solo ogni soggetto della filiera ma anche e soprattutto i grandi della rete. Tutte le iniziative che scaturiscono dal Libro bianco (anticipato da Giuseppe Corsentino su ItaliaOggi dell’ 8/9/2016) devono riportare a «una maggiore conoscenza di un territorio virtuale nuovo, complesso e talvolta opaco», ha sottolineato il presidente Upa. E nel dettaglio, è intervenuto Maurizio Costa, presidente della Federazione italiana editori giornali (Fieg), sono tre i pilastri da rafforzare: «Il diritto d’ autore contro l’ uso improprio dei contenuti, una nuova politica fiscale nei confronti degli ott e una gestione corretta dei big data. Credo che anche Google e Facebook abbiano interesse a un atteggiamento dialogante e nello stesso tempo non definitorio», soprattutto su copyright e fisco. A giudizio dei due presidenti, c’ è una finestra di 6-9 mesi per aprire il dialogo e trovare punti d’ incontro. Ieri, però, è arrivata la risposta del gruppo guidato da Larry Page tramite un portavoce, secondo cui: «Condividiamo l’ obiettivo di assicurare metriche di qualità, basate sul rispetto degli utenti e sulla certificazione di terze parti. Per quanto riguarda la viewability, per esempio, su YouTube registriamo il 93% degli annunci viewable e il 95% audible». Tutto il mondo digitale è in azione, dallo Iab all’ Autodisciplina pubblicitaria. E senza dimenticare che la stessa Upa con Fieg, Assocom, Netcomm, Iab, Unicom, Fedoweb e Fcp vuole definire un nuovo parametro quantitativo minimo di tempo e pixel visualizzati, sotto il quale la visualizzazione di una campagna non può essere contaggiata. Inoltre c’ è la questione intricata della proprietà dei big data: a chi appartengono, pur nel rispetto della privacy dell’ utente? Agli investitori, agli editori o alle società intermediarie? Tra le varie associazioni, si sta muovendo anche e soprattutto Iab (Interactive advertising bureau) Italia col suo presidente Carlo Noseda che vuole «inserire un intervento a favore del digitale nella legge di stabilità di fine anno, in modo da incentivare l’ intero settore e garantire i principi di competizione paritetica» dopo che la «manovra correttiva pubblicata il 23 giugno scorso ha previsto agevolazioni sugli investimenti incrementali in campagne pubblicitarie su stampa ed emittenti radio e tv locali». Non solo, Noseda lancia a Milano per la fine del prossimo ottobre D:City, una tre giorni che racconterà «storie di eccellenza tecnologica, attraverso un palinsesto di appuntamenti dedicati sia ai professionisti sia ai cittadini». Infine, c’ è l’ Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap, presieduto da Mario Barbuto) che ha deciso di regolamentare le recenti forme di native advertising (contenuti promozionali creati dagli editori ad hoc per i loro inserzionisti) e le figure dei blogger. Entrambi i temi portano alla «necessaria distinzione tra informazione e pubblicità», secondo Sassoli de Bianchi, e più in generale a una maggiore tutela per la «qualità dei contenuti che, al momento, non viene pagata. Ma si tratta di una situazione da cambiare», a giudizio di Costa che non ha mancato di fare l’ esempio analogo delle fake news, prima non riconosciute dai colossi di internet mentre adesso il padre di Facebook «Mark Zuckerberg apre» sul tema «e il fondatore di Twitter Evan Williams ha ammesso che la cosa è sfuggita di mano e ci vorranno vent’ anni per recuperare». © Riproduzione riservata.

Per il digitale ci sono già le norme che tutelano consumatori e aziende

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Il Libro bianco sulla comunicazione digitale contribuirà di sicuro a fare più chiarezza in un comparto in grande crescita. Tuttavia esiste già un pacchetto di norme che tutela consumatori e aziende dal proliferare di post di pubblicità occulta da parte di web celebrity su social tipo YouTube, Instagram, Snapchat, Facebook e Twitter. Come spiega Elena Carpani, partner dello studio legale Crea avvocati associati, che ha un dipartimento specializzato in diritto sulla pubblicità e in particolare nella pubblicità digitale, l’ Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap) ha emanato una Digital chart che fissa le regole della pubblicità digitale e sui social. Regole che valgono per tutti gli editori (ma i social non sono considerati tali) e per tutte le aziende iscritte all’ Upa (Utenti di pubblicità associati). In base alla Digital chart una campagna sui social dovrebbe avere di sicuro un hashtag che evidenzi che si tratta di pubblicità, e poi il nome della campagna e il link al sito dell’ azienda. Si tratta, quindi, di stabilire con l’ influencer un rapporto contrattuale dove sia previsto il rispetto di queste regole per ogni post con finalità commerciale. Certo, non tutte le aziende hanno questa cultura, e quelle che non ricadono all’ interno di Upa spesso si disinteressano. C’ è poi l’ Antitrust, che tuttavia finora ha fatto molto poco su questo fronte, non è neppure strutturato per farlo, e ha dei tempi lunghi non compatibili, invece, con la rapidità della comunicazione social. L’ Autorità garante per il mercato, comunque, tutela tutti i consumatori di fronte a tutti i soggetti, e quindi anche di fronte ai social. Quindi i consumatori, ma non le aziende, possono rivolgersi all’ Antitrust per segnalare casi di pubblicità ingannevole o occulta, chiedendo che venga rispettato il Codice del consumo. L’ Agcom (Autorithy delle comunicazioni) non ha invece strumenti per contrastare il fenomeno della pubblicità occulta sui social, poiché, come spiegano dalla stessa Authority, «il potere di vigilanza e sanzionatorio si applica solo agli editori e alla televisione. I social network non sono considerati editori e sono fuori dal nostro controllo». Infine, le aziende possono comunque rivolgersi al giudice ordinario, poiché la pubblicità occulta è un atto di concorrenza sleale. In questo modo si possono pure ottenere decisioni in tempi brevi. In Italia, quindi, le multinazionali si sono attrezzate, hanno policy internazionali. Ma, in generale, se ne vedono ancora di tutti i colori. Per ora nessun influencer è stato avvisato o sanzionato, a differenza di quanto invece sta accadendo sia nel Regno Unito, sia negli Usa, dove l’ Asa e la Competition and markets authority inglesi, e la Federal trade commission statunitense picchiano duro contro la pubblicità occulta sui social, chiedono la rimozione immediata delle campagne, hanno poteri sanzionatori importanti, possono incidere negativamente sulla reputazione delle aziende coinvolte. Sarebbe opportuno, secondo l’ Unione nazionale consumatori, adottare anche in Italia le regole fissate dalla Federal trade commission (Ftc) americana. Che, esaminando nel maggio del 2016 una campagna social della catena di abbigliamento Lord & Taylor, aveva sottolineato come non fossero sufficienti gli hashtag #lord&taylor, ecc, ma servissero le diciture «Advertsing», «Sponsorizzato da», con formule molto più esplicite, per evitare che nel mare magnum di hashtag (su Instagram, per esempio) tutto si annacqui, e nessuno li noti. Ecco le sette regole imposte dalla Ftc: 1. La dicitura «sponsorizzato» deve essere chiara, facilmente visibile e comprensibile dai consumatori, soprattutto quelli meno protetti: bambini, anziani, ecc. 2. L’ indicazione del contenuto sponsorizzato deve avvenire in due modi contestuali: jingle ed etichetta. 3. L’ etichetta «sponsorizzato» deve essere ben distinguibile e non inserita vicino a loghi o altri elementi visivi in modo da creare confusione. 4. Deve essere inserita anche in streaming video e deve essere facilmente visibile e udibile. 5. Deve essere presente in qualsiasi comunicazione pubblicitaria su Internet e non può essere cancellata. 6. La dicitura deve essere scritta nella lingua dei consumatori-target e in tutte le altre lingue dei Paesi in cui la campagna social è veicolata. 7. La comunicazione deve essere conforme ai requisiti in ogni mezzo di fruizione.

«Stop ai giganti del web non falsino il mercato»

Il Messaggero

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Il dossier dell’ osservazione Antitrust sulle mosse dei giganti del digitale in Europa sarà ancora ricco nei prossimi anni. Un certo lavoro spetterà anche al Garante della Privacy. E chissà, in alcuni casi «serviranno anche nuove regole». Ma «attenzione a fissare paletti oppressivi che bloccano l’ innovazione», avverte Giovanni Pitruzzella, presidente dell’ Autorità garante della concorrenza e del mercato in Italia. Quanto ai grandi che controllano il mercato, «abbiano una responsabilità speciale». La Vestager ce l’ ha con l’ algoritmo di Google o con la posizione dominante? «C’ è da fare una premessa importante. Il diritto Ue non ha alcuna intenzione di colpire la posizione dominante. Non è questo il punto. È importante valorizzare la bravura di un’ impresa che ha raggiunto una certa quota di mercato. E dunque la posizione dominante non è di per sè negativa. Ma il nodo sta in quella speciale responsabilità che deve avere chi ha uno status di controllo del mercato». Intende dire che Google ha approfittato di questo status? «Nel caso dei motori di ricerca, la speciale responsabilità a cui mi riferisco comporta l’ obbligo di avere lo stesso trattamento nei confronti di tutti i siti, senza appunto dare un vantaggio alle ricerche legate ai siti di casa. Il vero nodo è nell’ obiettivo che si soddisfa. Deve essere chiaro che la concorrenza favorisce l’ innovazione, ma va sanzionato chi sfrutta una situazione di controllo per bloccare l’ innovazione di altri o impedisce ad altri di affermarsi e acquisire quote importanti di mercato». La mossa della Vestager riguarda questa volta Google Shopping. Ma in realtà il potere del gruppo attraverso i suoi algoritmi si fa sentire su tanti fronti, dalla gestione delle tariffe, alla mano sulla pubblicità, dall’ utilizzo del copyright al rispetto della privacy. Senza contare il rapporto con il fisco, che proprio in Italia ha segnato un passo importante. C’ è ancora molto da fare per regolare gli Over the Top? «La sanzione Antitrust non deve demonizzare Google, che, dobbiamo riconoscerlo, ha creato benefici sia per i consumatori che per le imprese. Ma naturalmente bisognerà approfondire altri ambiti di azione del gruppo. In realtà, però, è un po’ tutto il mercato digitale oggetto dell’ attenzione dell’ Antitrust. Dunque, va bene vigilare, ma attenzione a bloccare gli innovatori. Da una parte vanno evitate delle barriere regolatorie, dall’ altra va messo sotto la lente il tema dei Big Data. A tale riguardo ricordo che l’ Agcm, insieme all’ Agcom e al Garante della privacy il mese scorso ha avviato una indagine conoscitiva proprio per approfondire le diverse implicazioni di questa tematica. Ormai l’ economia è trainata dai dati e certamente questo ha portato dei benefici. Ma attenzione alle forme di abuso della privacy». Anche l’ Antitrust italiano si è mosso recentemente sanzionando WhatsApp. È un altro segnale che siamo solo all’ inizio nella battaglia contro i big Usa? «Abbiamo sanzionato WhatsApp perchè a seguito dell’ acquisto da parte di Facebook ha inviato un messaggio ingannevole ai clienti. Clienti che, secondo lo stesso messaggio, non avrebbero più potuto utilizzare l’ App senza acconsentire alla condivisione dei dati con Facebook. Non si trattava di un consenso libero e dunque il gruppo andava sanzionato». Bastano gli interventi dei Garanti della Concorrenza o ci vogliono paletti europei anche di altra natura? «I paletti ci vogliono, ma vanno messi con equilibrio. Pensiamo al rapporto tra i giganti della rete e gli editori tradizionali. Serve una tutela adeguata del copyright nel web per l’ informazione tradizionale». Con quali strumenti per esempio? «Con gli interventi dell’ Antitrust e dei Garanti della privacy, ma forse anche con nuove regole». A proposito di regole, in occasione della maxi-multa Ue a Facebook per aver collegato gli account di Whatsapp dopo aver negato l’ intenzione di farlo, la Commissaria Ue alla Concorrenza disse che la sanzione era un chiaro segnale alle società che devono rispettare le regole Ue. È anche questo il tema? I big Usa devono capire che le norme Ue non sono carta straccia? «Certo, le regole vanno rispettate da tutti. Questo è fondamentale. Ma le norme non possono essere oppressive. Vanno evitate esuberanze del mercato. Penso per esempio a quanto abbiamo assistito nella sharing economy. Insisto: è una questione di equilibrio». Roberta Amoruso © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Notizie Violazione del copyright

Il Messaggero

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A Google è stato contestata la violazione di copyright da parte del suo servizio Google News che riproponeva contenuti di altri siti di informazione senza averne una chiara autorizzazione. La diffusione di informazione prodotta da giornalisti professionisti e indirizzare traffico dal sito della fonte delle notizie verso Google ha provocato diverse azioni legali da parte di giornali e riviste online e l’ interesse della Ue. Nuove regole europee sul copyright del materiale sono in discussione dopo il caso della Spagna da cui Google News è stato ritirato e di quello della Germania dove si è trovato un accordo temporaneo tra la società di Mountain View e gli editori tedeschi.

Spot e web, il Libro bianco «Regole per la trasparenza»

Il Resto del Carlino
ACHILLE PEREGO
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Achille Perego MILANO «UNA GUIDA REALE per gli spazi virtuali». Sono le parole con le quali Lorenzo Sassoli de Bianchi, presidente di Upa (l’ associazione italiana degli investitori in pubblicità) ha definito il «Libro bianco sulla comunicazione digitale» presentato ieri a Milano. Un «lavoro enorme» durato dieci mesi che, per la prima volta, caso unico al mondo, ha visto la collaborazione di ben 8 associazioni (oltre a Upa, Assocom, Fcp con Fcp Assointernet, Fedoweb, Fieg, Iab, Netcomm e Unicom) che rappresentano il mondo della comunicazione digitale, dagli investitori pubblicitari alle agenzie creative, dalle concessionarie agli editori e dell’ e-commerce. Il Libro bianco, che verrà aggiornato costantemente (in autunno tornerà a riunirsi quello che è stato definito «un tavolo aperto»), contiene linee guida per tutta l’ industria della comunicazione digitale, in grado di rendere più trasparente un mondo «nuovo, complesso, parzialmente inesplorato e talvolta opaco». UN MONDO, però, che solo sul fronte dell’ e-commerce, ha ricordato il presidente di Netcomm, Roberto Liscia, fatturerà quest’ anno 23 miliardi con 40mila aziende e 21 milioni di italiani coinvolti. E dove la trasparenza, presupposto indispensabile per creare fiducia negli utenti, ha sottolineato Emanuele Nenna (Assocom), riguarda anche gli investimenti pubblicitari e l’ uso corretto dell’ informazione. «Distinguendo sempre – secondo il presidente di Upa – tra notizia e messaggio pubblicitario». E tra un’ informazione di qualità e quella ingannevole, ha avvertito il presidente della Fieg, Maurizio Costa. IL LIBRO BIANCO tratta 6 argomenti: la viewability sia come regole, con misuratori certi terzi indipendenti, sia come criteri. La trasparenza della filiera compresi i flussi finanziari, l’ user experience attraverso la misurazione condivisa degli ad blocker, la lotta alle frodi e ai finanziamenti illeciti attraverso la pubblicità e infine gli investimenti pubblicitari, per offrire una sintesi e un punto di riferimento a chi investe e disporre di informazioni attendibili. Norme che dovrebbero condividere anche Google e Facebook, che assorbono il 25% della pubblicità digitale, che – ha anticipato Sassoli de Bianchi – hanno dato un’ adesione di massima al Libro Bianco. Tranne che sul punto della qualificazione degli investimenti, «nodo che però potrebbe essere sciolto in tempi non lunghi». E a un corretto rapporto con i giganti del web si è riferito anche Costa, citando i tre pilastri che dovrebbero far da base alla comunicazione digitale: il rispetto del copyright per evitare lo sfruttamento non pagato dell’ informazione di qualità, il divieto all’ utilizzo improprio di dati dei clienti che navigano sui siti editoriali e regole condivise che, a partire dal Fisco, non consentano privilegi e concorrenza sleale.

Bufera sul contratto Rai di Fazio Vigilanza, la difesa di Maggioni

Il Sole 24 Ore
A. Bio.
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Le polemiche sul rinnovo del contratto Rai di Fabio Fazio non accennano a placarsi. La discussione si è spostata in Commissione di Vigilanza, con l’ audizione del cda e della presidente Monica Maggioni, tranchant sull’ argomento: «Vedere transitare quel marchio, quel volto, quel format su un’ altra emittente avrebbe comportato uno scossone al quale non so se la Rai avrebbe retto in termini di sistema». Al rinnovo non c’ era alternativa, ha aggiunto il consigliere Arturo Diaconale parlando di un Cda «costretto» perché altrimenti Fazio avrebbe firmato con un’ azienda concorrente. Parole che non hanno fatto altro che rinfocolare le polemiche dalle forze politiche, da Forza Italia a M5S a parti del Pd. Contrasti che ormai hanno tracimato secondo il consigliere Freccero che per questo chiede al dg Orfeo di «rimettere in gioco questo contratto». Del resto «come si può pensare che un prodotto oggetto di questa campagna possa sopravvivere all’ audience?». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

“Se Fazio non firmava subito, scappava a La7”

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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Senza Fabio Fazio la Rai non avrebbe retto. Questa la tesi di Monica Maggioni per giustificare il contratto da oltre 11 milioni di euro per 4 anni (cui vanno aggiunte le spese di produzione del programma) al conduttore televisivo. La polemica impazza da giorni e lo stesso Matteo Renzi si sarebbe infuriato incolpando Mario Orfeo per la diffusione della notizia a tre giorni dai ballottaggi delle amministrative. “Agli italiani, che devono pagare il canone in bolletta, e sono andati a votare, non avrà fatto piacere”, commenta una fonte dal Nazareno. Ieri la vicenda è arriva in Vigilanza Rai, dove i parlamentari stavano col fucile puntato. “Fazio fa parte della storia della Rai. Vedere passare quel volto e quel format, su cui abbiamo investito, su un’ altra emittente avrebbe comportato un forte scossone. Non so se la Rai avrebbe retto in termini di sistema”, ha detto Maggioni. La scelta è stata poi difesa da tutti i consiglieri, ma dalle loro ragioni sembra che la decisione sia avvenuta sotto una minaccia incombente: “Siamo stati costretti a sottoscrivere il contratto. Ci è stato detto che, se non lo avessimo chiuso quella mattina, Fazio avrebbe firmato con La7. Non avevamo la pistola alla tempia, ma il codice civile: avremmo potuto risponderne come danno erariale all’ azienda”, racconta Arturo Diaconale. Parole che vengono prese al balzo dal deputato dem Michele Anzaldi per chiedere le dimissioni dell’ intero Cda: “Se i consiglieri firmano sotto costrizione significa che bisogna chiedersi se questo Cda possa andare avanti o sia il caso di azzerarlo”. Ma contro Fazio si scagliano un po’ tutti. Renato Brunetta (Forza Italia) chiede di vedere la delibera della deroga al tetto dei 240 mila euro. Maurizio Lupi (Ap) si domanda “perché è stato fatto un contratto di 4 anni”, sottolineando come “la Rai non possa essere schiava del Mino Raiola di turno”. Maurizio Gasparri sostiene, invece, che “Fazio merita il disprezzo popolare”. “E poi non è vero che stava firmando con altri”, afferma il forzista. Se Fazio avesse o no un piede già fuori dalla Rai è un giallo di difficile soluzione. “La proposta concorrente non l’ ho vista e, del resto, chi la mostrerebbe mai? Ma non dubito che esistesse”, sottolinea Maggioni. “Chiedo a voi parlamentari di intercedere su Orfeo affinché si possa rimettere in gioco questo contratto”, propone Carlo Freccero, che guarda avanti e si pone il problema dei futuri danni all’ azienda e allo stesso Fazio. “Come si può pensare che un prodotto oggetto di questa campagna possa resistere all’ audience?”, si chiede l’ ex direttore di Rai2. Oggi a Milano saranno presentati i palinsesti. Sarà curioso vedere se ci sarà Massimo Giletti, che starebbe trattando su un aumento contrattuale per le 12 serate del prime time del sabato sera. Mentre l’ ultima novità è una serie di puntate di approfondimento su Cosa nostra che, nel 2018, vedrebbe impegnato, tra gli altri, Claudio Fava. Il Cda, infine, ieri si è schierato a testuggine nella difesa della Maggioni sul caso delle presentazioni, pagate dalla Rai, del suo libro Terrore mediatico, pubblicato da un editore privato. “Il libro ha anticipato temi importanti sull’ Isis e il terrorismo. È un testo importante che ha valorizzato l’ autrice e, con essa, l’ intera azienda”, ha spiegato, senza alcun imbarazzo, il renzianissimo toscano Guelfo Guelfi. Maggioni ancora una volta non commenta, ma sorride e apprezza.

Perfezionato l’ accordo l’ Espresso-Stampa

Il Sole 24 Ore
S.Fi.
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Da oggi parte ufficialmente Gedi, il più grande gruppo editoriale di quotidiani in Italia. Ieri è stata perfezionata l’ integrazione della nuova realtà che ha unito l’ Espresso della famiglia De Benedetti (che pubblica il settimanale omonimo e Repubblica); Itedi, casa editrice della Stampa e del Secolo XIX, di proprietà di Fca e della famiglia Perrone. Per l’ occasione, il neo consiglio di amministrazione di Gedi si è riunito a Roma sotto la presidenza, per la prima volta, di Marco De Benedetti: il manager, ex Tim e gestore in Italia del fondo Carlyle (proprietario dei piumini Moncler), ha fatto il suo debutto dopo che nel fine settimana il padre Carlo ha detto addio alla presidenza dell’ Espresso; e dopo che il fratello Rodolfo, presidente di Cir, gli ha conferito l’ investitura ufficiale. Il perfezionamento dell’ operazione è avvenuto tecnicane come effetto di un aumento di capitale dell’ Espresso, diventata Gedi: il nuovo assetto azionario vede Cir detenere il 43,4%, mentre alla Exor, la holding della famiglia Agnelli, viene attribuito il 4,37% del capitale (come effetto del conferimento della quota redistribuita da Fca-Fiat, che ha il 14% post fusione). A oggi la holding di Torino è il terzo azionista, dietro a Jacaranda Caracciolo-Falck, erede di Carlo Caracciolo, uno dei fondatori de l’ Espresso), ma l’ intenzione di John Elkann, che guida Exor e ha seguito in prima persona la fusione, è quella di arrivare oltre la soglia del 5% per essere il secondo azionista del neonata Gedi, in modo da riflettere anche nell’ azionariato il nuovo equilibrio. Lo stesso Elkann, peraltro, ha fatto il suo ingresso nell consiglio di amministrazione, assieme a Carlo Perrone ed Elena Ciallie. «Nasce il principale gruppo di informazione quotidiana e multimediale in Italia con un patrimonio di testate e redazioni di assoluto valore» ha commentato l’ ad Monica Mondardini. C’ è voluto più di un anno per arrivare a questo matrimonio nel mondo della carta. Era il 2 marzo dello scorso anno quando le due case editrici annunciarono le nozze. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Assegnati i Digital Rewards 2017

Italia Oggi
GIOVANNI GALLI
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Sono stati assegnati ieri a Milano al termine della giornata inaugurale della seconda edizione di Class Digital Experience Week (www.classdigitalweek.it) i Digital Rewards, che riconoscono l’ attività e l’ impegno di ciascuno dei partner della manifestazione nello sviluppo del digitale. Sono state 14 le società premiate, che provenivano da settori molto diversi fra di loro ma erano tutte però accomunate da una propensione costruttiva all’ innovazione tecnologica: A2A (ha ritirato Mauro De Cillis – Direttore Operativo di Amsa, società del gruppo A2A), Akamai (Alessandro Livrea – Country Manager per l’ Italia), Allianz Italia (Leonardo Felician – Ceo di Genialloyd, Gruppo Allianz), Bip – Business Integration Partners (Carlo Maria Capè – Ad e fondatore di Bip), Che Banca! (in sala Roberto Ferrari – Chief Digital and Innovation Officer Gruppo Mediobanca), Citroën (Luciano Ciabatti – Direttore Marketing di Citroën Italia), EY (Andrea Paliani – Mediterranean Advisory Services Leader di EY). A completare il parterre delle aziende cui è stato assegnato il Digital Reward, Ibm (Luca Altieri – Direttore Marketing e Comunicazione), Mondadori (Francesco Riganti – Direttore Marketing Mondadori Retail), Rds (Massimiliano Montefusco – Direttore Generale di Rds 100% Grandi Successi), Schindler Italia (Angelo Fumagalli – Ad e Direttore Generale), Sorgenia (Simone Lo Nostro – Market & Ict Director), STMicroelectronics (Alessandro Cremonesi – Group Vice President e Direttore Generale di ST Central Labs), Y&R (Federica Ilaria Fornaciari – Chief Digital Officer Y&R). Nell’ occasione è stata organizzata una speciale tavola rotonda, chiamata Instant Digital Pitch, durante la quale, in 180° scanditi da uno spettacolare count down grafico, i rappresentanti delle aziende partner che erano presenti a Palazzo Mezzanotte (sede di Borsa Italiana) hanno avuto modo di illustrare alla platea presente e a tutto il pubblico che ha seguito in streaming la cerimonia attraverso la diretta live, quali siano i progetti e le azioni che hanno messo in essere grazie al digitale e come tramite queste siano stati in grado di creare valore per loro e per le aziende con le quali lavorano. Class Digital Experience Week (www.classdigitalweek.it) è la settimana dedicata allo sviluppo della conoscenza dell’ innovazione digitale e delle sue straordinarie opportunità da parte di tutti i cittadini, per vivere al meglio nella nuova era, ideata e organizzata da Class Editori. Da lunedì 26 giugno fino a domenica 2 luglio Milano diventa la capitale mondiale dello sviluppo tecnologico, con un ricchissimo calendario di conferenze e workshop gratuiti (previa registrazione) che consentono alla cittadinanza di toccare con mano lo stato dell’ arte del digitale e di capire in che direzione vada la sua l’ evoluzione.

Repubblica+Stampa, è fusione

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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È stata perfezionata ieri la fusione tra il gruppo editoriale di Repubblica e quello di Stampa e Secolo XIX, attraverso l’ integrazione della piemontese Itedi nella romana Gedi-Gruppo editoriale. Per il closing dell’ operazione annunciata a inizio marzo 2016 si è riunito il cda di Gedi presieduto per la prima volta dal neo-presidente Marco De Benedetti (figlio di Carlo De Benedetti, ora presidente onorario). Inoltre, nel board, hanno debuttato ufficialmente in veste di consiglieri John Elkann (presidente Fca) e Carlo Perrone (editore storico del Secolo XIX). Del nuovo polo editoriale, la holding della famiglia De Benedetti Cir detiene il 43,4% mentre Fca ha in portafoglio il 14,63% e la famiglia Perrone il 4,37%. Una volta che Fca avrà distribuito le azioni a tutti i suoi azionisti, la società d’ investimenti Exor della famiglia Agnelli-Elkann deterrà il 4,26%. Ma John Elkann ha già annunciato di volersi rafforzare e diventare il «secondo più grande azionista» (vedere ItaliaOggi del 6/4/2017). Oggi, dunque prima che Elkann salga dal suo 4,26%, Cir, Exor e Italpress dei Perrone controlleranno, congiuntamente, il 52% circa del nuovo conglomerato. Il perfezionamento dell’ operazione è stato possibile dopo l’ esecuzione dell’ aumento di capitale targato Gedi per 80 milioni di euro e riservato, per l’ appunto, a Fca e Italpress. Così come sono arrivati, progressivamente nel tempo, i via libera necessari all’ operazione delle diverse Autorità competenti, tra cui Agcom, Antitrust e ultima in ordine temporale Consob. Per portare avanti il progetto, e rispettare il tetto imposto a ogni editore del 20% della tiratura complessiva italiana, sono stati ceduti poi i quotidiani locali Il Centro (in Abruzzo), la Città di Salerno e Alto Adige e Trentino. Gedi ha un enterprise value inferiore al mezzo miliardo di euro e dalla fusione per incorporazione sono attese sinergie da «circa 15 milioni di euro», come ha avuto modo di rendere noto l’ a.d. Monica Mondardini che, ieri, ha invece dichiarato: «Siamo soddisfatti di avere portato a compimento un’ operazione che dà vita al principale gruppo di informazione quotidiana e multimediale in Italia, con un patrimonio di testate e redazioni di assoluto valore. Ringrazio gli azionisti del nuovo gruppo per il loro costante supporto, i dirigenti e tutti i collaboratori per il loro lavoro degli ultimi mesi. Il nostro settore è caratterizzato da grandi cambiamenti e crescenti complessità. Siamo consapevoli degli impegni che ci attendono ma anche molto determinati a raggiungere i nostri obiettivi: continuare a essere un’ azienda efficiente e solida finanziariamente e garantire un’ offerta informativa di qualità e vicina alle esigenze dei lettori».

L’ Europa attacca: multa da 2 miliardi al colosso Google padrone del mondo

Il Giornale
Marcello Zacchèdi
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Con una multa che, per entità (2,4 miliardi di euro), non si era mai vista prima per un abuso di posizione dominante, l’ Unione europea batte un altro colpo contro gli Ott, cioè gli «over the top». Sono i cinque giganti web (Amazon, Apple, Facebook, Google e Microsoft) le cui capitalizzazioni di Borsa, se sommate, arrivano in zona 3mila miliardi di dollari: con un paragone un po’ forzato valgono come il Pil della quinta nazione del mondo, dopo la Germania. Il fatto che questi cinque soggetti abbiano nelle nostre vite un ruolo sempre maggiore è evidente. E la questione è ogni giorno che passa più economica, perché è attraverso di loro che si formano e si formeranno (…) (…) sempre più le nostre decisioni di spesa. In altri termini sulla loro «neutralità» si basa la libera concorrenza e la possibilità di pagare, a parità di beni o servizi, il prezzo più basso. E non c’ è solo questo: dai cinque Ott dipendono già oggi interi settori economici, basti pensare all’ editoria. Mentre, per chiudere il cerchio, la reale contribuzione fiscale dei cinque campioni è invece molto sospetta. Ebbene, nella multa di ieri possiamo leggere in controluce un segnale importante: l’ Europa, almeno nel campo dell’ antitrust, dimostra di esistere. E lo fa andando a pescare un comportamento forse secondario di Google (il settore dello shopping): probabilmente un anello debole. Ma tanto basta per far partire un messaggio forte: da oggi esiste un precedente che fissa il principio secondo il quale un gigante tecnologico non può assumere un ruolo dominante nelle nostre vite. Ci saranno dei limiti. Ma non è tutto. Dietro alla maxi multa per Google, la Concorrenza Ue dimostra di avere allungato il passo rispetto ai colleghi Usa, che è la nazione che ha inventato l’ antitrust. Eppure sullo strapotere dei colossi del web, guarda caso tutti rigorosamente americani, l’ unico soggetto al mondo che si muove con sufficiente determinazione sta di casa a Bruxelles. Un altro segnale: quello della volontà di determinati ambienti europei di tutelare i propri consumatori e le proprie imprese da ogni tipo di anomalia di mercato importata dalla principale area economica e monetaria concorrente e cioè proprio gli Stati Uniti. Perché è evidente che lo scontro tra Google e Commissione Ue non è che una proiezione del confronto Usa-Europa. Non a caso la manovra della Concorrenza Ue, secondo le fonti comunitarie bene informate, riceve la sua spinta maggiore direttamente da Berlino. Una strategia che partirebbe da lontano: dall’ ira di Angela Merkel per lo spionaggio ai sui danni effettuato per anni della Nsa (l’ Agenzia Usa per la sicurezza nazionale) e scoperto nel 2013. Per questo i tedeschi – attraverso i loro rappresentati vomunitari più influenti- sono considerati i principali protagonisti delle pressioni sull’ Antitrust Ue, perché questo diventi un presidio della libera concorrenza (soprattutto verso gli Usa) universalmente riconosciuto. Un’ operazione perfettamente interpretata da una non tedesca, la danese Margrethe Vestager, e in fin dei conti sostenuta da tutti gli altri Paesi europei. Marcello Zacchè.

Telecom apre a Mediaset sui diritti tv della Serie A

Il Giornale
Maddalena Camera
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Maddalena Camera Telecom sarebbe pronta a fare un’ offerta con Mediaset per i diritti di calcio della Serie A «ma solo se c’ è una convenienza reciproca». Lo ha detto l’ ad del gruppo telefonico, Flavio Cattaneo sottolineando i buoni rapporti con Mediaset. «Ritengo che sia un’ azienda non solo rispettabile – ha detto – ma che ha anche un buon posizionamento di mercato». Cattaneo rimescola le carte dunque, contanto forse sul fatto che il suo principale azionista, Vivendi, sta ai ferri corti con Mediaset da parecchi mesi e rischia di dover pagare un risarcimento miliardario per il mancato acquisto della pay tv Premium. Allora la condivisione dei diritti del calcio potrebbe rappresentare una onorevole via d’ uscita per Vivendi che altrimenti potrebbe dover pagare fino a 1,8 miliardi a Mediaset. Telecom comunque, ha spiegato l’ ad, intende fare investimenti nei diritti tv del calcio solo se rendono: «Abbiamo sempre detto che gli investimenti li facciamo solo se proporzionati al ritorno». Oggi intanto a Cologno Monzese si svolgerà l’ assemblea dei soci Mediaset chiamata ad approvare il bilancio e nominare il nuovo collegio sindacale. L’ assise è inoltre chiamata ad approvare un piano di buyback fino al 10% del capitale, una contromossa al tentativo di scalata fatto da Vivendi, che nei mesi scorsi è salita al 28,8% del capitale. Secondo indiscrezioni il capitale che parteciperà all’ assemblea, contando anche Vivendi, supererà, l’ 80%. Fininvest ha il 39,5% e i fondi dovrebbero essere presenti con oltre il 15%. Per essere approvata, la delibera richiede la maggioranza del capitale, ma senza contare la quota Fininvest, esclusa dal computo per il meccanismo del whitewash (votano solo gli azionisti di minoranza). Sarà quindi determinante vedere cosa farà Vivendi. Ma i francesi probabilmente non saranno presenti all’ assemblea in quanto obbligati da Agcom a congelare i diritti di voto al di sotto del 10%. Gli analisti di Equita ricordano che se Mediaset incrementasse le azioni proprie fino al 10% e poi le distruggesse, Fininvest si porterebbe automaticamente al 45,7% dei diritti di voto con Vivendi al 32%. Quota, quest’ ultima, che nonostante il ricorso presentato dai francesi al Tar che sarà discusso l’ 11 luglio prossimo, dovrà essere congelata sotto il 10%. La società francese ha presentato la sua proposta all’ Autorità per le tlc il 19 giugno scorso ma non ha ancora avuto una risposta concreta al rimedio proposto che prevede il trasferimento della quota eccedente al 10% in un trust. Da sottolineare che Vivendi ha speso, per la quota Mediaset, 1,3 miliardi di euro. Ieri i titoli del Biscione sono scesi dell’ 1,3% forse anche per le prospettive di maggior concorrenza sul mercato televisivo. Dopo l’ arrivo di Sky e Discovery, che trasmettono in chiaro su alcuni canali del digitale terrestre, anche i giganti del web si apprestano a realizzare serie tv. Oltre ad Amazon ora anche Facebook sta trattando con le major per realizzare miniserie tv da offrire ai propri clienti. Non c’ è dubbio dunque che la concorrenza sui contenuti è sempre più agguerrita. E anche questo potrebbe essere un altro motivo per Mediaset e Vivendi di ritrovare un accordo sulla produzione di contenuti comuni per far fronte alla potenza di fuoco dei giganti del web.

Mazzata della Ue a Google multa record di 2,4 miliardi “Fa sparire i concorrenti”

La Repubblica
ALBERTO D’ ARGENIO
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DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES. È la multa più salata mai inflitta dalla Commissione europea per abuso di posizione dominante e potrebbe dare il via a centinaia di cause civili di fronte ai tribunali nazionali per risarcimento danni: Bruxelles è andata oltre le aspettative e ha annunciato una sanzione di 2,42 miliardi di euro a carico di Google. Inoltre ha ordinato a Mountain View di modificare le sue pratiche commerciali entro 90 giorni. Se non lo farà, il colosso fondato da Larry Page e Sergey Brin sarà condannato a pagare il 5% del suo fatturato per ogni giorno – circa 12 milioni – di mancato adempimento. Google si è detta «in disaccordo con la decisione» dell’ Antitrust Ue guidato da Margrethe Vestager e ha di fatto annunciato un ricorso alla Corte di giustizia europea. Sarebbe una causa colossale, corredata da milioni di pagine web e documenti per confutare la scelta della direzione generale per la Concorrenza, che in 40 anni non ha mai perso una causa. Dopo sette anni di indagini Bruxelles ha condannato i servizi di Google Shopping per avere sistematicamente dato maggior risalto al suo servizio di comparazione degli acquisti: quando un utente cerca un prodotto su Google il suo servizio di shopping gli propone le varie possibilità di acquisto in modo visibile. I servizi di comparazione di acquisti dei rivali sono invece lasciati nella colonna dei risultati generici, spesso nemmeno nella prima pagina, cliccati solo l’ 1% delle volte. Per Vestager «Google ha abusato della sua posizione dominante sul mercato della ricerca per promuovere il servizio di comparazione shopping». La Commissione ha poi annunciato che anche negli altri due casi in cui indaga Google, quelli legati al software Android e al servizio pubblicitario Adsense, ci sono gli estremi per una futura condanna. Il vicepresidente di Google, Kent Walker, ha spiegato che «quando si fa shopping online si vogliono trovare i prodotti in modo veloce e facile». Per l’ azienda americana non ci sono le prove e lamentano che la Vestager non ha preso in considerazione nell’ analisi di mercato il business di altri big del commercio in rete come Amazon e eBay. La multa comminata da Bruxelles è inferiore al tetto massimo previsto dalle regole Ue, sarebbe potuta arrivare a 8 miliardi, ma si tratta comunque della più grande stangata per un caso di concorrenza mai inflitta da Bruxelles il cui record risaliva al 2009 (1,06 miliardi a Intel). Per quanto Trump, al contrario di Obama, sia freddo verso la Silicon Valley, la decisione della Ue è destinata a inquinare ulteriormente i rapporti tra Unione e Usa già sotto stress su clima e commercio. Bruxelles sta indagando anche su Starbucks, Apple, Amazon e McDonalds ma ha sempre negato di prendere di mira le aziende americane, alcune delle quali -come Oracle e News Corp – ieri hanno sostenuto la decisione Ue. Anche il mondo dell’ editoria e delle comunicazioni europeo si è schierato con Bruxelles. ©RIPRODUZIONE RISERVATA Nel mirino della Commissione europea ora ci sono Android e i banner di Adsense.


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