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Manovra Pro&Contro: Più continuità con il passato di quanto dica lo show in aula
Mediaset, interessi al sicuro anche col governo gialloverde
Manovra Pro&Contro: Più continuità con il passato di quanto dica lo show in aula
Il Fatto Quotidiano
Marco Palombi
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Entro oggi, ultimo giorno utile prima del cosiddetto “esercizio provvisorio”, il governo gialloverde dovrebbe portare a casa la sua prima manovra di finanza pubblica: intanto, ieri sera, la legge di Bilancio ha avuto il voto di fiducia (327 a favore, 228 contro) della Camera fra i “gilet azzurri” del gruppo di Forza Italia (“Crozza Italia”, “i Puffi”, irridono i grillini; “ridicoli”, dicono i leghisti) con relativa sospensione della seduta, i toni stentorei del Pd di cui ha fatto le spese pure il presidente di Montecitorio Roberto Fico (“lei non è più una figura di garanzia: lascia che ci insultino”). Non manca nemmeno il mini-Aventino per i 4 di +Europa, che annunciano che oggi non parteciperanno al voto finale, e la citazione dei fratelli Cervi contro il rischio di “democrazia autoritaria” da parte di LeU. Alla fine, comunque, la manovra ottiene la fiducia: in queste pagine c’ è una descrizione delle misure principali. In termini generali, però, questa legge di bilancio non è dissimile da quelle dei governi Renzi: lascia il deficit per l’ anno prossimo più o meno invariato (per la precisione uno 0,1 in più) attorno al 2% come pure il cosiddetto “avanzo primario”, cioè la differenza tra entrate e spese al netto degli interessi sul debito (2,5% nel 2018 contro il 2,3% previsto nel 2019). In sostanza si tratta di una legge di bilancio solo marginalmente espansiva – vale a dire che “aiuta” poco la crescita – al contrario della prima versione. Le stime di aumento del Pil sono dunque più contenute (+1 anziché 1,5%). Peraltro, siccome a Bruxelles non si fidano, il governo italiano ha accettato pure di congelare due miliardi fino a settembre per vedere come va: se le stime dovessero risultare ottimistiche, allora quei fondi non verranno spesi nel 2019 (e ci rimetteranno settori come università e ricerca), azzerando persino la pur blanda natura espansiva della manovra. La tesi del governo, però, è che non c’ è stato alcun cedimento all’ Ue, ma anzi un’ abile trattativa per evitare di rispettare gli impegni presi da Gentiloni & C. (deficit all’ 1,2% nel 2019) che avrebbero spinto l’ Italia, già in rallentamento, in una pesante recessione. Non si sa come sarebbe andata proponendo il 2% subito, ma di sicuro la manovra che esce dal Parlamento è in contraddizione con un principio enunciato persino nel “contratto” Lega-M5S: la stabilizzazione del debito pubblico deve avvenire attraverso la crescita, non con manovre di consolidamento fiscale che si sono già rivelate dannose anche a quel fine. Il primo bilancio gialloverde, invece, non sfida più l’ assetto ideologico del Fiscal compact, ma cerca di sopravvivere al suo interno con la flessibilità gentilmente concessa dall’ Ue. Se ricorda il modus operandi di Renzi è perché è uguale: un pareggio tra i deliri austeriani di Palazzo Berlaymont e i sogni romani di un’ altra Europa. Ed è uguale anche il modo in cui l’ accordo sulla flessibilità per il 2019 è stato scaricato sugli anni successivi: il percorso verso il pareggio di bilancio viene sì rallentato, ma rilevanti misure di spesa pluriennali come reddito di cittadinanza e quota 100 sulle pensioni (valutate circa 16 miliardi l’ anno a regime e, soprattutto la seconda, indigeste all’ Ue) sono di fatto coperte con (recessivi) aumenti automatici di imposte per 23 miliardi nel 2020 e 28 l’ anno successivo. Di fatto, ha spiegato l’ Ufficio parlamentare di bilancio, senza quegli aumenti di gettito – che però il governo ha già escluso – il disavanzo per il 2020-21 sarebbe fin d’ ora al 3% del Pil. Insomma, a essere buoni un bilancio bloccato, senza spazi per reagire ad eventuali choc negativi in futuro, eventualità niente affatto esclusa. La scommessa è che la Commissione che uscirà dalle Europee di maggio sia più conciliante con l’ Italia: tutto può essere, ma se dio non gioca a dadi con l’ universo, i governo non dovrebbero farlo coi bilanci. Pressioni fiscale in salita Più tasse su banche e imprese e la mina delle imposte locali La pressione fiscale in rapporto al Pil sale nel triennio. Lo ha certificato – in una prima analisi – l’ Ufficio parlamentare di bilancio: dal 42% si passa al 42,4 l’ anno prossimo, poi al 42,8 e infine al 42,5% nel 2021. Se si analizzano le singole voci, però, si scopre che la gran parte degli aumenti è dovuta al condono (6,2 miliardi), alla norma che coinvolge banche e assicurazioni (5,5 miliardi) e alle imposte su giochi e tabacchi. Problematico potrebbe essere invece l’ aumento di tassazione per le imprese dovuta all’ addio a due regimi agevolati (Iri e Ace). Arriva anche la web tax. Al netto dei possibili aumenti Iva da 23 e 28 miliardi tra 2020 e 2021, la vera mina fiscale della manovra è lo sblocco dopo tre anni delle tasse locali (dall’ Irpef all’ Imu fino alla tariffa sui rifiuti): arriva mentre la manovra non ristora del tutto i Comuni dei fondi sottratti dalle finanziarie precedenti. In sostanza, ai sindaci manca circa un miliardo e il governo concede loro di prenderli, se vogliono, dai loro cittadini. Il nodo Investimenti Spese ridotte o “rinviate”, penalizzato soprattutto il Sud La manovra doveva rilanciare la crescita con gli investimenti pubblici. Questi, secondo i piani, dovrebbero crescere di 3,5 miliardi nel 2019 per arrivare a 15 nel triennio (divisi in due fondi: Pa centrale ed enti territoriali); soldi per dissesto idrogeologico, infrastrutture, edilizia ecc. Alle Regioni viene tolto il taglio 2020 del governo Renzi e ai Comuni data la possibilità di spendere gli avanzi di bilancio per investimenti (ma lamentano mancati rimborsi per 1 miliardo). Dopo l’ intesa con l’ Ue, però, sono stati rinviati ad anni futuri molti contributi agli investimenti (Fs, co-finanziamento dei fondi Ue, fondo di sviluppo e coesione ecc.) che penalizzano il Sud. Nel 2019, secondo l’ Upb, il risultato è che si passa “da una maggiore spesa di 1,4 miliardi a un calo di 1 miliardo”. Nel 2020-21 va molto meglio (+12 miliardi). Nascono due strutture per aiutare le amministrazioni a progettare e realizzare le opere. Per sveltirle, viene tolto per un anno l’ obbligo di gara per appalti sotto i 150mila euro. Statali Rinnovi scarsi. Più assunzioni ma tutto è rimandato al 2020 Il bilancio è in chiaroscuro. Da un lato il governo stanzia 1 miliardo per assunzioni stabili nella Pa. A questi si aggiungo circa 20 mila assunzioni nel triennio. Le più rilevanti sono: 4mila nei centri per l’ impiego; altrettanti nell’ amministrazione giudiziaria (magistrati, agenti penitenziari etc.); 755 agli Interni; 420 al ministero dell’ Ambiente; 6.150 per le forze di polizia e 1500 per i vigili del fuoco; 1.000 tra i ricercatori universitari. Per risparmiare risorse, però, il governo ha anche bloccato l’ entrata in servizio per i neoassunti nella Pa centrale (comprese agenzie fiscali, Inps, Inail e Università) fino a settembre 2019. In questo modo ha rinviato le assunzioni al 2020, con ritmo che risulterà dimezzato rispetto ai piani iniziali (nei prossimi 4 anni andranno in congedo oltre 400 mila statali). La situazione peggiore è nella Sanità, dove la stretta sulle assunzioni permane. Per il rinnovo contrattuale, invece, vengono stanziati solo 4,3 miliardi in tre anni: 20 euro mensili in più in busta paga. Reddito di cittadinanza Ci sono oltre 7 miliardi pronti, però ora serve il decreto legge Il negoziato con la Commissione europea ha comportato un taglio di 2 miliardi alle risorse per il reddito di cittadinanza che però restano comunque ingenti a 7,1 miliardi di euro per il 2019, 8,055 per il 2020, 8,317 per il 2021. Una parte di queste risorse deve finanziare le 4.000 assunzioni necessarie a far funzionare le politiche attive del lavoro, tra centri per l’ impiego e l’ agenzia Anpal. Per come è costruito il fondo, se avanzassero soldi dalla riforma delle pensioni di quota 100 (4 miliardi nel 2019), potrebbero essere usate per finanziare il reddito. La cifra complessiva è molto più bassa di quella promessa dai Cinque Stelle in campagna elettorale – 15 miliardi – ma superiore a quella che era disponibile per il Rei (reddito di inclusione, 3 miliardi). Bisognerà attendere però metà gennaio per il decreto legge che stabilirà come questi miliardi verranno impiegati e come funzionerà il reddito che dovrà partire prima delle elezioni europee di maggio. E la fretta di solito è pericolosa. Previdenza Quota 100 ad aprile, ma scatta il blocco della rivalutazione La mini riforma della Fornero (“Quota 100”, tra età anagrafica e contributi) sarà triennale. La platea potenziale è di 315 mila persone (123mila nella Pa). Si uscirà con finestre temporali: ad aprile per i privati e, forse, a giugno per gli statali. Vengono prorogate anche l’ Ape sociale e l’ Opzione donna. Sulla previdenza il governo fa però anche cassa. Due miliardi con la proroga del blocco dell’ adeguamento all’ inflazione delle pensioni oltre i 1.522 euro lordi al mese (3 volte il minimo), che sono il 58% del totale, con sei fasce di tagli: l’ adeguamento sarà al 97% per quelle tra 3 e 4 volte il minimo; al 77% tra 4 e 5 volte il minimo; al 52% tra 5 e 6 volte fino al 40% di recupero sopra 9 volte il minimo. La perdita in tre anni sarà: 211 euro per pensioni da 2.500 euro lordi; 538 per assegni da 3 mila euro, 700 tra 3.500 e 4 mila. Vale invece 240 milioni il taglio quinquennale alle “pensioni di platino” (sic) sopra i 100 mila euro (26 mila persone): dal 15% fino a 130 mila euro al 40% per la parte eccedente i 500 mila. Fisco modello Lega Condono furbetto e flat tax: una manna per le partite Iva Decisamente è la manovra delle partite Iva, vasto mondo di professionisti e pmi da sempre bacino elettorale della Lega. Il Carroccio ottiene un taglio di tasse per partite Iva individuali da 4,8 miliardi nel triennio. Come? Allargando a 65 mila euro di reddito la tassazione forfettaria al 15% (tra 65 e 100 mila euro viene invece tassato l’ intero reddito al 20%). L’ Irpef, insomma, viene ulteriormente smontata. La Lega ottiene anche il “saldo e stralcio” delle cartelle tra il 2000 e il 2017 per chi è “in grave e comprovata situazione di difficoltà economica” calcolata in base all’ Indicatore della situazione economica equivalente. Riguarda persone fisiche e ditte individuali. Potranno essere estinti i debiti per omessi versamenti di tasse e contributi Inps pagando il 16% con Isee sotto 8.500 euro, il 20% con Isee fino a 12.500 euro e 35% con Isee oltre i 12.500 euro e fino a 20mila euro. Problema: non c’ è un tetto massimo dei debiti sanabili. Così potrà essere usato anche da finti poveri che hanno redditi nascosti o intestati a prestanome. Il mondo del credito Soldi ai truffati di Etruria & C. (a rischio Ue) e la “salva-Bcc” Arrivano soldi e nuove regole per i rimborsi dei 300mila piccoli risparmiatori coinvolti nel crac delle banche (da Etruria alle 2 venete). Lo stanziamento è di 525 milioni l’ anno fino al 2021 e potranno reclamare ristoro azionisti e detentori di bond subordinati (per i primi il rimborso è al 30%, per i secondi al 95% entro i 100mila euro) che siano persone fisiche o piccole imprese con fatturato fino a 2 milioni. Non c’ è più il divieto di fare causa agli istituti se si accetta l’ indennizzo, ma i problemi potrebbero arrivare dalla Ue: anche se si fa riferimento a vendita “scorretta” di strumenti finanziari, in realtà si rimborserà chiunque rientri nei parametri senza accertare il “misselling”, caso per caso (si aggira, insomma, il bail-in). In materia di credito, poi, nella manovra c’ è la norma per evitare il buco da 2,6 miliardi nei bilanci delle holding a cui si stanno (obbligatoriamente) iscrivendo le Banche di credito cooperativo e la possibilità per i piccoli istituti di applicare i principi contabili nazionali anziché quelli Irs (scudo anti-spread). I punti controversi Fondi all’ editoria, professioni sanitarie e l’ Ires sul no profit Fondi progressivamente ridotti (-20% della differenza tra l’ importo spettante e 500 mila euro nel 2019, -50% per il 2020 e – 75% per il 2021) fino all’ abolizione totale nel 2022: ecco la strada verso l’ azzeramento delle sovvenzioni all’ editoria voluto dai 5Stelle. Per il premier Conte è “un sacrificio per sollecitare gli editori a stare sul mercato”; per Fnsi “la morte del pluralismo”. Prorogata di soli 6 mesi la convenzione con Radio Radicale (che rischia di chiudere). Polemiche pure per la deroga per l’ iscrizione all’ ordine da parte dei professionisti sanitari (fisioterapisti, tecnici o ostetriche) senza titoli che abbiano lavorato, nell’ arco di 10 anni, almeno 36 mesi. “20 mila persone non finiranno in strada”, ha detto il ministro Grillo. Marcia indietro del governo, con tanto di scuse, per il raddoppio dal 12 al 24% dell’ aliquota Ires per il non profit. La norma sarà cambiata a gennaio: oltre a colpire la Chiesa (graziata sull’ Imu), avrebbe penalizzato le attività di volontariato e di assistenza. Direttiva Bolkestein e dismissioni Salvi gli stabilimenti balneari. Immobili in vendita dopo aprile Il dimagrimento della manovra, richiesto da Bruxelles, passa anche per l’ escamotage contabile delle maxi dismissioni immobiliari: vale 950 milioni di euro nel 2019 e altri 300 nel biennio 2020-2021. I dettagli arriveranno a fine aprile, quando sarà approvato il decreto per il piano di cessione dei beni dello Stato, della Difesa (come le caserme in disuso) e delle altre pubbliche amministrazioni per i quali sarà possibile il cambio di destinazione d’ uso degli immobili e degli interventi edilizi di valorizzazione (per i Verdi un norma che “devasta i centri urbani”). La Lega ha invece ottenuto il blocco degli effetti della direttiva Bolkestein fino al 2034 per i titolari degli stabilimenti balneari (occupano il 60% delle coste, a fronte di soli 103 milioni di introiti per lo Stato dai canoni di concessione): non si vedranno messe al bando le licenze. A escludere dalla Bolkestein gli ambulanti del commercio (oltre 190mila imprese, 11 miliardi di fatturato) è stato M5s. Pronta la procedura di infrazione Ue. Tutti i bonus Confermati gli aiuti alle famiglie, da marzo gli incentivi per le auto Nel pacchetto destinato alle famiglie ci sono l’ aumento del bonus nido da 1.000 a 1.500 euro e l’ allungamento da 4 a 5 giorni del congedo per i neo papà. Le mamme potranno restare al lavoro fino al parto, se la salute lo consente. L’ unica novità è lo stanziamento di un milione di euro per l’ acquisto dei seggiolini auto anti-abbandono e il fondo da 5 milioni per i disabili. Confermato anche il bonus bebè, inserito nel dl fiscale. Sul fronte casa prorogate tutte le detrazioni – dal 50% al 65% – per il recupero del patrimonio edilizio, l’ acquisto di mobili ed elettrodomestici, la realizzazione straordinaria di giardini e gli interventi di risparmio energetico (ecobonus). Mentre, dopo la retromarcia del governo sull’ ecotassa anche per le Panda, da marzo 2019 scattano gli incentivi (fino a 6mila euro e con rottamazione) per le auto più ecologiche e il “malus” fino a 2.500 euro per quelle inquinanti.
Mediaset, interessi al sicuro anche col governo gialloverde
Il Fatto Quotidiano
Carlo Tecce
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Mediaset resiste in salute, anzi prospera col governo dei gialloverdi. Il Biscione recupera in Borsa negli ultimi giorni e s’ aggrappa a quota 2,73 euro per azione con una capitalizzazione di 3,3 miliardi. Il futuro è legato agli introiti pubblicitari e al riassetto industriale più che agli ascolti spesso calanti, ma non sussiste il pericolo di un agguato politico. Il governo di Cinque Stelle e Lega di Salvini riserva il solito trattamento benevolo al Biscione e, in generale, al sempiterno mercato televisivo. Ormai è tardi per gli indizi, ci sono le prove a supporto della ritrovata serenità che si respira a Cologno Monzese. 1. Un pagina infilata in manovra scongiura l’ ipotesi di un’ asta competitiva e l’ ingresso di nuovi operatori per l’ assegnazione di un paio di multiplex – pacchetti di frequenze per trasmettere i canali – ricavati dal passaggio al digitale terrestre di seconda generazione (dvb-t2) nel 2022. Il dicastero di competenza è lo Sviluppo economico, il ministro di riferimento è Luigi Di Maio. Questa norma è gradita a Mediaset, Persidera (Telecom/Gedi), Urbano Cairo (La7) e alla poco interessata Rai. Altro che ridefinizione delle vecchie concessioni statali. 2. Il governo amplia il fondo per la rottamazione dei televisori, necessario a Mediaset & C. per non perdere spettatori con l’ avvento del dvb-t2: sale da 100 a 150 milioni di euro. Anche il denaro che sarà raccattato con la finta gara succitata, si calcola una cinquantina di milioni, sarà destinato a risarcire i cittadini/elettori costretti a comprare apparecchi capaci di ricevere il segnale nel 2022. Alcuni televisori, in commercio prima del luglio 2016 o addirittura 2017, saranno da buttare o da integrare con decoder. 3. Cassa depositi prestiti, la scorsa estate, avviata la gestione gialloverde, ha promosso l’ offerta pubblica d’ acquisto (opa) a piazza Affari del fondo strategico F2i – di cui è socia al 14 per cento – su Ei Towers di Mediaset, l’ azienda che ha un parco di 2.300 ripetitori per le televisioni e 1.000 per la telefonia. Il Biscione ha incassato 179 milioni di euro netti e adesso detiene il 40% di una società più grossa, controllata da F2i, che si chiama 2i Towers. Oltre le sigle astruse e i concetti tecnici, la sostanza è abbastanza elementare: Mediaset ha fregato Rai Way, che da tempo studia progetti di fusioni e rilanci, perché Cdp e F2i hanno preferito il Biscione a Viale Mazzini. La famiglia Berlusconi potrebbe dismettere pure quel 40 per cento che vale più di mezzo miliardo di euro. 4. Nell’ interregno tra l’ addio del centrosinistra e l’ alba dei gialloverdi, in aprile, il governo Gentiloni ha autorizzato Cdp a rastrellare il cinque per cento di Telecom così da permettere al fondo Elliott di contrastare i francesi di Vivendi, gli ex amici diventati nemici di Mediaset. Un intervento anomalo e rischioso, condiviso in spirito dall’ intero parlamento. Vincent Bolloré era già finito stritolato dalle regole italiane e indotto a congelare il 19 per cento del suo 28,8 di Mediaset. In una posizione di debolezza, inusuale per Vincent, tra il desiderio di riconquistare il comando in Telecom e di non scappare da Cologno Monzese, Vivendi dovrà presto trattare con Berlusconi e costruire una soluzione indolore. Cdp ha una parte da protagonista e non recita a discapito del Biscione. In nome del popolo sovrano e dell’ orgoglio italiano. 5. Il decreto milleproroghe fa slittare di un semestre – al 1° luglio 2019 – l’ entrata in vigore degli obblighi di investimento in produzioni audiovisive europee e italiane e con case indipendenti, una legge dell’ ex ministro Dario Franceschini molto contestata da Mediaset e Sky Italia. 6. Il governo, i ministri e le autorità di controllo hanno sonnecchiato dinanzi al patto tra Mediaset e Sky Italia, siglato in primavera e completato in autunno. Un patto che ha consentito al Biscione di sanare la piaga Premium e a Sky Italia di aumentare la presenza trasversale e quasi monopolista – se non fosse, nel calcio, per la difettosa Dazn – con la vendita di contenuti a pagamento tra satellite e digitale. 7. Impegnati a giocare con gli alambicchi per produrre le nomine in perfetto equilibrio politico, in Viale Mazzini si sono dimenticati del contratto di servizio – quello firmato tra Stato e Rai – che intimava di rinnovare l’ accordo commerciale con Sky Italia. Così Rai4 è scomparsa, per esempio, dai posti di pregio di Sky e gli altri canali restano criptati in occasione degli eventi. Il vuoto l’ ha colmato Mediaset, che da gennaio ritorna con tredici canali in chiaro. 8. Viale Mazzini ha sfornato una trentina di direttori e relativi vice in pochi mesi, ma non è riuscita ancora a scegliere l’ amministratore delegato di Rai Pubblicità, la società che fattura circa 700 milioni di euro e impensierisce il Biscione. Il leghista atipico Antonio Marano – atipico perché non vicino a Matteo Salvini – sta per festeggiare un anno di guida ad interim di Rai Pubblicità (ex Sipra) abbinata al ruolo di presidente. Quella poltrona è assai delicata e pare che la Lega, per ottenere i voti di Forza Italia su Marcello Foa, abbia garantito a Berlusconi un profilo non ostile. In attesa, il governo ha sottratto l’ extra-gettito del canone a Viale Mazzini, 80/90 milioni di euro in meno che impongono una correzione delle risorse.
L'articolo Rassegna Stampa del 30/12/2018 proviene da Editoria.tv.