Indice Articoli
Cronisti precari? Meglio il dibattito Pd
Stampa, che passione. Ma soldi e affari sono in Lussemburgo
Cda Sole 24 Ore: iniziative a tutela di società e azionisti
L’ ostacolo del debito e il rebus Mediaset nel destino della ServiceCo Telecom
Agcom bacchetta Sky: informare meglio sul calcio
chessidice in viale dell’ editoria
Mattarella torna in campo per difendere l’ informazione Colloqui riservati con Conte
E i cronisti lo incalzano: basta delegittimare la stampa
Cronisti precari? Meglio il dibattito Pd
Il Fatto Quotidiano
Lorenzo Vendemiale
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Il vicepremier Di Maio convoca Ordine e sindacato dei giornalisti per un tavolo di confronto sull’ equo compenso e sul precariato, loro rifiutano. Con garbo ma neanche troppo: “Prima dovete chiederci scusa per gli insulti”, la motivazione ufficiale fornita al governo. I vertici della stampa italiana non andranno la settimana prossima al ministero dello Sviluppo economico. Anche perché quel giorno il segretario della Federazione, Raffaele Lorusso, e il presidente dell’ Ordine, Carlo Verna, saranno già impegnati altrove: a Bruxelles, a parlare di libertà di stampa. In un convegno organizzato al parlamento europeo dal Partito democratico. Tra M5S e giornalisti non è mai stato amore. Stavolta Di Maio sperava di seppellire l’ ascia di guerra per discutere della famosa legge sull’ equo compenso e più in generale del problema del precariato che affligge la categoria. Ma la risposta dei diretti interessati è stata gelida: “Nel ringraziare il ministro per l’ invito, il segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso, e il presidente dell’ Ordine dei giornalisti, Carlo Verna, gli hanno fatto presente che un confronto costruttivo fra il governo e gli enti dei giornalisti non può prescindere da un preventivo atto di pubblica ammenda degli insulti rivolti alla categoria”. Il riferimento è agli ultimi attacchi di Di Maio e di Alessandro Di Battista per l’ assoluzione di Virginia Raggi: dopo gli “infimi sciacalli” del vicepremier al “puttane e pennivendoli” digitato su Facebook direttamente dal Guatemala, i rapporti sono ai minimi storici. Stavolta il vicepremier sembrava animato da buoni propositi ma l’ offesa non poteva essere già stata dimenticata. Sindacato e ordine pretendono rispetto e una pubblica ammenda, il M5S non ci pensa nemmeno. “Non solo i giornali ci attaccano e offendono ogni giorno, ma adesso pretendono che Luigi Di Maio chieda scusa. E per cosa? Per aver sbugiardato il processo mediatico contro la Raggi? O perché vogliamo liberare i giornalisti dal ricatto degli editori che li sfruttano e sottopagano”, la replica grillina via Twitter. A Bruxelles i rappresentanti di Fnsi e Odg parleranno delle “sfide del giornalismo europeo”. Al convegno organizzato dall’ eurodeputata dem, Isabella De Monte, è annunciata la presenza anche di Lorusso e Verna, che quindi non potranno essere a Roma al Mise. E nemmeno avrebbero voluto esserci, anche se l’ invito era solo per discutere di equo compenso e dei diritti dei precari sottopagati. Possono aspettare: prima le scuse, “la pubblica ammenda”.
Stampa, che passione. Ma soldi e affari sono in Lussemburgo
Il Fatto Quotidiano
Fabio Pavesi
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Ogni volta che partono le rotative dei suoi giornali che siano Libero, Il Tempo o le testate dei locali Corrieri di Lazio e Abruzzo, Giampaolo Angelucci, l’ erede dell’ impero della sanità privata fondata dal padre, il deputato di Forza Italia da tre legislature Antonio Angelucci, segna rosso sulla sua agenda personale. Ogni euro che ricava dalla vendita delle sue testate produce immancabilmente solo perdite per la Tosinvest, la finanziaria di famiglia. Libero, la testata più importante posseduta al 60% dalla Fondazione San Raffaele che fa capo alla famiglia e al 40% dalla stessa Tosinvest, ha cumulato perdite per oltre 6 milioni solo negli ultimi 3 anni. Senza l’ aiuto dei contributi pubblici che drogano i ricavi per oltre 3 milioni l’ anno, il buco salirebbe a 15 milioni nel triennio. Il Tempo comprato nel 2016 per 12,5 milioni ha perso l’ anno scorso più di un milione di euro su soli 4,7 milioni di ricavi. La catena dei Corrieri del Centro Italia ha chiuso in rosso per 1,7 milioni su 6,5 milioni di incassi. Un bagno di sangue costante con le testate svalutate ogni anno che passa: Libero è stato svalutato per 4,6 milioni sui 12,4 dell’ anno prima. Il Tempo appena comprato è già stato svalutato per 1,7 milioni. E il gruppo del Corriere srl vale a bilancio 850 mila euro dopo un taglio secco di valore per 6,8 milioni. Senza contare i debiti: Il Tempo ne ha per 11 milioni su un patrimonio netto di soli 700 mila euro; Il Corriere srl per 12 milioni, il doppio dei ricavi; Libero per 22 milioni su un capitale di poche migliaia di euro. Che l’ editoria sia una passione malsana per gli Angelucci lo dicono le nude cifre. Ma tanta pervicacia – come l’ acquisto solo due anni fa del disastrato Il Tempo e il tentativo di comprarsi anche Panorama, sfilato agli Angelucci proprio da un loro ex direttore, quel Maurizio Belpietro che licenziato in tronco da Libero ha fatto causa vincendola di recente con un dazio per gli Angelucci di oltre 3 milioni da pagare – dice che i giornali pesano. Pesano per fare altri affari. Già perché i soldi, quelli veri, da sempre la famiglia romana li fa (o meglio li faceva) con le cliniche private attraverso la San Raffaele Spa. Ventidue strutture, soprattutto residenze per gli anziani tra Roma e il centro Italia, con 2.600 posti letto. Ovviamente convenzionati con il Sistema sanitario nazionale. È la fortuna costruita dal capostipite Antonio, il deputato tra i più ricchi e più assenteisti della Camera. Un piccolo impero che ora soffre. La San Raffaele ha perso, nel 2016, 23 milioni su 118 di ricavi. Il cuore è nel Centro Italia, ma la testa è in Lussemburgo. Le cliniche sono possedute infatti al 98% dalla holding lussemburghese Three Sa e per poco più dell’ 1% dalla Tosinvest. Gli Angelucci fanno affari in Italia, ma i soldi finiscono nel Granducato. Non solo la San Raffaele è controllata da lì, ma anche il gruppo Tosinvest ha la cabina di regia nel Paese dalla fiscalità agevolata. La Three sa controlla il 93,6% della Tosinvest; l’ altro 6,3% è di un’ altra scatola lussemburghese la Spa di Lantigos. Non finisce qui perché a sua volta la Lantigos controlla la stessa Three. Un ginepraio. Le due scatole lussemburghesi sono dovute intervenire di recente per assicurare finanza al gruppo Tosinvest in crisi. Lantigos ha convertito un credito di 45 milioni in versamento in capitale nella Tosinvest, che ha chiuso gli ultimi tre anni con perdite per oltre 8 milioni. C’ era bisogno di rafforzare il capitale delle attività italiane che hanno 100 milioni di debiti finanziari netti da pagare. Non solo. Sono state fuse nella Tosinvest le attività immobiliari (l’ altra vera ricchezza della famiglia) della Tosinvest real estate che hanno apportato cespiti per oltre 160 milioni. Oltre alla sanità privata, all’ immobiliare, ai giornali zoppicanti, gli Angelucci lavorano nel facility management (gestione servizi e manutenzioni immobiliari). E con la loro Natuna hanno vinto di recente la gara per l’ appalto al Senato, gara svoltasi fuori dai bandi Consip. L’ editoria è il braccio debole della galassia, ma è sull’ editoria che gli Angelucci corrono sempre sul filo del rasoio della legalità. C’ è un contenzioso aperto con l’ amministrazione finanziaria sull’ ex testata Il Riformista. Secondo il fisco nelle operazioni di valorizzazione e successive svalutazioni, fino alla cessione, gli Angelucci avrebbero realizzato un indebito vantaggio fiscale deducendo impropriamente una minusvalenza di 13 milioni risparmiando sulle tasse. Ma il clou delle appropriazioni indebite, o meglio delle truffe, è la vicenda Libero. La proprietà è degli Angelucci che in virtù dell’ affitto della testata all’ Editoriale Libero srl (controllata al 60% dalla Fondazione San Raffaele degli Angelucci e dal 2014 per il 40% dalla stessa Tosinvest) prendevano da sempre i contributi pubblici per l’ editoria. L’ Agcom e poi il Consiglio di Stato hanno deliberato che la testata avrebbe usufruito in modo illecito di 35 milioni di contributi pubblici dal 2006 al 2010. Soldi che vanno restituiti alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Ebbene lo schermo è caduto. A fare da manleva alla restituzione del maltolto ecco comparire la holding lussemburghese Spa di Lantigos, il forziere degli Angelucci all’ estero. È Lantigos che si è impegnata a pagare a rate per 10 anni il rimborso. Ma mentre gli Angelucci stanno restituendo i contributi illeciti, anche quest’ anno l’ editoriale Libero ha ottenuto i suoi 3 milioni di aiuto pubblico. Una farsa: se la famiglia deve restituire decine di milioni allo Stato perché non bloccare i nuovi contributi nel frattempo? Una storia che sa di beffa. Come di beffa ha il sapore del rientro in campo di Denis Verdini. L’ ex plenipotenziario di Berlusconi in Parlamento, di recente condannato a 6 anni per il crac del Credito cooperativo fiorentino, è stato ingaggiato dagli Angelucci per supervisionare i suoi giornali come presidente delle società che editano Il Tempo e i Corrieri locali. Sua la firma sugli ultimi bilanci. Chissà se, viste le perdite, il capitale ridotto all’ osso e i debiti imponenti, non si senta anche qui odore di crac.
Cda Sole 24 Ore: iniziative a tutela di società e azionisti
Il Sole 24 Ore
R.Fi.
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Il Sole 24 Ore ha comunicato che il consiglio di amministrazione della Società, nella riunione che si è svolta nella giornata di ieri sotto la presidenza di Edoardo Garrone, ha preso atto dell’ avviso di conclusione delle indagini ex art. 415-bis del codice di procedura penale notificato alla Società per gli illeciti amministrativi previsti dal decreto legislativo 231/01 nell’ ambito del procedimento penale numero 5783/2017 e ha deliberato di completare le analisi e le verifiche in corso con l’ ausilio di professionisti esterni, onde proseguire nelle azioni già intraprese e poter avviare le iniziative necessarie ed opportune per la tutela della Società e dei propri azionisti, ivi compresa la proposta di azione di responsabilità. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
L’ ostacolo del debito e il rebus Mediaset nel destino della ServiceCo Telecom
Il Sole 24 Ore
Antonella Olivieri
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Nel mondo ideale lo spezzatino Telecom con la nuova ricetta – dentro la rete, fuori i servizi – potrebbe forse essere una soluzione. Ma la chiusura del cerchio ancora non c’ è perchè l’ ipotesi deve fare i conti con la realtà del momento. Anzitutto c’ è un problema “tecnico” che qualcuno, tra chi ha studiato l’ opzione di scissione, giudica non superabile. La rete è l’ unico asset fisico a garanzia dell’ ingente debito di Telecom che sfiora i 30 miliardi. Trasferire anche solo parte del debito sulla società dei servizi, con la garanzia della rete nella casa madre, farebbe scattare le clausole dei prestiti che impongono il rientro immediato. Lo aveva provato sulla sua pelle il gruppo Fiat, ai tempi dell’ alleanza con Gm. In previsione di una scissione tra la parte auto e la parte “industrial” (autocarri e mezzi pesanti) era stato incaricato uno studio legale di passare al setaccio tutta la contrattualistica relativa ai rapporti con le banche e ai prestiti obbligazionari. Il responso era stato: ingestibile, troppe le insidie tecnico-legali contenute nei contratti. Solo il tempo, con la rinegoziazione dei contratti arrivati a scadenza, e la determinazione di Sergio Marchionne, salito poi al comando del Lingotto, avevano permesso di realizzare la mission impossible di separare le gemelle siamesi senza sacrificarne alcuna. In quel caso si trattava però di due realtà industriali, entrambe dotate di asset tangibili a supporto del debito che era stato spalmato tra le due società. Ma supponiamo che, per quanto differente, con un colpo di genio si riesca a risolvere anche la questione del debito Telecom, per esempio caricandolo solo sulla società della rete che, per reggerlo, dovrebbe godere di tariffe regolamentate a Rab, cioè col meccanismo utilizzato per stabilire i pedaggi autostradali che incentiva gli investimenti e consente di avere visibilità sui ricavi. Lo spin-off all’ incontrario, con la separazione dei servizi, avrebbe probabilmente l’ effetto di minimizzare il rischio esuberi rispetto all’ ipotesi di scorporo della rete d’ accesso (solo la parte finale, con la dorsale che risulterebbe spezzata in due). Secondo stime raccolte da Radiocor, la ServiceCo potrebbe avere un organico di 12mila dipendenti, rispetto ai 30mila che potrebbero restare nella casa madre e ai quasi 50mila addetti complessivi che il gruppo occupa oggi in Italia. Tuttavia la scissione dovrebbe avere anche il gradimento di Vivendi che si ritroverebbe ad avere, almeno inizialmente, il 24% in entrambe le società. L’ operazione non aiuterebbe più di tanto Vincent Bolloré a risolvere l’ altra partita aperta in Italia, quella di Mediaset. Il 4 dicembre è fissata l’ udienza al Tribunale di Milano per il contenzioso sorto sulla mancata compravendita di Mediaset Premium, senza che ci siano più – ormai da tempo – contatti tra le due parti, neppure tramite i rispettivi legali. Il Biscione, che ha ceduto – sostanzialmente gratis – la piattaforma tecnica della pay-tv a Sky, è ormai convinto che la parola fine sulla vicenda si metterà solo con una transazione risarcitoria. Una volta chiuso il contenzioso, Mediaset conta di esplorare ipotesi di alleanze su base europea che in futuro potrebbero forse allargarsi anche a Vivendi. Precondizione per una Telecom-Mediaset è che la rete resti fuori dal perimetro, ma la presenza francese nella ServiceCo sarebbe comunque preponderante, cosicchè di fatto un’ aggregazione si risolverebbe nell’ assorbimento del Biscione da parte di Vivendi. In questa intricata vicenda conta anche il fattore umano. Bolloré finora si è rifiutato di incontrare gli uomini di Elliott, con i quali potrebbe condividere probabilmente la visione finanziaria, si dice perchè imputi al fondo di Paul Singer l’ aver subito la gogna del fermo giudiziale per l’ accusa di corruzione internazionale. E la famiglia Berlusconi – non è un mistero – non ha gradito che il tentativo di scalata da parte di Bolloré sia avvenuto in un momento di problemi di salute del capostipite. Diciamo che su entrambi i fronti il fattore umano non predispone al dialogo. Il rebus non è ancora arrivato a soluzione. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Agcom bacchetta Sky: informare meglio sul calcio
Il Sole 24 Ore
(A. Bio.)
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Agcom bacchetta Sky sul calcio. Lo fa con un diffida formale con cui invita la pay tv a essere più chiara con i propri clienti sulle differenze intervenute nel pacchetto “Sky Calcio”. Per il triennio 2018-21, argomenta l’ Authority nella delibera 488/18/CONS pubblicata ieri sul proprio sito, Sky deterrà i diritti esclusivi per 7 partite su 10 di ogni turno di campionato. A Dazn i diritti esclusivi per le restanti 3 partite, oltre alla Serie B fino alla scorsa stagione in Sky. Anche se la pay tv ha aggiunto partite di Champions League, Europa League, Premier e Bundesliga, secondo Agcom i clienti di “Sky Calcio” hanno necessità di essere informati meglio (seguendo i dettami dell’ articolo 6 dell’ Allegato A alla delibera 519/15/CONS) sulla differenza rispetto alla scorsa stagione, in cui erano visibili tutte le partite della Serie A. Da qui la diffida a farlo entro 30 giorni dalla notifica del provvedimento. Pena una sanzione fino a 5 milioni. Da Sky, intanto, si apprende chel’ azienda, preso atto di questa diffida, non appena avrà la possibilità di essere ascoltata dall’ Autoritàconfida di poter dimostrare la bontà delle proprie ragioni,e sottolinea comunque di averdato ampia e tempestiva informazionein merito alla propria programmazionecon grande risalto su tuttii media.
chessidice in viale dell’ editoria
Italia Oggi
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Credito d’ imposta sugli investimenti pubblicitari, pubblicato l’ elenco degli operatori. Sono 6.781 le istanze presentate per poter usufruire del «bonus» fiscale sugli investimenti pubblicitari incrementali sulla stampa e sulle emittenti radiofoniche e televisive locali. L’ Agenzia delle entrate ha elaborato e trasmesso al Dipartimento per l’ editoria i dati relativi alle domande di «prenotazione». La gran parte degli operatori (circa l’ 88%) sono domande pervenute da piccole e medie imprese, da microimprese e da start-up innovative. Le istanze presentate generano un fabbisogno finanziario ampiamente superiore agli stanziamenti che la legge ha finalizzato a questa misura per l’ anno 2018 (12,5 milioni per gli investimenti pubblicitari incrementali su radio e televisioni locali e 30 milioni per quelli sulla stampa, cartacea e online) per cui le compensazioni che potranno essere riconosciute a ciascuno deriveranno dal riparto percentuale che è stato operato tra fabbisogno e stanziamento. L’ elenco degli operatori che potranno beneficiare del bonus fiscale è pubblicato sul sito del Dipartimento (informazioneeditoria.gov.it). Italiaonline, Roberto Giacchi sarà a.d. Italiaonline e Roberto Giacchi hanno raggiunto un accordo in base al quale quest’ ultimo assumerà il ruolo di direttore generale entro il 5 dicembre e quello di a.d. entro il 13 dicembre. Pertanto entro tale ultima data è previsto che il cda coopti Giacchi e gli conferisca le relative deleghe. «Sono molto contento di entrare in Italiaonline, azienda che ha fatto la storia di internet del nostro Paese, e di raccogliere il testimone di Antonio Converti, con cui nelle prossime settimane lavorerò per un efficace passaggio di consegne», ha commentato Giacchi. Nasce Triboo Audio: la nuova concessionaria del gruppo specializzata sulle radio digitali. Triboo, società quotata sul mercato Mta, ha aperto Triboo Audio, la nuova concessionaria pubblicitaria del gruppo specializzata sulle versioni digitali delle radio Fm, sulle radio digitali-native e sui formati podcast. In una nota la società ha spiegato che quello delle digital audio è un settore in forte espansione. Si prevede, infatti, che il mondo del contenuto audio rappresenterà uno dei driver della raccolta media nel corso del prossimo anno. Per questo motivo Triboo ha deciso di investire su una struttura altamente specializzata come Triboo Audio che ha già la concessione in esclusiva di RMCSport, emittente radiofonica e digitale fondata circa un anno fa da Alberto Hazan, già fondatore di Radio Montecarlo e Radio 105, da Tuttomercatoweb e dalla stessa Triboo. Altri progetti sono stati creati per clienti di differenti settori chiave, prodotti in sinergia con il gruppo Havas Media. Il formato pubblicitario è l’ audio-preroll di 30 secondi, collocato all’ inizio dello streaming sia su app che sul web, nonché i podcast delle digital radio. Diritti d’ autore, Soundreef: nuova battuta d’ arresto per Siae. Dopo la condanna per abuso di posizione dominante inflittale dall’ Autorità Antitrust, ieri il Tribunale di Roma ha sospeso il procedimento promosso nel 2014 dalla Siae, rimettendo gli atti alla Corte di giustizia dell’ Unione europea e aderendo di fatto all’ eccezione sollevata da Soundreef secondo la quale la vigente disciplina italiana (voluta dall’ ex ministro Franceschini) non sarebbe in linea con quanto imposto dalla direttiva Barnier. La Corte Europea, si legge in una nota, potrebbe quindi confermare che Soundreef non ha agito in concorrenza sleale in quanto, almeno dal 2014, aveva diritto di operare in Italia. Sole 24 Ore prende atto della conclusione delle indagini, si avvarrà di professionisti esterni. Il cda del Sole 24 Ore ha preso atto dell’ avviso di conclusione delle indagini notificato alla società per gli illeciti amministrativi e ha deliberato di completare le analisi e le verifiche in corso con l’ ausilio di professionisti esterni. Questo, fa sapere l’ azienda, onde proseguire nelle azioni già intraprese e poter avviare le iniziative necessarie e opportune per la tutela della società e dei propri azionisti, ivi compresa la proposta di azione di responsabilità. Intanto sempre nel gruppo di via Monte Rosa Luigi Gubitosi ha rassegnato le proprie dimissioni dalla carica di consigliere indipendente non esecutivo essendo venuti meno i requisiti di indipendenza a seguito della sua nomina ad a.d. e d.g. di Tim, società associata a Confindustria. Gubitosi ha svolto le funzioni di presidente del comitato controllo e rischi e del comitato editoriale, con la qualifica di consigliere indipendente. È stato altresì membro del comitato operazioni con parti correlate. Wpp, Riccardo Corsini lascia il gruppo dopo nove anni. Riccardo Corsini, dopo nove anni, lascia il gruppo Wpp, uno dei leader globali nella pubblicità e nelle pubbliche relazioni, dove da ultimo ha ricoperto il ruolo di responsabile degli affari istituzionali e governativi per l’ Italia e, fino al gennaio 2016, il ruolo di managing director e responsabile dell’ ufficio di Roma per Burson-Marsteller. Wpp Italia ringrazia Corsini «per l’ impegno profuso nello svolgimento dei suoi incarichi e gli augura un futuro pieno di ulteriori soddisfazioni professionali».
Mattarella torna in campo per difendere l’ informazione Colloqui riservati con Conte
La Repubblica
UMBERTO ROSSO
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Sergio Mattarella è preoccupato per la raffica di tagli messi in campo dal governo contro i giornali che appaiono ispirati da una logica “punitiva”. Sorretti da una campagna martellante di insulti e accuse al ruolo stesso di un’ intera categoria. Al punto che ne ha voluto parlare, qualche giorno fa, con Giuseppe Conte. Una telefonata, per capire dalla viva voce del premier lo stato dell’ arte sul fronte libertà di stampa visto dalla maggioranza. Considerato che c’ è un collegato, nella manovra, che spegne gli aiuti statali per le piccole testate, le cooperative, la stampa delle minoranze linguistiche, i giornali del volontariato e del mondo religioso. Contributi azzerati, via il 90% del cento del sostegno pubblico, secondo la linea che porta la firma del sottosegretario Vito Crimi, all’ arcipelago di un’ informazione di “base”. Il che, come è stato spiegato al premier nel colloquio, non è propriamente il punto di vista del Colle. Il ragionamento fatto da Mattarella è che il pluralismo dell’ informazione «non va semplicemente permesso e tutelato, ma garantito e appoggiato con l’ intervento pubblico». E quindi «non può venire meno il sostegno dello Stato nei riguardi di certe testate che danno voce alle minoranze». Insomma, sul tavolo ci sono tagli indiscriminati che al Quirinale non piacciono. Il pallino delle decisioni è ovviamente nelle mani del governo, dal Colle non si interferisce nelle scelte finali, ma il messaggio è lanciato. Conte, in visita a Napoli, prova a ricucire con i giornalisti e incontra a Palazzo Reale tre cronisti sotto scorta (Sandro Ruotolo, Stefano Minieri, Nello Trocchia). Solo che il format un po’ originale prevede che sia il premier a fare le domande ai cronisti, e non viceversa, e quando gli chiedono se l’ incontro segnali una presa di distanze dagli attacchi alla stampa dei colleghi di governo, il premier glissa: «La lista dei giornalisti buoni e cattivi è stata fatta dal Guatemala, non dal governo». Ovvero, rivolgersi a Di Battista. Il tutto mentre Mattarella scende ancora in campo per difendere la libertà di stampa, «bene pubblico di rilevanza costituzionale». Lo fa con un messaggio per i 20 anni della Agcom, l’ informazione è «strumento primario di conoscenza e di valutazione critica», e rientra «nel novero dei diritti di rilevanza costituzionale, strettamente correlato ad altri principi fondamentali riconosciuti dal nostro ordinamento». È il sesto intervento del capo dello Stato sull’ argomento, nel giro di un paio di mesi. Certo, è tema da sempre nelle corde di Mattarella (che alle spalle ha anche la direzione del giornale della Dc Il Popolo) ma di sicuro il clima di scontro spinge il Quirinale a piantare paletti e mettere in guardia rispetto ai rischi della campagna-bavaglio. Grillo sostiene che la stampa è vergognosa e Di Maio parla di editori «prenditori» che inquinano la vita pubblica? Il capo dello Stato (15 settembre) esalta il valore costituzionale dell’ informazione. Poi difende i contributi pubblici alle testate degli italiani all’ estero (23 ottobre). Nel messaggio al Sir (29 ottobre), all’ indomani dell’ attacco di Di Maio a Repubblica per gli articoli sulla manifestazione contro Raggi, denuncia «insidie e tentativi di fiaccare la piena autonomia della stampa». Parlando agli studenti al Quirinale (il 12 novembre), nei giorni degli attacchi di Di Maio e Di Battisti ai giornalisti definiti «cani da riporto» e «puttane», spiega che «sono proprio gli articoli che non condivido che mi aiutano meglio a riflettere». E a Merano (il 19 novembre) dice no ai tagli ai giornali delle minoranze linguistiche previsti dal piano Crimi.
Lena (Leading European Newspaper Alliance) è l’ alleanza editoriale di cui Repubblica fa parte insieme a Die Welt
La Repubblica
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(Germania), El País (Spagna), Le Figaro (Francia), Le Soir (Belgio), Gazeta Wyborcza (Polonia), Tages Anzeiger (Svizzera) e Tribune de Genève (Svizzera). Il consorzio Lena riunisce otto testate europee, circa 2.500 giornalisti, sette milioni di lettori cartacei e circa 45 milioni di utenti unici online in Europa. Die Welt (“mondo” in tedesco) è uno dei più antichi giornali in Germania in circolazione. La sua prima uscita risale al 1946. È d’ ispirazione conservatrice e liberista. Fondato nel 1976, progressista, è attualmente il quotidiano più diffuso in Spagna. Il sito online elpais.com è il quotidiano digitale in spagnolo più letto al mondo. È nato nel 1826 ed è il più antico quotidiano di Francia attualmente in circolazione. Uno dei primi suoi collaboratori fu lo scrittore Émile Zola. È di ispirazione post-gaullista. Fondato nel 1887, di lingua francese, è uno dei maggiori e più antichi quotidiani in Belgio. La sua linea è progressista e liberale. Del 1893, come la Tribune fa parte del gruppo Tamedia. In lingua tedesca, è tra i più venduti quotidiani in Svizzera. Ha posizioni liberali e vicine al centro-sinistra. Fu un banchiere americano, James T. Bates, a fondarlo nel 1879. Di lingua francese, è il quotidiano di riferimento di Ginevra e tra i maggiori in Svizzera. “Gazzetta elettorale”, è il giornale simbolo della Polonia libera. È nato nel 1989 sulla spinta del movimento democratico Solidarnosc. Adam Michnik ne è direttore dalla fondazione.
E i cronisti lo incalzano: basta delegittimare la stampa
La Repubblica (ed. Napoli)
d. d. p. – r. f.
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A Palazzo Reale il capo del governo intervista tre giornalisti sotto scorta: “Nessuno toccherà la vostra libertà” Il format è insolito. Chi dovrebbe dare le risposte, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, fa le domande a tre giornalisti, Sandro Ruotolo, Salvatore Minieri e Nello Trocchia, costretti a vivere sotto scorta per le minacce ricevute dalla camorra. Così il premier tenta il più possibile di schivare la polemica sui violentissimi attacchi rivolti da esponenti della sua stessa maggioranza contro la stampa. Ma Ruotolo lo incalza: « Vi definite governo del cambiamento, ma vi comportate esattamente come tutti i governi precedenti. Berlusconi fece l’ elenco dei giornalisti buoni e cattivi, una cosa che però può fare il lettore o lo spettatore » . Il premier tenta di interromperlo: «Mica l’ abbiamo fatto noi». Ma Ruotolo insiste: « Voi dovete fare la legge sul conflitto d’ interessi, non gli elenchi » . E Conte prova a ribattere: « Non tutti i vostri colleghi sono d’ accordo » . Ruotolo, di rimando, lo rintuzza: « Ma lei ha invitato me a parlare » . Finisce con il premier che tenta di rassicurare la platea: « L’ elenco dei giornalisti buoni e cattivi l’ hanno fatto dal Guatemala ( si riferisce all’ esponente grillino Alessandro Di Battista n. d. r.) non un membro del governo » . E concede: « La libertà di stampa è un pilastro del sistema democratico. Nessuno vuole metterla in discussione, non abbiate timori » . Poi prova a spiegare: «Dopo tutti gli attacchi ci può essere un momento di reazione. Non è una giustificazione, ma non dovete temere per la vostra professione » . La ferita aperta dall’ offensiva pentastellata contro i giornali è ancora viva. Ruotolo apre il forum dicendo: « Abbiamo brindato all’ articolo 21 della Costituzione e alla libertà di informare che, di questi tempi, sembra un po’ traballante». Conte si affretta a correggere: « È un brindisi alla libertà di informare e al diritto di essere informati ». Nel corso della ” intervista”, il premier non replica a Trocchia, che non gliele manda a dire: « Mi tolgo un sassolino dalla scarpa, presidente. Non ci fa bene questa delegittimazione continua, epiteti come meretrici e pennivendoli non ci aiutano » . Prova a usare l’ ironia, il premier, replicando a Trocchia che tocca il tasto delle querele e delle azioni civili con esorbitanti richieste di risarcimento danni contro i giornalisti: «C’ è anche il rovescio della medaglia. Appena nominato presidente del Con siglio, avevo detto che non avrei mai agito in giudizio contro i giornalisti. E da lì un profluvio di articoli diffamatori ». Poco prima, a Forcella, aveva risposto così quando Repubblica gli aveva chiesto se la tavola rotonda con i cronisti minacciati fosse una anche una risposta a chi, nella sua maggioranza, i giornalisti li insulta: «Nessuna risposta, non alimentiamo polemiche, incontro i giornalisti perché sono delle persone che con le loro inchieste rischiano la vita tutti i giorni, credo che sia giusto che abbiano il sostegno delle istituzioni » . E alla fine, da buon intervistatore, elargisce addirittura consigli professionali: « Capisco che con i social vi sentiate messi in discussione. Ma oggi è impensabile una politica senza social. Se mi fossi affidato solo ai giornali non mi sarei sentito rappresentato e descritto. Non ero su nessun social prima di diventare premier. Oggi su Facebook trovate quello che faccio, ma questo non riduce i vostri spazi. Anzi forse è uno stimolo a fare meglio il vostro mestiere». – © RIPRODUZIONE RISERVATA
L'articolo Rassegna Stampa del 24/11/2018 proviene da Editoria.tv.