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Rassegna Stampa del 02/06/2017

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Indice Articoli

All’ Unità volano gli stracci e Bonifazi molla Pessina

Unità, si fa un giornale che non viene stampato

«Giornali, rispettate i segreti d’ indagine» Lo chiede l’ Europa

Mediaset, bando Serie A da rifare

Diritti tv di serie A: pacchetto D nutrito e costoso, così viene favorita Sky E Mediaset attacca

Facebook: crescono HuffPost, SkySport e Vanity

Mattarella premia l’ editoria: Urbano Cairo è Cavaliere del lavoro

Chessidice in viale dell’ Editoria

Parlamento Ue: pure sugli e-book si applica l’ aliquota Iva ridotta

Via libera dal Parlamento europeo all’ Iva ridotta per gli eBook: gli stati membri potranno allinearla a quella dei libri di carta

Rai, dopo l’ addio di Campo la spartizione elettorale

Rai, l’ addio di Cdo Martedì il nuovo dg

Rai, martedì il successore del direttore dimissionario

Rai, Campo Dall’ Orto lascia l’ incarico Martedì il nuovo Dg

Campo Dall’ Orto saluta la Rai Un «traghettatore» per il dopo

Rai, Campo Dall’ Orto si è dimesso

Napoli, Il Mattino e la Serao la festa continua su Sky Arte

All’ Unità volano gli stracci e Bonifazi molla Pessina

Il Fatto Quotidiano
Luciano Cerasa
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Da quattro giorni l’ Unità viene pubblicata solo sul web. Lo stampatore, che non viene pagato da mesi, ha fermato le rotative e giornalisti e poligrafici continuano a lavorare senza percepire lo stipendio. Dall’ amministratore delegato non arrivano risposte sul ritorno del giornale in edicola e lo scontro tra i due azionisti del giornale, il Pd di Matteo Renzi e la Piesse degli imprenditori Guido Stefanelli e Massimo Pessina, è arrivato al calor bianco. La redazione si sente sempre più presa in ostaggio, come dimostra una vignetta, che sembra dettata dalla disperazione, pubblicata ieri in prima pagina dal direttore-disegnatore Sergio Staino, da poco ritornato alla guida del giornale. Nell’ illustrazione satirica, Staino si rivolge ai soci di maggioranza, raffigurati in una posizione molto esplicita. “Stefanelli, Pessina! Ma se vi ha inchiappettato Renzi, perché ve la prendete con noi?” urla un Bobo tra lo spaventato e il sorpreso mentre Renzi se ne va via fischiettando con una copia sotto braccio del Foglio, il quotidiano di area conservatrice che il segretario del Pd preferisce all’ Unità per le sue esternazioni. Il socio privato avrebbe minacciato addirittura di capovolgere la linea politica del giornale, finora di stretta osservanza renziana. Giusto tre anni fa il tesoriere del Partito democratico, Francesco Bonifazi, individuava il salvatore che avrebbe risollevato le sorti dell’ Unità nella Pessina costruzioni. Allora l’ azienda edile, capitanata da Massimo Pessina aveva circa 70 milioni di fatturato, meno di un milione di utile e quasi 100 milioni di debiti, di cui 40 verso le banche. I termini dell’ accordo raggiunto con il segretario del Pd, per convincere Pessina a entrare in un business così distante attraverso l’ acquisizione di un’ impresa sull’ orlo del fallimento, ancora non sono chiari. Si è parlato di appoggi per l’ aggiudicazione di lavori in Italia e all’ estero, ma anche di pacchetti di abbonamenti e pubblicità garantiti dal Pd che avrebbero dovuto restringere la grande forbice tra costi di produzione e incassi ma che non si sarebbero mai visti. Quella che è certa è la perdita consolidata in questi tre anni di avventura editoriale dell’ imprenditore milanese: circa 15 milioni. Il tesoriere del Pd, Bonifazi, ha manifestato più volte al socio privato l’ intenzione di uscire definitivamente dalla proprietà del giornale. A questo punto Largo del Nazareno vorrebbe portare direttamente i libri in tribunale, magari arrivando al fallimento su sollecitazione del maggior creditore, lo stampatore, tanto per non metterci la faccia. “Non vogliamo essere stritolati da questo gioco al massacro, nessuno si può tirare fuori dalle responsabilità, il socio politico ha scelto i soci privati, i direttori e la linea editoriale: nessuno può dire io non c’ ero, io non sapevo” attacca il giornalista Umberto Degiovannangeli, componente del comitato di redazione: “Il ministro per l’ editoria Luca Lotti non ci ha mai risposto, ma non può continuare a far finta che non esista il caso Unità”.

Unità, si fa un giornale che non viene stampato

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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L’ Unità è scomparsa di nuovo dalle edicole. Da tre giorni perché il suo stampatore non viene pagato e ha fermato le rotative. Al momento non ci sono segnali di un prossimo ritorno. Il giornale ex organo ufficiale del Pd, oggi edito dalla Piesse di Massimo Pessina e Guido Stefanelli (anche a.d.), non è uscito nonostante i giornalisti ci abbiano lavorato. Insomma un «giornale che non c’ è» come ha titolato ieri nel suo comunicato sindacale la redazione della testata tornata sotto la direzione di Sergio Staino. Quindi, per ora, l’ Unità si può leggere solo sul web per chi è abbonato. Inoltre, «senza alcuna comunicazione l’ azienda non ha pagato le retribuzioni dei dipendenti», prosegue il comunicato dei giornalisti che hanno già protestato di recente per 8 giorni. Se il quotidiano prosegue a singhiozzo le uscite in edicola, però, è anche perché da tempo si sta vagliando di continuare le pubblicazioni solo online. O al massimo, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, stampando su carta solamente un settimanale. Ipotesi che incontrano un primo ostacolo di fatto visto che il sito www.unita.tv non appartiene alla Piesse ma a Eyu, socio di minoranza dell’ Unità che fa capo al Partito democratico. E tra Piesse e Pd i rapporti non sono propriamente idilliaci: il partito di Matteo Renzi aveva infatti deciso di uscire dal capitale mantenendo una quota simbolica dell’ 1%. Una nuova speranza per il futuro del giornale è arrivata con l’ interessamento di due potenziali investitori ma, al momento, nessuno dei due si è fatto avanti. Tra i nomi circolati c’ è anche quello di Maurizio Costanzo con Maria De Filippi (come ha scritto online il politico e giornalista Emanuele Macaluso). Chiunque siano gli eventuali cavalieri bianchi, a frenarli non ci sono solo le condizioni economiche della testata ma anche e soprattutto la fideiussione bancaria stipulata a garanzia dell’ acquisto del giornale dal Tribunale fallimentare di Roma.

«Giornali, rispettate i segreti d’ indagine» Lo chiede l’ Europa

Il Dubbio
ERRICO NOVI
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Secondo la sentenza, il giornale, il suo direttore e l’ articolista non possono richiamarsi a una presunta onnipotenza del diritto a informare i cittadini. Ci sono anche altre leggi da rispettare. Una, che per la Corte europea è decisiva, risale addirittura al 29 luglio del 1881. Stabilisce che ( almeno in Francia) la «pubblicazione di informazioni confidenziali» è illecita. Chi se ne infischia è condannato. E quelle informazioni confidenziali, in Italia diremmo “fughe di notizie”, sono impubblicabili «comunque siano state ottenute». TUTELATO ANCHE IL DIRITTO ALLA PRIVACY La pronuncia è stata emessa all’ unanimità. I giudici di Strasburgo hanno ritenuto «non lesive della libertà di stampa» le condanne inflitte dalla giustizia francese al settimanale per gli articoli in cui furono rivelate, tra fine 2009 e inizio 2010, alcune dichiarazioni rese dalla Bettencourt agli inquirenti durante le indagini sulla causa per circonvenzione incapace che la donna avrebbe subito dall’ amico fotografo. La vicenda è celebre Oltralpe: Lilliane elargì all’ amico Barnier regali per qualcosa come un miliardo di euro. Ma a poter cambiare il verso su giustizia e fughe di notizie non è tanto la verità sulle generose donazioni, quanto i motivi per i quali la Corte europea ritiene giusto punire la pubblicazione degli atti d’ indagine: «La condanna alla testata, al suo direttore e al giornalista autore degli articoli», spiega la sentenza, «ha avuto l’ obiettivo di proteggere il diritto a un equo processo» e la «presunzione d’ innocenza». Non solo, perché, vista la complessa sequenza tra le due cause promosse da Bettencourt e Barnier contro il giornale e l’ unitaria pronuncia di Strasburgo, viene di fatto sancito anche l’ obbligo di tutelare la privacy «delle persone coinvolte nel caso», che hanno «diritto alla buona amministrazione della giustizia». In estrema sintesi, vuol dire che non solo il giornale ha sbagliato a pubblicare le indiscrezioni sulle indagini, ma anche che, chiunque sia stato a farle uscire dagli uffici giudiziari, costui ha sbagliato. Ha compromesso il diritto del cittadino a un servizio giustizia efficiente e leale. È una specie di rivoluzione. Lo è soprattutto la parte che riguarda il diritto di Barnier ad avere un «giusto processo», e in particolare l’ idea che, secondo la Corte per i Diritti dell’ uomo, tale diritto sia stato compromesso proprio dalla indebita pubblicazione di fatti attinenti al segreto. Il passaggio cruciale è dunque nella causa che Barnier intentò a Le Point per i due articoli ( usciti il 10 dicembre 2009 e il 4 febbraio 2010): secondo lo scrittore- fotografo, il settimanale aveva leso il diritto al giusto processo perché dare pubblicità alle dichiarazioni rese agli inquirenti da Lilliane avrebbe potuto influenzare i giudici, nel procedimento avviato dalle denunce della figlia dell’ ereditiera, Françoise Bettencourt. E secondo i togati di Strasburgo è vero: far trapelare indiscrezioni sulle indagini può alterare l’ imparzialità dei magistrati giudicanti. Precisamente, si legge nella sentenza Cedu, gli articoli, che «puntavano alla colpevolezza» del presunto profittatore Barnier, «hanno rischiato di influenzare pesantemente il resto della procedura e di avere ripercussioni su testimoni e giudici». Signori ci siamo. Piercamillo Davigo ha torto. Ancora l’ altro ieri al convegno cinquestelle ha detto che «è assurda la previsione del nostro sistema per cui il giudice non deve sapere di che si tratta, e le prove, per questo, vanno prodotte ex novo davanti a lui». No no, la Corte europea smentisce alla grande l’ ex presidente Anm: se il giudice sa già tutto prima, il giusto processo non c’ è più. Chiaro, chiarissimo. Ne esce alla grande il principio che l’ avvocatura difende con tenacia da una vita: quello della necessaria “verginità cognitiva” del magistrato giudicante. In realtà è tutto scritto nell’ articolo 111 della Costituzione e nel Codice di rito. Ma visto che il principio vacilla può darsi che l’ inaspettata sentenza Cedu convinca finalmente gli scettici. Giusto per la cronaca, le parti – cioè il giornale, il direttore e l’ artcolista – hanno tre mesi per chiedere la revisione del giudizio europeo. Altrimenti il principio sarà sancito una volta per sempre. In Europa. Quindi anche in Italia. A meno che i cinquestelle non ci trascinino via anche alla giurisdizione di Strasburgo.

Mediaset, bando Serie A da rifare

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Mediaset chiede una riforma del bando per l’ assegnazione dei diritti tv della Serie A di calcio 2018-2021, presentando un esposto all’ Antitrust che, nel caso, rischia di rinviare l’ assegnazione dei diritti stessi in un primo momento fissata a partire dal prossimo 10 giugno (quando sarebbero state aperte le buste con le offerte). Il che manderebbe in fumo il piano Infront (advisor della Lega Serie A) di drenare più denaro verso il complessivo movimento della Serie A italiana chiudendo l’ asta prima di quella dei diritti tv della Champions league 2018-2021 (la cui scadenza è fissata per il 12 giugno e che interessa, invece, solo le quattro squadre italiane più forti che si qualificano alla Champions). La tempistica relativa all’ esposto presentato da Mediaset all’ Antitrust lascia trapelare sul mercato qualche sospetto proprio circa la volontà del Biscione di prendere tempo e fare slittare la chiusura dell’ asta Serie A a luglio: infatti l’ Antitrust, tenuto conto delle festività, prenderà in esame la questione posta da Mediaset non prima di lunedì 5 giugno. E, come detto, le buste con le offerte avrebbero dovuto pervenire in Lega Serie A entro le ore 10 di sabato 10 giugno. Cosa dice l’ attuale bando e cosa, in sostanza vorrebbe invece Mediaset? Nel bando per la vendita dei diritti tv della Serie A di calcio si sono individuati due pacchetti base, uno per il satellite (A), uno per il digitale terrestre (B), del costo minimo di 200 milioni di euro ciascuno all’ anno, e in cui sono compresi i match di andata e ritorno delle quattro squadre più importanti del campionato (Juve, Milan, Inter e Napoli) più quelli di altre quattro squadre minori (le tre neopromosse e quella col bacino di tifosi più piccolo), per un totale di 248 partite. Il grosso delle esclusive sta invece nel pacchetto D, che mette in palio i diritti su 324 partite (di cui 132 in esclusiva assoluta, tra cui i derby di Roma, di Genova, dell’ Appennino) su satellite, digitale terrestre e web, con una base d’ asta di partenza di 400 milioni di euro all’ anno. In questo pacchetto ci sono i diritti di tutte le partite di Roma, Lazio, Bologna, Fiorentina, Torino, Genoa, Sampdoria ecc. Secondo il Biscione «il bando è palesemente squilibrato, in quanto il pacchetto D concentra in un’ unica offerta per prodotto ben 324 eventi, ovvero il 30% in più rispetto agli altri pacchetti, relativi a 12 squadre di grande richiamo (tra cui Roma, Lazio, Fiorentina, Genoa, Bologna), e contiene 132 partite in esclusiva assoluta su tutte le piattaforme trasmissive». Mediaset vorrebbe una nuova formulazione del bando, più equilibrata. Ovvero? Beh, se nel bando 2015-2018 i pacchetti A e B avevano otto squadre tutte importanti, in quello 2018-2021 sarebbe ad esempio accettabile una soluzione con sei squadre di grande bacino di tifosi (Juve, Milan, Inter, Napoli e poi due da scegliere tra Roma, Lazio e Fiorentina) e due più piccole. Magari alzando pure il prezzo dei pacchetti A e B a 300 milioni di euro, e abbassando a 300 milioni il prezzo del pacchetto D. Mediaset, d’ altro canto, sarebbe disposta anche a spendere una cifra vicina a quella della precedente asta Serie A (il Biscione versava infatti 373 milioni all’ anno alla Lega), poiché dal 2018 è già certa di non avere, alla voce costi, i 230 milioni all’ anno della Champions league. I diritti 2018-2021 della Champions andranno infatti con tutta probabilità a Sky Italia per una cifra attorno ai 200 milioni all’ anno. E dopo aver speso quei soldi (l’ asta della Uefa si chiude il 12 giugno) e aver ottenuto quella esclusiva, il broadcaster satellitare potrebbe probabilmente essere più malleabile nell’ asta Serie A, e accontentarsi di un pacchetto D con esclusive più annacquate. Alla fine dei giochi, se il mercanteggiamento dovesse andare in porto, Sky pagherebbe un po’ più di 600 mln per i pacchetti A e D; Mediaset verserebbe circa 350 mln per quello B più una serie di diritti ancillari. E Infront si ritroverebbe a incassare anche qualche decina di milioni in più rispetto ai 945 mln annui del precedente triennio 2015-2018. Qualche volpone delle aste dei diritti tv, tuttavia, butta lì anche questa opzione: Mediaset ha bisogno di prendere tempo perché sta mettendo a punto una offerta per il pacchetto B e D da oltre 700 mln di euro annui, per spiazzare Sky e portarsi a casa tutta la Serie A, con molti match in esclusiva e un prodotto tv che, a differenza della Champions league, sarebbe in grado di fare realmente decollare i propri abbonati a Premium. © Riproduzione riservata.

Diritti tv di serie A: pacchetto D nutrito e costoso, così viene favorita Sky E Mediaset attacca

Il Giornale
Franco Ordine
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Mediaset ha dichiarato guerra alla Lega calcio e al bando approvato il 26 maggio per il campionato di calcio di serie A del triennio 2018-2020. La scelta ha già provocato, all’ atto della votazione, una clamorosa spaccatura tra le società: 13 furono infatti i voti favorevoli e 9 invece i club che hanno deciso di astenersi e tra questi autorevoli firme quali la Juve, la Roma, il Napoli e il Torino. Adesso Mediaset, con una lettera inviata al commissario Carlo Tavecchio e un esposto indirizzato all’ antitrust, ha denunciato che «il bando risulta fortemente squilibrato» in violazione tra l’ altro «del decreto Melandri obbligando di dare agli utenti una sola offerta commerciale». Questo sul piano del diritto. Ma l’ esposto è in grado di spiegare sul piano concreto lo squilibrio del bando che prevede la concentrazione nel pacchetto D di 324 eventi, comprendente 12 squadre di calibro medio guidate da Roma, Lazio, Fiorentina, Genoa e Bologna con 132 partite in esclusiva, quasi il 30% in più rispetto al precedente triennio durante il quale avvenne una sorta di divisione tra Sky e Mediaset della torta dei diritti. Basterebbe una leggera correzione di quest’ ultimo diminuendo da 8 a 6 le squadre del pacchetto D. La conferma della sproporzione del pacchetto D è confermata indirettamente dal valore stabilito nel bando e cioè 400 milioni di euro, esattamente il doppio degli altri pacchetti A e B che prevedono la presenza dei grandi club Juve, Milan, Inter con l’ aggiunta di altre società neo-promosse in A. A leggere le condizioni dell’ attuale mercato è evidente che Sky è l’ unica candidata ad acquisire il pacchetto D assumendo una posizione di monopolio nel prossimo triennio. Dalla Lega calcio che in questo momento è retta dal presidente federale Carlo Tavecchio in qualità di commissario, la reazione ufficiale è stata quella classica: no comment. Come per dire: vediamo cosa stabilisce l’ Antitrust e poi ci regoleremo di conseguenza. Nel frattempo la stessa Lega ha comunque già fissato la data (sabato 10 giugno) per l’ assemblea durante la quale dovranno essere aperte le buste arrivate e valutate dai presidenti dei club. Nella precedente riunione i voti erano stati 22 perché hanno partecipato al voto anche le due neo-promosse Spal e Verona: entrambe si erano schierati tra gli astenuti sulla scia di Andrea Agnelli. Da ricordare infine che su impulso del nuovo ad Di Siervo di Infront, la società che fa da advisor nel bando, le date del bando sono state accelerate per precedere di qualche giorno quello relativo ai diritti della prossima Champions League.

Facebook: crescono HuffPost, SkySport e Vanity

Italia Oggi

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Non viene scalfita la prima posizione di Fanpage su Facebook secondo la rilevazione dell’ Audiweb dedicata all’ app di del social network che consente di misurare utenti e pagine dei siti visitati direttamente dal browser interno all’ applicazione o nelle Instant Pages. Ad aprile è questo il brand che resta primo fra quelli partecipanti alla survey: quasi 6,6 milioni di utenti unici nel mese. Un dato in calo rispetto ai 6,95 milioni di marzo, così come in calo sono molti altri siti. Probabilmente a causa della Pasqua: nonostante, infatti, si parli di navigazione da dispositivi mobile, le vacanze portano sempre segni meno. Al secondo posto c’ è Repubblica con 5,3 milioni di utenti, mentre al terzo torna Huffington Post con 4,2 milioni, più dei 3,9 milioni di un mese prima. Il sito diretto da Lucia Annunziata si gioca di mese in mese il terzo posto con il Corriere della Sera, ad aprile al quarto con 3,4 milioni di utenti. A seguire stabili nella posizione, i quotidiani locali del gruppo Espresso (3,3 milioni) e il Fatto quotidiano (2,9 milioni). Al settimo posto sale dal nono SkySport (2,7 milioni, era a 2,5 milioni) mentre scende all’ ottavo La Stampa (2,7 milioni) e al nono il Messaggero (2,7 milioni). Chiude la top ten Vanity Fair (2,6 milioni in crescita dai 2,1 milioni precedenti) che scalza il TgCom24 (2,1 milioni) ora all’ undicesimo posto dal decimo di un mese prima.

Mattarella premia l’ editoria: Urbano Cairo è Cavaliere del lavoro

Italia Oggi
GIOVANNI GALLI
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Il capo dello Stato Sergio Mattarella ha firmato ieri il decreto con il quale, su proposta del ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, sono stati nominati 25 Cavalieri: fra questi, esponenti di spicco del mondo dell’ editoria (Urbano Cairo, Cesare De Michelis, Michael Ebner), della finanza (Carlo Messina), delle Tlc (Giuseppe Recchi), e della chimica (Catia Bastioli). Ma anche dell’ alimentare (Maurizio Cimbali, Giuseppe Condorelli, Francesco Mutti). È stato di sicuro il riconoscimento al mondo dell’ editoria, quello che quest’ anno ha voluto rendere il capo dello Stato nel conferire le onorificenze. Il più noto tra gli editori premiati è, sicuramente, Urbano Cairo. Presidente di Cairo Communication Spa, gruppo da lui fondato nel 1995, che oggi impiega impiega 770 dipendenti, nel 2013, ha acquisito da Telecom Italia, La7 e La7d e, nel 2016, il controllo di Rcs MediaGroup, di cui è oggi presidente e amministratore delegato. La carriera di Cairo ha inizio negli anni 80 nel gruppo Fininvest: dopo incarichi dirigenziali in Publitalia ’80, è divenuto amministratore delegato di Mondadori Pubblicità Spa. Altro editore a essere stato insignito è Cesare de Michelis, presidente di Marsilio Editori, che occupa 30 dipendenti. Nel 2000 la Marsilio era entra a far parte del gruppo Rcs Libri, mantenendo tuttavia una propria identità nelle scelte editoriali. Nell’ agosto 2016, invece, la casa editrice è stata riacquisita dalla famiglia De Michelis tornando così ad essere totalmente indipendente. In oltre 50 anni, la società ha pubblicato oltre 6.500 titoli, di cui 3 mila ancora in listino, proponendo circa 250 novità l’ anno. Terzo editore premiato è l’ altoatesino Michael Ebner, amministratore delegato della casa editrice Athesia che pubblica il quotidiano in lingua tedesca Dolomiten, il quotidiano in lingua italiana Alto Adige di Bolzano e il secondo quotidiano di Trento, il Corriere Trentino. Il gruppo occupa circa 1.000 addetti. Considerando le nuove nomine, i Cavalieri del lavoro sono attualmente 611: dal 1901 ad oggi gli insigniti dell’ onorificenza «Al Merito del Lavoro» sono stati 2.847. Questa la lista completa dei nuovi 25 Cavalieri: Giuseppe Ambrosi, Luigi Aquilini, Catia Bastioli, Fabrizio Bernini, Stefano Borghi, Urbano Cairo, Laura Calissoni, Marisa Carnaghi, Francesco Casoli, Maurizio Cimbali, Giuseppe Condorelli, Juan Batista Cuneo Solari, Cesare De Michelis, Luigi De Rosa, Pietro Di Leo, Nicola Di Sipio, Michael Ebner, Francesco Maldarizzi, Federico Marchetti, Licia Mattioli, Carlo Messina, Francesco Mutti, Massimo Perotti, Giuseppe Recchi, Marco Zigon.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Editori libri, bene Iva scesa al 4% per ebook per Motta. «È una grande vittoria italiana: #unlibroèunlibro diventa oggi una realtà in tutta Europa, seguendo la decisione dell’ Italia», ha dichiarato il presidente dell’ Associazione italiana editori (Aie) Federico Motta, dopo il voto di ieri al parlamento europeo che con 590 voti a favore, 8 contrari e 10 astenuti ha approvato la modifica alla direttiva del 2006 sulla tassazione applicata a libri, quotidiani e periodici. «L’ Europa segue la direzione presa dall’ Italia, che dal 1° gennaio 2015 ha scelto di applicare l’ Iva al 4%, e non più al 22%, per i libri digitali come per i libri di carta. Siamo stati i primi a chiedere con la campagna #unlibroèunlibro che l’ Iva per libri cartacei e digitali fosse equiparata». Sadoun, ok la riorganizzazione di Publicis. Arthur Sadoun s’ insedia al vertice di Publicis in sostituzione di Maurice Lévy e come nuovo ceo ha mandato un messaggio video anche fuori dai confini aziendali del gruppo pubblicitario globale, utilizzando il canale YouTube aziendale. L’ intenzione di Sadoun è far evolvere Publicis da holding pubblicitaria a «piattaforma agile, orizzontale e modulare». Per questo ha apprezzato la precedente riorganizzazione avviata in quattro hub: Publicis Communications, Publicis Media, Publicis Sapient e Publicis Health. Intanto Lévy resta operativo nel gruppo come chairman del supervisory board. Gazzetta dello Sport, nuovo speciale per la finale di Champions League. In occasione della partita Juventus vs Real Madrid per aggiudicarsi la Champions League, la Gazzetta dello Sport lancia uno speciale in edicola: oltre alle notizie sportive più importanti della giornata ci saranno infatti approfondimenti, profili dei personaggi, interviste e schede in vista della partita serale. Il numero dedicato alla Champions League fa parte di una serie di edizioni speciali e da conservare, caratterizzate da un format particolare con una copertina rovesciata di grande formato (405x575cm), foliazione maggiorata e distribuzione accresciuta. Le precedenti edizioni erano dedicate al calciomercato, alla partenza del campionato MotoGp e Formula1, al derby milanese mentre il prossimo appuntamento sarà a luglio con lo speciale calciomercato. Let’ s Go Now! on air su La5. Domenica prossima inizia su La5 in seconda serata (con repliche su Italia2 il lunedì e su La5 il sabato pomeriggio) Let’ s Go Now!, nuovo programma Mediaset che guida gli spettatori attraverso un viaggio itinerante tra i temi del food, della musica, del lifestyle e dell’ arte. Le quattro puntate sono ambientate per le vie di Barcellona. Alcuni contenuti del format partiranno dalla tv per essere approfonditi poi dai periodici Giallo Zafferano per il food, Icon Design (sito e magazine) per l’ arte, Grazia (sito e magazine) per il lifestyle e da Radio 105 assieme a Rockol per la musica. Leader mondiali su Twitter, il Pontefice è il più seguito. Papa Francesco è l’ autorità più seguita su Twitter, ma ha 9 profili, uno per ogni lingua, sommando i follower dei quali si raggiunge quota 33.716.301. Seguono il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che si ferma a 30.133.036, e il primo ministro indiano Narendra Modi con 30.058.659. Questi sono i principali risultati di Twiplomacy 2017, lo studio annuale di Burson-Marsteller su come i leader mondiali, i governi e le organizzazioni internazionali utilizzano i social media. Ibs.it e Rolling Stone lanciano il concorso letterario Rolling Stone Review Contest. L’ autore della miglior recensione postata su Ibs.it nel mese di giugno troverà, infatti, spazio sull’ edizione cartacea di settembre di Rolling Stone, a fianco delle firme internazionali della rivista. Nelle pagine di Ibs.it, la più grande libreria italiana online, i lettori scrivono già ogni giorno i propri commenti che si rivelano essere spesso vere e proprie review di qualità. A fianco dei giudizi dei lettori, da circa un anno, sul sito si trovano anche le recensioni di Rolling Stone. Il vincitore riceverà anche una happy card del valore di 15 euro e, per un anno, la rivista Rolling Stone direttamente a casa.

Parlamento Ue: pure sugli e-book si applica l’ aliquota Iva ridotta

Italia Oggi
MICHELE DAMIANI
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Un’ aliquota Iva ridotta sugli e-book. Il parlamento europeo ha approvato ieri (590 voti a favore, 8 contrari e 10 astenuti) una delibera del consiglio europeo, su proposta della commissione, relativa alla possibilità di applicare la stessa aliquota Iva per quotidiani, periodici e libri senza distinzioni tra supporti cartacei ed elettronici. La direttiva, approvata ieri, modifica la direttiva 2006/112/CE, secondo la quale gli Stati membri possono applicare aliquote ridotte alle pubblicazioni su qualsiasi tipo di supporto fisico, ma non sulle pubblicazioni fornite per via elettronica. Fino a ieri, le pubblicazioni elettroniche erano quindi assoggettate a un’ aliquota Iva pari ad almeno il 15%, mentre per la carta stampata vigeva la possibilità di applicare percentuali ridotte, anche a tasso zero. Ora, dato che «una delle principali caratteristiche dell’ Iva è il principio di neutralità», le regole riguarderanno qualsiasi tipo di supporto. Al fine di impedire l’ estensione del ricorso ad aliquote agevolate anche verso i contenuti audiovisivi, nel testo si specifica che le pubblicazioni non devono consistere interamente o essenzialmente in contenuti musicali o video. Fanno eccezione i documenti realizzati per non vedenti, che per ovvie necessità sono costituiti esclusivamente da file audio. Secondo il relatore Tom Vandenkendelaere (Ppe) «al giorno d’ oggi non ha senso applicare un doppio standard, per cui un quotidiano online viene tassato di più di quello stampato acquistato in un negozio. Questa nuova direttiva darà agli stati membri la possibilità di allineare l’ Iva dei contenuti digitali con quella della carta stampata». Il testo della direttiva comprende anche uno stilizzato resoconto sui numeri del «tax gap» Iva a livello comunitario. Nel 2013, il divario Iva incassata-Iva incassabile è stato di 170 mld di euro, mentre le frodi transfrontaliere hanno causato una perdita di gettito di circa 50 mld. In Italia dal 2015 viene applicata l’ Iva al 4% (e non al 22) sui libri digitali e cartacei. Infatti, la modifica è stata accolta con soddisfazione dal ministro dei beni culturali Franceschini che, rivendicando il ruolo chiave avuto dall’ Italia nella vicenda, ha commentato «grazie al via libera con larghissima maggioranza del Parlamento europeo, finalmente un libro è un libro. La battaglia condotta dall’ Italia si conclude oggi con una vittoria che permetterà di non operare più alcuna distinzione tra online e cartaceo. Una decisione già anticipata dal nostro Paese viene oggi così adottata da tutta l’ Unione europea». Entusiasta il commento di Federico Motta, presidente dell’ Associazione italiana editori: «è una grande vittoria italiana: #unlibroèunlibro diventa oggi una realtà in tutta Europa seguendo le decisioni dell’ Italia. L’ Europa» prosegue Motta «segue la direzione presa dal nostro paese. Siamo stati i primi a chiedere che l’ Iva per libri cartacei e digitali fosse equiparata. Grazie al sostegno del ministro Franceschini, il governo ha scelto una strada coraggiosa e adesso può festeggiare una grande vittoria».

Via libera dal Parlamento europeo all’ Iva ridotta per gli eBook: gli stati membri potranno allinearla a quella dei libri di carta

Prima Comunicazione

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Via libera definitivo del Parlamento europeo alla proposta della Commissione Ue che permette agli Stati membri di abbassare l’ Iva sugli ebook, allineandola con quella imposta ai libri cartacei. Fino ad oggi gli ebook dovevano essere tassati come minimo al 15%, mentre gli Stati possono applicare per i libri un tasso del 5% e in alcuni casi dello 0%. L’ Italia era stata un’ apripista in questa battaglia. Il Parlamento Europeo (foto Olycom) La modifica alla direttiva del 2006 sull’ Iva per l’ e-commerce che riguarda la tassazione applicata a libri, quotidiani e periodici, è stata appoggiata dall’ Eurocamera con 590 voti a favore, 8 contrari e 10 astensioni. “Il nostro modo di leggere è cambiato – spiega il relatore del testo, il belga del Ppe Tom Vandenkendelaere -, non ha senso applicare un doppio standard in cui un giornale online è tassato di più rispetto allo stesso giornale comprato in edicola”.

Rai, dopo l’ addio di Campo la spartizione elettorale

Il Fatto Quotidiano
Stefano Feltri
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Ealla fine Antonio Campo Dall’ Orto se ne va. Ma non ancora, per non lasciare il vuoto saluterà la poltrona da direttore generale il 6 giugno, al prossimo consiglio di amministrazione, quando il governo avrà già identificato il successore. “Ci siamo dati da fare, ci siamo battuti per rendere sempre più liberi gli autori e sempre più liberi i fruitori”, è il suo messaggio d’ addio, insieme al gesto simbolico di rinunciare alla buonuscita (quale? Non il Tfr, certo, ma c’ era qualcosa previsto dal contratto? O rinuncia a somme che nessuno gli ha offerto? Dalla Rai non sanno rispondere). La battaglia per una Rai “più libera”, magari nobile nell’ intento, non sembra aver prodotto grandi risultati. Di sicuro l’ azienda non è più libera dalla politica: è già cominciato da giorni il negoziato tra i partiti per la scelta del successore adatto a rassicurare tutti in campagna elettorale. Pare si stia spendendo addirittura il grande mediatore Gianni Letta, che si è riattivato sul dossier tv in contemporanea al suo referente Silvio Berlusconi sulla legge elettorale. Il candidato alla successione che offre più garanzie a Letta e Berlusconi è sicuramente Paolo Del Brocco, manager di lungo corso Rai. Così lungo che era già amministratore di Rai Cinema ai tempi dell’ ultimo governo Berlusconi, quando comprò per un milione di euro i diritti di esclusiva per Goodbye Mama della semi-sconosciuta Michelle Bonev, una delle tante donne di spettacolo care all’ ex Cavaliere ai tempi. In questi anni, da Rai Cinema, Del Brocco ha potuto costruirsi una solida rete di appoggi nel mondo della produzione che in Italia è spesso tangente alla politica. Sempre da Rai Cinema potrebbe venire un candidato che ha un profilo meno connotato e dunque sarebbe più adatto a una gestione di transizione: il presidente Nicola Claudio, in Rai dal 1992, ha collaborato con vertici di opposti colori politici e oggi somma vari incarichi delicati, è segretario del consiglio di amministrazione (quindi ha seguito in diretta le convulsioni dell’ ultima fase) e ha pure in via transitoria l’ incarico di responsabile per la prevenzione della corruzione. Difficile fare obiezioni sul suo nome come traghettatore, ma nelle ultime ore sarebbe stato lui stesso a fare un passo di lato. Ma ci sono altre due ipotesi più politiche: Nino Rizzo Nervo, giornalista, già membro del cda, che oggi è vicesegretario generale di Palazzo Chigi, voluto dal premier Paolo Gentiloni. Difficile che Matteo Renzi accetti di vedere la Rai pre-elettorale affidata a un direttore generale che non potrebbe controllare e legato al premier. Poi c’ è l’ eterno Claudio Cappon, 65 anni, due volte direttore generale, non sarebbe sgradito al Quirinale. Ma i suoi detrattori ricordano che è pensionato, cosa che gli precluderebbe il vertice (o almeno lo stipendio). Meno complicata un’ altra ipotesi pista: Luciano Flussi, il direttore generale di Rai Pubblicità che in passato è stato anche responsabile delle risorse umane del gruppo. Mentre si consuma il totonomine, la situazione industriale della Rai è sempre più complessa. Il cda di ieri ha di fatto rinviato il tema del tetto a 240.000 euro per gli stipendi degli artisti. Tra le ipotesi che circolano: stilare una lista di programmi per cui il tetto non vale (perché “identitari” per la Rai, tipo Sanremo, o perché finanziati per almeno il 50 per cento dalla pubblicità) oppure stabilire l’ ennesimo rinvio dell’ applicazione del limite. Così il nuovo direttore generale potrebbe almeno provare a trattenere i volti noti durante il mercato estivo ed evitare che passino alla concorrenza, cioè Mediaset ma soprattutto Sky o Discovery. In autunno, magari dopo le elezioni si troverà una soluzione definitiva alla questione. Manca meno di un mese alla presentazione dei palinsesti autunnali. E in Viale Mazzini le incognite crescono, invece di diminuire.

Rai, l’ addio di Cdo Martedì il nuovo dg

Il Manifesto

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Antonio Campo Dall’ Orto lascia ufficialmente la guida della Rai. Il cda ha preso atto della decisione del dg dopo la lettura, da parte della presidente Monica Maggioni, della lettera di dimissioni nella quale Cdo ha voluto anche sottolineare i risultati raggiunti. Il dg uscente rinuncerà alla buonuscita. La nomina del successore – che dovrà mettere d’ accordo Gentiloni, Renzi e Berlusconi- è attesa per martedì. Resta in corsa l’ ad di Rai Cinema Paolo Del Brocco, anche se Renzi ancora cerca un nome di maggior impatto mediatico, mentre salgono le quotazioni dell’ ex dg Claudio Cappon, apprezzato da Maggioni. Ma nella cerchia stretta di Berlusconi si continua anche fare il tifo (in particolare Gianni Letta) per l’ ex direttore di Raiuno Giancarlo Leone.

Rai, martedì il successore del direttore dimissionario

Il Mattino

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ROMA. Ieri il cda Rai ha preso atto delle dimissioni di Campo Dall’ Orto. «Ci siamo dati da fare, ci siamo battuti per rendere sempre più liberi gli autori e sempre più liberi i fruitori», si è congedato il manager. C’ è già aria di spoil system in Rai. Hanno i giorni contati tutte le figure legate a Campo: da Guido Rossi, capo staff, ai direttori Paolo Galletti, Pierpaolo Cotone e Gian Paolo Tagliavia, rispettivamente a capo delle risorse umane, affari legali e Raiplay. In una nota ieri Fnsi e Usigrai chiedevano le dimissioni di tutto il consiglio. Che è poi quello che chiede il presidente della vigilanza, il pentastellato Roberto Fico. Il M5S ieri tra l’ altro ha annunciato un’ interrogazione su spese e viaggi della presidente Monica Maggioni legati alla presentazione del suo libro. Ma il cda che si riunirà di nuovo il 6 giugno per la designazione del successore, non molla. Arturo Diaconale rimane e propone un’ astuta mossa di pacificazione aziendale: «L’ impegno a considerare il rinnovo del contratto dei dipendenti» scaduto da quattro anni. E poi c’ è il tema dei compensi a cui il cda è chiamato a metter mano. La proposta di Campo Dall’ Orto che considerava come variabile la pubblicità verrà depennata: la soglia rimane ma si apre alla possibilità di derogare per programmi e personaggi di forte valore artistico e «identitari». Quindi verrebbero premiati grandi classici come il Festival di Sanremo, Fabio Fazio e Alberto Angela, e naturalmente la terza camera, l’ intramontabile Porta a Porta. s.p. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rai, Campo Dall’ Orto lascia l’ incarico Martedì il nuovo Dg

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Finisce qui la Rai di Antonio Campo Dall’ Orto. L’ ormai ex direttore generale ha ufficializzato le sue dimissioni, arrivate con un accordo per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Alla fine Campo Dall’ Orto rinuncerà alla terza annualità del suo compenso da dg Rai che, peraltro, era già stata rivisto per legge scendendo da oltre 600mila euro a 240mila euro annui. Da parte del manager c’ è stata anche la rinuncia a buonuscite o ipotesi di compensazione. «L’ azienda – si legge nel comunicato di Viale Mazzini – procederà alla nomina di un nuovo direttore generale nel Consiglio di Amministrazione previsto per il prossimo 6 giugno». Saranno quindi giorni decisivi per trovare la quadra attorno al successore di un Campo Dall’ Orto che davanti al Cda e davanti al Comitato editoriale ieri ha rivendicato risultati e filosofia del suo mandato. Ieri sono state anche comunicate e formalizzate le dimissioni del consigliere Paolo Messa. Un ringraziamento per il lavoro svolto è arrivato al consigliere Messa dalla presidente Monica Maggioni e dai consiglieri che hanno anche espresso stima per il lavoro svolto dal dg le cui dimissioni sono state comunicate al Cda in un clima che, è stato definito dai presenti, «positivo e signorile». Certo è che il passo indietro arriva alla fine di mesi di tensione, culminati con la bocciatura del piano delle news seguita dall’ incontro con il ministro dell’ Economia Pier Carlo Padoan per rimettere il mandato. Ieri in Cda è stato anche esaminato il tema delle deroghe al tetto dei 240mila euro annui, da definire per le prestazioni artistiche. «È stata condivisa e deliberata una prima ipotesi di griglia applicativa che si tradurrà in una policy puntuale da definire nel prossimo Cda» si legge nella nota di Viale Mazzini. Uno dei discrimini per derogare al tetto, a quanto si apprende, potrebbe essere il finanziamento di oltre il 50% del programma con gli introiti pubblicitari. Chiusa l’ esperienza Campo Dall’ Orto, si guarda ora al possibile successore su cui la parola chiave la dirà il Tesoro. Nel totonomi le figure più accreditate per la successione in quest’ ultimo anno mandato del Cda sono racchiuse in una terna di cui fanno parte Paolo Del Brocco, ad di Rai Cinema, Nicola Claudio, attuale direttore della segreteria del Cda e Claudio Cappon, già direttore generale di Viale Mazzini. Si guarda anche all’ ipotesi Nino Rizzo Nervo, giornalista, ex componente del Cda Rai e attuale vicesegretario generale alla Presidenza del Consiglio. Incontrerebbe il favore del Quirinale e dell’ attuale premier Paolo Gentiloni. Per ora però si tratta di carte tutte sul tavolo, fra cui c’ è anche il mandato all’ attuale presidente che, nel caso, sarebbe sostituita dal consigliere più anziano, Arturo Diaconale. Infine c’ è anche chi scommette su un outsider, ruolo per il quale si fanno i nomi del direttore del Tg1 Mario Orfeo o del direttore di Rainews Antonio Di Bella. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Campo Dall’ Orto saluta la Rai Un «traghettatore» per il dopo

Corriere della Sera
Paolo Conti
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ROMA Addio elegante e non traumatico alla Rai del direttore generale Antonio Campo Dall’ Orto che ieri ha formalizzato le sue dimissioni in Consiglio di amministrazione: ma manca il nome del suo successore, non c’ è ancora alcun accordo sull’ identikit di chi dovrà dirigere il servizio pubblico fino all’ estate 2018, quando scadrà l’ attuale Cda. L’ unica certezza è la convocazione del Consiglio per martedì 6 giugno: ma al momento manca il nome da votare su proposta del ministro dell’ Economia, come prevede la legge. Dall’ Orto ha rinunciato all’ ultima annualità del compenso e a qualsiasi buonuscita: accetterà solo lo stipendio fino all’ ultimo giorno di lavoro. Ha dichiarato che rimarrà a disposizione del suo successore «per fornire ogni elemento utile a garantire una transizione la più fluida e più fruttuosa possibile». La presidente Monica Maggioni, protagonista del braccio di ferro che ha portato all’ uscita del direttore generale (ha votato contro il piano delle news proposto da Campo Dall’ Orto il 22 maggio e bocciato dal Consiglio, da qui le dimissioni) ha voluto ringraziarlo «per il lavoro fatto insieme nella volontà di perseguire l’ obiettivo di un servizio pubblico forte e attrattivo». Il direttore generale uscente è stato applaudito dal Comitato editoriale con tutti i direttori di rete e testata. In Consiglio ha detto: «Ci siamo dati da fare, ci siamo battuti per rendere sempre più liberi gli autori e sempre più liberi i fruitori». Frase apprezzata dal consigliere Guelfo Guelfi, area renziana: «Campo Dall’ Orto lascia, lo fa con garbo, lascia i soldi e cerca solo l’ onore delle armi. Io starò con lui. È una questione di stile, è una questione di merito». E ora? Manca un accordo sul nome mentre cresce l’ ipotesi che la presidente Maggioni, nel quadro del riassetto, possa avere (su proposta del futuro direttore generale) una delega sul piano delle News, all’ origine delle dimissioni di Campo Dall’ Orto. Se così fosse, il primo nodo sarebbe la nuova offerta digitale, affidata da Campo Dall’ Orto a Milena Gabanelli come vicedirettore: progetto che non ha mai incontrato il favore di Maggioni. E la Vigilanza nominerà un nuovo consigliere dopo le dimissioni di Paolo Messa? Nessuno ancora ha deciso. Ed eccoci ai nomi per la direzione generale. L’ unico sul quale ci sarebbe stata una convergenza sarebbe stato quello di Giancarlo Leone, uscito dalla Rai il 1 gennaio scorso: ma ha più volte declinato, spiegandolo anche sul web che intende dedicarsi alla sua nuova società di comunicazione, la Q 10 Media. La politica (ci vorrà un’ intesa, o almeno una «non opposizione», tra Pd, centro destra e Movimento 5 Stelle) cerca una figura super partes capace di traghettare la Rai fino all’ estate 2018, quando verrà nominato il nuovo Cda. Restano in gioco i nomi già emersi: l’ amministratore delegato di Rai Cinema, Paolo Dal Brocco (peserebbero le perplessità di Maggioni), l’ ex direttore generale Claudio Cappon (troppo «di sinistra» per i berlusconiani), Luciano Flussi, direttore generale di Rai Pubblicità, Mario Orfeo, direttore del Tg1 (nel Cda ci sarebbero incertezze sull’ idea di «sguarnire» il Tg ammiraglio), Nino Rizzo Nervo, ex direttore ed ex consigliere Rai, ora a palazzo Chigi come consigliere di Gentiloni (centrodestra sfavorevole). Un outsider risolverà una crisi Rai aperta dalla politica senza una soluzione pronta?

Rai, Campo Dall’ Orto si è dimesso

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Antonio Campo Dall’ Orto si è dimesso ufficialmente da direttore generale della Rai. Ieri il cda di viale Mazzini ha preso atto delle dimissioni arrivate con una lettera al presidente Monica Maggioni: già la scorsa settimana Campo Dall’ Orto aveva informato della propria decisione il ministero dell’ economia, azionista di larga maggioranza della Rai, ma era necessario il passaggio in cda per formalizzare l’ uscita vera e propria. In pochi giorni la televisione pubblica avrà un nuovo direttore generale: il cda si riunirà infatti per l’ elezione martedì prossimo. Formalmente con l’ azienda il d.g. ha raggiunto un accordo di «risoluzione consensuale» del rapporto di lavoro: Campo Dall’ Orto ha rinunciato a qualsiasi trattamento economico oltre l’ ultimo giorno di lavoro, nessuna buonuscita, giusto il trattamento di fine rapporto e le ferie maturate finora. L’ uscita, insomma, non graverà sulle casse della Rai. Il d.g. di fatto rinuncerà all’ ultima annualità prevista dal contratto triennale siglato nell’ estate del 2015, ovvero 240 mila euro, una cifra che era stata ridotta durante il mandato rispetto ai 600 mila euro iniziali per rispettare il tetto degli stipendi dei dirigenti pubblici. Il d.g. uscente ha anche assicurato che rimarrà a disposizione del suo successore per fornire ogni elemento utile a garantire una transizione la più fluida e fruttuosa possibile. Nella lettera di dimissioni Campo Dall’ Orto ha parlato delle difficoltà e delle divergenze che ha incontrato su alcuni progetti ritenuti importanti per il servizio pubblico, ma ha anche sottolineato i successi ottenuti, soprattutto quelli sugli ascolti e quelli economici, nonostante le difficoltà di operare in un settore altamente competitivo e che ha risentito della crisi che ha colpito la raccolta pubblicitaria. Da presidente e cda è stato espresso ringraziamento al d.g. «per il lavoro fatto insieme nella volontà di perseguire l’ obiettivo di un Servizio Pubblico forte e attrattivo». Nel corso della seduta sono state formalizzate anche le dimissioni di Paolo Messa, il consigliere che per primo aveva parlato di rottura del rapporto di fiducia con il d.g. uscendo dalla riunione del cda del 22 maggio, quella in cui poco dopo cinque membri del consiglio, presidente compreso, avevano bocciato il piano di riforma dell’ informazione presentato da Campo Dall’ Orto. La convocazione così ravvicinata per la nomina del nuovo direttore generale sembra indicare che il governo ha già individuato la figura per sostituire Campo Dall’ Orto. Da giorni ormai si parla di Paolo Del Brocco, attuale amministratore delegato di Rai Cinema. È il nome forte, un uomo che conosce alla perfezione la macchina Rai avendo ricoperto diversi ruoli a viale Mazzini e non inviso nemmeno al centrodestra. Si fanno però anche altri nomi, come quello di Luciano Flussi, direttore generale di Rai Pubblicità, così come quello di Mario Orfeo, direttore del Tg1 che però trova forti ostacoli in commissione di Vigilanza, sebbene non spetti a questo organismo dare il placet ad una nomina di fonte governativa. Altro nome in qualche modo interno alla Rai è quello di Claudio Cappon, oggi segretario generale della Copeam, la Conferenza dell’ audiovisivo dei Paesi dell’ area mediterranea e in passato per due volte d.g. dell’ azienda televisiva. Un’ altra ipotesi riguarda il nome di Nino Rizzo Nervo, un passato di giornalista in Rai, dove poi ha anche fatto parte del cda, e attualmente consigliere del premier Gentiloni a Palazzo Chigi, ma dal centrodestra arrivano segnali di non disponibilità. Anche la Maggioni potrebbe essere della partita andando oltre il ruolo da presidente attuale, ovvero con un ampliamento delle deleghe e in collaborazione con un dirigente interno per traghettare la Rai fino all’ estate del 2018 quando sarà eletto il nuovo cda ed entrerà pienamente in vigore la legge di riforma che trasforma la figura del d.g. in un vero e proprio amministratore delegato. Nel corso della seduta di ieri è stato anche affrontato il tema del tetto da 240 mila euro annui ai compensi. È stata condivisa e deliberata una prima ipotesi di griglia applicativa che si tradurrà in una policy puntuale da definire nel prossimo cda e che dovrebbe aiutare nell’ individuare i casi in cui il tetto può essere superato per le prestazioni artistiche. Il consiglio ha infine ribadito il proprio supporto all’ apertura di una fase negoziale per il rinnovo dei contratti di lavoro. © Riproduzione riservata.

Napoli, Il Mattino e la Serao la festa continua su Sky Arte

Il Mattino
Davide Cerbone
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Poco meno di mezz’ ora per raccontare l’ anima del «Mattino» con gli occhi della sua fondatrice. E viceversa. Perché la storia di Matilde Serao e quella del quotidiano che fondò nel 1892 si intrecciano e si specchiano l’ una nell’ altra. Proprio così le racconterà Sky Arte, che l’ altro ieri ha ripreso al Teatro San Ferdinando la serata-evento del primo Premio Serao, il riconoscimento letterario che il direttore del «Mattino» Alessandro Barbano ha voluto affiancare a quello giornalistico, istituito nel 2003 a Carinola. Ne verrà fuori un documentario della durata di 26 minuti che andrà in onda intorno al 20 giugno e probabilmente in replica un mese dopo, il 25 luglio, in occasione del novantesimo anniversario della morte di Matilde Serao. «Non siamo ancora in grado di stabilire una data precisa per la messa in onda, ma i tempi di post produzione sono più o meno questi. L’ idea è quella di tracciare due profili paralleli, quello del giornale e quello della Serao, raccontando con una luce contemporanea un grande personaggio del passato», anticipa Roberto Pisoni, direttore di Sky Arte sin dal 2012, anno in cui il canale tematico vide la luce. «Siamo di fronte a un personaggio molto ricco dal punto di vista narrativo: la Serao è una figura emblematica di donna e di scrittrice. Partendo dalla serata di mercoledì, vogliamo raccontarne l’ eredità». Tre settimane dopo l’ idillio napoletano del Festival firmato Sky Arte, dunque, il Premio Serao è l’ occasione per rinnovare e fortificare il rapporto con la città. «Abbiamo in cantiere un libro sulla manifestazione di inizio maggio, e tra novembre e dicembre manderemo in onda il concerto che Capossela ha realizzato alla Sanità. Dunque, l’ eco del Festival proseguirà anche nei prossimi mesi, così come continuerà il rapporto con la città: proprio qui, in piazza del Plebiscito, abbiamo lanciato il canale cinque anni fa. Se l’ anno prossimo torneremo? Ci siamo convinti del fatto che Napoli sia una piazza speciale, ma bisognerà vedere se troveremo personaggi, artisti, luoghi e incontri che solleciteranno ancora la nostra curiosità», risponde Pisoni, lasciando aperte tutte le possibilità. Intanto, tre telecamere hanno ripreso la cerimonia di premiazione intorno alla quale «Il Mattino», con il prezioso supporto del Teatro Nazionale di Napoli, ha costruito una serata di parole e musica nel ricordo della sua fondatrice. Lo hanno fatto seguendo le indicazioni dell’ autrice Didi Gnocchi, fondatrice di 3D Produzioni, che realizzerà per Sky il documentario, e del regista Thierry Bertini, spalancando lo sguardo sul più autorevole quotidiano del Mezzogiorno e sulla sua fondatrice. Due anime che, in quel racconto popolare che è il giornalismo, diventano una sola cosa. «Le parti teatrali, come avviene di solito in questi casi, sono un pretesto per raccontare un pezzo di storia. E noi, attraverso Matilde Serao vogliamo raccontare quella del Mattino. Per questo abbiamo girato anche in redazione, intervistando, tra gli altri, il direttore Barbano, il vicedirettore Federico Monga, il capo della redazione Cultura e Spettacoli Titta Fiore, il redattore capo Vittorio Del Tufo e altri giornalisti come Donatella Trotta, studiosa e biografa della Serao. Oltre, naturalmente, la vincitrice del Premio, la scrittrice Antonia Arslan, e l’ attrice Cristina Donadio», riferisce Gnocchi. Ma raccontare «Il Mattino» significa anche raccontare una città in continuo mutamento. «Attraverso i cambiamenti del suo giornale, cercheremo anche di spiegare com’ è cambiata Napoli in questi centoventicinque anni», conferma la documentarista. «Per farlo, attingeremo anche al materiale di archivio del Mattino, che è tanto. I frammenti di spettacolo, invece, saranno come dei sipari aperti all’ interno del documentario, e ci aiuteranno nella narrazione dell’ opera della Serao, dagli esordi ad oggi», dichiara Bertini. Dice proprio «oggi», il regista. E non è un lapsus. «Tra gli obiettivi primari del documentario – precisa – c’ è quello di far emergere il messaggio che Matilde Serao ha lasciato ai giornalisti del suo Mattino». Perché, certo: centoventicinque anni dopo la stampa della prima copia, tante cose sono cambiate. Ma quell’ insegnamento, «oggi» è più vivo che mai. © RIPRODUZIONE RISERVATA.


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