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Wow! Alla stampa italiana servono meno complimenti e più contratti
Condé Nast: “La qualità informativa la via per battere Google e Facebook”
Marchetti va controcorrente E stampa un giornale di carta
Il digitale è più veloce dei Codici
Fiorello fa il mattatore al Premio Biagio Agnes
Wow! Alla stampa italiana servono meno complimenti e più contratti
Il Fatto Quotidiano
Pietrangelo Buttafuoco
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Jeff Bezos, il fondatore di Amazon e ras del Washington Post, dice che “il giornale di carta diventerà un oggetto di lusso”. Il giornalismo di qualità – ha spiegato il potente editore a Torino durante un incontro per i 150 anni de La Stampa – non è qualcosa che si può dare gratis. “Sarà come comprare un cavallo”, ha spiegato, “oggi nessuno lo usa per trasporto, ma perché è bello. E gli amici quando lo vedranno potranno dire wow!” Wow, è fatta. Tutta la fatica è dunque nel trovare i lettori disposti a spendere. John Elkann, il proprietario del quotidiano torinese, ha chiosato da par suo: “Solo un giornale che è in attivo può permettersi di essere indipendente”. Wow, è il caso di dire, visto che nessuno in attivo. E la malizia è d’ obbligo anche perché nella discussione piuttosto cerimoniosa, Bezos dà un affondo – “l’ obiettivo è raccontare il governo e fare il giornalismo d’ inchiesta” – e poi dice anche questo: “Non si può tagliare per raggiungere profitti”. Sono i famosi tagli – la riduzione dell’ organico, e la chiusura delle sedi periferiche – che nel caso italiano, soprattutto nelle testate più autorevoli, richiede una terza squisita qualità: lo sfruttamento dei giovani professionisti ridotti al rango di precari. Contratti a tempo determinato, manco a dirlo, e paghe miserabili. Non certo il passaggio obbligato dell’ apprendistato, anzi, la proletarizzazione del giornalismo – messa in atto da giornali che si sciacquano la bocca con la creolina dell’ autorevolezza – passa attraverso una beffa: quella di affidare poi ai precari il compito di riempire, non certo le note rosa o le necrologie, ma le delicate pagine della politica. Ed è così che importanti firme – cronisti agguerriti, alcuni dei quali portatori sani di notizie in un mondo sempre più paludato di veline – si ritrovano ad apparire tre mesi al Corriere della Sera, tre mesi a Repubblica e tre mesi a La Stampa, in uno psicotico carosello dove non si è più giornalisti, bensì giornalieri. Questi cronisti – sempre complimentati – come i braccianti agricoli “a giornata” si ritrovano a sperare di essere reclutati giorno dopo giorno nello stretto stagno del mercato. Il capo redattore, nel dorato mondo del giornalismo autorevole, è sempre un facente funzione di caporale agli ordini del soprastante – il direttore – concentrato più sulle cautele e prodigo solo nell’ attività di relazione: banchieri, politici, amici degli amici e, va da sé, amici cui elargire quei contratti negati ai veri lavoratori. “La terra ai contadini”, urlavano i giornalieri chiamando alla lotta i compagni durante l’ occupazione dei feudi. “Meno complimenti e più contratti” è la parola d’ ordine dei giovani giornalisti professionisti sfruttati nel frattempo che un John Elkann, caduto da cavallo, impari a dire wow!
Condé Nast: “La qualità informativa la via per battere Google e Facebook”
Affari & Finanza
Giorgio Lonardi
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[ L’ INTERVISTA] D al primo settembre Condé Nast Italia avrà un nuovo amministratore delegato. La promozione di Fedele Usai, attuale direttore generale dell’ editore di Vogue Italia, Vanity Fair, Wired, Glamour, è stata voluta da Giampaolo Grandi, che rimane presidente del gruppo. «Grandi – dice il futuro amministratore delegato – di cui condivido visione e strategie, ha investito molto sulla mia figura professionale ». E lo stesso presidente sottolinea il ruolo di Usai nel successo del progetto “Reinvent the Business”, l’ atterraggio del gruppo nel digitale. Il nuovo ad ha fatto carriera nelle principali agenzie di pubblicità italiane diventando nel 2009 amministratore delegato di Tbwa dopo essere passato per il Lingotto chiamato da Sergio Marchionne a guidare la comunicazione della Fiat . Quanto pesa il digitale sui conti di Condé Nast Italia? «Il digitale di Condé Nast negli ultimi anni ha raddoppiato il fatturato che nel 2017 supera i 20 milioni con una crescita del 18%. L’ aspetto più interessante è che il peso del digitale sui ricavi complessivi raggiungerà il 20%. Per il settore editoriale italiano è una quota di tutto rispetto. A questo proposito vorrei sottolineare che i siti di Condè Nast hanno 20 milioni di utenti unici al mese. Oltre a questi possiamo contare possiamo contare su una base di 13 milioni di fan sui principali social network». Però il fatturato del gruppo è diminuito durante gli ultimi anni, non è vero? «Nel corso degli ultimi otto anni il mercato nazionale della carta stampata ha perso il 47%: nello stesso periodo Condé Nast ha ceduto solo la metà di questo valore riuscendo a mantenere i conti in ordine grazie allo sviluppo del digitale e a un’ opera intelligente di controllo dei costi». Ci può dire qualcosa di più sull’ andamento della redditività? «Nel 2013 il giro d’ affari di Condé Nast Italia era di 150 milioni con un Ebitdadi 5,7 milioni. Quattro anni dopo, nel 2016, i ricavi sono calati a quota 128 milioni ma l’ Ebitda è cresciuto fino a 6,4 milioni. E per il 2019 contiamo di accelerare la crescita nel digitale che raggiungerà il 30% dei ricavi complessivi per passare al 37% nel 2020». Come avete raggiunto questi risultati nonostante Google e Facebook stiano prosciugando il mercato pubblicitario delle aziende editoriali? «Bisogna fare una premessa. Noi ci consideriamo una band mentre Google e Facebook sono dei jukebox. Oltre al targeting nel mondo della pubblicità c’ è molto di più e tutto gira attorno alla capacità di produrre contenuti di qualità. Noi editori dobbiamo puntare sulla centralità dei nostri brand e sulla bontà dei nostri contenuti: news, video, gallerie fotografiche, analisi. E tenerci stretto il lettore, il più possibile. Ma non è tutto». Che altro? «La qualità dei contenuti ci consente di avere un rapporto più intenso e stabile con i lettori. In questo quadro cambia la relazione con la pubblicità che per essere proficua deve risultare trasparente e performante. È il caso del native advertising per cui facciamo storytelling sul mondo dei brand che investono su di noi. O del più recente commerce content per cui proponiamo contenuti che hanno l’ obiettivo di favorire l’ e-commerce sul sito del cliente o sui market place che i clienti utilizzano ». Sul native advertising, John Elkann ha avuto recentemente parole piuttosto dure, sostenendo che questa pratica rischia di rovinare il rapporto con il lettore. Lei che ne pensa? «L’ importante è che tutto sia trasparente, che il lettore sia informato. E che dunque sappia che non lo stai tradendo». Su cosa punterà Condé Nast Italia nel prossimo futuro? «Intanto investiremo sempre di più sulle nostre testate pricipali: Vogue Italia, Vanity Fair, Wired. E poi punteremo sull’ incrocio fra contenuti e dati. Le faccio un esempio: grazie a Glamour abbiamo scoperto di avere in casa il più grande database italiano nel settore della bellezza: 116mila donne profilate per il colore dei capelli, il tipo di pelle, eccetera. Una scoperta che ci ha spinto a creareil primo osservatorio sulla bellezza assieme alla Bocconi». Parliamo di carta stampata: ha ancora un futuro? «Penso proprio di sì. A patto che sappia innovarsi e cambiare. In questa cornice sono molto orgoglioso che quest’ anno Wired Italia sia stato premiato come miglior magazine al mondo. Un riconoscimento che arriva dagli Spd Awards, gli “Oscar” che premiano le più belle riviste presenti sui mercati internazionali. Abbiamo battuto testate come The New York Times Magazine e lo stesso Wired Usa. Ma non è tutto perché dopo aver raggiunto il pareggio nel 2016 da quest’ anno Wired Italia è in utile. Gran parte del merito va al boom del Wired Next Fest di Milano che si è concluso da poche settimane con oltre 150mila presenze». © RIPRODUZIONE RISERVATA Il settimanale Vanity Fair Il mensile Wired Il mensile Vogue , nella foto grande Fedele Usai, neo amministratore delegato dell’ editoriale Condé Nast.
Marchetti va controcorrente E stampa un giornale di carta
L’Economia del Corriere della Sera
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Ci sarà naturalmente Federico Marchetti per presentare domani a Londra il nuovo Tech Hub di Ynap (Yoox Net-à-porter), il gruppo leader nell’ ecommerce del lusso che unificherà i team tecnologici che il gruppo ha nel Regno Unito. Un nuovo polo pensato per sviluppare, in casa, soluzioni avanzate per rispondere alle richieste dei consumatori digitali. L’ area, come preannunciata, è quella di White City Place, 6.500 metri quadrati che potranno accogliere fino a 650 dipendenti. Tra le tante innovazioni che saranno presentate domani, a partire dalla logistica pensata per adattarsi via via ai bisogni di chi occuperà gli spazi, colpisce il fatto che in una società ipertecnologica come Ynap resista, e cresca, un prodotto molto tradizionale: un giornale di carta. Si chiama Porter ed è una rivista patinata dedicata ovviamente alla moda con tanto di redazione dedicata di cui Ynap stampa e distribuisce più di 180 mila copie ogni due mesi. Perché il cliente del lusso ama ancora una delle cose più tradizionali che c’ è, la carta. Pure se al gruppo tengono a precisare che non è una rivista del tutto classica dal momento che attraverso un’ app dedicata permette il riconoscimento visivo in negozio e di fare acquisti. Ma tant’ è, anche la rivista – dicono al gruppo – è parte integrante del successo del marchio. Anzi, l’ ultimo audit ha messo in evidenza una crescita del 6% anno su anno. Ad amare di più il magazine sono gli americani: al primo posto la California, seguita da New York e Florida. Secondo Paese per apprezzamento il Regno Unito, cui seguono Germania, Italia e Francia. Poi si va dall’ altra parte del mondo, a Hong Kong. Intanto domani Marchetti racconterà il nuovo progetto, annunciato subito dopo il referendum per l’ uscita del Regno Unito dall’ Europa, la Brexit. Nel presentare il nuovo hub, l’ amministratore delegato di Ynap aveva detto: «Penso che il nostro technology team possa prosperare in un ambiente all’ avanguardia, che riflette i valori e la visione futura delle vendite online di lusso. Sir Nicholas Grimshaw (l’ architetto britannico che ha progettato il nuovo quartiere di Ynap, ndr. ) e il suo staff hanno brillantemente trasferito la nostra cultura e le nostre esigenze in uno spazio di lavoro che sarà un punto di vanto per il gruppo». M. S. S.
Il digitale è più veloce dei Codici
Il Sole 24 Ore
LucaDe Biase
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Le dimissioni da ceo di Travis Kalanick il duro – pure troppo – co-fondatore di Uber potrebbero aprire una nuova pagina per la storia di quella società che è stata prima simbolo di ciò che è la sharing economy e poi di ciò che di solidaristico ha poco o nulla. In effetti, il rapporto di Uber con le regole è sempre stato controverso, con conseguenze ambigue sulla sua immagine, legittimazione e legittimità. In ogni città e in ogni paese la piattaforma che ha creato un’ alternativa al trasporto urbano si è trovata a combattere le norme che governano il servizio dei taxi: godendo, all’ inizio, dell’ appoggio degli innovatori favorevoli all’ introduzione di un sistema competitivo in un settore che appare invece corporativo; ma generando, in seguito, anche dubbi per il modo in cui tratta i lavoratori, per le modalità della formazione del prezzo del suo servizio, per una cultura aziendale eccessivamente aggressiva. Con l’ uscita di scena del ceo di Uber, accusato di essere disinteressato alle norme legali ma anche alle norme sociali che governano una civile convivenza tra i generi, il tentativo di ripristinare una certa credibilità della piattaforma è avviato. Ma la storia di Uber, eccessiva da molti punti di vista, è esemplare: molte di queste società, da Uber ad AirBnb, da Apple a Facebook, da Google ad Amazon, sembrano sempre in rotta di collisione con i sistemi legali. Da un lato, mettono a nudo le inefficienze e le rendite di posizione garantite anche da leggi più adatte al passato che al futuro; dall’ altro lato, sono accusate di prosperare aggirando i vincoli fiscali, le regole per la protezione dei dati personali, le norme sulla concorrenza, le garanzie per i consumatori, i diritti dei lavoratori. Quale può essere l’ evoluzione di tutto questo? L’ accelerazione innovativa impressa dalle piattaforme digitali in alcuni settori si configura innanzitutto come una sfida sul piano dei modelli di business. Editoria, turismo, commercio sono tra i settori che molto hanno risentito della digitalizzazione. La tecnologia abbatte i costi di transazione, rimette in discussione le ragioni di scambio, riduce le barriere protettive per settori e categorie professionali, modifica le strutture dei mercati. E, appunto, sfida le norme tradizionali: creando dimensioni operative che consentono di aggirarle o riformularle e imponendo alle autorità politiche o giudiziarie un ritmo di adeguamento che non sempre queste istituzioni sembrano in grado di tenere. Ma il primo passo è quello di definire di che cosa stiamo parlando. La sagacia di molte di queste piattaforme è stata quella di richiamarsi a concetti socialmente avvertiti e di sollecitare la sensibilità di chi pensa che i sistemi tradizionali non siano altrettanto consapevoli: definire sharing economy il lavoro di Uber, per esempio, è stato un colpo magistrale. Condividere asset non sfruttati appieno per offrire servizi in mercati poco efficienti era un bel modo di presentare le idee di Uber, di AirBnb e altri. Aiutava la legittimazione, se non la legalità delle loro operazioni. Ma col passare del tempo, l’ aspetto finanziario ha sovrastato quello sociale. In certi casi, come appunto in Uber o Foodora o altri, le logiche di governo dei lavoratori hanno assunto forme che apparivano progressivamente dure nei loro confronti e i tribunali che hanno considerato quelle società non come piattaforme che abilitavano un mercato socialmente utile ma come sistemi di gestione di lavoretti on demand, con vantaggi eccessivamente asimmetrici si sono moltiplicati. Nello stesso tempo le prese di posizione delle autorità, per esempio europee, contro la condotta economica dei giganti digitali come Google, Facebook, Apple, in termini di protezione della privacy, di garanzia della concorrenza, di lotta all’ elusione fiscale, si sono fatte progressivamente più dure. La difesa delle categorie attaccate dall’ innovazione, come gli albergatori, ha trovato una formulazione normativa innovativa nella distinzione di trattamento tra chi fa un’ attività di ospitalità amatoriale e chi ci costruisce una vera e propria professione. Ma il problema in genere non è di mancanza di leggi. Il problema delle autorità è quello di non arrivare troppo tardi con troppo poco nell’ applicazione delle leggi esistenti alle condizioni economiche in accelerato mutamento che si determinano nel contesto digitale. In effetti, la materia di cui sono fatte le piattaforme digitali è il software, cioè – come dicono i programmatori – il codice: proprio come le leggi diventano i codici che regolano la società, anche il software, gli algoritmi, le interfacce, sono codice che regola la società. E le due accezioni del termine codice tendono a farsi concorrenza: essendo le leggi determinate da processi lenti ma teoricamente democratici ed essendo il software generato da processi veloci ma di solito orientati a perseguire gli interessi e i valori particolari di chi lo scrive o lo finanzia. L’ equilibrio per ora è lontano, ma si troverà in un salto di qualità nella consapevolezza delle autorità politiche e giudiziarie per quanto riguarda l’ importanza della dimensione digitale nella vita quotidiana. Una classe dirigente finalmente alfabetizzata è da tempo necessaria per le società digitalizzate. Questa tecnologia non è più il futuro. È la realtà nella quale è immersa la società. Solo da qui può partire un legislatore sagace che si attrezza ad avere senso nel contesto attuale e modifica i processi per soddisfare le necessità di coesione sociale e convivenza civile. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Fiorello fa il mattatore al Premio Biagio Agnes
Il Tempo
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I l caso Fazio aleggia a SorrentomaFiorelloèunmaestro nello sdrammatizzare. «Fazio suRai1 eDonnarumma presentaSanremo.Nelcasoarrivo anch’io. Per la Rai lavorerei gratis», scherza con il direttore generale Mario Orfeo il mattatore siciliano sul palco del Premio Biagio Agnes. La manifestazione,presentata da Alberto Matano e Francesca Fialdini e ripresa dalle telecamere di Rai 1, ha assegnato sedici riconoscimenti a illustri giornalisti e protagonisti della comunicazione che si sono contraddistinti per innovazione e professionalità. Dall’ economia alla cronaca fino allo sport senza dimenticare medicina e spettacolo: sono stati i protagonisti della IX edizione del premio intitolato all’ ex direttore generale Rai ideato e promosso dalla Fondazione Biagio Agnes, presieduta dalla figlia Simona. Degli illustri ospiti spiccano le testimonianze del direttore di Bloomberg News, John Micklethwait, a lui la giuria ha riconosciuto il Premio Internazionale. Il Premio Stampa Periodica è stato attribuito al direttore di Panorama Giorgio Mulé, da una sua idea è nato il progetto Panorama d’ Italia sbarcato anche in America. A Massimo Gramellini va il Premio Giornalista scrittore. Mario Ajello vince il Premio Cronaca e Attualità mentre Carla Massi si aggiudicala sezione Medicina e Informazione Scientifica. Mail protagonista della serata è stato l’ animo poliedrico e innovatore di Fiorello che si aggiudica il Premio Nuove Frontiere con la trasmissione Edicola Fiore, su Sky Uno e su TV8. A Carlo Conti, direttore artistico e conduttore delle ultime edizioni del Festival di Sanremo, è stato consegnato uno dei cinque Premi Speciali previsti quest’anno dalla giuria presieduta da Gianni Letta. Gli altri quattro sono stati consegnati a Uno Mattina (per i 30 anni della messa in onda); Scarp de tennis,mensile di impegno sociale; Correo de Andalucia del gruppo Maldonado e Premio Speciale alla Memoria di Ettore Bernabei, storico direttore generale della Rai scomparso meno di un anno fa. Il Premio alla Carriera quest’ anno è stato riconosciuto a Gianni Clerici per il suo modo di raccontare il tennis. Premio per la Carta Stampata al direttore de La Stampa Maurizio Molinari mentre nella categoria Under 35 trionfa Caterina Dall’ Olio, videomakere inviata di Tv2000. Il Premio perla Televisione va al divulgatore scientifico Alberto Angela per il suo racconto di mondi vicini e lontani attraverso il mezzo televisivo. A Carmela Giglio, Radio Rai, è stato attribuito il Premio per la Radio. La Fondazione Agnes, in linea con lo spirito che la anima, anche quest’ anno ha assegnato una borsa di studio ad un giovane giornalista praticante dell’ Università Luiss Guido Carlo di Roma. Appuntamento per l’ anno prossimo con la decima edizione del Premio Biagio Agnes tra continuità e innovazione.
L’ evoluzione dell’ editoria digitale: via al monitoraggio dell’ osservatorio delle testate nazionali e locali
Corriere dell’Umbria
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AROMA -E’ nato l’ Osservatorio permanente sulle realtà editoriali digitali avviato dall’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, in collaborazione con l’ Associazione Nazionale della stampa online (Anso). Obiettivo primario- spiega una nota dell’ Autorità- è quello di monitorare lo stato e l’ evoluzione dell’ editoria digitale nonché le sue reali dimensioni nel più ampio contesto di analisi dei media al fine della tutela del pluralismo e alla luce della nuova legge sull’ editoria (n 198 del 26 ottobre 2016) che definisce, per la prima volta, il quotidiano online e le sue peculiarità. Il quotidiano locale ha una funzione strategica e spesso è lo strumento principale di informazione per i cittadini, conservando una propria identità anche grazie alle piattaforme social che consentono un feedback costante con il territorio. Agcom avrà il ruolo di garante nell’ accuratezza della raccolta dei dati in questo B progetto innovativo.