Indice Articoli
Alla faccia dei big data, i cartelloni pubblicitari funzionano ancora
I produttori di tabacco fanno lo spot anti-fumo E scoppia la polemica
Il gruppo Gedi ritrova l’ utile ma perde ricavi
De Filippi invitata in Rai da due bambine (nel talk Vieni da me). E poi cancellata
In trattoria si stringe sulle nomine Rai Paterniti verso il Tg1 ma Matteo resiste
Il Pinocchio “dark” di Del Toro e Netflix
Gedi ritrova l’ utile nel 2018, ma l’ editoria continua a soffrire
Ammesse le spese sui siti delle agenzie
«Stop alla serie tv sulla bimba trans»
Fisco, l’ attestazione delle spese pubblicitarie non va inviata ma sempre conservata
Chessidice in viale dell’ Editoria
Le Monde, scontro tra i soci per l’ ipotesi nuovi azionisti
Tv, la denuncia dei radicali ” I gialloverdi occupano i tg”
Gedi, utili e ricavi in crescita nei primi 9 mesi di quest’ anno
Gedi, utili a 7,8 milioni I ricavi crescono del 10%
Inchiesta Report “Il bagarinaggio sui biglietti Juve non è mai finito”
Gedi: conti nei 9 mesi del 2018
Mediolanum, spot per il decennale di Lehman Brothers
Alla faccia dei big data, i cartelloni pubblicitari funzionano ancora
Il Foglio
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Roma. Il cartellone rivive un momento d’ oro. Il cosiddetto “outdoor advertising”, o “out of home”, la pubblicità esterna – quella fuori di casa e fuori dai nostri dispositivi elettronici – salirà del 3 per cento quest’ an no raggiungendo la cifra di 38 miliardi di dollari di spesa globale. Sono dati citati dal magazine Recode su base Zenith. E sorprendono nell’ epoca dei big data in cui si pensa che l’ unica pubblicità a crescere sia quella digitale. Invece il poster non perde il suo fascino; così a ricorrervi sono molti gruppi “new”, basti pensare ai tappezzamenti da parte di Netflix che nei giorni scorsi ha disseminato le città italiane dei poster sul caso Cucchi, o ad Apple con i suoi iPhone. I poster sono talmente strategici che diverse compagnie della Silicon Valley si stanno comprando aziende di cartellonistica: Netflix ha acquistato per 300 milioni di dollari una quota in Regency Outdoor Advertising, compagnia che gestisce primarie affissioni a Hollywood. Anche Google starebbe pensando di entrare nel mercato. “A livello globale il trend è questo”, conferma col Foglio Fabrizio du Chène de Vère, amministratore delegato di IGPDecaux, azienda leader del settore in Italia. “La spinta forte in questo momento è dovuta allo spostamento di crescenti parti delle popolazioni dalle campagne alle città, dove la pubblicità outdoor ha possibilità di essere vista da grandi masse di persone, ed è qualcosa che sta accadendo nei paesi in via si sviluppo”. “In occidente invece – continua il manager – c’ è un’ altra tendenza, quella della digitalizzazione, con la sostituzione di cartelloni di carta o retroilluminati in pvc con dispositivi a led con degli schermi. Tendenza particolarmente in crescita in Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina e Germania”. Il cartellone “intelligente” permette di avere incassi molto più alti. “Un settore che riguarda ormai il 10 per cento dell’ outdoor e che comprende stazioni, aeroporti, metropolitane e pensiline dei mezzi di superficie. La sfida è poi quella di fare interagire i cartelloni con gli smartphone dei potenziali clienti”, dice du Chène de Vère, “cioè mettere certi tipi di pubblicità dove è maggiore la affluenza di potenziali clienti”. Il cartellone intelligente è solo l’ ultima trasformazione di un settore antico. Nel medioevo si ricorreva alle affissioni, ma i cartelloni vennero lanciati già nel 1790 con l’ inven zione della litografia, che permise i grandi formati, e la prima ad avvantaggiarsene fu l’ industria del circo, per pubblicizzare i suoi spettacoli. Nel 1889 i primi poster furono mostrati all’ Esposizione di Parigi e quattro anni dopo a quella di Chicago. Dopo il circo, a capirne il potenziale fu l’ industria automobilistica, con la Ford Model T che fu la prima auto di serie ad avere i suoi poster, fatti in modo da essere visti da migliaia di potenziali guidatori. In Italia intanto Ferdinand du Chène de Vère (antenato del Nostro) fondò nel 1886 la prima compagnia di pubblicità “dinami ca” approfittando del trasporto pubblico che era stato fortemente sviluppato con l’ unità d’ Italia: ci sono le tramvie a cavallo, i primi tram a vapore, e nel 1890 la società si aggiudica l’ esclusiva delle pubblicità su tutti i tram di Milano e poi del Regno. Nel 1964, spiega l’ ad di IGPDecaux, un altro suo antenato si inventa le pensiline: regala al comune di Milano dei luoghi dove ripararsi in attesa del mezzo, in cambio di una parte dei ricavi sulla pubblicità, un modello che ancora oggi funziona, con la società privata che si prende cura “di tenere in ordine e pulita la struttura, perché altrimenti gli inserzionisti non sarebbero molto contenti”. Nel frattempo le tecnologie cambiavano, i poster che potevano resistere solo pochi giorni in balìa degli elementi trovarono nuove tecnologie. In America alcuni luoghi urbani divennero celebri praticamente per i loro cartelloni – Times Square a New York, Piccadilly a Londra. Las Vegas, come fondale di architettura neutra prestato alle inserzioni, affascinò a tal punto Robert Venturi da fargli scrivere un fondamentale testo (“Imparare da Las Vegas”). Anche Tom Wolfe era un estimatore dei cartelloni di Las Vegas: “Ma che insegne! Svettano in forme per le quali l’ at tuale vocabolario di storia dell’ arte non può esserci di alcun aiuto. Posso soltanto tentare di suggerire alcuni nomi: Boomerang -Modern, Palette Curvilinear, Flash Gordon Ming -Alert Spiral, McDonald’ s Hamburger Parabola, Mint Casinò Elliptical, Miami Beach Kidney”, scriveva il giornalista americano. “Anche gli edifici sono delle insegne: di notte, in Fremont Street, interi edifici sono illuminati, ma non dai riflessi dei faretti; tramite tubi al neon molto ravvicinati, sono trasformati in vere e proprie sorgenti luminose. Nella pluralità di soluzioni, le insegne familiari della Shell e della Gulf risaltano come fari amichevoli in terra straniera. A Las Vegas, però, per sostenere la competizione con i casinò, sono alte tre volte tanto quelle della vostra stazione di servizio locale”. La cartellonistica prese talmente piede in America che nel 1965 il presidente Lyndon Johnson promulgò un Highway beautification act per rimuovere i troppi cartelloni che affollavano strade e autostrade. “La bellezza appartiene al popolo”, disse il presidente democratico. “E non permetterò che ciò che ci è stato dato dalla natura sia rovinato dall’ uomo”. A volere fortemente la legge anti cartelloni fu la first lady, Lady Bird Johnson. Ma la politica ha sempre beneficiato della cartellonistica. Anche in Italia se ne è fatto vasto uso, dalle elezioni repubblicane – “Nel segreto dell’ urna, Dio ti vede, Stalin no!” – al le più recenti tornate elettorali e personalizzazioni dei leader. Dal “Noi possiamo guardarti negli occhi” dell’ Msi anni Ottanta di Almirante, che li aveva belli, al primo Forza Italia del 1994 su fondo azzurro con tutte le varianti di “meno tasse per tutti”. La Lega fu da subito molto immaginifica, con dei cartoon con pellerossa (“loro hanno subito l’ im migrazione, ora vivono nelle riserve”), al celebre “sveglia padano!, con una gallina nordica che scodella un uovo subito catturato da una massaia ciociara). In America oggi il primo inserzionista “esterno” è McDonald’ s, seguito da Apple. L’ associazione del settore, Oaaa (Ooutdoor Advertising Association of America) stima che vi siano 368.263 cartelloni. In Italia, dice du Chène de Vère, il comparto vale circa 400 milioni di euro. I settori che più investono sulla pubblicità all’ aperto sono “l’ elettroni ca di consumo, l’ entertainment – basta guardare ai mega poster di Sky o appunto Netflix, la grande distribuzione con Esselunga, e poi anche quella digitale con Zalando e Amazon”. “In generale la pubblicità esterna punta a una popolazione che sta fuori casa e dunque è considerata più attiva, che si muove per lavoro, o comunque non sta sul divano. Gli americani parlano di un target on the go con un purchasing mode, cioè che hanno voglia di spendere”, dice Flavio Biondi, direttore commerciale di IGPDecaux. Ma il primo committente della cartellonistica in Italia oggi è rappresentato dalla moda e dai beni di lusso. “E’ il primo settore merceologico perché si ritiene che tutti quelli che viaggiano siano altospendenti”, dice Biondi; “adesso Chanel per la prima volta ha investito sulla cartellonistica nelle metropolitane di Milano e Roma”. L’ outdoor poi può contare molto sul gigantismo dei corpi, specie se ritratti svestiti sui palazzi. Se negli anni Ottanta a New York fu Calvin Klein a causare incidenti stradali con i suoi modelli in intimità fuoriscala, oggi c’ è Cristiano Ronal do, testimone nerboruto della nuova linea di intimo “Cr7” per il primario marchio Yamamay. Ma la juventina mutanda non verrà esposta sulle facciate di Napoli, “in segno di rispetto”, fanno sapere dall’ azienda: non di San Gennaro o qualche altra divinità locale, bensì perché il produttore dell’ intimo calcistico è partenopeo, e non vuole offendere la squadra di calcio. Michele Masneri.
Deriva autoritaria
Il Giornale
Adalberto Signore
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E pensare che neanche due anni fa erano loro quelli che accusavano la riforma costituzionale Renzi-Boschi di «deriva autoritaria», difendendo a spada tratta «la Costituzione più bella del mondo». Quasi 23 mesi dopo, i ruoli si sono completamente ribaltati. E il Movimento ne ha infilata una dopo l’ altra. Dalla surreale richiesta di impeachment per Sergio Mattarella dello scorso maggio, fino alla pretesa di «togliere i poteri al capo dello Stato» lanciata domenica scorsa al Circo Massimo da Beppe Grillo. In mezzo, l’ auspicio di chiudere i giornali che «alterano la realtà» e «riportano solo fake news», formalizzata dal vicepremier Luigi Di Maio, ma già prima buttata lì (a mo’ di intimidazione?) dal portavoce di Palazzo Chigi Rocco Casalino e pure dal sottosegretario con delega all’ Editoria Vito Crimi. Si dirà che è una difesa di categoria, ma unendo i puntini di tutti questi passaggi a cui va aggiunta l’ allergia dei big del M5s a presentarsi nei talk show tv se c’ è un qualsivoglia contraddittorio con altri politici c’ è un solo comune denominatore: l’ allergia del Movimento a confrontarsi con il dissenso. Le danze il M5s le ha aperte a fine maggio. Durante le consultazioni per la formazione del governo, Di Maio e Alessandro Di Battista si esibirono in una surreale richiesta di impeachment per Mattarella. Allora il capo dello Stato finì nel mirino del M5s per il solo fatto di essersi permesso di avanzare dubbi sulla nomina di Paolo Savona a ministro dell’ Economia, prerogativa che la (…) (…) Costituzione attribuisce esplicitamente al Quirinale e che è stata ripetutamente esercitata da tutti gli inquilini del Colle, nessuno escluso. Eppure i vertici del Movimento e la Casaleggio Associati considerarono quella di Mattarella una sorta di lesa maestà, arrivando a chiederne la messa in stato di accusa con un’ aggressività verbale senza precedenti (restano agli atti, a futura memoria, le immagini del comizio di Fiumicino nella tarda sera del 27 maggio, con Di Maio e Di Battista che definire senza freni è un eufemismo). Si arriva così a domenica scorsa, palco del Circo Massimo a Roma, dove si celebra la prima kermesse governativa dell’ Italia a Cinque stelle. Prende la parola Grillo e torna a puntare il mirino sul Quirinale. Non contro Mattarella, ma contro l’ istituzione in sé, «una figura che ha troppi poteri e che va riformata». D’ altra parte, raccontano nei Palazzi, è stata proprio la moral suasion del Colle a costringere Palazzo Chigi ad ammorbidire i toni con l’ Ue. Il pubblico davvero poco rispetto alle attese nella Roma di Virginia Raggi è in visibilio, gongola e applaude. Sono gli stessi che accusavano Silvio Berlusconi di essere «un dittatore» e Matteo Renzi di «deriva autoritaria», ma tant’ è. Cinque mesi dopo il fantomatico impeachment, c’ è un solo filo conduttore. Perché il leitmotiv delle battaglie del Movimento è la guerra al dissenso. È questo che non piace a Di Maio & Co, quello che davvero avversano. La critica, l’ obiezione, il dubbio. Pure se arriva dalla prima carica dello Stato che piaccia o no rappresenta la Repubblica non per grazia ricevuta ma perché lo ha deciso un Parlamento liberamente eletto. Ma Mattarella e non è l’ unico – dubbi su come si sta muovendo il governo sulle materie economiche ne ha. E sempre con grande discrezione e senza mai prendersi un titolo di giornale li sta manifestando. Tanto è bastato per dare il là all’ assalto. Che è, evidentemente, la cartina di tornasole di un’ innata insofferenza verso il dissenso. La stessa che porta Di Maio, pur nella veste istituzionale di vicepremier, ad augurarsi la chiusura dei giornali, rei solo alcuni, perché altri si sono uniformati a non seguire lo storytelling che ci propina l’ efficientissima macchina della comunicazione M5s (e pure della Lega). Lo ha fatto lui, lo ha ribadito Crimi, quasi a minacciare quotidiani e agenzie di stampa: o vi adeguate o saranno solo tagli. D’ altra parte sono proprio i big del Movimento che ormai da anni rifiutano qualunque comparsata nei talk show tv di prima serata a meno che non gli sia garantita l’ assenza di contraddittorio. Non devono esserci politici di altri schieramenti, né giornalisti sgraditi: solo a queste condizioni i vari Di Maio, Di Battista & Co si presentano nel prime time della Rai, di Mediaset e di La7. Una pessima abitudine, sulla quale disse bene il presidente della Camera Roberto Fico lo scorso luglio i giornalisti hanno più di qualche responsabilità. Insomma, forse non è un caso che il governo Conte sia stato il primo della storia era il 3 ottobre scorso a convocare una conferenza stampa senza che fosse permesso fare alcuna domanda. Adalberto Signore.
I produttori di tabacco fanno lo spot anti-fumo E scoppia la polemica
Il Giornale
Manuela Gatti
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Manuela Gatti Chi ieri nel Regno Unito acquistava una copia del Daily Mirror se la trovava «impacchettata» da una sovracopertina pubblicitaria: quattro facciate per dire basta al fumo. Il finanziatore della campagna, però, ha lasciato interdetto più di un lettore: Philip Morris, il gigante del tabacco, proprietario, tra gli altri, di Marlboro. Il primo produttore di «bionde» del mondo che lancia una pubblicità così esplicita contro quelle stesse sigarette: a poche ore dall’ arrivo delle copie in edicola le critiche erano già in corso. «È un’ ipocrisia sconcertante – ha commentato il Cancer Research, principale organizzazione no-profit a livello mondiale per la ricerca sul cancro -. Il modo migliore per aiutare le persone a smettere di fumare è smettere di produrre sigarette». L’ iniziativa si chiama Hold My Light, «Tieni il mio accendino», e consiste in un programma motivazionale per arrivare all’ addio definitivo alle sigarette, puntando anche sul sostegno delle persone vicine (di qui il nome). Primo obiettivo: stare lontano dal pacchetto per un mese, perché questo «aumenta di cinque volte le probabilità di smettere per sempre», come spiega il sito della campagna citando dati governativi. Oltre agli spazi acquistati sui quotidiani, per far conoscere il progetto gira anche un video in cui una ragazza – una fumatrice – deve superare un percorso a ostacoli alla Mission Impossibile prima di riuscire ad affidare agli amici il proprio accendino, e starne lontano. L’ amministratore delegato di Philip Morris, Peter Nixon, ha spiegato che la campagna punta a «sostenere i fumatori nella ricerche di alternative» alle sigarette tradizionali. Non per niente l’ azienda ha investito 4 miliardi di sterline nello sviluppo di altri prodotti, dalle sigarette elettroniche – PM detiene i marchi Nicocig, Vivid e Mesh – al sistema Iqos, che scalda il tabacco senza bruciarlo, evitando quindi di produrre fumo e cattivo odore. Sono proprio questi i modi – insieme all’ astinenza tout court, per chi ci riesce, e ai palliativi come i cerotti e le gomme da masticare – suggeriti dall’ iniziativa per chi vuole smettere definitivamente. Alle critiche di chi sostiene che l’ unica azione d’ aiuto sarebbe quella di smettere di vendere «cicche», Nixon ha replicato che la direzione è quella, ma ci si arriverà tra un po’. «Le sigarette rappresentano ancora l’ 87% del nostro business – ha spiegato -. Vogliamo diventare smoke-free il prima possibile, ma ci vuole tempo». Se dall’ oggi al domani le Marlboro non dovessero esserci più, ha ribadito il Ceo, i clienti passerebbero semplicemente a un altro marchio. Secondo Deborah Arnott, numero uno della Onlus Ash, Action on Smoking and Health, Philip Morris «sta salendo sul carro delle misure anti-fumo varate dal governo, che hanno funzionato, per cercare di trarne benefici commerciali». Da quando Londra l’ estate scorsa ha lanciato il Tobacco Control Plan – vietando ad esempio le pubblicità di sigarette e uniformandone i pacchetti, tutti verdi e identici tranne per il nome del brand – i britannici stanno effettivamente diventando più virtuosi: se nel 2011 i fumatori erano il 19,8% della popolazione, l’ anno scorso la percentuale è scesa al 15,5 e quest’ anno al 14,9. Il piano del governo prevede di arrivare al 12% entro il 2022. Il futuro dei produttori non può quindi che essere nei prodotti alternativi, non solo per una questione di coscienza pulita ma anche per necessità di bilancio. Secondo i critici Philip Morris starebbe approfittando di questo calo di vendite per fare pubblicità agli altri prodotti. L’ azienda però ribadisce: «Smetteremo definitivamente di vendere sigarette».
Il gruppo Gedi ritrova l’ utile ma perde ricavi
Il Giornale
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Nei primi nove mesi Gedi ha realizzato un utile netto di 7,8 milioni, contro il rosso di 143,9 milioni dello stesso periodo 2017. Il fatturato si è attestato a 469,7 milioni di euro, in progresso del 10,4% rispetto ai 425,5 milioni dell’ anno precedente, con un Ebitda di 31,4 milioni, che segna invece un calo rispetto ai 33,7 milioni del primi nove mesi dell’ anno scorso. L’ indebitamento risulta pari a 124,7 milioni. I ricavi diffusionali, pari a 215,5 milioni, sono aumentati del 14,5% rispetto a quelli del corrispondente periodo dell’ esercizio precedente ma risultano in flessione dell’ 8,4% a pari perimetro (il 30 giugno 2017 è stata perfezionata l’ integrazione di Itedi), in un mercato che ha continuato a registrare una significativa riduzione delle diffusioni dei quotidiani. I ricavi sono cresciuti del 9,2% rispetto ai primi nove mesi del 2017 ma risultano comunque in flessione del 2,5% a perimetro equivalente.
De Filippi invitata in Rai da due bambine (nel talk Vieni da me). E poi cancellata
Il Giornale
LR
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È successo di nuovo. Un personaggio Mediaset prima invitato in Rai e poi cancellato. Pochi giorni fa era accaduto a Barbara d’ Urso. Ieri, invece, a Maria De Filippi. La conduttrice di Canale 5 doveva essere intervistata ieri all’ interno del «Tè delle principesse», un momento del talk di Raiuno Vieni da me di Caterina Balivo in cui l’ ospite si sottopone alle domande di due bambine gemelle, Corinne e Camille, vestite di tulle. Ma poi l’ intervento è saltato. Pare che i vertici Rai abbiamo dato il divieto per non favorire la concorrenza. Forse ci si dimentica però del grande aiuto che la stessa De Filippi diede alla Rai presentando il Festival di Sanremo e senza chiedere compensi. Comunque, nell’ intervista registrata, la presentatrice aveva parlato del suo desiderio di diventare nonna e dei ricordi scolastici: «A scuola andavo benino, ma solo nelle materie che mi piacevano». Probabilmente la vedremo la settimana prossima, quando ci sarà più distensione in Rai dopo la partenza di Portobello condotto dalla Clerici al sabato sera, diretto concorrente della De Filippi. LR.
In trattoria si stringe sulle nomine Rai Paterniti verso il Tg1 ma Matteo resiste
Il Mattino
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LE NOMINE ROMA Il menù della cena a tre, Conte-Di Maio-Salvini, in un ristorante poco distante da Palazzo Chigi, come piatto forte forte quello della Rai. Ovvero la lista Salini, con dentro i nomi che l’ ad di Viale Mazzini vuole collocare sulle poltrone di direttore dei tiggì e delle reti. Le nomine si faranno probabilmente nel Cda Rai di giovedì, ma ancora dev’ essere convocato, e intanto la cena serve a definire l’ accordo politico sulle figure giuste e sul questo dove lo metto. Il premier Conte vuole dire la sua, o comunque essere parte della scelta. E i due vicepremier, i veri player di questa partita in cui comunque Salini ha messo molto del suo stile e del suo approccio più attento alle professionalità che ai profili politici, si confrontano fino a tarda notte sulle proposte e sulle caselle. Lo schema Salini prevede la scelta di interni – ma un esterno, Fabrizio Piccinini, direttore di FanPage, è in predicato di andare alla guida del settore web della Rai che è totalmente da rifare, da valorizzare e da rilanciare – e insomma il profilo dei papabili è quello di gente che conosce già la macchina della tivvù di Stato, perché ci sta dentro da tempo. La Salini’ s List al momento di sedersi a tavola aveva ricevuto l’ ok di massima da parte di Di Maio. Mentre il leader del Carroccio nutriva ancora qualche perplessità. Lo snodo di tutto resta il Tg1. Su cui Salvini ha ancora insistito, dicendo che Gennaro Sangiuliano, attuale vice del telegiornalone, ha tutti i numeri professionali per poterlo guidare. E’ troppo sovranista però, agli occhi di Di Maio, mentre Conte lo apprezza ma come al solito cerca di mediare. La partita è agli sgoccioli. E l’ elenco del dg è questo: Il Tg1 a Giuseppina Paterniti, Rai1 a Marcello Ciannamea: la prima gradita all’ aera grillina, il secondo a quella leghista. Il Tg2 a Sangiuliano, Rai2 a Maria Pia Ammirati (vicino al centrodestra l’ uno, avvicinatasi nei paraggi di M5S l’ altra). Tg3, a Giuseppe Carboni (che finora ha seguito i grillini per il Tg2 e dai grillini è apprezzato), Rai3 a Stefano Coletta (confermato). Questo lo schema di prima linea. Con la possibilità però che, nel caso Salvini riesca in extremis a strappare il Tg1 per Sangiuliano, Carboni possa finire al 2 e Luca Mazzà restare al 3 (o RaiNews). Con il beneplacito del leader leghista che ne apprezza l’ equilibrio. GLI SGOCCIOLI Una volta fatto il Tg1, è fatto tutto il resto, considerando anche che la potentissima TgR è già ipotecata al Carroccio con la sicura conferma di Alessandro Casarin (ora ha l’ interim). Non è escluso che nella partita del Tg1 rientri anche, dopo che è stata in pole position per qualche giorno, Federica Sciarelli. Manca poco alla fumata bianca. Proprio per questo – oltre che per la questione Fazio che ha invitato in trasmissione il sindaco indagato di Riace, Mimmo Lucano, e che ieri è stata la centro di una telefonata preoccupata tra Salini e il presidente Foa – l’ atmosfera non è rilassatissima. Anche perché tra Di Maio e Salvini i rapporti ormai sono molto deteriorati. La Paterniti, esperta di esteri e poco avvezza alla politica italiana, sarebbe arrivata in area M5S – così si racconta – tramite Chiara Ricchiuti: che ora è braccio destro di Rocco Casalino, e prima è stata vice di Fabiola Paterniti, sorella della giornalista attualmente alla Tgr. Il suo profilo al Settimo Piano piace, e anche a Di Maio. Ma il leader leghista, dopo l’ affaire «manina», pur non considerando il Tg1 come una grande macchina di consenso di partito non è disposto a fare concessioni al rivale pentastellato. In cambio del Tg1 può però incassare la radio (con Ludovico Di Meo) che in aggiunta a Rai1, al Tg2 e alla TgR è un buon bottino. Mario Ajello © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Il Pinocchio “dark” di Del Toro e Netflix
Il Messaggero
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IL PROGETTO Sarà un Pinocchio con tanta musica, pupazzi animati in stop motion e Benito Mussolini sullo sfondo, in un’ Italia anni Trenta alle prese con il dilagare del fascismo. Dopo aver diretto La spina del Diavolo e Il labirinto del Fauno, entrambi ambientati nella Spagna di Franco, il premio Oscar Guillermo del Toro dirigerà per la prima volta un film d’ animazione per Netflix, le cui riprese inizieranno in autunno. Co-diretto dal genio dell’ animazione Mark Gustafson, Pinocchio sarà coprodotto dalla storica Jim Henson Company, creatrice dei Muppets, insieme alla ShadowMachine, produttrice del cult Bojack Horseman, e si baserà, nell’ aspetto dei pupazzi, sulle illustrazioni gotiche dell’ artista, e amico di Del Toro, Gris Grimly. LA TRAMA «Il Pinocchio degli albi di Grimly è una creatura perversa, quasi lugubre – diceva Del Toro nel 2012, annunciando di volerne adattare il fumetto – a differenza del Pinocchio Disney, il suo burattino è un cattivo ragazzo che emerge dal legno per seminare il caos». Sei anni dopo, però, l’ anima dark del progetto si sarebbe lentamente affievolita, tanto che il nome di Grimly non compare più tra i produttori esecutivi del film. E nonostante la fattura dei pupazzi sia stata affidata a Mackinnon e Saunders, gli stessi de La sposa cadavere di Tim Burton, il taglio che Del Toro darà alla storia sembrerebbe essere meno dark del previsto: «Nel nostro film, Pinocchio è un’ anima innocente con un padre indifferente, che si perde in un mondo che non può comprendere – ha dichiarato ieri il regista – Il nostro protagonista si imbarca in un viaggio straordinario che lo condurrà a una profonda comprensione di suo padre e del mondo reale. Sono estremamente grato a Netflix per questa opportunità, che mi permetterà di presentare la mia personale versione di questo strano burattino al pubblico di tutto il mondo». Un’ opportunità buona per Del Toro ma ottima anche per la stessa Netflix, ormai lanciata in una campagna acquisti nel territorio bambini, mirata a battere sul tempo il lancio della piattaforma Disney, previsto nel 2019: e così, dopo She-Ra and the Princesses of Power, Gabby’ s Dollhouse e Trollhunters (primo capitolo di una trilogia diretta dallo stesso Del Toro), Netflix aggiungerebbe con Pinocchio un altro tassello al mosaico dell’ offerta cosiddetta kids. Tutti contenti, allora? Non proprio. Perché nonostante Pinocchio sia stato adattato numerose volte nel corso degli anni, passando per il classico Disney del 1940, la serie di Luigi Comencini nel 1972 e il film del 2002 di Roberto Benigni, proprio in questi giorni sarebbe dovuto partire un nuovo film, il Pinocchio di Matteo Garrone. Coproduzione italo-franco-inglese, riprese previste a novembre e Toni Servillo nella parte di Geppetto, il film partirebbe da un’ idea simile a quella di Del Toro, un horror per bambini pieno di mistero e sentimento, meraviglie e divertimento. Un progetto che nel 1997 sarebbe stato già accarezzato da un altro regista, Paolo Virzì, cui i vertici Rai avrebbero proposto proprio un Pinocchio animato, a pupazzi, da realizzare con il contributo di Carlo Rambaldi. Ilaria Ravarino © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Gedi ritrova l’ utile nel 2018, ma l’ editoria continua a soffrire
Il Sole 24 Ore
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Il 2018 sarà l’ anno del ritorno all’ utile per Gedi, la casa editrice delle famiglie De Benedetti e Agnelli. Nei primi nove mesi del 2018 il gruppo editoriale che pubblica Espresso, Stampa e Repubblica, ha realizzato ricavi consolidati, pari a 469,7 milioni, con una crescita del 10,4% sullo stesso periodo del 2017 (ma con un calo del 5,9% a perimetro equivalente). Il margine operativo lordo è sceso a 31,4 milioni da 33,7 milioni. La buona notizia è che il lavoro di integrazione con la Itedi portato avanti dal presidente Marco De Benedetti e dall’ ad Laura Cioli, ha riportato in nero i conti: 7,8 milioni, a fronte di una perdita di 144 nel 2017, colpa di un onere una tantum per un contenzioso fiscale. Nonostante continui il «trend negativo che ha interessato il settore della stampa quotidiana e periodica ormai da anni», ha informato l’ azienda, il gruppo registrerà a fine anno un risultato positivo, frutto dell’ evoluzione dei prodotti editoriali, come il recente restyling del settimanale A&F. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Ammesse le spese sui siti delle agenzie
Il Sole 24 Ore
G.Gav.
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Sul filo di lana (l’ invio della comunicazione telematica per l’ accesso al credito relativa al 2018 e della dichiarazione sostitutiva sugli investimenti effettuati per il 2017 andava effettuata entro ieri) arrivano ulteriori risposte ai quesiti ricorrenti (Faq) sul sito del dipartimento dell’ Editoria della Presidenza del consiglio dei ministri. Il primo chiarimento attiene al profilo oggettivo delle spese ammissibili, nell’ ambito delle quali viene ricondotto l’ acquisto di spazi pubblicitari sui siti web delle agenzie di stampa. Premesso che in precedenza il dipartimento aveva negato l’ ammissibilità delle spese sostenute a fronte di banner pubblicitari su portali online, l’ apertura riguarda le agenzie di stampa come «organi di informazione», a condizioni che presentino tutti i requisiti per i media agevolabili. Per quanto attiene all’ asseverazione dell’ effettività delle spese sostenute, diverse nuove risposte riguardano i soggetti legittimati all’ attestazione e le modalità e termini di quest’ ultima. Infatti, l’ effettuazione delle spese deve risultare da attestazione rilasciata dai soggetti di cui all’ articolo 35, commi 1, lettera a) e 3, del Dlgs n. 241/1997, legittimati a rilasciare il visto di conformità dei dati esposti nelle dichiarazioni fiscali, o dai soggetti che esercitano la revisione legale dei conti. Nulla impedisce che sia lo stesso professionista che assiste l’ impresa richiedente, se iscritto nel registro dei revisori legali, a rilasciare l’ attestazione: questa non deve riportare anche la dichiarazione che le spese rientrano tra le tipologie ammissibili. Non è previsto un modello a contenuto obbligatorio, ma si deve trattare di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, contenuta nella «comunicazione telematica». Pur trattandosi di un documento indispensabile, essa non deve essere prodotta in relazione alla «Comunicazione per l’ accesso al credito di imposta», che equivale ad una prenotazione delle risorse, ma solo in relazione alla «Dichiarazione sostitutiva relativa agli investimenti effettuati», di cui costituisce un presupposto. L’ attestazione rilasciata dai soggetti legittimati non deve essere inoltrata, ma deve essere conservata dal beneficiario richiedente, per i controlli successivi, ed esibita su richiesta dell’ amministrazione. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
«Stop alla serie tv sulla bimba trans»
Il Tempo
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Valentina Conti Nuova crociata anti -gender dell’ associazione prolife CitizenGO. Una petizione popolare lanciata sul sito dell’ omonima Fondazione per chiedere ,senza se e senza ma, a Sky, di non mandare in onda la serie tv inglese “Butterfly” ,sulla storia di un “bambino trans gender” di soli 11 anni che si sente femmina ed è incoraggiato dalla madre a comportarsi come se fosse una bambina. La battaglia in poche ore ha già raccolto oltre 15.000 firme ,con un tam-tam che sta aumentando soprattutto sui social network. «La serie “Butterfly” ,già andata in onda nel Regno Unito e che sarà trasmessa in Italia dal canale FoxLife di Sky nelle prossime settimane ,rappresenta in chiave totalmente ideologica il disagio di un bambino affetto da disforia di genere che si sente appartenere al sesso opposto a quello biologico» , si spiega nella descrizione della petizione. Rimarcando: «Per decidere il “taglio” del racconto ,infatti ,gli autori si sono affidati alla collaborazione dell’ associazione Mermaids (Sirenette) ,che sostiene di aiutare le famiglie di minori con disforia di genere con raccomandazioni da molti considerate oltre i limiti della prudenza medico -scientifica e che mettono a repentaglio la salute degli stessi ragazzi». «Mermaids – prosegue CitizenGO – è stata, infatti ,duramente criticata per aver chiesto di abolire il limite minimo dei 16 anni previsto in Inghilterra per la somministrazione di farmaci ormonali al fine di bloccare il naturale sviluppo puberale di ragazze e ragazzi. Farmaci che sottopongono il corpo e la psiche dei bambini a contraccolpi gravissimi, che possono portare fino all’ infertilità». CitizenGO contesta ,dunque ,«duramente la scelta di mandare in onda anche in Italia un prodotto televisivo che diffonde una rappresentazione totalmente distorta su come si dovrebbero affrontare situazioni delicate come quelle da cui la serie prende spunto». «Il messaggio di fondo ,per cui si debba in definitiva sempre acriticamente sostenere le “emozioni” di disagio dei minori ,incoraggiando la loro “transizione sessuale” sin dalle abitudini quotidiane più semplici – rileva ancora l’ associazione – sta avendo effetti devastanti già nel Regno Unito ,dove associazioni medico -scientifiche e lo stesso governo hanno recentemente messo sotto inchiesta ufficiale l’ esponenziale aumento di disagi dell’ identità sessuale nella popolazione pre-adolescenziale». «Nei prossimi giorni – annuncia il Direttore delle Campagne di CitizenGO ,Filippo Savarese – metteremo in campo azioni di protesta contro la trasmissione in Italia di questa serie, oltre la raccolta firme che prosegue ovviamente sul sito della Fondazione». «Il nostro obiettivo- chiosa Savarese senza mezzi termini – è quello di informare i cittadini per prevenire il rischio contagio verso i loro figli e far capire a tutte le emittenti ,Sky in primis ,che farsi portatrici dell’ ideologia Gender in Italia è una scelta pessima e non conveniente». A sostegno delle proprie tesi, l’ associazione prolife snocciola i numeri “allarmanti” sul fenomeno diramati dal Servizio Sanitario Inglese: se nel 2010 i minori sottoposti a terapie sulla disforia di genere erano 97, nel 2015 sono diventati 1.013 , «con un trend che continua a crescere e che mette sotto accusa il costante bombardamento con cui il movimento LGBT diffonde l’ idea che la sessualità sia fluida e che si debbano incoraggiare i bambini a domandarsi quale sia la loro “vera identità” oltre il dato biologico». Il primo episodio di “Butterfly” è stato già proiettato in Italia il 13 Ottobre , in anteprima assoluta a Milano ,nel corso di Fest – Il Festival delle Serie Tv. Ma prima della messa in onda ufficiale saranno scintille: il dibattito ,appena iniziato , si preannuncia a dir poco incandescente.
Fisco, l’ attestazione delle spese pubblicitarie non va inviata ma sempre conservata
Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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È scaduto ieri il termine ultimo per presentare la domanda di agevolazione fiscale per gli investimenti incrementali in pubblicità, però vale ancora un ultimo avvertimento per le aziende inserzioniste: l’ attestazione sulle spese effettuate va sempre conservata, anche se non era necessario trasmetterla. L’ attestazione va infatti esibita in caso di controlli. E vale la sola attestazione che sia stata firmata dai responsabili dei vari centri di assistenza fiscale o dai revisori legali dei conti. In particolare, può formalizzare l’ avvenuta spesa in spazi promozionali anche il commercialista dell’ impresa che richiede il credito d’ imposta. In senso più ampio, infine, sono abilitati a rilasciare l’ attestazione tutti i commercialisti, i ragionieri, i periti commerciali e i consulenti del lavoro che abbiano presentato l’ apposita comunicazione alla direzione regionale delle entrate, nella sede competente in base al loro domicilio fiscale. Perché l’ attestazione va conservata? Secondo i chiarimenti apparsi in questi giorni sul sito web del Dipartimento per l’ informazione e l’ editoria-Die (che fa capo alla Presidenza del consiglio dei ministri e risponde al sottosegretario Vito Crimi, informazioni su informazioneeditoria.gov.it), l’ attestazione è diversa dalla dichiarazione sostitutiva relativa agli investimenti effettuati, trasmessa online per comunicare che gli investimenti sono stati realizzati nell’ anno agevolato e che soddisfano i requisiti previsti. Anzi, l’ attestazione può essere definita il presupposto per cui si può, poi, inviare la dichiarazione sostitutiva. Dichiarazione che, a sua volta, va distinta dalla comunicazione per l’ accesso al credito di imposta, che equivale invece a un’ iniziale prenotazione delle risorse e quindi, tanto meno, non necessita di essere supportata dall’ attestazione sulle spese effettuate. Ieri, nel frattempo, è scaduto il termine per inviare la dichiarazione sostitutiva per gli investimenti realizzati nel 2017 (effettuati nel secondo semestre) sulla sola stampa così come per trasmettere la comunicazione per le spese pianificate e realizzate quest’ anno, sia sulla carta stampata sia sull’ emittenza radio-televisiva. Comunicazione che andrà poi confermata verso gennaio.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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Netflix valuta nuova emissione bond. Netflix vuole raccogliere 2 miliardi di dollari (1,7 miliardi di euro) attraverso il collocamento di bond in dollari e in euro per investitori istituzionali qualificati. La società che offre un servizio di video in streaming ha precisato che i rendimenti offerti e le scadenze delle obbligazioni saranno decisi più avanti, dopo i negoziati con gli acquirenti iniziali. La valutazione di Netflix da parte di Moody’ s è di Ba3, un livello considerato «junk», ovvero spazzatura. Negli ultimi tre mesi, il titolo ha perso il 7,9%, mentre il Nasdaq 100 ha ceduto il 3,3% e l’ S&P 500 l’ 1,2%. Torino in Sintesi per l’ aforisma, premio alla carriera per il giornalista Basili. Sabato prossimo a Torino c’ è in calendario l’ assegnazione del premio Torino in Sintesi per l’ aforisma con la sezione editi, inediti e stranieri (quest’ anno la nazione ospite è la Spagna). Nel corso della cerimonia verrà conferito un premio alla carriera allo scrittore di aforismi e giornalista parlamentare Dino Basili. Settimanale Topolino, raccoglie Emmei Adv. Panini ha affidato la raccolta pubblicitaria in esclusiva del settimanale Topolino e delle altre testate Disney a Emmei Adv, concessionaria pubblicitaria romana nata nel 2013 come dipartimento del service editoriale Emmei. Rcs-Corriere della Sera, Cibo a Regola d’ Arte torna a Napoli. Nona edizione e terzo appuntamento del 2018, Cibo a Regola d’ Arte, evento food organizzato dal Corriere della Sera, torna a Napoli il prossimo weekend (informazioni su www.ciboaregoladarte.it).
Le Monde, scontro tra i soci per l’ ipotesi nuovi azionisti
Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Acque molto agitate a Le Monde: è bastata l’ ipotesi di cessione a un investitore esterno di una quota di minoranza, peraltro non direttamente nella holding di controllo, per creare screzi tra i due soci principali Xavier Niel e Matthieu Pigasse, allarmare i dipendenti-azionisti e infine destare qualche dubbio sul futuro del primo quotidiano di Francia. Ieri infatti i rappresentanti del Pôle d’ indépendance, società che riunisce giornalisti, personale amministrativo e lettori al 25% del quotidiano parigino, hanno chiesto un incontro coi due editori (al restante 75% circa assieme agli spagnoli di Prisa, vedere ItaliaOggi del 20/10/2018). Ma tra Niel e Pigasse è scomparsa al momento l’ unità d’ intenti: il patron di Iliad ha preso la possibile cessione di una quota di minoranza nella sub-holding di Pigasse al miliardario ceco Daniel Kretinsky come l’ imposizione di un nuovo azionista, stando almeno a indiscrezioni di stampa transalpina. Inoltre Niel si domanda retoricamente perché Kretinsky non compri la quota di Prisa (intorno al 20%), anch’ essa sul mercato. La risposta implicita è che acquisendo quote da Pigasse, e non direttamente nella holding di controllo, il manager ceco impegnato nell’ editoria così come nell’ energia non ha vincoli qualora decidesse di aumentare l’ impegno ne Le Monde. Niel non vuole evidentemente concorrenti in casa, anche se ha sostenuto economicamente Pigasse nel far fronte ai costi dell’ editrice, pur di non rimanere il solo editore incaricato. Al momento, secondo stime, i soci principali de Le Monde hanno messo sul tavolo più di 120 milioni di euro d’ investimenti. Di suo Kretinsky ha puntato a convincere subito Pigasse, valorizzando la sua partecipazione in 100 milioni ed evitando possibili rilanci altrui. Per il momento resta tutto nelle mani di Pigasse che ha dichiarato di conoscere da anni il miliardario che viene dall’ Est Europa, di avere fiducia in lui e soprattutto ha ricordato che è ancora lui l’ azionista di maggioranza assieme a Niel. Il dubbio finale, perciò, è se e quando il business dei contenuti video della sua altra società Mediawan (peraltro costituita sempre con Niel) richiamerà la sua completa attenzione e gran parte delle sue risorse.
Tv, la denuncia dei radicali ” I gialloverdi occupano i tg”
La Repubblica
ALDO FONTANAROSA
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roma Matteo Salvini e Luigi Di Maio, con le loro idee, i loro slogan, le tante invettive, dominano l’ informazione televisiva in Italia. Succede tra giugno e settembre, nei primi 4 mesi di vita del governo grillino-leghista. Un governo che beneficia dunque di una visibilità sproporzionata sui telegiornali di Rai e Mediaset, de La7 e di Sky. Della suddivisione dei tempi tra governo, maggioranza e opposizione dovrà occuparsi adesso il Garante delle Comunicazioni (l’ Agcom) che riceve un formale esposto a firma di Benedetto Della Vedova e Silvja Manzi. Il coordinatore e la legale rappresentante di + Europa denunciano al Garante, nell’ esposto, anche l’ oscuramento quasi totale del loro partito, che pure ha ottenuto il 2,5% alla Camera e il 2,4% al Senato nella quota proporzionale delle Politiche. Quanto tempo il governo, l’ opposizione e la maggioranza hanno diritto ad avere all’ interno dei tg? Una regola rigida e vincolante non esiste. La Rai e le stesse reti private sono passate indenni all’ esame del Garante, negli anni scorsi, quando hanno diviso la torta del tempo in tre grandi fette, con un terzo alle opposizioni, un terzo alle forze di maggioranza e un terzo infine ai soggetti istituzionali (che sono il governo inteso come ministri, vice ministri e sottosegretari; il premier; i presidenti di Senato e Camera; infine il Quirinale e l’ Ue). L’ esposto di +Europa – che rielabora proprio i dati ufficiali del Garante – considera solo due soggetti istituzionali ( premier e governo) mentre esclude gli altri che da sempre parlano poco in televisione. Se dunque premier e governo avrebbero diritto a un massimo del 33% del tempo o meno, ecco i telegiornali concedere loro un trattamento extralusso. L’ insieme dei notiziari della Rai, ad esempio, si spinge al 44,17% a giugno e al 43,12 a settembre. Mediaset arriva addirittura al 54,67% a giugno mentre SkyTg24 oscilla tra il 64,93% ( di giugno) e il 63,07% ( di luglio). Governo poi vuol dire Di Maio e Salvini. Sono loro a dominare la scena, a prendere il microfono, mentre il presidente Conte appare molto meno che Renzi o Berlusconi nelle passate legislature. Ed è su questo punto che l’ esposto di + Europa pungola il Garante. Davvero Di Maio e Salvini sono soggetti istituzionali, visto che entrambi guidano i rispettivi partiti, e visto lo stile forte di comunicazione? Governo, premier e partiti di maggioranza avrebbero diritto – insieme – a un massimo del 66% del tempo. Spesso sono dentro questo tetto o anche al di sotto. È la prova che i parlamentari e gli altri esponenti di Lega e 5Stelle faticano ad affacciarsi nei telegiornali, schiacciati da Di Maio e Salvini. Altre volte invece sono sopra la soglia ammessa del 66%: ad esempio su Mediaset a giugno, e su TgLa7 a luglio. Il governo, dunque, domina. La maggioranza soffre il protagonismo di Di Maio e Salvini. Le opposizioni ( che pure sono molto diverse, da Forza Italia al Pd) restano a galla. Riescono a trovare spazi sufficienti su Rai e Mediaset; meno su La7 e Sky. Invece +Europa è direttamente cancellata con percentuali tipo 0,02% o 0,04% un po’ dovunque.
Gedi, utili e ricavi in crescita nei primi 9 mesi di quest’ anno
La Repubblica
REPUBBLICA
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Il gruppo, che edita chiude il periodo gennaio- settembre con un guadagno di 7,8 milioni Sale la raccolta pubblicitaria su radio e Internet ROMA Il gruppo editoriale Gedi, editore anche di Repubblica, chiude i primi 9 mesi del 2018 con un utile netto consolidato di 7,8 milioni che si confronta con una perdita di 143,9 milioni nello stesso periodo del 2017. I ricavi consolidati sono cresciuti del 10,4% a 469,7 milioni di euro mentre il margine operativo lordo è stabile a 31,4 milioni ( 33,7 milioni nel 2017). Il risultato operativo è sceso da 22,3 a 17,3 milioni. Il 27 giugno 2017 è stata perfezionata l’ operazione di integrazione – dentro Gedi – del gruppo Itedi, editore dei quotidiani La Stampa e il Secolo XIX. Gedi dunque ha acquisito il controllo del gruppo Itedi, entrato nel perimetro di consolidamento dal 30 giugno 2017. Per questo motivo, il conto economico del gruppo Gedi dei primi 9 mesi del 2017 comprende il gruppo Itedi a partire dal primo luglio 2017. Nei 9 mesi del 2018 i ricavi consolidati, pari a 469,7 milioni, hanno registrato una crescita del 10,4% sui primi nove mesi del 2017 (- 5,9% a perimetro equivalente). I ricavi derivanti dalle attività digitali rappresentano complessivamente l’ 11,3% del fatturato del gruppo.I ricavi diffusionali, pari a 215,5 milioni, sono aumentati del 14,5% rispetto a quelli del corrispondente periodo dell’ esercizio precedente e risultano in flessione dell’ 8,4% a pari perimetro. I ricavi pubblicitari sono cresciuti del 9,2% rispetto ai primi nove mesi del 2017 e risultano in flessione del 2,5% a perimetro equivalente. Con riferimento ai mezzi del gruppo, la raccolta su radio è cresciuta del 4,7%, confermando l’ evoluzione positiva già riscontrata nel precedente esercizio. La raccolta su Internet sale del 17,8% (+ 4,9% a perimetro equivalente, con un andamento leggermente migliore di quello del mercato). Infine, la raccolta su stampa ha registrato un aumento del 10,6% (- 6,7% a perimetro equivalente, con un andamento in linea con quello del settore). I costi sono superiori del 12,2% rispetto ai primi nove mesi del 2017 e sono scesi del 4% a perimetro equivalente. Sono diminuiti in particolare i costi fissi industriali (- 7%), grazie anche alle attività di riorganizzazione della struttura produttiva del Gruppo. Tra le partecipate del gruppo Cir, oltre a Gedi, ieri anche Sogefi – attiva nella componentistica auto – ha dato i suoi risultati al 30 settembre. Nei primi nove mesi del 2018 ha registrato ricavi pari a 1.219,8 milioni, in crescita del 3,3% a cambi costanti, con un andamento migliore del mercato; a cambi correnti il fatturato è in diminuzione dell’ 1,8%. L’ utile netto è sceso da 27,9 a 23,1 milioni. Il gruppo prevede sull’ intero esercizio un risultato netto in linea con il 2017, nonostante gli incrementi del costo delle materie prime e l’ effetto cambi negativo. © RIPRODUZIONE RISERVATA Ricavi Sogefi +3,3% mentre l’ utile è di 23,1 milioni. Previsto risultato netto in linea con quello del 2017 EIKON STUDIO Al vertice Il presidente del gruppo Gedi Marco De Benedetti con l’ amministratore delegato Laura Cioli.
Gedi, utili a 7,8 milioni I ricavi crescono del 10%
La Stampa
R.E.
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Gedi accelera su ricavi e utili. Il gruppo editoriale nei primi nove mesi del 2018 ha realizzato ricavi consolidati di 469,7 milioni, con una crescita del 10,4% rispetto al 2017 (-5,9% a perimetro equivalente). Il margine operativo lordo invece è sceso a 31,4 milioni da 33,7 milioni. L’ utile è stato di 7,8 milioni, a fronte di una perdita di 143,9 milioni nei nove mesi del 2017 (145,7 milioni di euro a perimetro equivalente) che recepiva un onere fiscale di natura straordinaria derivante dalla definizione di un contenzioso che risale al 1991. Inoltre il 27 giugno 2017, ricorda la nota, è stata perfezionata l’ operazione di integrazione in Gedi del gruppo Itedi, editore dei quotidiani La Stampa ed il Secolo XIX. Pertanto il conto economico di Gedi dei primi nove mesi del 2017 comprende Itedi a partire dal primo luglio 2017. L’ indebitamento netto al 30 settembre 2018 è di 124,7 milioni rispetto ai 115,1 milioni di fine 2017. Il 2 luglio 2018 la società ha effettuato un esborso di 35,1 milioni relativo all’ ultima tranche del procedimento di definizione del contenzioso del 1991. Per quanto riguarda le prospettive del bilancio 2018, sulla base degli andamenti dei nove mesi, «non si intravedono significativi miglioramenti dei trend negativi che hanno interessato il settore della stampa quotidiana e periodica ormai da anni, mentre si consolida l’ evoluzione positiva della radio e di internet. Il gruppo continua ad impegnarsi nel conseguimento di tutti i vantaggi derivanti dall’ integrazione con Itedi, nello sviluppo sia dei prodotti editoriali che delle attività digitali». Salvo imprevisti, il gruppo « registrerà a fine anno un risultato positivo». r.e. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
Inchiesta Report “Il bagarinaggio sui biglietti Juve non è mai finito”
La Stampa
M.PEG.
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Non sono bastate due sentenze, in primo e secondo grado, con imputati condannati per associazione mafiosa, a bloccare il business dei biglietti nelle curve della Juventus, «infiltrate» dai clan delle ‘ndrangheta. È quanto emerge dall’ inchiesta di Report andata in onda ieri sera, sugli intrecci tra gruppi ultrà e criminalità organizzata, con un accurato approfondimento sulle vicende svelate dalla Direzione Distrettuale Antimafia e sulla morte per suicidio di un collaboratore della società, Raffaello Bucci, rivelate da La Stampa nel luglio del 2016. Le telecamere di Report hanno documentato che ancora oggi, di fronte all’ Allianz Stadium, il gruppo ultrà dei Drughi fa affari con i biglietti, nel piazzale dello stadio, dribblando i vincoli degli abbonamenti nominativi. Dimostrando che gli ultrà, suddivisi in 5 gruppi all’ interno dello stadio – Drughi, Bravi Ragazzi al secondo anello e Nucleo 1985, Viking, Tradizione Bianconera -, più o meno vicini ognuno a gruppi criminali, non hanno rinunciato agli interessi in gioco. E a dirlo è uno dei leader storici dei Bravi Ragazzi, Andrea Puntorno, siciliano, uscito di scena negli ultimi anni per via di alcuni guai con la giustizia legati allo spaccio di droga. Intervistato da Report, ha detto che presto tornerà a Torino, per tornare nella sua curva, a tifare juventus e a sostenere il suo striscione. Ed è proprio sulla gestione degli striscioni che la trasmissione di Rai 3 si è soffermata. Tornando sul caso del 2014, ha evidenziato il comportamento del security manager della Juve Alessandro D’ Angelo che favorì l’ ingresso nello stadio di uno striscione offensivo contro il Toro. m.peg. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
Lucisano group primo ciak per il nuovo film Primo ciak ad Africo (Reggio Calabria) per “Via dall’ Aspromonte”, il nuovo film di M
Libero
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Lucisano group primo ciak per il nuovo film Primo ciak ad Africo (Reggio Calabria) per “Via dall’ Aspromonte”, il nuovo film di Mimmo Calopresti con Valeria Bruni Tedeschi (David di Donatello come Miglior Attrice Protagonista) e Marcello Fonte (“Dogman”). Il film è prodotto da Lucisano Group attraverso Italian International Film con Rai Cinema. Rimpasto nel consiglio di Schiuker Frames L’ assemblea di Schiuker Frames (porte e finestre) ha nominato Claudia Crivelli amministratore indipendente. Prende il posto di Donatella Cungi che, il 27 settembre aveva rimesso l’ incarico per motivi personali.
Gedi: conti nei 9 mesi del 2018
Prima Comunicazione
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I ricavi sono cresciuti, si legge in una nota (.pdf), del 10,4% a 469,7 milioni di euro (-5,9% a perimetro equivalente), mentre il margine operativo lordo è stabile a 31,4 milioni (33,7 milioni nel 2017). Il risultato operativo è sceso da 22,3 a 17,3 milioni di euro. L’ indebitamento finanziario netto di periodo è inoltre aumentato a 124,7 milioni di euro rispetto ai -115,1 mln registrati alla fine dello scorso anno. Pesano in particolare i 35,1 milioni spesati a luglio come ultima tranche di un contenzioso fiscale. Nel dettaglio, i ricavi derivanti dalle attività digitali rappresentano complessivamente l’ 11,3% del fatturato del Gruppo. I ricavi diffusionali, pari a 215,5mn, sono aumentati del 14,5% rispetto a quelli del corrispondente periodo dell’ esercizio precedente e risultano in flessione dell’ 8,4% a pari perimetro, in un mercato che, si evidenzia, ha continuato a registrare una significativa riduzione delle diffusioni dei quotidiani. Cresciuti del 9,2 i ricavi pubblicitari rispetto ai primi nove mesi del 2017 (in flessione del 2,5% a perimetro equivalente). La raccolta su radio è cresciuta del 4,7%, quella su internet ha mostrato una crescita del 17,8% (+4,9% a perimetro equivalente, con un andamento leggermente migliore di quello del mercato). Infine, la raccolta su stampa ha registrato un aumento del 10,6% (-6,7% a perimetro equivalente, con un andamento in linea con quello del settore). L’ andamento del terzo trimestre, continua la nota, “conferma le linee di tendenza riscontrate già nel corso del primo semestre”. I ricavi sono scesi del 6,4% , il risultato operativo è pari a 4,7 milioni a fronte dei 6,7 milioni del terzo trimestre 2017 e il risultato netto consolidato registra un utile di 3,5 milioni a fronte di una perdita di 151,2 milioni di euro nel corrispondente periodo dell’ anno precedente “tenuto conto che l’ onere fiscale di natura straordinaria era stato registrato interamente nel corso del terzo trimestre”. Nelle prospettive per l’ intero 2018 Gedi ritiene “che, in assenza di eventi allo stato imprevedibili, il gruppo registrerà a fine anno un risultato positivo”. “Non si intravedono significativi miglioramenti nei trend negativi che hanno interessato il settore della stampa ormai da anni mentre si consolida l’ evoluzione positiva della radio e di internet”, ma il gruppo, precisa la nota, “continua ad impegnarsi nel conseguimento di tutti i vantaggi derivanti dall’ operazione di integrazione con Itedi, nello sviluppo ed evoluzione sia dei propri prodotti editoriali che delle attività digitali e nella permanente implementazione di razionalizzazioni volte a preservare la redditività in un mercato strutturalmente difficile.
Mediolanum, spot per il decennale di Lehman Brothers
Prima Comunicazione
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Il 22 ottobre 2008, dieci anni fa, dopo il fallimento di Lemhan Brothers che diede il via alla grande crisi economica e finanziaria, Ennio Doris dichiarò l’ intervento di Banca Mediolanum a tutela e difesa dei risparmi dei propri clienti. E a ricordarlo è on air il flight che nella prima inquadratura riprende le immagini dello spot con cui nel 2008 annunciò l’ impegno della sua banca. Al cambio di scena, esattamente come dieci anni fa, davanti alla fontana della sede di Banca Mediolanum diventa protagonista l’ ad Massimo Doris per ribadire: “Dieci anni fa mio padre annunciava che Mediolanum sarebbe stata concretamente vicina ai clienti nella crisi Lehman Brothers. Oggi continuiamo a esservi vicini. Per dare più soluzione ai vostri risparmi, per gli investimenti, per scegliere il mutuo e per proteggere voi e la vostra famiglia. Dieci anni fa come oggi: consulenti da sempre”. Firmato Armando Testa, lo spot sarà in onda fino all’ 11 novembre sulle reti Rai, Mediaset, Class Cnbc, Paramount Channel, Sky, Cielo e Rtl Tv e verrà affiancato da una campagna sulle maggiori emittenti radiofoniche, su quotidiani nazionali, sul web e su Facebook e YouTube. Lo spot è stato presentato a Palazzo Biandrà, sede della casa di Consulenza milanese di Banca Mediolanum al termine di una conferenza interamente dedicata alla sostenibilità e all’ innovazione quali principi guida “per il processo di cambiamento volto a tenere in sintonia lo sfruttamento delle risorse, il piano degli investimenti, l’ orientamento dello sviluppo tecnologico e le modifiche istituzionali, al fine di valorizzare il potenziale attuale e futuro nella capacità di far fronte ai bisogni e alle aspirazioni dell’ uomo”. All’ incontro, coordinato da Barbara Carfagna del Tg1 hanno partecipato il presidente di Banca Mediolanum Ennio Doris, l’ ad Massimo Doris, il direttore Innovation, Sustainability & Value Strategy Oscar di Montigny, la presidente della Fondazione Mediolanum Sara Doris che hanno evidenziato quanto “la Corporate Social Responsibility sia parte integrante dei valori e della cultura dell’ azienda sin dalla sua nascita e si concretizzi nel modo di operare, nell’ attenzione e nella centralità del cliente, nel modo in cui supporta i propri dipendenti, rispetta l’ ambiente e contribuisce allo sviluppo della comunità in cui è inserita”. Una testimonianza è stata portata da Enrico Giovannini, professore ordinario di statistica economica presso l’ Università di Roma Tor Vergata, già presidente dell’ Istat e ministro del lavoro e delle politiche sociali, portavoce di Asvis – Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, che ha messo a fuoco il quadro attuale dell’ Italia e delle sue varie regioni, rispetto agli obiettivi dell’ Agenda 2030 sui quali tutti i leader del mondo si sono impegnati. Lo spot Mediolanum per il decennale dalla crisi Lehman Brothers:
L'articolo Rassegna Stampa del 23/10/2018 proviene da Editoria.tv.