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Rassegna Stampa del 14/11/2018

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Indice Articoli

Il caso giornalisti divide il Movimento Fattori: quelli eletti con noi si dimettano

Stampa, il vero insulto è essere pagati sei euro ad articolo

L’ arma conflitto di interessi per eliminare gli editori

Mediaset fa il pieno di pubblicità grazie a radio e Mondiali di Calcio

«No alle minacce di Di Maio» i giornalisti scendono in piazza

Bonafede lancia la sfida alla Lega: «Conflitto di interessi, la legge si fa»

Natale da 500 milioni per Mediaset Nel 2019 possibile ritorno della cedola

Rai Way conferma i target 2018

Rcs, accordo sul debito con banche

Sono troppe le anticipazioni sicurissime che poi vengono sonoramente smentite

Chessidice in viale dell’ editoria

Repertori minori, poteri a Siae

I GIORNALISTI BUONI

“Elenco dei buoni puerile le pagelle le dà il lettore”

Di Battista, lista dei “giornalisti liberi”

Mediaset, tornerà il dividendo In calo i ricavi di Vodafone

Il caso giornalisti divide il Movimento Fattori: quelli eletti con noi si dimettano

Corriere della Sera

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Dino Martirano ROMA Dopo le parole confortanti del presidente della Repubblica sul valore di poter sempre leggere sulla libera stampa anche opinioni che non si condividono, ai giornalisti italiani scesi ieri in piazza contro gli attacchi e le volgarità dei vertici del M5S si rivolge il presidente del Consiglio. E i toni del professor Giuseppe Conte sono più soft rispetto a quelli usati da Luigi Di Maio e da Alessandro Di Battista (giornalisti «sciacalli» e «puttane») dopo l’ assoluzione della sindaca di Roma Virginia Raggi «perché il fatto non costituisce reato». «Questo governo è per la libertà di stampa, non dovete assolutamente temere, non sarà mai messa in discussione, è un principio fondamentale», dice rassicurante il premier interpellato dai cronisti alla conferenza di Palermo. Ma poi aggiunge: «Come voi attaccate violentemente può accadere che veniate attaccati violentemente, con espressioni lessicali eccessive… Buon lavoro…». Ma qui finiscono le parole concilianti centellinate dal governo mentre l’ autorità per le garanzie nelle comunicazioni ribadisce il caposaldo della difesa della libera manifestazione del pensiero. Per ricordare a tutti il secondo comma dell’ articolo 21 della Costituzione («La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure»), i giornalisti mobilitati dalla Federazione nazionale della Stampa (Fnsi) e dall’ Ordine nazionale hanno manifestato in piazza a Roma, Milano, Firenze, Napoli, Palermo, Bari e in molti capoluoghi: «Il flash mob #Giùlemanidall’ informazione è stato solo il primo passo, altre iniziative seguiranno fino a quando le aggressioni, le ingiurie e le minacce ai giornalisti alla stampa non termineranno». Il blog delle Stelle ha attaccato di nuovo gli editori dei principali quotidiani italiani che, a causa del «conflitto di interesse anziché informare i cittadini hanno l’ obiettivo di orientare l’ opinione pubblica». Invece l’ imprenditore Davide Casaleggio, che rappresenta la bussola M5S con la sua piattaforma informatica, viene difeso dal Guardasigilli Alfonso Bonafede: «Non abbiamo nulla da chiarire. Il rapporto tra la piattaforma Rousseau e il M5S va oltre la trasparenza imposta dalla legge». Nel M5S (mentre la Lega glissa ed evita scontri diretti) la linea è segnata. Di Battista scrive su Facebook l’ elenco dei giornalisti che, a suo parere, «hanno la schiena dritta e sono liberi». Di Maio non retrocede e ricorda che «chi oggi grida alla censura in passato ha epurato Enzo Biagi» dalla Rai. Ma c’ è anche il senatore/giornalista Primo Di Nicola che in tv dice di avere apprezzato le parole del presidente Mattarella. Insomma, i toni non si abbassano e giornalisti eletti con il M5S (oltre a Di Nicola, Emilio Carelli e Gianluigi Paragone ma anche Di Maio che ha la tessera di pubblicista) sono indicati come destinatari di una proposta della dissidente grillina Elena Fattori: «Coerenza vorrebbe che per dimostrare la loro verginità tutti i giornalisti eletti con i 5 Stelle si dimettessero…».

Stampa, il vero insulto è essere pagati sei euro ad articolo

Il Fatto Quotidiano
Alessandro Robecchi
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Quando arrivi a prendertela con i giornalisti vuol dire che hai esaurito tutte le altre scuse, e “lasciateci lavorare”, e “la gente non capisce”, eccetera eccetera, e sei arrivato finalmente al bar, dove vale tutto. Sia messo a verbale che per un politico attaccare la stampa è sempre un mezzo autogol e un segno di debolezza. E questo senza addentrarsi nella qualità dell’ insulto: “Infimi sciacalli” (Di Maio) non è granché, mentre “puttane” (Di Battista) è sgradevole anche per motivi che coi giornalisti non c’ entrano niente. Si prova una certa nostalgia per le “iene dattilografe” di D’ Alema, che sposava irridente perfidia e raffinatezza stilistica, e questo per dire che si peggiora ma non si inventa niente. La categoria è balzata su come una bestia ferita, cosa che fa periodicamente con più o meno convinzione. Si è visto vibrare orgoglio professionale, alcuni hanno fotografato il tesserino per postarlo sui social, e in generale la risposta all’ attacco scomposto dei 5stelle è stata piuttosto veemente. Insomma, giù le mani dalla libera stampa. Mi associo pienamente. Anche se a tratti nella partita non si distinguevano più due cose un po’ diverse tra loro: la difesa della libertà di stampa e la difesa di una corporazione. Poi, quando sarà passato lo tsunami di indignazione, si potrà magari discuterne meglio, a partire da due o tre cosette. La prima riguarda la politica: dire un giorno che i giornali sono morti e non contano più niente, e il giorno dopo attaccarli come potere ostile è una palese contraddizione (comune a tutta, o quasi, la politica). Significa che il famoso disegno culturale dell’ intermediazione (il mito della Rete per i grillini, ma in generale i social per tutta la politica) non sta funzionando granché. Renzi dettava la linea a colpi di tweet, ma intanto prendeva la Rai e curava i rapporti con i giornali, Salvini fa il fotomodello di se stesso e i media lo adorano. Nomine e promozioni sono terreno di battaglia. Insomma, disintermedia qui, disintermedia là, ma il parere della stampa ai politici interessa ancora parecchio. Come dicono quelli bravi – ma sarà per consolarsi – bisogna trasformare le disgrazie in opportunità. Sarebbe bello che i giornalisti italiani, così bruscamente insultati, sfruttassero questo loro sussulto d’ orgoglio e ne usassero la spinta propulsiva per riflettere un po’ su se stessi, sulla professione, sulle sue modificazioni. I dati sul precariato nella categoria fanno spavento, si scrive per otto euro, per cinque euro al pezzo, i giornalisti sotto i quarant’ anni arrivano in media a sei-settecento euro al mese, c’ è un vastissimo lumpen-proletariat del lavoro intellettuale, che diventa sfruttamento e ricatto professionale. I giornalisti garantiti da un contratto e da uno stipendio decoroso sono ormai una minoranza, la norma è una specie di McDonald’ s dell’ informazione dove si friggono notizie a basso costo. Poi, come se non bastasse, tutti i giornalisti hanno questo destino infame: sentirsi spesso dare lezioni di giornalismo da gente che non ha mai messo piede in una redazione, che non ne sa niente. Ma loro, i giornalisti, che nelle redazioni ci stanno, che conoscono la macchina e sanno come funziona, dovrebbero accorgersi che queste forme di sfruttamento, che allungano quasi a vita l’ età del precariato, nuocciono alla professione, nella sua dignità, anche più dell’ insulto del politico di turno in piena crisi di nervi. “Perché non mi scrivi una bella pagina sulla meritocrazia? Te la pago sei euro e cinquanta!”. Ecco una buona metafora di come sta messo oggi il giornalismo italiano, e si può valutare se la sua perdita di qualità non sia dovuta anche a questo. Nel dibattito sulla stampa offesa, tutto questo non c’ è: solo insulti, allarmi e grida d’ orgoglio ferito, politici isterici, giornalisti indignati e morta lì. Peccato.

L’ arma conflitto di interessi per eliminare gli editori

Il Giornale

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Fabrizio de Feo Avere un nemico fa sempre comodo. E così i Cinquestelle, non potendo più puntare il dito contro il potere, il governo e il Parlamento, di cui sono ormai i principali azionisti, rivolgono le loro affettuosità verso giornalisti ed editori. Non ci sono solo gli insulti e le liste dei «pennivendoli» graditi e non, a fare notizia ma anche la produzione di vere e proprie misure punitive per il sistema dell’ informazione. Nella legge di Bilancio 2019 è previsto un «azzeramento graduale del fondo pubblico per l’ editoria». Non si tratta di finanziamenti a grandi giornali o giornali di partito – da tempo aboliti – ma di fondi per le cooperative giornalistiche; imprese possedute interamente da enti senza fine di lucro; quotidiani e periodici delle minoranze linguistiche; enti che editano periodici per non vedenti o ipovedenti; associazioni di consumatori; imprese editrici di quotidiani e periodici diffusi all’ estero e le radio e tv locali. Questo, però, è soltanto l’ ultimo affondo. Di misure anti-editoria ne sono state pensate e annunciate parecchie. Vito Crimi ha parlato di rivedere le agevolazioni postali. Luigi Di Maio ha puntato il dito contro le inserzioni pubblicitarie da parte delle aziende controllate dallo Stato. «Stiamo approntando la lettera alle società partecipate dallo Stato per chiedere di smetterla di pagare i giornali (con investimenti spropositati e dal dubbio ritorno economico) per evitare che si faccia informazione sui loro affari». Sempre il capo politico dei Cinquestelle ha annunciato che «è arrivato il momento di fare una legge contro il conflitto di interessi così chi possiede dei giornali non avrà più commistioni con la politica». E ieri Di Maio ha ricordato che «c’ è una proposta di legge che porteremo a breve in Parlamento che incentiva i cosiddetti editori puri, cioè quegli editori che non hanno interessi politici né economici». Il ministro della Giustizia su questo si è detto pronto a sfidare Matteo Salvini per il quale «il conflitto di interessi non è una priorità». «Non ho dettagli sui tempi» dice Alfonso Bonafede «ma la legge sul conflitto di interessi è una priorità, il contratto di governo è chiarissimo. Non ho bisogno di chiedere nulla a Salvini». Senza dimenticare la volontà sempre di Crimi, sottosegretario con delega all’ Editoria, di «rivedere il sistema delle agenzie di stampa che sono troppe». E la «promessa» di presentare una proposta per l’ abolizione dell’ Ordine dei giornalisti. L’ accanimento contro un settore in crisi e che svolge una funzione pubblica è dunque dichiarato, oltretutto a opera di un movimento i cui leader frequentano a loro modo il mondo del giornalismo. Alessandro Di Battista ha dichiarato di aver firmato «un bel contratto» con il Fatto Quotidiano per i suoi articoli dall’ America, Luigi Di Maio è giornalista pubblicista. Chi mostra maggiore equilibrio e rispetto della libertà di stampa è Giuseppe Conte. A Palermo un giornalista prende la parola e ringrazia il presidente del Consiglio per la sua visita a sorpresa nel Media center di Villa Igiea. Ma poi chiede al premier un commento sulle dure parole pronunciate da Di Maio contro i giornalisti. E a questo punto scatta l’ applauso di tutti i colleghi presenti. Conte prima scherza: «C’ è l’ insidia, mi stavo commuovendo». Poi spiega serio: «Ho fatto quel gesto perché volevo vedere come vi stava trattando l’ organizzazione. Ma vorrei chiarirlo, questo governo, e non solo io personalmente, è per la libertà di stampa, non dovete assolutamente temere. Come spesso voi attaccate violentemente noi, può capitare che anche voi veniate attaccati violentemente. Ci sta».

Mediaset fa il pieno di pubblicità grazie a radio e Mondiali di Calcio

Il Giornale

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L’ aumento della quota di mercato pubblicitario sia in Italia sia in Spagna e la riduzione dei costi complessivi in entrambi i mercati, nonostante l’ acquisizione dei diritti del Campionato Mondiale di Calcio. Sono queste due mosse che hanno consentito a Mediaset di portare i margini consolidati dei primi nove mesi 2018 ai livelli dell’ esercizio precedente, migliorando la performance del gruppo registrata nel primo semestre dell’ anno. Per l’ intero 2018 «il risultato operativo – la cui entità sarà funzione dell’ andamento dei ricavi pubblicitari sui quali la visibilità rimane ancora limitata – dovrebbe essere leggermente superiore a quello registrato nello scorso esercizio», aggiunge in una nota la società. Nel terzo trimestre dell’ anno l’ incremento della raccolta pubblicitaria del Biscione in Italia è stato del 3,5% «grazie alla fase finale dei Mondiali di calcio e al brillante andamento del settore radiofonico», sottolinea il gruppo guidato da Pier Silvio Berlusconi ricordando anche che i costi sono scesi per 71 milioni. Il trimestre vede, così, migliorati rispetto al 2017, sia il risultato operativo (33,1 milioni) sia il risultato netto, per 24,3 milioni. Nei primi nove mesi dell’ anno Mediaset ha registrato un utile netto di 27 milioni rispetto ai 34,5 milioni dello stesso periodo del 2017, con ricavi a 2,477 miliardi contro i 2,473 precedenti. Entrambi i dati sono riclassificati togliendo il contributo della ceduta Ei Tower. L’ indebitamento finanziario è sceso dai 1,39 miliardi del 31 dicembre 2017 ai 961 milioni del 30 settembre scorso, dato non comprensivo delle passività del gruppo Ei Towers pari a 357 milioni. Quanto agli accordi raggiunti con Sky e con Telecom Italia, «nel corso di quest’ anno porteranno un contributo in termine di risultato operativo di Mediaset sul 2019 quantificabile in 60-80 milioni per quanto riguarda i primi e di 10-15 milioni per quanto riguarda i secondi», ha detto il direttore finanziario, Marco Giordani.

«No alle minacce di Di Maio» i giornalisti scendono in piazza

Il Mattino

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Giornalisti in piazza a Napoli per dire #GiùLeManiDallInformazione. Il flash mob promosso dalla Federazione nazionale della Stampa Italiana si è svolto, in piazza del Plebiscito, dinanzi agli uffici della Prefettura e ha visto la partecipazione di circa duecento giornalisti. Alcuni manifestanti hanno esposto striscioni e cartelli con le parole offensive pronunciate nei giorni scorsi del vicepremier Luigi Di Maio e dall’ esponente del Movimento 5 Stelle Alessandro Di Battista («puttane», «sciacalli», «pennivendoli»). «Siamo qui in piazza a Napoli, come in diverse altre piazze d’ Italia, per dire no a chi vuole mettere il bavaglio alla stampa, a chi vorrebbe leggi liberticide per attaccare sia il nostro Ordine che i giornali», ha commentato il segretario del Sindacato Unitario Giornalisti Campania, Claudio Silvestri. «Gli insulti da parte di esponenti del Governo e del M5S non scuotono l’ amor proprio e la dignità di una professione, ma minacciano la libertà e i diritti costituzionali: vogliono eliminare ogni forma di intermediazione rappresentata da giornali e organi di informazione per sostituirla con l’ omologazione dell’ informazione attraverso la rete e i social», ha rilanciato il consigliere nazionale della Fnsi, Gerardo Ausiello. «C’ è un violento attacco alla categoria, nei confronti dell’ informazione e di chi fa informazione. A rischio estinzione, con l’ annunciato taglio dei fondi per l’ editoria, ci sono innanzitutto le piccole testate», ha spiegato il presidente dell’ Ordine dei giornalisti della Campania, Ottavio Lucarelli. Accanto alla Fnsi e al Sugc in piazza a Napoli l’ Ordine dei giornalisti, l’ associazione Articolo 21, l’ associazione Libera, Cisl, Uil, Uilcom, la rete Link e la Confederazione degli studenti. La manifestazione si è svolta contemporaneamente anche nelle piazze di Ancona, Aosta, Bari, Bologna, Bolzano, Cagliari, Campobasso, Firenze, Genova, Palermo, Perugia, Pescara, Potenza, Reggio Calabria, Torino, Trieste, Venezia, Milano e Roma. Nella Capitale c’ erano i vertici di Ordine e Fnsi. «Se il presidente della Repubblica, uomo mite, pacato e moderato, per la quinta volta in un mese deve dirci che la libertà d’ informazione è presidio della democrazia, potete immaginare se non dobbiamo essere preoccupati» ha detto Giuseppe Giulietti, presidente della Fnsi. Nei prossimi giorni «per iniziativa comune di Federazione della stampa e di quella degli editori, verrà pubblicato su decine di testate l’ articolo 21 della Costituzione sulla libertà di stampa» ha annunciato Raffaele Lorusso, segretario nazionale della Fnsi. E Carlo Verna, presidente dell’ Ordine dei giornalisti, ha aggiunto: «Si deve rispondere a un clima di volgarità e di odio anche pericoloso con compostezza e determinazione. Non basta un ruggito per difendere un valore importante come la libertà di stampa. Dobbiamo essere come un motore diesel, non fermarci». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Bonafede lancia la sfida alla Lega: «Conflitto di interessi, la legge si fa»

Il Messaggero
Sa. Men.
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ROMA Prescrizione e anticorruzione sono temi importanti, ma per il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede lo diventa sempre di più anche il conflitto di interessi. Un intervento che sarà fatto in ottica ampia, dice al margine di un convegno alla Luiss: «La legge sul conflitto di interessi è nel contratto di governo, per noi è una battaglia fondamentale e si farà. Su questo c’ è l’ impegno del Movimento da sempre. Ci occuperemo anche di conflitto di interessi in editoria per avere finalmente stampa libera e pluralismo in Italia». La tensione con la Lega sull’ argomento è evidente, Salvini ha detto più volte che non condivide l’ impostazione e che l’ argomento non lo convince. Due giorni fa ha chiuso: «Il conflitto di interessi non è una mia priorità». Lo scambio di battute fa già capire che l’ argomento accenderà i cuori della maggioranza giallo verde, visto che il Guardasigilli ieri ha ripetuto che invece la priorità c’ è, «è a prescindere dalle opinioni, il contratto di governo è chiarissimo». A favore di una legge, purché sia ampia, è anche il presidente di Anac, Raffaele Cantone: «Abbiamo necessità di una legge sul conflitto di interessi nella pubblica amministrazione – spiega – il punto irrinunciabile è che i conflitti emergano, siano trasparenti perché spesso sono l’ anticamera dei fatti di corruzione». I FLASH MOB Il tema del rapporto tra i Cinque stelle e i giornalisti ha attraversato l’ intera giornata di ieri. In tutti i capoluoghi di provincia i giornalisti sono scesi in piazza contro gli attacchi ricevuti nei giorni scorsi, quando i cronisti sono stati chiamati «infimi sciacalli» e «puttane»: flash mob organizzati dalla Fnsi, con l’ adesione dei sindacati, dell’ ordine dei giornalisti e dell’ Anci. «La libertà di informazione – replica Di Maio – si garantisce prima di tutto migliorando le condizioni di lavoro dei giornalisti. Soprattutto i giornalisti sottopagati, al limite dello sfruttamento». Poi la replica all’ opposizione: «Chi parla di dittatura oggi o di pericolo di dittatura come Berlusconi, mi fa un pò ridere perché rappresenta quella classe politica che quando era al governo ha addirittura epurato giornalisti come Biagi, Luttazzi e Santoro». Prova a gettare acqua sul fuoco il premier Giuseppe Conte: «Delle volte – sostiene – può capitare che, come voi attaccate violentemente, veniate attaccati violentemente con qualche affermazione lessicale che possiamo giudicare eccessiva». Ma il fronte pentastellato non è compatto. La senatrice ribelle Elena Fattori lancia la sfida: «Coerenza vorrebbe che per dimostrare la loro verginità tutti i giornalisti eletti col 5 stelle si dimettessero». A difesa della stampa anche l’ Agcom: «Ogni attacco agli organi di stampa rischia di ledere il principio costituzionale di libera manifestazione del pensiero». Sa. Men. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Natale da 500 milioni per Mediaset Nel 2019 possibile ritorno della cedola

Il Sole 24 Ore
Simone Filippetti
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Il Natale del 2018 porterà sotto l’ albero un super dono a Mediaset: 500 milioni che faranno chiudere l’ anno con un utile che non si vedeva da anni negli uffici del Biscione. Merito della vendita di Ei Towers (scalata da F2i che ha preso la maggioranza) che porta una plusvalenza di oltre mezzo miliardo. Utili da anni d’ oro e debiti in netto calo si potranno tradurre in un premio per gli azionisti (in primis la Fininvest dell’ ex premier Silvio Berlusconi e famiglia): il pagamento di un dividendo il prossimo anno, dopo un digiuno che dura da diversi anni. Al netto dell’ incasso straordinario, il 2018 rimane un anno difficile per l’ industria dei media, e non solo in Italia ma in tutta Europa (dove l’ inglese WPP ha lanciato un profit warning) perché il mercato pubblicitario è debolissimo in Italia. E solo il colpaccio dei Mondiali, scommessa vinta contro ogni pronostico da Pier Silvio Berlusconi, ha permesso di tamponare nei primi sei mesi. L’ estate non è mai un periodo dell’ anno cruciale per Mediaset, perché le aziende pianificano le campagne pubblicitarie al ritorno dalle vacanze. Invece quest’ anno un trimestre solitamente debole ha dato una spinta forte: merito appunto dei Mondiali (la finale di Mosca è caduta a luglio come calendario),che ha fatto salire la raccolta pubblicitaria in Italia del 3,5% nell’ estate (evitando che tutto il mercato italiano finisse in negativo). Così al giro di boa di fine settembre i ricavi del gruppo si sono attestati a 2,43 miliardi (30 milioni in meno rispetto al 2017). Non è bastato però per dare la spinta ai primi nove mesi che chiudono sì in utile, ma meno dell’ anno scorso (27 milioni contro 34). L’ Italia rimane il “sorvegliato speciale” : il risultato operativo è in perdita per 67 milioni (-61 l’ anno scorso) mentre la Spagna è il cuscinetto del gruppo (182 milioni di utile operativo). Tuttavia l’ Ebit consolidato, a 114 milioni, è superiore alle stime del piano industriale che Mediaset presentò a Londra quasi due anni fa. Per la tv della famiglia Berlusconi, come per ogni broadcaster gratuito che vive di pubblicità, sono i mesi finali dell’ anno dove si concentrano i maggiori introiti, con le aziende che pompano la «reclame» in vista del Natale. A ottobre l’ effetto “festività” ancora non c’ è stato: nel primo mese dell’ ultimo trimestre la pubblicità è scesa dell’ 1%. Colpa del calcio: l’ anno scorso Mediaset aveva ancora la Champions League, quest’ anno tornata di nuovo sotto le insegne di Sky e dunque l’ inizio autunno ha scontato l’ assenza dello sport. A parità di confronto, il risultato sarebbe in crescita del 3%. Tuttavia la sorpresa del terzo trimestre fa ben sperare per il rush finale di novembre e dicembre: a fine l’ utile operativo è atteso in leggera crescita rispetto all’ anno scorso. Difficile a oggi pensare che nel 2019 lo scenario dell’ industria televisiva possa cambiare molto, ma in casa Mediaset stanno preparando un asso nella manica: i costi saranno ancora ridotti di circa 400 milioni di euro, e per la prima volta scenderanno sotto quota 2 miliardi (in un range di 1,87-1,89 miliardi di euro). Scenderanno, e sempre grazie all’ operazione sulle torri, anche i debiti, che si ridurranno di quasi 180 milioni, sotto gli 800 milioni. A fine dicembre del 2017 veleggiavano quasi a 1,4 miliardi. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rai Way conferma i target 2018

Il Sole 24 Ore
Ce.Do.
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Rai Way arriva al giro di boa dei nove mesi con risultati in crescita e conferma così le guidance 2018, comunicate al mercato a marzo scorso. Quanto ai numeri diffusi ieri, la società guidata da Aldo Mancino registra un utile netto in rialzo del 7,2%, a 47,2 milioni, un Ebitda adjusted in aumento dell’ 1,8%, a 90,6 milioni, anche grazie al piano di efficientamento messo in pista dal management, un utile operativo in crescita del 3,5%, a 65,8 milioni, e ricavi per 163,3 milioni, in salita dello 0,7% rispetto allo stesso periodo del 2017. Scendono, poi, gli investimenti,a quota 12,3 milioni (erano 14,5 milioni nei primi nove mesi del 2017). Il debito è pari a 11,9 milioni contro i 4,8 milioni di fine dicembre per via soprattutto del pagamento delle cedole. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rcs, accordo sul debito con banche

Il Sole 24 Ore

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A inizi ottobre Rcs MediaGroup ha avviato una rinegoziazione con il pool di banche del contratto di finanziamento del 4 agosto 2017. L’ intesa è stata firmata. Lo ha spiegato la società nel suo resoconto intermedio di gestione dei primi nove mesi dell’ anno. Nell’ intesa si stabilisce, tra le altre cose, la rimodulazione del finanziamento con una riduzione della linea di credito (term amortizing) da residui 166,3 milioni a 141,3 milioni e un contestuale incremento della linea di credito (revolving) da 100 milioni a 125 milioni. A questa si aggiunge un’ estensione della durata del finanziamento di 12 mesi con conseguente posticipazione della data di scadenza finale dal 31 dicembre 2022 al 31 dicembre 2023. Tra le novità anche una riduzione dello spread tasso applicato. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Sono troppe le anticipazioni sicurissime che poi vengono sonoramente smentite

Italia Oggi
PIERLUIGI MAGNASCHI
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Nel momento in cui contro i giornalisti non si è solo scatenata una bufera politica fatta di ingiurie (da parte di chi non vede valorizzate le sue azioni o le sue tesi) ma anche di massicce e costanti diserzioni di parte di lettori che un tempo erano fedeli nella quotidiana lettura del giornale da loro preferito, è il caso, da parte di noi giornalisti, di porci delle domande serie, anche se urticanti per noi stessi, sul modo con il quale facciamo il nostro mestiere. Non per gettare la croce addosso a nessuno ma per capire che cosa non va e per cercare di rivedere almeno le più visibili storture informative di cui tutti, chi più e chi meno, siamo protagonisti. Ieri a Palermo si è svolto un vertice internazionale organizzato dal governo italiano con la partecipazione di 30 paesi allo scopo di approfondire i colloqui fra le parti direttamente o indirettamente in causa al fine di stabilizzare la situazione libica dove è in atto una sanguinosa guerra civile. Questo vertice era imperniato sulla partecipazione dei capi delle due fazioni che si stanno sparando addosso, il leader Al Sarraj, che è considerato tale solo dall’ Onu e dai paesi che si attengono alle direttive dell’ Onu, e il generale Haftar che non solo si fa una baffo delle risoluzioni dell’ Onu ma che dispone anche di forze armate più organizzate ed efficaci e che si propone di governare l’ intera Libia. Mettere in contatto i due era un’ impresa quasi impossibile. L’ Italia l’ ha tentata. Ed è riuscita nello scopo che si proponeva: far avvicinare le parti in conflitto e legittimare una regia politica nella soluzione dei problemi mediterranei. Un mare nel quale l’ Italia non a caso è completamente distesa anche se Parigi non si rassegna a questo fatto che è geografico, prima ancora che politico. Ma quasi tutti i giornali italiani e quasi tutte le trasmissioni tv (parlo di una percentuale bulgara, sul 90%) fino al giorno prima dell’ incontro avevano sposato risolutamente la tesi che un governo di dilettanti come quello legapentastellato del premier Conte avrebbe fatto un buco nell’ acqua e che il vertice sarebbe miseramente fallito. In ogni caso, al vertice di Palermo, dicevano sempre i media italiani in coro, avrebbe partecipato solo l’ onusiano Al Sarraj e non anche il filo egiziano-russo, Haftar. Invece al vertice hanno partecipato tutti e due gli antagonisti ma essi, come dimostra inequivocabilmente la fotografia pubblicata nel corpo di questo articolo, non solo si sono stretti la mano ma hanno anche accennato a un sorriso che deve essere costato molto ad entrambi visto che debbono riferirsi alle loro fazioni armate che dalla Libia seguivano l’ incontro. Non dimentichiamo che i due stanno sparandosi addosso anche quest’ oggi. Farli incontrare non deve essere stato facile. Ma Conte ci è riuscito. Possibile che tutti i media italiani abbiano previsto l’ opposto? Che figura ci fanno? Si sono posti questa domanda? Domani, molto probabilmente, questo incontro (che è una vera e propria rottura del ghiaccio, in un paese dilaniato dallo scontro armato) sarà mascherato da una vicenda tutto sommato marginale che è l’ anticipato abbandono del summit da parte della delegazione turca. La motivazione è che non si è sentita valorizzata nel suo ruolo di paese strategico non solo nell’ area mediorientale ma anche in quella nordafricana. Questi incontri internazionali, essendo un teatro con tanti spettatori nel mondo, sono inevitabilmente anche delle sceneggiate in cui c’ è chi si agita e chi si placa, in un gioco di interessi che spesso sono contrapposti. Ma bufale di questo tipo i media italiani e internazionali ne hanno costruite parecchie. In occasione del voto sulla Brexit tutti erano d’ accordo che il Regno Unito non sarebbe uscito dall’ Europa. È successo l’ opposto. Le elezioni americane sarebbero state vinte, al di là di ogni dubbio, da Hillary Clinton contro il nato sconfitto Donald Trump. Si è vista come è andata. Nelle elezioni di midterm negli Usa era dato per certo da tutti che Trump sarebbe stato travolto. Invece in quelle stesse elezioni l’ invincibile Obama aveva a suo tempo perso 63 seggi da deputati, quasi il doppio di quelli persi da Trump. Un tempo si diceva che i giornali italiani non reggevano il confronto con i grandi quotidiani dei paesi più sviluppati. E questa affermazione non era lontana dalla verità. Oggi questa notazione non è assolutamente più vera. Ma non perché i giornali italiani siano nel frattempo migliorati (anche se, in parte, è vero anche questo) ma soprattutto perché i giornali stranieri sono peggiorati, diventando spesso l’ ombra di ciò che essi erano. In Italia il ventaglio informativo era più variato. Accanto ai giornali di opinione c’ erano i giornali di partito. I primi avevano il vincolo di una certa oggettività nel riferire fatti e opinioni. I secondi invece, in quanto organi di partito, erano scopertamente di parte e quindi erano autorizzati alla faziosità. Con la scomparsa dei giornali di partito, non è che sia scomparsa la faziosità (che in una società libera svolge anch’ essa una funzione importante, se non altro perché alimenta il dibattito e, quando serve, anche lo scontro). Non è scomparsa la faziosità, dicevo, ma essa si è trasferita nei grandi giornali. Quindi è una faziosità più mimetizzata e più pericolosa. In più, specie nell’ ultimo ventennio, i grandi giornali hanno smesso di veicolare diverse visioni del mondo ma sono diventati sempre più simili fra di loro. Un tempo (non molto tempo fa, intendiamoci) i lettori più accorti o smaliziati che volevano costruirsi una loro opinione sulle vicende di attualità comperavano la cosiddetta mazzetta. Non si limitavano cioè a leggere il quotidiano preferito ma spesso ne acquistavano più di uno, la mazzetta, appunto. Oggi questa abitudine si è di molto affievolita. Da un sondaggio su questo nuovo atteggiamento (che, alla fine, influisce anche sulle tirature) è emerso che i lettori di più quotidiani si limitano sempre più a leggerne uno solo, perché dicono che «i vari giornali si assomigliano tutti e dicono tutti le stesse cose». Da qui la conclusione: perché acquistarne di più?

Chessidice in viale dell’ editoria

Italia Oggi

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Razzante (Cattolica): urgente convocare gli stati generali dell’ editoria. Nello scontro fra politica e operatori dell’ informazione occorrerebbe abbassare i toni «e ragionare davvero sul futuro dell’ informazione italiana, senza pregiudizi e con approccio davvero neutrale, nell’ interesse dei cittadini-utenti». È il commento di Ruben Razzante, docente di Diritto dell’ informazione all’ Università Cattolica di Milano e alla Lumsa che ha dato alle stampe un Manuale di diritto dell’ informazione e della comunicazione, giunto alla settima edizione e, di recente, il volume L’ informazione che vorrei. «Si avverte più che mai l’ esigenza», aggiunge Razzante, «di convocare gli Stati generali dell’ editoria, affinché tutti le categorie di attori della filiera di produzione e distribuzione delle notizie (giornalisti, editori, poligrafici, professionisti del web, giganti della Rete), insieme con i decisori istituzionali, discutano del futuro dell’ ecosistema dell’ informazione e trovino una sintesi armoniosa tra diritti e doveri, libertà e responsabilità. Il muro contro muro tra politica e mondo del giornalismo impoverisce l’ ecosistema mediatico». Rai Way, nove mesi con utile in aumento del 7%. Al 30 settembre 2018 i ricavi di Rai Way sono pari a 163,3 milioni di euro, in crescita dello 0,7% rispetto ai 162,1 milioni dei nove mesi 2017. I ricavi riconducibili alla Rai sono pari a 138,4 milioni mentre il contributo da clienti terzi si attesta a 24,8 milioni. L’ Adjusted ebitda è pari a 90,6 milioni, in crescita dell’ 1,8% rispetto agli 89 milioni dei nove mesi 2017, principalmente per effetto di maggiori ricavi e delle iniziative di efficienza operativa e nonostante il minor contributo dalla voce «altri ricavi e proventi». L’ ebitda è pari a 90,2 milioni, in aumento del 1,9% rispetto agli 88,5 milioni dei nove mesi 2017. L’ utile netto è pari a 47,2 milioni di euro, in crescita del 7,2% Poligrafici Printing, utile a 1,4 milioni nei nove mesi. Poligrafici Printing ha chiuso i 9 mesi con un utile netto consolidato di 1,4 milioni euro, in aumento rispetto ai 0,3 milioni dello stesso periodo del 2017. I ricavi consolidati sono di 17,5 milioni (19,7 mln in 2017). Al via le votazioni per i Gazzetta Sports Awards 2018. Anche quest’ anno La Gazzetta dello Sport porterà sul palco dei Gazzetta Sports Awards le stelle dello sport italiano: con la collaborazione dei lettori e il patrocinio del Coni e del Cip, il quotidiano premierà i campioni che si sono maggiormente messi in luce durante il 2018 nelle varie discipline sportive. I lettori fino al 26 novembre possono votare su gazzettasportsawards.it il preferito tra i campioni scelti dalla redazione. Digital360, lancia la nuova area di advisory Sport Innovation. Per cogliere le opportunità derivanti dalla trasformazione di un mercato con elevate potenzialità il gruppo, attraverso la propria controllata Partners4Innovation, vuole offrire una nuova linea di servizi dedicati a club, società sportive, istituzioni sportive, amministrazioni pubbliche e sponsor. I servizi spaziano dall’ impostazione di strategie di incremento dei ricavi grazie alle nuove opportunità del digitale, allo studio dell’ esperienza del tifoso attraverso l’ analisi delle enormi quantità di dati a disposizione, fino alla definizione di attività di marketing per ingaggiare i clienti/tifosi. La nuova practice Sport Innovation risponderà direttamente al consiglio di amministrazione di Partners4Innovation. Il coordinamento operativo sarà affidato a Paolo Antonietti che, con il supporto di Antonio Marchesi, gestirà un team multidisciplinare.

Repertori minori, poteri a Siae

Italia Oggi
GIOVANNI GALLI
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La liberalizzazione dell’ attività di intermediazione del diritto d’ autore disposta dal dl 148/2017 non ha fatto venir meno i poteri attribuiti alla Siae dalla legge sul diritto d’ autore (Lda-633/1941). Mentre resta in capo a essa la tutela dei repertori più piccoli e meno conosciuti. In virtù di questo assunto il tribunale di Milano con doppia ordinanza (Rg 1350/18) ha assegnato in pagamento al creditore Società italiana degli autori e degli editori, a titolo di equo compenso cinema per il secondo semestre 2017, la somma di 3.078.712,38 euro, oltre a interessi moratori e agli importi dovuti a titolo di penale, respingendo le eccezioni di un gruppo televisivo sulla illegittimità dell’ art. 46-bis Lda, e quindi sulla nullità del «contratto» equo compenso e di alcune clausole ivi contenute. Nulla da fare per l’ accusa di abuso di posizione dominante e di uso illegittimo dell’ attestato di credito e in generale dei poteri attribuiti alla Siae dalla legge speciale. Il tribunale ha dichiarato inammissibili i motivi di opposizione formulati dal ricorrente circa la mancanza dei requisiti formali dell’ attestato di credito, perché tardivi e soprattutto privi di fondamento, affermando che l’ attestato di credito rientra nel novero degli atti cui la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva, senza bisogno di ulteriori formalità. E che la pretesa creditoria di Siae trova sostegno nelle norme di diritto interno, che attribuiscono alla stessa la tutela dei diritti di autore (e dei diritti connessi), nonché la rappresentanza degli autori ai fini della riscossione dei compensi dovuti da terzi per l’ utilizzazione delle opere facenti parte del proprio repertorio. Il tribunale osserva che anche le ultime modifiche introdotte dalla legge 172/2018 di conversione del dl 148 (con cui è stata data attuazione alla Direttiva 26/2014/Ue) hanno lasciato «immutato il contenuto dell’ art. 164», norma inserita dalla legge 248/2000 (frutto dell’ adozione degli accordi Gatt Trips sull’ enforcement dei diritti di proprietà intellettuale) e riformulata dall’ art. 25 del dlgs 68/2003, in modo tale da lasciare impregiudicato il ricorso di Siae a rimedi giudiziari e sanzioni previsti dagli artt. 156 e segg. Lda e dalla sezione successiva dedicata alla tutela penale. Ciò premesso, il tribunale ritiene che non vi siano elementi per delimitare la portata applicativa della norma alle sole ipotesi in cui vengano utilizzate abusivamente opere tutelate dalla Siae e non anche ai casi di inadempimento contrattuale, come nella fattispecie, tenuto conto che la mission della Siae consiste nell’ assicurare che venga corrisposta l’ adeguata remunerazione per l’ uso di opere tutelate, indipendentemente dalla natura della violazione del diritto di autore. Con l’ art. 164 Lda, osservano i giudici, il legislatore ha inteso assicurare maggiore effettività alla tutela della proprietà intellettuale, con una scelta che si pone in linea con la natura della Siae quale ente pubblico economico e con le funzioni di rilievo costituzionale da essa perseguite. Non solo. Dopo aver escluso il contrasto dell’ art. 164 Lda con la normativa comunitaria sulla concorrenza (art. 102 del Tfue-Trattato sul funzionamento dell’ Unione europea), evidenziando come restino impregiudicate le modalità di gestione dei diritti in vigore nei singoli Stati membri, il tribunale cita ampi stralci della sentenza della Corte di giustizia relativa al caso OSA C-351/12, per escludere che una normativa interna la quale attribuisce a un ente una posizione di monopolio violi in sé la concorrenza e vada disapplicata: è necessario fornire la prova e l’ allegazione concreta delle pratiche abusive. Ben altri sono gli obiettivi individuati sulla base della Direttiva: e tra questi vi è la tutela dei repertori più piccoli e meno conosciuti, in nome del principio della tutela della diversità culturale sancito dall’ art. 167 del Trattato, rispetto alla quale le società di gestione collettiva svolgono e «dovrebbero continuare a svolgere un ruolo essenziale». Per il giudice, la parziale modifica dell’ art. 180 Lda non incide in alcun modo sulla «rappresentatività ex lege che l’ ordinamento riconosce alla Siae a tutela dei diritti di autore dei soggetti che non abbiano conferito mandato ad alcun organismo di gestione». Tale modalità di tutela appare funzionale alla protezione e sviluppo della creatività, soprattutto in rapporto ai repertori minori che, «in un contesto di completa liberalizzazione del settore non godrebbero di sufficiente protezione». © Riproduzione riservata.

I GIORNALISTI BUONI

La Repubblica
SEBASTIANO MESSINA
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Possiamo tirare un sospiro di sollievo: dal suo accampamento in Nicaragua Alessandro Di Battista ci ha comunicato che noi giornalisti non siamo tutti «pennivendoli», «sciacalli» o « puttane » ( o tutte e tre le cose insieme). O meglio: lo siamo quasi tutti, ma ci sono le eccezioni. E lui le ha individuate, le ha classificate e ne ha pubblicato persino la lista, sulla sua pagina Facebook, colmando così un vuoto sulla lavagna del Popolo: accanto alla colonna dei Cattivi adesso abbiamo anche quella dei Buoni. È una colonna piuttosto corta, a dire la verità. Su 112 mila iscritti a quell’ Ordine che i pentastellati non vedono l’ ora di abolire – anche se nel frattempo vi si iscrivono, come il pubblicista Di Maio Luigi – lui ne salva solo otto. E per distinguerli dai giornalisti con la minuscola (ovvero i pennivendoli-sciacalli- puttane) li definisce Giornalisti con la maiuscola. Perché sono « liberi » e hanno « la schiena dritta » , a differenza degli altri, evidentemente sottomessi e curvi. Voi vi domanderete che titolo abbia il subcomandante Dibba per valutare il tasso di libertà di una categoria nella quale ha appena messo piede, con i suoi reportage dal Chiapas zapatista, destinati a entrare nella storia del giornalismo. Ce l’ ha, ci spiega lui, perché lui la sua libertà se l’ è conquistata «rifiutando di fare il ministro » . È stato allora che ne ha capito l’ importanza: «Quando inizi ad assuefarti alla libertà ne vuoi sempre di più, anche se sai che dire ciò che pensi ti farà tanti nemici». Questo vale ovviamente solo per lui, perché se a scrivere ciò che pensa è un altro – e la lettura non è di suo gradimento – l’ eroico non- ministro capisce subito che si tratta del compitino di un giornalista cattivo, composto sotto l’ implacabile dettatura del suo editore, uno di quelli che la mattina si svegliano con il principale obiettivo di screditare il subcomandante Dibba e le sue leggendarie battaglie (la più celebre delle quali rimane quella contro il gasdotto Tap, che se i cinquestelle avessero vinto sarebbe stato bloccato « in due settimane » , ma qualcuno deve aver tradito). Eppure, dicevamo, lui ha scoperto le eccezioni. La prima è il suo direttore, Marco Travaglio (e ti pareva). Anche altri tre (Massimo Fini, Pietrangelo Buttafuoco e Luisella Costamagna) scrivono per Il Fatto. Ma ci sono anche fuori dal suo giornale, i Giornalisti con la maiuscola, e sono precisamente quattro: Fulvio Grimaldi, Franco Bechis, Alberto Negri e Milena Gabanelli. Attenzione, avverte il Nostro, l’ elenco potrebbe comprenderne addirittura « decine » , ovvero tutti quelli condividono la sua caccia ai «sicari dell’ informazione». E se faceva rabbrividire quella gogna mediatica chiamata «il giornalista del giorno» che sciaguratamente si inventò Grillo invitando i suoi seguaci a fare il tiro al bersaglio contro chi osava criticarlo – la lunghissima colonna dei Cattivi – questa colonnina dei Buoni fa venir voglia di solidarizzare con chi vi è stato incluso. Perché quando l’ uomo forte – sia pure in missione sabbatica – del maggior partito di governo ti mette nella lista dei giornalisti affidabili, si rischia di perdere l’ equilibrio nella trincea del contropotere, e anche se sei un hombre vertical finisci tuo malgrado per apparire come un fiancheggiatore, destino che onestamente non tutti gli otto Giornalisti con la maiuscola meritano. Per la loro storia, per la loro penna e per la dignità di questo nostro sempre più difficile mestiere di pennivendoli, sciacalli e puttane. © RIPRODUZIONE RISERVATA Accanto ai cattivi Di Battista individua otto eccezioni: vien voglia di solidarizzare con chi vi è stato incluso.

“Elenco dei buoni puerile le pagelle le dà il lettore”

La Stampa
ALESSANDRO DI MATTEO
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Corrado Formigli, tu hai chiesto scusa a Virginia Raggi? «Perché avrei dovuto?» Di Battista e Di Maio dicono che i giornalisti dovrebbero farlo per aver scritto “menzogne”. «Noi di ‘Piazza pulita’ della Raggi ci siamo sempre occupati raccontando le condizioni di Roma e non abbiamo avuto smentite, né richieste di rettifica o querele. Non abbiamo da rimproverarci nulla, mi pare». Però è vero che sulla Raggi c’ è chi è andato giù pesante, anche con un titolo sessista per alludere ai suoi presunti flirt. In passato era successo a Laura Boldrini e a Maria Elena Boschi. Quella dei giornalisti rischia di apparire una reazione corporativa? «Voglio essere chiaro, non farò mai una difesa corporativa: non mi piace una parte consistente dell’ informazione italiana, spesso cialtrona, e mi ha fatto schifo quel titolo sulla Raggi. Tutto questo va benissimo. Ma non devono essere né Di Maio, né Renzi, né Conte a dire come deve essere fatta l’ informazione. I politici non si debbono occupare di come si fa informazione. Se ritengono di essere stati diffamati hanno due strumenti molto semplici: il codice penale, e quindi le querele, e la legge sulla stampa che prevede la richiesta di rettifica. Regole che valgono per tutti i cittadini e che debbono valere anche per loro. Questo avviene nei paesi civili. Se poi i giornalisti fanno male il loro lavoro perderanno copie, sono i lettori a darci le pagelle». Di Battista la pagella l’ ha fatta, ha stilato l’ elenco dei giornalisti con la “schiena diritta”. E il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, quando si scriveva del suo concorso all’ università, parlò di «esercizio inaccettabile della libertà di stampa» «E’ puerile la lista dei buoni e dei cattivi. E chi lo decide se è proprio o improprio l’ esercizio della libertà di stampa? Lo decide Conte?» La politica prova sempre a intimidire la stampa. In questo caso però l’ operazione trova anche parecchio consenso. L’ informazione ha perso credibilità? «Io ho perso il lavoro (in Rai, ndr) con l’ “editto bulgaro” di Berlusconi, sono stato attaccato da Renzi che non è venuto per quattro anni nella nostra trasmissione, oggi sui social vengo attaccato dai sostenitori di questo governo. Detto questo, Di Maio parla molto del conflitto di interesse: giusto. Lavorare per un editore puro, come capita a me, garantisce assoluta libertà. Facciano una legge sui conflitti di interessi. Ma attenzione: il primo conflitto di interessi è quello di un governo che, da una posizione assolutamente dominante, attacca chi lo critica. Come quando si dice “siccome fate cattiva informazione cambieremo la legge sull’ editoria”».

Di Battista, lista dei “giornalisti liberi”

La Stampa
MARIA ROSA TOMASELLO
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Il Movimento 5 Stelle alza il tiro contro la stampa, pubblica la lista dei buoni e dei cattivi e scatena le proteste di piazza dei giornalisti in tutta Italia e le prese di distanza di ministri ed esponenti del partito. Il primo elenco lo firma Alessandro Di Battista, all’ estero ma mai così presente, che dopo l’ assoluzione della sindaca di Roma Virginia Raggi aveva acceso la miccia definendo i cronisti «pennivendoli» e «puttane». «È partita la difesa corporativistica, puerile, patetica, ipocrita e conformista di una parte del sistema mediatico» attacca su Facebook, iscrivendo nel suo elenco di persone «libere» Marco Travaglio, Massimo Fini, Pietrangelo Buttafuoco, Alberto Negri, Franco Bechis, Luisella Costamagna, Milena Gabanelli e Fulvio Grimaldi. Il vice premier Luigi Di Maio definisce ridicolo chi evoca la dittatura, ricordando le «epurazioni» di giornalisti non graditi da parte dell”ex premier Matteo Renzi e «l’ editto bulgaro» di Berlusconi. Annuncia tuttavia l’ avvio di«approfondimenti» sul Blog delle Stelle su quattro editori «considerati “impuri” perché hanno interessi economici o politici in ambiti diversi»: Marco De Benedetti (La Repubblica e La Stampa), Paolo Berlusconi (Il Giornale), Francesco Gaetano Caltagirone (Il Messaggero) e Antonio Angelucci (Libero). I giornalisti si ribellano. Accompagnati dallo slogan «Giù le mani dall’ informazione», scattano flash mob nei capoluoghi di regione: «È solo l’ inizio: altre iniziative seguiranno fino a quando le aggressioni, le ingiurie e le minacce non cesseranno» annunciano Federazione nazionale della Stampa e Consiglio nazionale dell’ Ordine. L’ Autorità garante delle Comunicazioni (Agcom) sottolinea che ogni attacco alla stampa «rischia di ledere il principio costituzionale di libera manifestazione del pensiero», base «del pluralismo e del diritto di cronaca e di critica». Da Palermo, dove la polemica irrompe nella conferenza stampa finale sulla Libia, il premier Giuseppe Conte precisa che il governo è per la libertà di stampa»: «Non sarà mai posta in discussione. Ma come spesso voi attaccate violentemente noi – dice – può capitare che anche voi veniate attaccati violentemente. Ci sta». Il ministro dell’ istruzione Marco Bussetti ricorda il valore «fondamentale» dell’ articolo 21 della Costituzione sulla libertà di espressione. «I giornalisti fanno un lavoro non facile e devono continuare a farlo» commenta il titolare dei Beni Culturali Alberto Bonisoli. Dura la senatrice M5S Elena Fattori, voce critica del movimento: «Coerenza vorrebbe che per dimostrare la loro verginità tutti i giornalisti eletti col M5S si dimettessero». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Mediaset, tornerà il dividendo In calo i ricavi di Vodafone

La Stampa
R. E.
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Mediaset punta a tornare alla distribuzione di un dividendo nel 2019. Nei primi nove mesi del 2018 ha registrato un utile netto di 27 milioni di euro rispetto ai 34,5 milioni dello stesso periodo del 2017, con ricavi a 2.433 milioni contro i 2.473 precedenti. Entrambi i dati sono riclassificati togliendo il contributo di Ei Tower. Nel solo terzo trimestre ii Mondiali di Calcio ha generato un aumento della raccolta pubblicitaria del 3,5%, e grazie anche ai costi scesi per 71 milioni c’ è un miglioramento del risultato operativo (Ebit) per 33 milioni di euro e del risultato netto per 24 milioni. Vodafone Italia La branca italiana di Vodafone conclude un semestre difficile su cui pesa il ritorno alla tariffazione mensile e l’ ingresso nel mercato di Iliad. I ricavi da servizi sono scesi a 2,5 miliardi (-6,4%) e l’ Ebitda a 1.080 milioni (-9,7%). Da segnalare che il numero di clienti 4G raggiunge quota 12,4 milioni (+18,5%). I clienti di rete fissa a banda larga sono 2,6 milioni (+13,7%) e quelli della fibra Vodafone raggiungono i 1,4 milioni, in crescita del 64,6% . Geox Da gennaio a settembre Geox ha avuto ricavi in calo dell’ 8,2% a 672,4 milioni (-7,7% a cambi costanti). Nell’ intero esercizio si prevede una redditività (Mol rettificato) al 5% dei ricavi. È stato approvato un piano industriale 2019-2021 basato su una «profonda revisione strategica». Fila Fila ha chiuso i primi 9 mesi con utile netto normalizzato -18% a 22,5 milioni, per gli ammortamenti e gli oneri finanziari per l’ acquisizione dell’ americana a Pacon. Ricavi normalizzati +12,8% a 441,6 milioni, margine operativo lordo normalizzato a 76,3 milioni (+6,8%) e Mol organico -5,8%». Basicnet Il gruppo Basicnet, che detiene, tra gli altri, i marchi Robe di Kappa, Superga e K-Way, ha chiuso i primi nove mesi del 2018 con vendite aggregate per oltre 633 milioni di euro (+11,1% a cambi correnti e +14,3% a cambi costanti) e un fatturato consolidato di 152 milioni (+12,3% a cambi correnti e +12,5% a cambi costanti). Pininfarina La Pininfarina ha chiuso i 9 mesi con un balzo dell’ utile netto, pari a 2,7 milioni, maggiore di oltre 5 volte quello del 30 settembre 2017. Il valore della produzione è aumentato del 26% a 78 milioni. Centrale del latte La torinese Centrale del latte rafforza la partnership strategica in Cina con Alibaba, leader mondiale nel commercio online e mobile, entra nelle due grandi catene di distribuzione Hema e Rt-Mart e apre il suo primo negozio monomarca virtuale cinese su Tmall, la piattaforma «business to consumer» di Alibaba, che garantisce l’ accesso a un mercato potenziale di 576 milioni di consumatori attivi. Rai Way Rai Way chiude i primi nove mesi con un utile netto in crescita del 7,2% a 47,2 milioni di euro e ricavi +0,7% a 163,3 milioni. La redditività risulta superiore al 55%. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

L'articolo Rassegna Stampa del 14/11/2018 proviene da Editoria.tv.


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