Il decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 di attuazione della riforma dei contributi all’editoria è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Il testo rappresenta il momento finale di un lungo dibattito sulla funzione del sostegno pubblico alla stampa che è stato innescato dalla proposta del movimento 5 stelle di abolire integralmente il finanziamento pubblico alla stampa. Il provvedimento fu sottoposto al voto della Camera dei Deputati, che lo bocciò, avviando, quindi, un percorso che si è concluso con il decreto legislativo appena pubblicato in attuazione dell’articolo 2 della legge 26 ottobre 2016, n. 198. La riforma non ha il carattere di omogeneità della madre di tutte le riforme, quella del 1981, con la quale un parlamento molto diverso da quello attuale garantì al settore uno strumento normativo che gli consentisse di uscire dalle secche di una crisi che partiva da ragioni tipicamente industriali. La legge 26 ottobre 2016, n. 198, come il decreto di attuazione, rientrano, invece, in un lavoro di cesello che si va ad impiantare sulla vecchia normativa; se è una riforma, è poca roba. Ma anche la crisi non è quella del 1981, allora il problema era l’evoluzione tecnologia delle tipografie, l’introduzione dei sistemi editoriali e la necessità di adeguare le competenze dei dipendenti, giornalisti e poligrafici; oggi la crisi è d’identità, si è modificata la domanda di informazione ed i giornali, e i giornalisti, hanno perso di credibilità. Manca un modello, o meglio il modello ci sta per chi raccoglie le notizie di altri, o per chi fa a gara a chi la spara più grossa. E in questo senso la riforma che punta al settore del non profit, all’occupazione, all’effettiva diffusione ed all’affiancamento delle edizioni digitali a quelle cartacee sembra un passo avanti; ma serve serietà da tutte le parti. Anche da parte del Governo che al momento dell’approvazione dell’ultimo passaggio di una riforma che è stata discussa, concordata e votata, comunica che non ci sono le risorse, anzi che ci sono ma non sono disponibili, per pagare l’acconto di maggio 2017, previsto dalla riforma stessa. La più grande riforma sarebbe fare quello che si dice.
Enzo Ghionni