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L’ M5S teme tv e giornali e vieta l’ incrocio tra i due
Casellati: «Salvaguardare pluralismo e libertà di stampa» Carfagna: «No alle rivalse»
«È un grave attentato alla Costituzione»
Frequenze tv, nella gara una carta in più per gli attuali operatori
Santa Sede, i media cambiano voce
“L’ Europa deve controllare i Paesi di Visegrad e difendere la nostra libertà”
L’ M5S teme tv e giornali e vieta l’ incrocio tra i due
Il Giornale
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Il divieto di incroci tra stampa e settore della televisione diventa a tempo indeterminato. Il divieto non sarà più prorogato di anno in anno come avveniva in passato e ma diventerà definitivo, venendo inserito nel milleproroghe e nella manovra attraverso un emendamento ad hoc. Ad annunciarlo nei giorni scorsi era stato è il sottosegretario all’ Editoria Vito Crimi, sottolineando che sarebbe stata inserita una norma definitiva secondo la quale i soggetti che esercitano attività televisiva non possono acquisire partecipazioni in imprese editrici di giornali, con l’ eliminazione di ogni riferimento temporale. Una misura che va a mettere un punto a una situazione normativa ormai acquisita da tempo. Continua invece la protesta delle piccole imprese editoriali contro i tagli all’ editoria. «Tagliare gli sprechi e le spese improduttive è sacrosanto» dice Mara Carfagna. «Ma è sbagliato confondere questo con la minaccia di chiudere dal 2020 molti quotidiani, tv private, emittenti radio e stampa regionale, una rete di informazione, talvolta no profit, che garantisce la pluralità dell’ informazione. Con i tagli all’ editoria contenuti nella Manovra si restringe ulteriormente il perimetro della libertà di stampa e lo si fa aggravando la crisi di un settore già duramente colpito dalla crisi e dalle trasformazioni di sistema».
Un emendamento pieno di bugie
Il Manifesto
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TUTTI I GIORNALI PRENDONO SOLDI PUBBLICI FALSO. Dopo anni di propaganda, pochi giorni fa è stato lo stesso sottosegretario Vito Crimi ad ammettere che su 18mila testate registrate in Italia, solo 150 prendono contributi pubblici (Crimi al Gr1 Rai del 16 dicembre). Come spieghiamo a fianco, solo editori con determinate caratteristiche accedono al fondo per il pluralismo. I cosiddetti «giornaloni» (Repubblica, Corsera, Fatto, etc.) sono quotati in borsa e hanno normali azionisti che li finanziano. Usufruiscono (ma solo fino al 2019 se passa la manovra) di una trentina di milioni in agevolazioni e sconti per spese definite da diverse leggi. L’ EDITORIA È IL SETTORE CHE RICEVE PIÙ FONDI PUBBLICI FALSO. Più volte all’ inizio del suo mandato, il sottosegretario Crimi ha definito l’ editoria come «il settore più assistito da parte dello stato». Il sottosegretario calcolava una spesa pubblica di 3,5 miliardi di euro in 15 anni. Al di là della veridicità tutta da verificare di tale somma, basta un dato a smentirla: i sussidi pubblici alle fonti fossili dannose per l’ ambiente (gas, carbone, petrolio, ecoballe, etc.) sono pari a 11,5 miliardi all’ anno. Il dato è ufficiale, fornito dal Ministero per l’ Ambiente. Nel programma 5 Stelle c’ era l’ abrogazione di questi sussidi ma finora non ce n’ è traccia. teressi». L’ affermazione è inesatta. Secondo un fact checking dell’ Agi, tra le più importanti testate italiane alcune sono pubblicate da editori «puri», cioè che non hanno interessi rilevanti fuori dall’ editoria (Rcs e testate Riffeser), altre da editori «impuri» (Gedi e gruppo Caltagirone). Guardando all’ estero, invece, in Francia gli editori «puri» non esistono proprio, mentre in Germania sono la norma. Per paradosso, infine, i tagli all’ editoria dannegge FALSO. Proprio la varietà di testate che attingono al fondo per il pluralismo dimostra che non esistono giornali di per sé governativi: Avvenire è diverso da Libero, che è diverso dal manifesto o dal Primorski. La riforma Lotti aveva affidato al governo un ruolo amministrativo, sottraendo alla politica il potere di decidere volta per volta gli stanziamenti. Viceversa, è proprio l’ intervento di questo governo nella manovra che stravolge d’ imperio, cancellandola, la libertà di informazione. ranno di sicuro molti editori «puri», cioè le testate pubblicate da cooperative di giornalisti, che non possono fare altro che il proprio giornale, rivista o radio. CHI RICEVE I CONTRIBUTI PUBBLICI DIPENDE DAL GOVERNO IL TAGLIO AI GIORNALI È NEL CONTRATTO DI GOVERNO FALSO. Proprio la Lega aveva escluso tale possibilità. Ribadendola poi in decine di interviste e interventi pubblici. Dimostrando la sua contrarietà, peraltro, nel primo passaggio alla camera della manovra, dove sia il relatore che il rappre L’ EMENDAMENTO PATUANELLI ABOLISCE IL SOSTEGNO PUBBLICO ALL’ INFORMAZIONE FALSO. Lasciando da parte la questione del canone Rai, l’ emendamento 5 Stelle non abolisce affatto il fondo per il pluralismo, che rimane intatto intorno ai 180 milioni. Taglia i fondi fino a vietarne l’ accesso, invece, solo a una ventina di testate più grandi sulle 52 ammesse al contributo. È perciò un emendamento «ad testatam» che colpisce solo voci critiche o scomode per la maggioranza. Anzi, con l’ ultimo comma del testo, si crea a Palazzo Chigi una specie di «fondo Crimi» a totale disposizione della presidenza del consiglio, al di fuori della legge e del controllo del parlamento, da destinare a vaghi progetti di «soggetti pubblici e privati» non meglio identificati per promuovere la «cultura della libera informazione plurale, della comunicazione partecipata e dal basso, dell’ innovazione digitale e sociale, dell’ uso dei media». La discrezionalità del CON L’ EMENDAMENTO PATUANELLI LO STATO RISPARMIA FALSO. Non un euro viene tolto al fondo per il pluralismo (vedi sopra). GLI EDITORI DI GIORNALI SONO INCAPACI DI INNOVAZIONE FALSO. Non c’ è settore industriale cambiato più della carta stampata. I fogli che avete in mano possono sembrarvi identici a quelli di 30 anni fa. Ma il modo di produrli non ha nulla a che vedere con quello dei nostri nonni. Un grande giornale non è un pezzo di carta inchiostrata, è una struttura professionale e industriale in grado di far scrivere un essere umano su qualsiasi argomento in qualsiasi parte del mondo in qualsiasi momento dell’ anno. Una struttura «pesante», simile a quella della protezione civile, sempre pronta in caso di emergenza. BASTA IL LIBERO MERCATO AD ASSICURARE IL PLURALISMO FALSO. Non c’ è settore culturale che non sia sostenuto – nelle forme più varie – da parte dello stato: libri, cinema, teatri, ope re liriche, musei, mostre, monumenti. Nessuno di questi vivrebbe solo vendendo biglietti. L’ informazione rientra tra i diritti costituzionali dei cittadini che lo stato deve garantire. Al contrario, il settore dell’ editoria è in preda a fenomeni di concentrazione in ogni parte della filiera: 2 gruppi (Rcs e Ge di) diffondono da soli quasi la metà delle copie. In molte zone del paese i distributori locali si riducono a uno per regione, i grandi distributori nazionali sono appena 2 o 3. Il mercato, da solo, favorisce gli oligopoli. Nel caso dell’ informazione, questo è tipico di regimi autoritari, e non di democrazie. I CONTRIBUTI PUBBLICI ESISTONO SOLO IN ITALIA FALSO. A parte il canone per la tv pubblica (vedi Rai o Bbc), for medi sostegno diretto o indiretto all’ informazione esistono in gran parte dei paesi europei, dalla Francia al Lussemburgo. Il Canada nella sua manovra ha stanziato oltre 600 milioni di dollari e un dibattito sulla necessità della protezione pubblica di testate soprattutto locali è aperto anche negli Usa, vista l’ ecatombe di giornali statali o di contea. Ci sono zone dell’ Occidente dove, semplicemente, l’ informazione e il controllo democratico e trasparente del potere non esiste più. L’ Italia non può finire tra queste.
Casellati: «Salvaguardare pluralismo e libertà di stampa» Carfagna: «No alle rivalse»
Il Roma
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ROMA. «Sono e sarò sempre una convinta assertrice del pluralismo e della libertà di stampa e, di conseguenza, anche della necessità di supportare le voci dell’ informazione con tutti gli strumenti a disposizione delle istituzioni». A dirlo il presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati (nella foto), durante il tradizionale scambio di auguri con l’ Associazione stampa parlamentare in occasione delle festività di fine anno. «C’ è bisogno – aggiunge rivolgendosi ai suoi ospiti – di riscoprire anche una narrazione delle cose positive, delle eccellenze: un compito che vede i giornalisti in prima fila. Facendo leva sulle vostre professionalità, sulle vostre competenze, sulla vostra sensibilità, siate le sentinelle della verità dei fatti, siate i testimoni di tutto ciò che viene detto e viene fatto. Nell’ epoca dei social network resta fondamentale che vi sia sempre qualcuno – un professionista in grado di mettere tutti davanti alle responsabilità delle proprie parole e delle proprie azioni». Mara Carfagna, esponente di Forza Italia e vicepresidente della Camera, è chiara: «Tagliare gli sprechi e le spese improduttive è un intento sacrosanto, che noi di Forza Italia condividiamo pienamente. Ma è sbagliato confondere questo con la minaccia di chiudere dal 2020 molti quotidiani, tv private, emittenti radio e stampa regionale, una rete di informazione, talvolta no profit, che garantisce la pluralità dell’ informazione». A giudizio dell’ esponente azzurra «con i tagli all’ editoria contenuti nella manovra si restringe ulteriormente il perimetro della libertà di stampa e lo si fa aggravando la crisi di un settore cruciale già duramente colpito dalla crisi e dalle trasformazioni di sistema. È una proposta che ha il sapore della rivalsa». Infine, Antonio Satta, segretario del movimento Unione popolare cristiana, sul taglio dei fondi per l’ editoria parla apertamente di «progetto liberticida. Ai M5S basta solo il web, perché loro su internet hanno una posizione dominante. Il conflitto d’ interessi è grande come una casa. Serve una mobilitazione di tutte le forze sane e democratiche di questo paese per fermare questo disegno. Tutto ciò è ancora più grave perché i M5S non propongono nulla di alternativo ai contributi».
«È un grave attentato alla Costituzione»
Il Roma
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NAPOLI. «I tagli al mondo dell’ editoria che dal 2020 andranno a colpire quotidiani, tv private, emittenti radio e tutta gran parte della stampa regionale è un vero attentato alla Costituzione che il Presidente Mattarella ha fatto presente già in numerose occasioni a difesa di un concetto sacrosanto come quello della pluralità dell’ informazione». A dichiararlo, in una nota, il presidente del movimento di opinione Polo Sud, Amedeo Laboccetta (nella foto). «In Campania – aggiunge l’ ex parlamentare – la fitta rete di informazione che garantisce ogni giorno una voce su tutto ciò che accade sul territorio rischia ora di scomparire creando un immenso danno. Non si pensa poi ai tanti giornalisti e collaboratori che rischiano il posto di lavoro? Quale logica anima questi 5 Stelle per voler tacitare l’ informazione?».
Frequenze tv, nella gara una carta in più per gli attuali operatori
Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Nella gara con cui saranno assegnate due frequenze televisive alle emittenti nazionali, nell’ ambito della liberazione della banda 700, vincerà chi offrirà di più ma saranno anche valutate le capacità tecniche, le infrastrutture di rete possedute, oltre che la qualità dei contenuti da trasportare «alla più vasta maggioranza della popolazione italiana». Tradotto, i maggiori operatori di rete, Mediaset e Rai ma anche Persidera e Cairo, che dovranno rinunciare a metà delle frequenze attuali, avranno ottime chanches di ottenere risorse con minor rischio di vedersi scavalcare da nuovi operatori. La novità è contenuta in un emendamento alla legge di Bilancio presentato ieri in commissione al Senato a firma dei relatori e con alta probabilità che sia approvato. Il testo regola l’ abbandono della banda 700 da parte delle televisioni a favore delle tlc, modificando quanto era stato stabilito con la Manovra dello scorso anno. Fra le procedure vi è appunto la gara onerosa senza rilanci con la quale saranno attribuiti due multiplex ricavati dalle tv locali, in seguito all’ abbandono della riserva di un terzo delle frequenze disponibili che finora era previsto per legge per queste ultime. La versione precedente dell’ emendamento era molto diversa: si prevedeva di favorire l’ accesso «di fornitori di servizi di media audiovisivi non verticalmente integrati con operatori di rete», ovvero editori di canali senza proprie frequenze come possono essere Sky e Discovery oppure (se per assurdo fossero interessati) ott come Netflix o Amazon Prime. Si può dire però che la formulazione attuale sia un compromesso: gli operatori nazionali da tempo lamentavano che nel passaggio da 20 a 10 multiplex non avrebbero potuto far stare tutti i canali attualmente trasmessi anche utilizzando il digitale terrestre di seconda generazione e chiedevano più risorse frequenziali senza oneri. La rivendicazione faceva leva sul fatto che a ciascun operatore di rete erano stati attribuiti i diritti d’ uso sulle frequenze attuali fino al 2032/2034 e nonostante questo sarebbero state dimezzate senza indennizzo. Il governo alla fine farà comunque pagare le frequenze mettendole a gara (senza rilanci) ma ha concesso che gli attuali operatori che hanno investito nel tempo abbiano maggiore possibilità di assegnazione. La gara si dovrà svolgere entro il novembre del prossimo anno e il valore minimo delle offerte sarà determinato dall’ Agcom sulla base del valore di mercato. Questo significa che la base di partenza sarà quanto pagato da Urbano Cairo nell’ asta con cui si è aggiudicato il multiplex nel 2015 per vent’ anni, 30 mln di euro. Caratteristica importante della gara futura è però che i multiplex a gara saranno divisi a metà e quindi ciascun lotto sarà composto da mezzi mux. Da una parte così Mediaset, Rai, Persidera e Cairo avranno la possibilità di avere ciascuno la propria porzione, sebbene nessuno impedisca agli altri operatori di rete di fare un’ offerta (gli altri sono Prima tv, H3G, Rete Capri ed Europa Way ma le condizioni di partenza sono ben diverse). Dall’ altra, facendo così ci saranno più chances di risolvere una questione rimasta sospesa: dimezzando tutte le frequenze, Mediaset, Rai e Persidera si sarebbero trovati con 2,5 mux ciascuno dai 5 originari e gli operatori che hanno attualmente un solo mux (tra i quali Cairo) se ne sarebbero trovati mezzo a testa. Tutto questo avrebbe portato alla necessità di accordarsi con il detentore dell’ altro mezzo mux (costruendo consorzi per esempio) ma con i problemi che sarebbero nati su investimenti, gestione eccetera. In questo modo, anche se si avranno mezzi mux che non combaciano fra loro, sarà più semplice trovare un accordo con chi ha l’ altra metà della mela. E se gli operatori si troveranno per forza a convivere e nasceranno diatribe a quel punto interverrà l’ Agcom. Gli introiti della gara, in un primo momento riservati soltanto all’ innovazione nelle tecnologie televisive, saranno impiegati anche per incentivare l’ acquisto di decoder da parte dei cittadini. E a proposito di questo, già l’ emendamento prevede un incremento di 50 milioni (150 in totale) del fondo destinato all’ acquisto dei dispositivi di ricezione spostandoli dai 270 milioni previsti per la configurazione delle reti da parte degli operatori. L’ emendamento, inoltre, fa slittare alcune scadenze della roadmap, pur mantenendo il termine del processo al 2022. Soddisfatta Confindustria Radio Tv, secondo cui l’ emendamento «appare orientato nella direzione della difesa del piattaforma televisiva digitale terrestre e delle imprese del settore». L’ associazione ha ricordato come era necessario modificare le norme in materia della legge di Bilancio dello scorso anno ma «allo stesso tempo di salvaguardare investimenti, lavoro e funzionalità delle imprese operanti nel settore in Italia. È il primo passo indispensabile per un punto di equilibrio».
Santa Sede, i media cambiano voce
Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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La 34° Giornata mondiale della gioventù (Gmg) a Panama dal 22 gennaio, il viaggio di papa Francesco dal 3 febbraio negli Emirati arabi uniti e l’ incontro a Roma, dal prossimo 21 febbraio, voluto dal Pontefice con i capi dei vescovi di tutto il mondo saranno i primi tre appuntamenti cruciali in cui si metterà all’ opera la nuova impostazione dei media vaticani, nel pieno della riforma voluta dal papa. Solo ieri sono state annunciate le nomine di Andrea Monda alla direzione dell’ Osservatore romano, quotidiano della Santa Sede guidato per oltre 11 anni da Giovanni Maria Vian (nominato da Benedetto XVI e ora direttore emerito della testata), e di Andrea Tornielli alla direzione editoriale del Dicastero per la comunicazione affidato a Paolo Ruffini dallo scorso luglio (in precedenza retto da monsignor Dario Viganò). Monda è operativo da oggi, Tornielli con l’ inizio del nuovo anno. Del Dicastero fanno parte anche Radio vaticana, la sala stampa guidata da Greg Burke, il Centro televisivo vaticano e la Libreria editrice vaticana. Gmg, viaggio negli Emirati arabi e lotta agli abusi «sono tre appuntamenti importanti», dichiara a ItaliaOggi Monda, «perché il primo è un evento coi giovani, il secondo è all’ insegna del dialogo e il terzo rappresenta un aspetto più interiore della Chiesa, di purificazione e prevenzione». Non a caso di apertura a nuovi lettori, a nuovi confronti ha parlato lo stesso Ruffini riferendosi a «una Chiesa in uscita, che vuole avviare processi inediti anche nella comunicazione». Quindi anche delle due recenti nomine, la cornice è quella della riforma dei media vaticani di cui, «come ha detto il Papa, non bisogna avere paura», ha proseguito Ruffini. «Riforma non è imbiancare un po’ le cose, ma organizzarle in altro modo. Ricondurre a unità la pluralità dei linguaggi senza perdere nulla delle loro specificità e delle loro storie». E senza perdere nemmeno le peculiarità dei singoli media vaticani. Il nuovo Osservatore romano. «Nell’ ottica di maggior dialogo, vorrei rafforzare sulle pagine dell’ Osservatore romano l’ apertura già voluta da Vian nell’ accogliere firme di tutte le religioni, compresi i non credenti», prosegue il nuovo direttore del quotidiano della Santa Sede. «Il dibattito fa bene, soprattutto in un’ epoca di muri». Monda punta quindi a un giornale più di approfondimento e anche più internazionale, perché «ai tempi di internet rimane la Chiesa la Rete più antica». Nel solco di questo pontificato, l’ Osservatore romano «vuole essere più aperto, parlare in modo semplice e ascoltare, soprattutto i giovani a cui più che dare consigli bisogna prestare orecchio», sottolinea il neodirettore che dal 2000 è docente di religione, oltre che scrittore, saggista e giornalista (tra gli altri per Avvenire e la Civiltà cattolica). L’ Osservatore romano manterrà il suo ruolo istituzionale ma vuole promuovere «un dibattito di qualità perché la Chiesa è il popolo di Dio e il popolo di Dio va messo al centro», chiosa Monda. «Non ci sarà nessuna autoreferenzialità, come spesso succede ai giornali in generale, che spesso parlano tra di loro». E per quel che riguarda i media vaticani in particolare, a giudizio di Monda, l’ impegno è anche rafforzare le sinergie, visto che «non è stata attuata tutta la potenzialità». In una sola parola, il quotidiano della Santa Sede può essere definito «singolarissimo», secondo Monda che cita San Paolo VI, essendo in primis «un giornale di idee che non vuole soltanto dare notizie ma anche creare pensieri». La nuova cifra editoriale del Dicastero per la comunicazione. «Quello che conta è il messaggio, far passare il messaggio della Chiesa a un pubblico sempre maggiore, soprattutto di giovani», specifica con ItaliaOggi Tornielli. Sarà difficile? È probabile, secondo il neo direttore editoriale, soprattutto nel caso dei giovani che «spesso non leggono nessun giornale né seguono un telegiornale». Eppure «i media della Santa Sede hanno una lunga storia: basti citare l’ importanza che ha avuto Radio Vaticana in tanti frangenti più o meno recenti del nostro passato», aveva già ricordato Tornielli. Anche per lui la parola d’ ordine è «lavorare in sinergia, rispettando le peculiarità, e unificare i linguaggi che, in concreto, altro non vuol dire se non portare i vari contenuti, dalla parola scritta al podcast, su tutte le piattaforme di comunicazione». Multimedialità che Tornielli ha sperimentato scrivendo per periodici e quotidiani (tra cui Giornale e Stampa) e online coordinando siti come Vatican Insider (sempre della Stampa di Torino).
“L’ Europa deve controllare i Paesi di Visegrad e difendere la nostra libertà”
La Repubblica
ANDREA TARQUINI
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BERLINO «Dopo l’ assassinio di Jan e della sua fidanzata qualcosa è cambiato da noi, nella società civile. Ma aspettiamo le prossime elezioni per giudicare quanto avanti si spingerà il cambiamento e cosa ciò significherà per i media». Ce lo dice Peter Bárdy, direttore di aktuality. sk, il giornale online per cui scriveva Jan Kuciak, l’ investigative reporter freddato da killer insieme alla sua ragazza in Slovacchia perché indagava su casi eccellenti di corruzione, malversazione, frode fiscale. Jan fu assassinato, dopo la sua morte e le indagini è cambiato qualcosa in Slovacchia per i media o no? «Da un lato la società civile si è svegliata, è divenuta molto piú impegnata rispetto a prima del duplice assassinio di Jan e della sua compagna. D’ altro canto i nostri politici non hanno voluto accettare di assumersi la loro parte di responsabilità per la situazione in Slovacchia. Penso quindi che dobbiamo aspettare per formulare un giudizio di fondo su cosa è cambiato e cosa no. Aspettare fino al 2020 quando avremo le prossime elezioni parlamentari. Da quel voto verrà la risposta a questo grande interrogativo». Lei, direttore della testata per la quale Jan lavorava, è soddisfatto delle indagini? I responsabili e i mandanti sono in mano alla giustizia? «Sì, sono soddisfatto. Sono sicuro che tra le persone finora arrestate ci siano gli esecutori materiali dell’ assassinio. E sono certo che entro la fine di quest’ anno la polizia assicurerà alla giustizia i mandanti e ispiratori del duplice omicidio». Come è possibile che un tale crimine avvenga in Europa centrale nel terzo millennio? Che cosa c’ è di sbagliato o marcio nel sistema? «Ricordo ancora quel momento tragico in cui apprendemmo la notizia. È orrendo sapere che qualcuno ha assassinato un collega perché stava svolgendo il suo lavoro. Sono stati i politici a creare l’ atmosfera nella quale attacchi di ogni genere ai giornalisti diventano o appaiono possibili. Il sistema però da noi non è sbagliato in sé. Credo che questa tragedia, questo orrendo crimine, resterà come un drammatico, orribile caso isolato e che simili crimini non avverranno più nel nostro Paese». Ma chi decise al massimo livello che Jan e la sua ragazza dovevano essere assassinati? «È una domanda molto sensibile e delicata, non voglio rispondere in questo momento». Lei è ottimista o pessimista sul rapporto tra media e potere in Slovacchia? «Nonostante l’ assassinio di Jan e della sua compagna non possiamo paragonare la situazione della libertà dei media in Slovacchia a Russia o Turchia. Abbiamo comunque una vera libertà di stampa, editori indipendenti ed emittenti tv indipendenti. Punire gli assassini e ogni responsabile di minacce e intimidazioni non è compito dei politici, è compito della giustizia, e vogliamo credere che il sistema giudiziario lavorerà a dovere e funzionerà, e che tutti i responsabili dell’ orrendo crimine, a ogni livello, affronteranno la giusta punizione della legge, dello Stato di diritto». Ma qual è la situazione nel mondo dei media oggi in Slovacchia? Voi giornalisti vi sentite sufficientemente liberi o siete sottoposti a minacce e intimidazioni? «Non posso rispondere a nome di tutti i giornalisti slovacchi, ma sono sicuro che molti di loro si sentano decisi a combattere contro la corruzione e il crimine organizzato e ogni illegalità e abuso di potere. Questa è la mia posizione e quella dei miei colleghi e collaboratori, specie nella nostra newsroom». Che cosa chiedete all’ Unione europea per aiutare la battaglia per la libertà dei media in Europa centrale? «Se l’ Unione europea vuole essere davvero un’ autorità europea deve trovare il modo per controllare e monitorare in maniera efficace la situazione della libertà mediatica e della democrazia nei suoi Stati membri. La Ue deve trovare strumenti per appoggiare in modo efficace la libertà dei media, perché come vediamo negli Stati del Gruppo Viségrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia Ungheria, ndr) oligarchi e politici vogliono controllare i media per influenzare l’ opinione pubblica». © RIPRODUZIONE RISERVATA Eppure, nonostante l’ assassinio di Kuciak e della sua compagna, non è paragonabile la libertà dei media in Slovacchia rispetto alla Russia o alla Turchia La marcia Una manifestazione a Bratislava, capitale della Slovacchia, in memoria del giornalista Jan Kuciak, ucciso insieme alla sua fidanzata Martina Kusnirova lo scorso 21 febbraio VLADIMIR SIMICEK/ AFP.
L'articolo Rassegna Stampa del 19/12/2018 proviene da Editoria.tv.