Indice Articoli
«Una detrazione fiscale per libri e giornali»
Fermare il declino dell’ informazione
Allarme dei produttori tv sul tax credit
Facebook vuole tutto: diventa anche tv
Facebook vuol diventare una tv molto social
Che fine farà Raitre? Perde i pezzi pregiati e rischia la «nicchia»
Decoder «cibor-I tv box», vendite da record
L’ asse olimpico Discovery-Tim
Chessidice in viale dell’ Editoria
Google, Ue pronta alla maxi multa
«Una detrazione fiscale per libri e giornali»
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Economia circolare, industria 4.0, costi energetici, sostegno strutturale alla lettura con la richiesta – già fatta e rilanciata con più forza durante l’ Assemblea annuale di ieri a Milano – di una detrazione fiscale del 19% per gli acquisti di libri e di abbonamenti a quotidiani e periodici. È attorno a questi temi di politica industriale che prenderà corpo l’ attività della Federazione Carta e Grafica. «Nel suo complesso stiamo parlando di un settore da 23,7 miliardi di euro che vale l’ 1,4% del Pil», ha spiegato Pietro Lironi, presidente della Federazione la cui direzione sarà ora affidata a Massimo Medugno, già direttore di Assocarta. Una Federazione, ha detto il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia intervenuto in Assemblea, «in linea con quelle che sono le direttrici della riforma Pesenti: si fa squadra, si fa filiera». Quello rappresentato dalla Federazione della Carta e Grafica è un settore da 169.500 addetti attivi in quasi 18.600 imprese fra macchine per la grafica, cartotecnica e converting (Acimga); carta e cartone (Assocarta); grafica e cartotecnica, trasformazione (Assografici). Unione Grafici di Milano e Comieco sono soci aggregati. «Sono tre macrocomparti – precisa Lironi – che hanno mostrato nel 2016 andamenti diversificati, ma nel complesso positivi, a eccezione di quello delle carte e della stampa grafica. Nel 2017 sono stati positivi anche i primi mesi per la cartotecnica e la trasformazione, ma soprattutto per la produzione di macchine». Non tutto è roseo però, visto che «sono ancora negativi gli andamenti del mondo grafico, sebbene si confermi il trend positivo degli ordini esteri». Lironi in particolare mette l’ accento «sulla crisi del settore grafico pubblicitario ed editoriale. Sicuramente quello in maggiore e perdurante difficoltà». Un settore che «paga gli effetti dei continui ridimensionamenti degli investimenti pubblicitari su stampa». Positivo in tal senso, aggiunge Lironi, «il credito d’ imposta, a decorrere dal 2018, in favore di imprese che effettuino investimenti incrementali» in pubblicità su quotidiani e periodici. Bene anche il Bonus cultura da 500 euro. «Ma non basta». Da qui la richiesta della detrazione fiscale su acquisti di libri e quotidiani «in un Paese dove solo il 40% delle persone con 6 e più anni ha letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi». Dall’ assemblea della Federazione arriva anche l’ ennesimo appello a non “smontare” il Piano Industria 4.0: «Proprio perché concentrati sulla sfida più rilevante che il Piano Industria 4.0 ci pone davanti, ovvero quella culturale, ci sentiamo legittimati ad aggiungere la nostra voce, a fianco di quella del presidente Boccia, risuonata chiara in occasione della recente Assemblea generale di Confindustria, nel richiedere la proroga degli incentivi fiscali legati al Piano». Questi, dunque, i punti chiave accanto all’ altra tematica strategica è l’ economia circolare. La raccolta urbana dei rifiuti in Italia vede la carta come primo materiale in quantità con un tasso di riciclo dell’ 80% nel settore dell’ imballaggio. «Gli ambiziosi obiettivi previsti dal nuovo pacchetto sull’ Economia Circolare in corso di definizione a Bruxelles, pongono il settore di fronte a nuove sfide ambiziose. Sfide che siamo pronti a cogliere», dice Lironi. Fondamentale però facilitare la strada della circolarità: «Occorre per esempio, seguendo i tanti esempi in Europa, favorire la realizzazione di impianti di termovalorizzazione a piè di fabbrica». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Fermare il declino dell’ informazione
L’Adige
PAOLO PAGLIARO
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Fabrizio Franchi L a carta stampata è affascinata dal suo carnefice. I giornali sono prigionieri della «Sindrome di Stoccolma», così amplificano in continuazione ciò che accade sulla rete, alimentando una spirale perversa perché contribuiscono ad accrescere le risorse di giganti del web come Google e Facebook che le stanno sottraendo alla carta stampata. Sempre più le testate giornalistiche invitano lettori e telespettatori a continuare a seguirli su Facebook o su Twitter, ovvero i giganti che stanno erodendo le risorse del mercato al giornalismo. E mentre una volta si era convinti che la buona informazione, quella seria, accertata e verificata, quella fatta di giornalisti capaci che approfondiscono e verificano le notizie, insomma si era convinti che il buon vecchio giornalismo servisse a scacciare quello cattivo, fatto di notizie false, oggi si è entrati in una spirale perversa, in cui il giornalismo vero deve soprattutto cercare di giustificarsi di fronte alla marea di bufale, fake news, di notizie false più o meno diffuse ad arte. Paolo Pagliaro l’ ha definita una «epidemia», questa marea montante di spazzatura che deborda dai siti internet spesso alimentata dalla stessa politica, strumentalmente. Una malattia che bisogna prendere sul serio per fare guarire un corpo sociale che altrimenti rischia di implodere. Pagliaro, giornalista di vaglia, come si può constatare quotidianamente dal suo editoriale serale «Il punto» su La7, all’ interno di «8 e mezzo» – trasmissione di cui porta la responsabilità più di quanto appaia – ha mandato in libreria un volumetto per il Mulino , nell’ agile collana delle «Voci»: Punto. Fermiamo il declino dell’ informazione , che è più utile di quanto possa sembrare, anche nello smontare tanti luoghi comuni che gli stessi giornalisti rovesciano addosso al pubblico senza una verifica accurata dei fatti e dei numeri. È l’ era della post-verità, bellezza, ma non per forza di cose deve essere coltivata questa epoca che ci avvelena con falsità e opinioni troppo spesso basate su paure, crollo della fiducia nella scienza, negli scienziati, nelle istituzioni, lasciando trionfare teorie complottistiche che non dovrebbero avere alcuno spazio. Ecco dunque che Pagliaro ricostruisce con brillantezza di scrittura e lucidità di pensiero i passaggi e la situazione a cui siamo arrivati. Lungo diversi capitoli illuminanti smonta molte convinzioni e servirebbe una lettura di questo volume proprio a chi è convinto di essere «informato» perché saltella da un sito internet all’ altro, senza alcuna precauzione e poi magari si ritrova a dare il via libera a Google e al suo sistema di posta elettronica Gmail che fruga nelle nostre missive e indicizza le nostre informazioni: «È come se le Poste inoltrassero la corrispondenza gratis – scrive Pagliaro – in cambio della possibilità di aprire le lettere, leggerle e consegnarle al destinatario insieme a pubblicità rilevanti rispetto a parole chiave contenute nella lettera. Se solo ci fosse chiaro che quando ti viene offerto un servizio gratuitamente tu sei il prodotto, forse preferiremmo pagare il francobollo». Ma non c’ è solo questo: ci sono i luoghi comuni, come quelli sui migranti, perché fanno comodo e sono utilizzabili nella propaganda. La sola Spagna in 20 anni ha accolto 6 milioni e mezzo di stranieri. Noi ne ospitiamo 1369 per ogni milione di abitanti: l’ Ungheria 17 mila, la Germania 5500. Menzogne. Come quelle che hanno portato alla Brexit e all’ elezione di Donald Trump. Anche perché in definitiva le falsità fanno aumentare il traffico sui siti internet e di conseguenza il traffico, attirando quindi pubblicità. Dunque? Dunque dobbiamo difenderci, cercando la buona informazione, verificando che i siti da cui abbiamo attinto le notizie siano credibili. Ma bisogna anche che gli editori tornino ad investire, perché senza buoni giornalisti che verifichino i fatti non si può fare nulla. E infine, che i giornalisti tornino a lavorare con più scrupolo, ritrovando un po’ di coraggio e di orgoglio professionale. E allora, forse, l’ epidemia che ci sta contagiando, potrà essere fermata. Paolo Pagliaro, Punto. Fermiamo il declino dell’ informazione, il Mulino, 123 pagine 12 euro.
Allarme dei produttori tv sul tax credit
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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È allarme rosso fra i produttori tv per l’ avvicinarsi dell’ entrata in vigore delle novità sullo split payment. Dall’ 1 luglio infatti scatterà quanto previsto con la “manovrina”. E il presidente dell’ Apt (associazione dei produttori televisivi indipendenti) Giancarlo Leone, va giù duro: «Molte aziende si stanno interrogando sull’ opportunità di rivolgersi alla Corte di Giustizia europea. Questa norma rischia di strozzare l’ industria dell’ audiovisivo italiana. Il problema è che in questo modo gli investimenti punteranno su Paesi che non hanno vincoli come i nostri». L’ alert del presidente dei produttori televisivi indipendenti nasce dal fatto che la manovrina ha esteso anche ad altri soggetti collegati con la Pubblica amministrazione gli obblighi dello split payment, meccanismo istituito nel 2015 con la legge di Stabilità per le operazioni nei confronti degli enti pubblici. Per frenare la slavina dell’ evasione dell’ Iva, allora si pensò di far sì che la Pa pagata con fattura debba trattenere l’ Iva per versarla direttamente all’ Erario. Con il Dl 50/2017 ciò è stato previsto anche quando i soggetti passivi sono società controllate direttamente dalla Presidenza del consiglio dei ministri e dai Ministeri, oppure quando si tratta di società quotate inserite nel Ftse Mib. «Quindi sia Rai, sia Mediaset», dice Leone. E a preoccupare i produttori tv è soprattutto l’ inserimento in questo novero dell’ emittente di Stato che ha iniziato a inviare lettere ai produttori indipendenti. «Siamo davanti a una situazione paradossale: con una mano lo Stato dà e con l’ altra toglie». Il riferimento di Leone, in questo caso, è al meccanismo del tax credit (valido anche sull’ audiovisivo). Attualmente, infatti, i produttori sono nelle condizioni di poter utilizzare il tax credit maturato per la realizzazione delle opere audiovisive al fine di compensare i debiti Iva conseguiti all’ emissione di fatture per contratti di produzione sottoscritti con Rai. Con lo split payment viene in sostanza a mancare questo uso del tax credit (le cui aliquote sono state aumentate, in funzione di alcune caratteristiche, fino al 30%) a compensazione dei debiti. E in sostanza viene a mancare anche una sorta di autofinanziamento. Peraltro le attività dei produttori sono strutturalmente a debito Iva, poiché usano in modo significativo la forza lavoro (non soggetta a Iva). «La speranza – dice Leone – è che il Governo intervenga in maniera appropriata nel decreto applicativo del Mef che dovrà essere emanato. Soggetti come Rai, soprattutto, ma anche Mediaset, vanno esclusi. Il non intervenire sarebbe un pessimo segnale», soprattutto ora che «il Mibact con la Legge Franceschini e i decreti attuativi sul tax credit si pone l’ obiettivo di generare valore e di rendere più competitive e solide le imprese italiane di produzione di cinema e di serie televisive». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Facebook vuole tutto: diventa anche tv
Il Fatto Quotidiano
Marco Franchi
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Facebook può diventare la nuova Netflix? La domanda ieri è rimbalzata di sito in sito, di forum in forum. Lo si saprà a fine estate, quando il social network di Zuckerberg potrà tirare le somme sul suo nuovo progetto: realizzare un programma televisivo, a puntate, destinato ai giovanissimi e attorno al quale riunire una community di utenti. Alla base, ci sono sempre mercato e concorrenza: fare come Netflix, come Google con YouTube, come Amazon, come Apple (che ai primi di giugno ha messo in onda la prima puntata di Planet of the Apps, un reality in 10 episodi incentrato sul mondo degli sviluppatori di applicazioni). I presupposti per il successo ci sono. O quanto meno ci sono quelli per un non totale fallimento. A differenza dei concorrenti, il social network di Mark Zuckerberg può già contare su un pubblico potenziale di oltre due miliardi di persone (gli attuali utenti nel mondo) e la dimensione video – con il successo delle dirette – ha già dato prova di essere un terreno potenzialmente florido. Facebook, insomma, continua la sua corsa per ‘diventare Internet’. L’ obiettivo è la fascia più giovane degli iscritti di Facebook: “Stiamo supportando un piccolo gruppo di partner e creatori che sperimentano tipologie di show attorno alle quali è possibile creare una community, dallo sport alla commedia, dai reality al gioco – ha spiegato Nick Grudin, VP Media Partnership di Facebook -. Siamo concentrati sugli show a puntate e aiutiamo tutti i nostri partner a capire quali sono i temi che funzionano meglio nei vari argomenti”. L’ operazione è stata raccontata con maggiori dettagli dal Wall Street Journal (proprietà di Rupert Murdoch, editore e imprenditore nel campo della Pay-tv con Sky). Stando alle indiscrezioni riportate dal quotidiano statunitense dunque, la società di Mark Zuckerberg avrebbe avuto incontri con major e agenzie di talenti di Hollywood e avrebbe indicato un budget di 3 milioni di dollari a puntata, in linea con le produzioni di fascia alta della tv via cavo. La compagnia sarebbe inoltre interessata a produzioni di fascia media e a contenuti brevi, da dieci minuti ognuno. Facebook punterebbe a raggiungere un target dai 13 ai 34 anni, con un focus nella fascia 17-30, per attrarre un pubblico di giovani al momento più interessato a Instagram e Snapchat. Così, sempre in base alle indiscrezioni, la piattaforma guarderebbe a un ampio ventaglio di serie tv, che sia in grado di intercettare i gusti in modo trasversale: dai teen drama ricchi di suspense come Pretty Little Liars (che per oltre sei stagioni è riuscita a non svelare chi fosse la morta- non morta che minacciava tutti) a Scandal (che è un susseguirsi di intrighi, personaggi doppiogiochisti e ricatti). Fino ai reality come The Bachelor: il richiamo della storia d’ amore dovrebbe spingere gli utenti a nutrirsi di un video dopo l’ altro. È il binge watching: porta miliardi e ora lo vuole anche Facebook.
Facebook vuol diventare una tv molto social
Il Giornale
Alberto Guy
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Alberto Guy Sulla notizia c’ è il prestigioso avallo del New Street Journal. Facebook vuole diventare una tv. La piattaforma social da due miliardi di utenti, secondo il quotidiano finanziario americano, sarebbe in trattative con diversi studios e agenzie di Hollywood per produrre contenuti televisivi originali, da mandare in onda già a fine estate. Cavalcando così l’ onda dei contenuti in streaming che già vede in campo Netflix e Amazon, e più di recente anche Apple. A conferma della nuova politica di Facebook arriva la conferma di un manager. «Stiamo supportando un piccolo gruppo di partner e creatori che sperimentano tipologie di show attorno alle quali è possibile creare una community, dallo sport alla commedia, dai reality al gioco. Siamo concentrati sugli show a puntate e aiutiamo tutti i nostri partner a capire quali sono i temi che funzionano meglio nei vari argomenti», sottolinea Nick Grudin, VP Media Partnership di Facebook. Si parla anche di importanti eventi a livello mondiale come gli Oscar e i Grammy. Stando alle indiscrezioni riportate dal quotidiano statunitense, in alcuni incontri con agenzie di talenti, il social network avrebbe indicato un budget di 3 milioni di dollari a puntata, in linea con le produzioni di fascia alta della televisione via cavo. La compagnia di Mark Zuckerberg sarebbe inoltre interessata a produzioni di fascia media e a contenuti brevi, da 10 minuti. Facebook punterebbe a raggiungere un target giovane, dai 13 ai 34 anni, con un focus nella fascia 17-30, per attrarre un pubblico sempre più giovane che al momento sembra più interessato a Instagram e Snapchat. Sempre in base alle indiscrezioni, la piattaforma guarderebbe con interesse a serie tv simili a Scandal (grosso successo su Sky) e Pretty Little Liars, e a reality come The Bachelor. L’ obiettivo di Facebook, che rispetto a realtà come Netflix e Amazon entra tardi nel settore delle produzioni tv, è duplice: far crescere il business legato ai video, che sta puntando da tempo, e soprattutto accaparrarsi una fetta della spesa pubblicitaria televisiva, che è nell’ ordine delle decine di miliardi di dollari. Anche Apple è entrata di recente nel mercato dei contenuti televisivi originali. La compagnia di Cupertino ha infatti messo in onda i primi di giugno la prima puntata di Planet of the Apps, un reality in 10 episodi incentrato sul mondo degli sviluppatori di applicazioni.
Che fine farà Raitre? Perde i pezzi pregiati e rischia la «nicchia»
Il Giornale
Laura Rio
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Laura Rio Il mega contratto a Fabio Fazio non solo ha sollevato un’ indignazione popolare, non solo ha coalizzato quasi tutte le forze politiche contro la scelta dei vertici Rai, non solo ha provocato esposti alla corte dei Conti, all’ Anac e in Procura, non solo ha creato malumori all’ interno dell’ azienda, ma in più rappresenta un vulnus anche per Raitre. Perché con la migrazione di Che tempo che fa su Raiuno, il terzo canale nella prossima stagione televisiva resta sprovvista del suo conduttore principale, delle prime serate della domenica sera e anche del Rischiatutto. Non si sa infatti se il game di Mike Bongiorno che con grande amore e desiderio Fazio ha riportato in vita e che ha avuto un buon riscontro di pubblico tornerà in onda, ma in ogni caso, a rigor di logica, se venisse rifatto seguirebbe il suo conduttore sulla rete ammiraglia. Insomma, la terza rete, sulla carta, appare svuotata e indebolita. Oltre a Fazio, ha perso anche Gazebo di Diego Bianchi, in arte Zoro, migrato su La7. E, per altri versi, sembra un rifugio per tutti quei personaggi, giornalisti, volti della sinistra «storica», o come la si voglia chiamare, da Gad Lerner a Michele Santoro a Bianca Berlinguer. Quasi un ritorno alla Telekabul di un tempo, ma con meno potenza di quando la governava Sandro Curzi. Forse si tratta semplicemente di dare alla rete un profilo più coerente e di completare la divisione di compiti dei tre canali principali, resta il dubbio che, dall’ alto, ci sia l’ intento di ridurre Raitre a una piccola rete in cui confinare, appunto, i giornalisti-star che non sono riconducibili all’ area renziana in modo da annacquarli ma senza cacciarli dall’ azienda, cosa che farebbe di loro dei martiri (e di martiri la Rai ne ha avuti già abbastanza). Comunque tutti professionisti amati dalla direttrice Daria Bignardi, che però con una Raitre siffatta faticherà a tenere il passo e risultati di ascolto. Lei, che già ha dovuto affrontare momenti difficili come la chiusura di Ballarò e la sua sostituzione con il fallimentare Politics, ora si trova a ricostruire da capo una rete. Nel suo palinsesto restano format storici e punti saldi come Chi l’ ha visto, Report, Presa diretta e i documentari di Alberto Angela. Per il resto del palinsesto serale ha a sua disposizione Cartabianca al martedì (e in preserale tutti i giorni) e Santoro al giovedì, che passa su una rete a lui più consona ma che non ha più l’ appeal, il potere e gli ascolti di un tempo su Raidue come hanno dimostrato gli ultimi esperimenti come M. Al venerdì, pausa dall’ informazione con i cicli di film italiani. Troveranno spazio in prime time anche le belle inchieste di Alberto Matano sugli innocenti in cella. Ma alla domenica cosa andrà in onda al posto di Che tempo che fa? La Bignardi sta pensando a vari programmi tra cui un nuovo format che dovrebbe chiamarsi Andiamo a governare, sulla falsariga del brano di Rovazzi, che racconta di una strada, un quartiere o un piccolo centro che viene messo in condizione di «autogovernarsi». Magari un esperimento interessante, ma che certamente otterrà ascolti molto più bassi dello show di Fazio, che veleggiava tra il 12 e il 14 per cento di share. Sarà dura trovare un programma che si avvicini a quei risultati e comunque ci vorrà molto tempo. Così non verrà neppure «disturbato» il nuovo Che tempo che fa in onda su Raiuno. Nel resto del palinsesto l’ intento è valorizzare i format introdotti o reintrodotti la scorse stagioni: e quindi le inchieste di Gad Lerner, le Storie di Massimo Gramellini che andranno a sostituire Gazebo dal lunedì al venerdì alle 20,30, FuoriRoma di Concita De Gregorio, Stato Civile sulle prime unioni gay, Bambin Gesù, sulla vita in ospedale dei bambini malati. Insomma una rete seria seria, tutta indirizzata all’ approfondimento, lasciando l’ intrattenimento e l’ innovazione al primo e secondo canale. Una rete di nicchia?
Decoder «cibor-I tv box», vendite da record
Il Tempo
DAMIANA VERUCCI
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Cinquecento decoder venduti nel solo mese di giugno e ordinativi che sono schizzati nella misura del 300% dall’ inizio del progetto di Italian Television Network, una tv che ad oggi trasmette su 140 canali televisivi digitali terrestri e satellitari Sky in Italia e in Europa. L’ esempio di quella che può essere considerata una vera e propria eccellenza imprenditoriale è sbarcata in America a fine aprile, precisamente a Miami dove è stato presentato CIBOR-I TV BOX, il nuovo decoder che sulla scia Sky, Mediaset Premium, Alice Telecom, dà la possibilità di far vedere su qualsiasi televisore e in ogni angolo del mondo la programmazione dei canali e delle tv che ospita sulla propria piattaforma televisiva: dalla musica, al cinema, ai viaggi, passando per la cucina, il made in Italy, Fatina Channel con Maria Giovanna Elmi e il super trendy Makeup Channel, canale dedicato esclusivamente al crescente fenomeno di Makeup Artist. E poi ancora Confartigianato Tv, Fiera Channel e il nascente AefiTv per la programmazione delle più importanti fiere italiane. «In America questo decoder sta avendo un grandissimo successo – spiega il Project Manager, Marco Matteoni – ringrazio Il Tempo che ha creduto in questa iniziativa e poi il mio socio Roberto Onofri che ha seguito fin dalle prime fasi il progetto. Un ringraziamento particolare va anche a Vanessa Bentifeci, nuova responsabile delle relazioni estere». Cibor permette un rapido collegamento tra un comune televisore, vecchia o nuova generazione, e un piccolo decoder dedicato, autoalimentato da una presa USB tramite un collegamento wireless. Dal primo settembre spazio alle eccellenze regionali per la gioia degli italiani residenti all’ estero, che grazie al nuovo decoder potranno collegarsi con il proprio televisore e vedere usi e costumi della terra di origine.©RIPRODUZIONE RISERVATA.
L’ asse olimpico Discovery-Tim
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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In Italia nasce l’ asse Discovery-Tim, con un accordo di convergenza tra i due gruppi che potrebbe anche avere ulteriori sviluppi nella prossima nuova asta per i diritti tv della Serie A 2018-2021. Intanto Discovery (broadcaster che controlla i canali tv Nove, Real Time, Dmax, Giallo, ecc, e il network Eurosport) cede contenuti a Tim, monetizzando l’ investimento fatto sulle Olimpiadi e ampliando la distribuzione dei canali Eurosport. Grazie all’ intesa appena firmata, infatti, Tim diventa l’ official mobile broadcaster in Italia per i giochi olimpici invernali 2018 di PyeongChang (Corea del Sud) e di quelli estivi 2020 di Tokyo (Giappone): offrirà, quindi, un canale ad hoc ai suoi clienti banda larga, ultra banda larga e mobile, canale prodotto da Discovery che non avrà le dirette ma fornirà news, highlights e contenuti in formato breve pensati per i tifosi dei Giochi. L’ Italia, peraltro, è il primo paese nel quale Discovery individua un partner per la distribuzione dei contenuti olimpici via mobile. Ma questa è una strategia che sarà poi via via applicata a tutte le altre nazioni europee: il gruppo americano, infatti, ha acquistato l’ esclusiva continentale dei diritti dei Giochi dal 2018 al 2024 investendo circa 1,3 miliardi di euro. E adesso comincia a monetizzare. Sia grazie all’ accordo con Tim, sia attraverso la trattativa, non ancora chiusa, con Rai per la visione in chiaro delle due manifestazioni (si parla di una cifra attorno ai 70 milioni di euro). Come spiega Alessandro Araimo, general manager di Discovery Italia, l’ intesa col gruppo guidato da Flavio Cattaneo «è una ulteriore dimostrazione di quanto le Olimpiadi rappresentino un evento di primaria importanza per il pubblico italiano. Il sodalizio con un brand e un’ azienda come Tim riportano al centro dell’ attenzione mediatica italiana quello che è l’ evento sportivo da oltre un secolo». Comprensibili i toni entusiastici, anche se va riconosciuto che i Giochi invernali, in Italia, siano ultimamente usciti dal principale menù televisivo degli sportivi (forse nel 2018 la squadra potrebbe tornare a dare soddisfazioni) e che pure quelli estivi, con l’ atletica leggera azzurra in crisi nera, abbiano perso un po’ di smalto. I legami tra Discovery e Tim si consolidano pure sul fronte Eurosport (network tv controllato da Discovery): Tim, infatti, pur non avendo partecipato all’ asta per i diritti tv della Champions league 2018-2021 e neppure alla prima asta, poi annullata, per i diritti della Serie A 2018-2021, decide di entrare nel mondo del grande sport offrendo ai clienti Timvision i due canali tematici Eurosport 1 ed Eurosport 2 (quindi i giochi olimpici, il grande tennis, il grande ciclismo, i Mondiali di nuoto, quelli di atletica, l’ EuroCup di basket, le discipline invernali), e pure tutti i contenuti extra disponibili su Eurosport player (per esempio, le telecamere su decine di campi da tennis nei primi turni dei tornei del Grande Slam in Australia, a Parigi o agli US open). Quindi i canali Eurosport saranno d’ ora in poi disponibili sulla piattaforma a pagamento di Mediaset Premium (contratto in scadenza a fine 2019), su quella di Sky (contratto in scadenza nella seconda metà del 2018) e su Timvision fino a tutto il 2020. I clienti banda larga, ultra banda larga e mobile di Tim potranno inoltre godere della programmazione su Eurosport player, gratuitamente per il primo anno, direttamente in mobilità o sullo schermo di casa attraverso il decoder Timvision. Come detto, perciò, da un lato Discovery mette a rendita i suoi investimenti in diritti sportivi, ampliando anche la distribuzione di Eurosport; dall’ altro, invece, Tim entra con una certa decisione nel mondo dello sport in pay tv. Per ora senza esclusive assolute. Ma, in base a come verrà orchestrato il prossimo bando dei diritti serie A, non si può escludere una sua partecipazione ad aste per esclusive di prodotto, magari in tandem con Discovery se le questioni Vivendi-Telecom-Mediaset non si dovessero risolvere entro il prossimo autunno. © Riproduzione riservata.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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Mondadori avvia il programma di acquisto di azioni proprie. Le operazioni arrivano dopo la delibera dell’ assemblea degli azionisti dello scorso 27 aprile, che ha autorizzato l’ acquisto e la disposizione di azioni proprie per un importo massimo pari allo 0,96% del capitale sociale. Obiettivo: dotare nel triennio la società delle 2,49 milioni di azioni necessarie per adempiere agli obblighi connessi al piano di performance share 2017-2019, approvato dalla stessa assemblea. Nel triennio, gli acquisti saranno effettuati a un corrispettivo unitario minimo non inferiore al prezzo ufficiale di Borsa del giorno precedente l’ operazione di acquisto, diminuito del 20%, e al massimo non superiore al prezzo ufficiale di Borsa del giorno precedente all’ operazione di acquisto aumentato del 10%. Gli acquisti riguarderanno un massimo di 2,49 milioni di azioni ordinarie (rappresentanti attualmente lo 0,96% del capitale sociale) del valore nominale unitario di 0,26 euro. Mondadori detiene in portafoglio, a oggi, 80.000 azioni proprie complessive, pari allo 0,031% del capitale sociale. L’ attuale autorizzazione si concluderà con l’ assemblea di approvazione del bilancio al 31 dicembre 2017 e potrà essere rinnovata, previa autorizzazione assembleare. Elezioni comunali, #maratonamentana sfiora il 5,9% di share. Lo speciale dedicato domenica sera ai ballottaggi per le elezioni comunali e condotto dal direttore del TgLa7 Enrico Mentana, ha raccolto il 5,86% di share medio (22,48 – 02,00) con 3.758.251 contatti e picchi del 7,74% con 1.123.754 telespettatori, risultando il secondo programma di informazione più visto della serata dedicato ai ballottaggi. Durante la giornata, inoltre, il TgLa7 delle 20,00 ha registrato il 5,25% di share, 1.603.519 contati e picchi del 5,77%. La sola La7 ha conquistato il 5,31% di share in seconda serata (22,30 – 02,00). Mentre il network La7 (La7 e La7d) ha ottenuto il 3,67% di share in prime time (20,30 -23,30) e il 6,18% in seconda serata (22,30 – 02,00). Tempo di libri, Kerbaker alla guida. Andrea Kerbaker sarà il nuovo direttore di Tempo di Libri, fiera milanese voluta dall’ Associazione italiana editori (Aie), in alternativa al Salone del libro di Torino, la cui seconda edizione si svolgerà dall’ 8 al 12 marzo prossimo presso Fiera Milano City. L’ investitura ufficiale è attesa dopo mercoledì prossimo, quando Ricardo Franco Levi, già designato, verrà formalmente eletto presidente dell’ Aie al posto di Federico Motta. Scrittore, docente e segretario del Premio Bagutta, Kerbaker ha lanciato Progetto Italia di Telecom, programma di iniziative nella ricerca, nella cultura e nel sociale da cui sono scaturiti progetti come le letture di Dante di Vittorio Sermonti in Santa Maria delle Grazie a Milano. Facebook si allea con Hollywood per produrre i suoi format tv. Facebook è in trattativa con alcuni studios di Hollywood per la produzione di programmi tv, con l’ intenzione di lanciare una programmazione originale per la fine dell’ estate. È quanto ha riportato ieri il Wall Street Journal, secondo il quale il social network sarebbe disposto a mettere sul piatto un budget da 3 milioni di dollari per ogni episodio (pari a 2,7 milioni di euro). La società di Mark Zuckerberg è anche interessata a contenuti brevi, di non più di 10 minuti, da riprodurre nella sezione Spotlight per i video. Target di riferimento: il pubblico di età compresa tra i 13 e i 34 anni e, in particolar modo, la fascia 17-30. Secondo il quotidiano Usa, ai creatori dovrebbero essere garantiti dai 5 ai 20 mila dollari di incassi pubblicitari per episodio (4,5 mila-18 mila euro). Gruppo Fox, nasce FoxLife.it. Il gruppo Fox, dopo aver lanciato mondofox.it e foxsports.it, presenta foxlife.it. Target: le utenti alla ricerca di informazioni sulle proprie passioni, a caccia di opinioni, news e consigli pratici per affrontare la vita di tutti i giorni. Ad arricchire i contenuti di FoxLife.it è una redazione composta dagli youtuber più seguiti, da fashion blogger, nuovi talenti del web e inviati a Hollywood e Londra.
Google, Ue pronta alla maxi multa
MF
NATALIA DROZDIAK
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L’ Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato dell’ Unione Europea è ormai pronta a punire Alphabet, società di controllo di Google, con una multa di oltre un miliardo di euro, oltre a richiedere la modifica delle prassi commerciali. La Commissione Europea, che da quasi sette anni indaga sul colosso della Silicon Valley per violazione delle disposizioni comunitarie in materia di antitrust in diversi settori, si starebbe infatti preparando a dichiarare oggi che Google ha effettivamente manipolato i risultati del motore di ricerca per favorire il proprio servizio di comparazione dei prezzi. Contestualmente procedono le altre indagini ufficiali sul comportamento tenuto da Big G nello sfruttamento del sistema operativo mobile Android e del servizio per la monetizzazione dei contenuti online AdSense. La sanzione dovrebbe arrivare a polverizzare il record di 1,06 miliardi di euro della precedente ammenda comminata da Bruxelles per abuso di posizione dominante a Intel nel 2009. «Continuiamo a impegnarci costruttivamente insieme alla Commissione europea e crediamo fermamente che le innovazioni da noi apportate allo shopping online siano positive per acquirenti, rivenditori e concorrenza», ha affermato il portavoce di Google, Al Verney. Probabilmente l’ Ue richiederà inoltre che il big della rete conceda ai servizi di comparazione dei prezzi della concorrenza, quali Foundem.co.uk e Kelkoo.com, un trattamento equo nei risultati di ricerca. Stando ai ricorrenti, Google degraderebbe le offerte dei competitor nell’ ordine dei risultati restituiti in base alla ricerche e, indipendentemente dalla rilevanza, inserirebbe arbitrariamente il proprio servizio in un box situato sopra tutte le altre proposte. Il verdetto potrebbe creare un precedente sulla condotta di Google in relazione agli altri servizi di ricerca, tra cui viaggi e mappe, che attualmente l’ Ue sta passando al vaglio. L’ intervento contro un’ altra potenza americana potrebbe suscitare dall’ altra parte dell’ Atlantico il sospetto che l’ Ue stia prendendo di mira i player a stelle e strisce, e specialmente le tech company, per proteggere le industrie del Vecchio Continente. La Commissione si ha già messo nel mirino Apple, Facebook e Starbucks per irregolarità ai sensi della normativa europea sulla concorrenza, con conseguenze sui rispettivi risultati finanziari. In aggiunta, procede l’ investigazione su McDonald’ s e Amazon per presunta evasione fiscale in Europa. Tuttavia, a proposito del caso Google, anche alcune grandi aziende statunitensi, inclusa Yelp, hanno espresso risentimento circa il comportamento della società fondata da Larry Page e Sergey Brin nella speranza che Bruxelles agisse. Inizialmente anche Microsoft, che ha poi evitato però di infierire ulteriormente dopo che l’ anno scorso i due colossi hanno posto fine a un’ antica faida. Anche News Corp, editore del Wall Street Journal, ha presentato un reclamo formale ma principalmente riguardo alla gestione degli articoli all’ interno del motore di ricerca. A inizio 2013 le autorità antitrust degli Stati Uniti hanno deliberato la conclusione della propria attività di accertamento quando Google ha accettato di mettere a punto volontariamente alcune modifiche alle pratiche. traduzione di Giorgia Crespi.