Indice Articoli
«Vendiamo Mediaset a Vivendi? No, non è vero»
Impero Murdoch, il tesoro dei sei figli Dall’ addio a Fox 12 miliardi in cassaforte
Sky e Dazn, l’ istruttoria si chiude a inizio 2019
“Rai, l’ antidoto alle pressioni politiche è solo uno: dimissioni”
Nuovi direttori di reti e telegiornali: è tutto rinviato
L’ urgenza di una Rai sul modello Boris
Chi è Giuseppina Paterniti, il volto “europeo” che il M5s vuole al Tg1
Vodafone passa all’ attacco su Iliad
Sky, reintegrati tre licenziati a Roma
Intesa lontana anche sulla Rai
Il bonus pubblicità non premia solo gli incrementi di spesa
Netflix, 12 mld per i contenuti
Radio digitale Dab+, frequenze insufficienti
Chessidice in viale dell’ Editoria
Più Leone per Del Vecchio e Caltagirone
” I miei amori: la televisione e la regina Cleopatra”
Murdoch smobilita e i figli incassano 2 miliardi ciascuno
Mediaset non è in vendita. E il titolo va giù
Scrittori e giornalisti all’irriverente festival che inizia a Pietrasanta
Fraccaro: no a giornali, tv e radio regionali nelle mani di un unico editore
Editoria: il tycoon ceco Kretinsky vicino all’ ingresso nel capitale di Le Monde
«Vendiamo Mediaset a Vivendi? No, non è vero»
Corriere della Sera
Federico De Rosa
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Tra Fininvest e Vivendi non c’ è al momento alcun riavvicinamento. Né, ha chiarito ieri Fedele Confalonieri, pressioni da parte di Marina Berlusconi per vendere il Biscione ai francesi. Ipotesi «totalmente senza senso» le ha bollate il presidente di Mediaset, affermando che «non è vero» che Marina ha chiesto al padre, Silvio Berlusconi, di vendere, «non ha mai fatto alcuna pressione». Le voci di una riapertura del dialogo tra Cologno e Parigi sono state riferite nei giorni scorsi dal sito «Dagospia» che ha attribuito alla presidente di Fininvest la volontà di chiudere il contenzioso con Vivendi, nato in seguito al mancato acquisto di Premium, cedendo Mediaset a Vincent Bolloré. I contatti tra gli avvocati non si sono in realtà mai interrotti e tutto ancora è possibile, anche un accordo per la vendita. Intanto però il Biscione ha sistemato la partita su Premium chiudendo un accordo con Sky sui contenuti, che a novembre dovrebbe completarsi con il passaggio della piattaforma pay di Mediaset alla tv satellitare. Motivo per cui Fininvest e il Biscione avrebbero deciso di rinunciare a chiedere al Tribunale l’ esecuzione del contratto con Vivendi, dando così l’ impressione di voler superare il contenzioso. In realtà la strategia legale punterebbe tutto sulla richiesta di danni, che potrebbe superare i 3 miliardi. Il gruppo media controllato da Vincent Bolloré due anni fa ha rastrellato sul mercato il 19,9% dei diritti di voto di Mediaset, poi congelati per la parte eccedente il 10%, visto che la contemporanea presenza in Tim con il 24% rende incompatibili le posizioni. Il 4 dicembre ci sarà l’ udienza in Tribunale. Nel frattempo la pratica è passata al giudice Daniela Marconi, visto che Gerardo Perozziello, incaricato precedentemente, è andato in pensione. Dal canto suo Vivendi resta convinta che comprare Mediaset sia la migliore soluzione per arginare la «minaccia» americana sui media (Netflix) e quella potenziale che potrebbe arrivare dalla Cina, creando una piattaforma europea della pay-tv. Amos Genish, il ceo di Tim (di cui Vivendi è primo azionista) lo avrebbe anche ribadito al premier Giuseppe Conte quando insieme al presidente Fulvio Conti è stato a Palazzo Chigi. Ma a quanto risulta, Mediaset ha deciso di prendere un’ altra strada stringendo intanto un’ alleanza strategica per l’ Europa con la tedesca Prosieben e la francese Tf1.
Impero Murdoch, il tesoro dei sei figli Dall’ addio a Fox 12 miliardi in cassaforte
Corriere della Sera
Giuliana Ferraino
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Due miliardi di dollari a testa. È quanto si prepara a incassare ciascuno dei sei figli di Rupert Murdoch, dopo la divisione dell’ impero mediatico e la vendita delle attività dell’ entertainment alla Walt Disney. Parti uguali per la primogenita Prudence; per Lachlan, James e Elizabeth, i tre figli avuti dalla seconda moglie Anna; e infine per Grace e Chloe, le due figlie, ancora adolescenti, avute dalla terza moglie, Wendi Deng. A fare i conti è il «Financial Times», che parte dal 17% nel capitale di 21st Century Fox in mano a Murdoch, controllato attraverso il trust di famiglia. Quella partecipazione vale circa 12 miliardi di dollari alla luce dell’ offerta da 71,5 miliardi che Disney si prepara a pagare per le attività di 21st Century Fox, compresi i film, i canali via cavo e il network televisivo asiatico Star. Ma non include la quota della famiglia Murdoch in News Corp, il gruppo editoriale che controlla, tra l’ altro, il «Wall Street Journal» e i due quotidiani londinesi «The Times» e «The Sun»; né la New Fox, la società nata dalla separazione da 21st Century Fox che custodisce il canale americano di notizie Fox News. Dentro c’ è invece il 39% di Sky che Murdoch, insieme a Disney, ha accettato di vendere a Comcast, dopo aver perso l’ asta per il restante 61% della tv via cavo. Se sono sempre di più i ricchi convinti che la ricchezza non debba essere tramandata ma guadagnata, da Bill Gates a Warren Buffet, da Mark Zuckerberg fino a Sting, a questa categoria di certo non appartiene Rupert Murdoch, 87 anni e al quarto matrimonio, l’ ultimo nel 2016 con Jerry Hall, 62 anni, ex modella ed ex moglie della rockstar Mick Jagger (con cui ha 4 figli). Ai suoi figli, il magnate australiano con passaporto americano, non solo ha scelto di lasciare una fortuna immensa, ma li ha anche voluti al suo fianco, offrendo loro ruoli manageriali di primissimo piano nella gestione dell’ impero di famiglia. È successo in passato, e accade anche oggi. Dopo il riassetto, Murdoch e il figlio maggiore Lachlan, 46 anni, continueranno a lavorare insieme: il figliol prodigo (nel 2005 Lachlan aveva lasciato ogni incarico nel gruppo di famiglia ed era tornato in Australia, facendo spazio al secondogenito James) è stato nominato presidente e Ceo della New Fox, di cui Rupert è copresidente. James, 45 anni, attuale Ceo di 21st Century Fox ed ex numero uno di News Corp e Sky in Europa (Italia compresa) e Asia, sembra invece proiettato verso un futuro diverso, visto che è stato indicato come il candidato favorito a sostituire Elon Musk alla presidenza di Tesla (fa già parte del board). La figlia primogenita Prudence, classe 1958, è l’ eccezione: vive in Australia e non ha mai avuto nessun ruolo operativo nel gruppo di famiglia. Elizabeth, 50 anni, invece è entrata e uscita dall’ azienda di famiglia a suo piacimento, ma si è guadagnata i galloni nel mondo dei media fondando, nel 2001, Shine, la società di produzione tv britannica poi venduta a caro prezzo alla News Corp di papà nel 2011, cessione che ha sollevato molte polemiche e accuse di nepotismo. Grace e Chloe sono troppo giovani, né hanno diritto di voto sulle decisioni: sui loro interessi economici vigilano persone scelte dal padre Rupert e dalla madre Wendi (una era Ivanka Trump, prima di lasciare per evitare conflitti di interesse dopo l’ elezione del padre Donald alla presidenza Usa). L’ alternativa? Fare come Bill Gates, che pensa sia sufficiente dare ai figli «un’ ottima istruzione e abbastanza soldi» da non avere difficoltà economiche. «Dare ai ragazzi un’ enorme somma di denaro non è fargli un favore. Distorcerebbe tutto quello che potrebbero fare, mentre stanno costruendo il loro percorso»», sostiene il fondatore di Microsoft. Rupert Murdoch evidentemente dissente.
Sky e Dazn, l’ istruttoria si chiude a inizio 2019
Corriere della Sera
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«L’ istruttoria, iniziata ad agosto, all’ inizio dell’ anno prossimo vedrà la sua conclusione». Lo spiega Roberto Sommella, direttore Relazioni esterne dell’ Autorità Antitrust, riferendosi all’ inchiesta su Sky e Dazn aperta dopo l’ assegnazione dei diritti tv della serie A. Inchiesta nata perché «si presume, per quanto riguarda Dazn, che non sia stato veicolato bene il modo di fruizione, perché non è immediato capire che serve una connessione internet; per quanto riguarda Sky si presume che non sia stata veicolata bene la differenza di offerta rispetto al passato».
“Rai, l’ antidoto alle pressioni politiche è solo uno: dimissioni”
Il Fatto Quotidiano
Carlo Tecce
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“Io non sono né ingenuo né vergine e la politica da sempre adora distribuire le poltrone con una predilezione per la Rai“. Così Pierluigi Celli ha scritto la Stagione delle nomine, un romanzo che condensa più di trent’ anni ai vertici di aziende private e statali. Per ragioni di spazio, l’ elenco è parziale: Eni, Olivetti, Omnitel, Enel, Enit, Luiss e dg di Viale Mazzini dal ’98 al 2001. Esordio nel servizio pubblico con Romano Prodi. No, con Massimo D’ Alema, è il segretario dei Ds o Pds. Prodi a Palazzo Chigi. In uscita, diciamo. L’ amico Prodi. Romano è un tipo rancoroso, che si circonda di persone servili, come dimostra lo scarso successo dei suoi governi. A cena mi chiede di aumentare la potenza dei ripetitori Rai per raggiungere le coste e i confini stranieri. Io gli dico: ‘Fa ammalare la gente, non posso, mi mandano in galera’. E lui: ‘Sei un dalemiano’. La passione per D’ Alema. Io non sono dalemiano, giuro. Non mi manda D’ Alema in Rai, o meglio: non direttamente. Un giorno mi chiama un tale Claudio Velardi per invitarmi a prendere un caffè alle spalle di via delle Botteghe Oscure a Roma e mi sussurra: ‘Vuoi fare il dg Rai?’. Io declino. Vado in Enel dal mio capo, Franco Tatò, e gli supplico di riportare il mio diniego a D’ Alema. Mi risponde gelido: ‘Io non posso’. Mi arrendo. Cade D’ Alema, sale Giuliano Amato. Chiamo Amato per comunicargli l’ indicazione di Gad Lerner al Tg1. Non reagisce. Farfuglia: ‘Spero sia una scelta ponderata’. È ponderata, poi si rivela azzardata. Lerner manda in onda un servizio sui pedofili con immagini assurde di bambini, i dalemiani ne chiedono la testa alla Camera. Io resisto, lui resiste. Finché, per fare il martire, mostra al Tg1 un bigliettino di raccomandazioni di Mario Landolfi di Alleanza nazionale. Febbraio 2001, Rai addio. Campagna elettorale vicina, il centrosinistra vuole schierare l’ azienda contro Berlusconi. Impazzisco. Porta pure sfiga, penso. Mi lamento con il presidente Roberto Zaccaria in maniera informale e poi con una lettera mi dimetto. Le telefonate di B. Non molte. La prima nel ’93, c’ è il Cda dei professori di Claudio Dematté. Berlusconi è quasi in politica, ma sempre il padrone di Mediaset. Io sono il capo del personale di Viale Mazzini, mi chiama per un favore. Mi dice: ‘Senta, gli artisti giocano al rialzo sui compensi saltando tra noi e voi, ci mettiamo d’ accordo e li freghiamo?’. Le pressioni dei politici. Il mio schermo è Zaccaria, molto preciso nel percepire le sensibilità del centrosinistra. Un pomeriggio mi implora di andare a Palazzo Chigi per illustrare le novità sulla Rai al presidente D’ Alema. Parla mezzora, mentre D’ Alema fa gli origami con dei fogli di carta, poi si alza di scatto e ci congeda: ‘Perché siete venuti qui?’. Le pressioni dei politici bis. Io uso un metodo: premio i migliori anche se sono di destra. Un paio di esempi: il finiano Mauro Mazza vicedirettore del Tg1 e Agostino Saccà direttore di Rai1 e poi non tocco Clemente Mimun al Tg2. Un litigio. Con Lamberto Dini: desidera la promozione di Anna La Rosa a vicedirettore di un canale. Io respingo e lui urla: ‘Sono il ministro degli Esteri!’. Daniele Luttazzi. Un errore. Critico il programma – e anche l’ intervista a Marco Travaglio sugli affari di Berlusconi – per dare un movente alle mie dimissioni. Ora chiedo scusa, Luttazzi è un talento della tv. Vita in Rai. Terribile, non la consiglio neanche ai nemici. Il mio conforto era Biagio Agnes. Il dg di marca Dc. Biagio viene in stanza per controllare se ho spostato dei quadri o se la finestra ha tende nuove. Io sto per mollare, sono esausto dalle pressioni del centrosinistra. Mi suggerisce: ‘Prendi un ufficio più piccino accanto al prossimo dg. Il mio successore – dice – era Gianni Pasquarelli. Siccome era diabetico, arrivava in Viale Mazzini non prima delle dieci. Io alle sette ero già qui e tutti parlavano con me. Lui ha protestato e, per risolvere il conflitto, mi hanno trovato un posto, alla Stet’. I posti si danno e, troppo spesso, si tolgono. Alla Olivetti di Carlo De Benedetti non sono il capo del personale, ma dell’ ex personale. Licenzio 10 mila dipendenti in 10 mesi. De Benedetti è arrogante, è un padrone. Se gli dici sempre di sì, ti passa addosso. Quando ha detto di no. Mi chiede di firmare 500 lettere di cassa integrazione per il 24 dicembre. La vigilia di Natale, che diamine. Lui insiste, non lo faccio. E mi vendico. Una volta mi informa che ha cambiato macchina aziendale. Ha comprato un’ Audi gigantesca per dismettere la Bmw, così dice. Ma qualche settimana dopo, ritrovo una donna a bordo della Bmw: ‘Cosa fa qui, signora?’ ‘Vado in Svizzera con l’ Ingegnere’. Corro su e scateno un putiferio. Quando ha sbagliato a dire sì. Franco Bernabé mi sceglie per dirigere il Festival del Cinema di Venezia e poi organizza un incontro con Giuliano Urbani, ministro della Cultura. Una follia, prevedo le solite ‘spintarelle’. Franco mi trascina da Urbani. Siparietto divertente. Vittorio Sgarbi spalanca la porta, allunga il braccio e ci saluta: ‘Camerati!’. Urbani sorride, poi tira fuori un taccuino e ci indica chi spedire in commissione per il premio. Tiro un calcio a Franco e mi dimetto. Il direttore dell’ Università Luiss – durante la recessione del 2009 – suggerisce ai ragazzi di emigrare. Una provocazione. Di mattina tutti mi ringraziano, di pomeriggio – i docenti, i più ipocriti – prendono le distanze. Il figlio di Celli, però, resta in Italia alla Ferrari. Succede dopo, ci va con l’ Adecco e resta solo otto mesi. Agiografia non credibile: Celli immune ai politici. Sono furbo, e con la fama di cattivo. Con la vecchiaia, però, sono diventato buono e un po’ rincoglionito.
Nuovi direttori di reti e telegiornali: è tutto rinviato
Il Fatto Quotidiano
Gia. Ros.
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“È tutto fermo”. Con queste parole, sia dalla politica sia da Viale Mazzini, si certifica il nuovo stallo sulle nomine Rai. Uno stop non dovuto, questa volta, alle trattative sulle direzioni, ma alla tensione tra Lega e 5Stelle sulla manovra e sul condono fiscale. Così lo scontro tra Di Maio e Salvini ha fatto slittare ancora la partita delle direzioni di reti e tg della tv pubblica. Ieri, infatti, era previsto un vertice tra i due. O comunque tra i rispettivi colonnelli, Giorgetti e Buffagni. Ma niente. “È tutto rinviato a metà della prossima settimana. Non c’ è il clima per parlare di nomine”, dicono fonti di entrambi i partiti. Anche perché il puzzle non è affatto completo. Al Tg1, per esempio, che dovrebbe essere in quota 5 Stelle, ancora non si è deciso tra Federica Sciarelli e Giuseppina Paterniti. Ma ci sono anche altre caselle aperte. Sangiuliano andrà al Tg2? Coletta resterà a Rai3? A Freccero cosa verrà dato? Più altre cosucce, come Radio Rai, Rainews e il sito web, dove Di Maio vorrebbe il direttore di Fanpage, Francesco Piccinini. Questioni da affrontare con un clima più disteso, non con quello da lunghi coltelli come ieri.
L’ urgenza di una Rai sul modello Boris
Il Foglio
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Il punto in fondo è scegliere tra due modelli: Marcello Foa o René Ferretti? La prossima settimana, probabilmente già martedì, il consiglio di amministrazione della Rai ufficializzerà i nomi dei nuovi direttori dei telegiornali e salvo sorprese ancora possibili la triangolazione tra il gruppo dirigente della Rai, i vertici del Movimento 5 stelle e quelli della Lega dovrebbe portare a un equilibrio che allo stato attuale prevede al Tg1 l’ ex corrispondente della Rai a Bruxelles Giuseppina Paterniti, al Tg2 l’ attua le vicedirettore del Tg1 Gennaro Sangiuliano e al Tg3 la conferma dell’ attuale direttore Luca Mazzà, gradito sia al Pd sia a Salvini, e a Rai News 24 di una delle attuali conduttrici, Iman Sabbah. Fino a oggi, ogni discussione sulla Rai è stata monopolizzata dal totonomi relativo ai tiggì e ai direttori di rete, le cui nomine potrebbero essere contestuali a quelle dei telegiornali – e anche qui l’ unica conferma dovrebbe essere per l’ attuale direttore della Terza Rete, Stefano Coletta. Ma una volta archiviata la pratica delle nomine, che ci potrebbe aiutare a capire anche quanto i rapporti di forza tra Salvini e Di Maio stiano cambiando a favore del primo e a sfavore del secondo, ciò che sarà interessante seguire con attenzione è una partita del tutto diversa che riguarda la sfida delle sfide della Rai a trazione sovranista: verso che direzione andrà il cambiamento populista? Apparentemente, gli equilibri presenti in Rai non sono così diversi rispetto a quelli presenti nel governo e il fatto che ad avere in mano le redini del gioco non sia un generatore automatico di fake news come Marcello Foa ma un manager trasversalmente stimato come Fabrizio Salini porterebbe a pensare che in Rai Salvini e Di Maio siano mossi persino da buone intenzioni. Il problema, una volta risolta la pratica delle nomine, è capire se il mandato offerto dai due vicepremier a Fabrizio Salini sarà un mandato alla Tria, finalizzato cioè a rendere il più possibile presentabile ciò che è evidentemente impresentabile e a portare dunque verità alternative in Rai, o sarà un mandato che permetterà di fare l’ unica cosa che oggi servirebbe alla Rai: lasciare a Foa il monopolio dei tweet, delle celebrazioni dei rastrellamenti, delle denunce delle cene sataniche di Hillary Clinton a base di mestruo, sperma e latte di donna, e provare a importare in Rai l’ unico modello possibile di televisione che le permetterebbe di fare quello che il governo del cambiamento ha mostrato di non saper fare: ragionare non per smantellare il passato ma per programmare il futuro. Per farlo la soluzione è soltanto una: provare a portare in Rai il modello Boris. Boris, per gli sventurati che non hanno mai avuto la possibilità di vederlo, è una formidabile e comica serie tv italiana prodotta tra il 2007 e il 2010 da Wilder per Fox, costruita per portare in scena tutto quello che succede dietro le quinte di un set televisivo italiano. La forza di Boris non è stata solo quella di lanciare o di valorizzare diversi attori che trovate oggi molte produzioni italiane (da Caterina Guzzanti a Pietro Sermonti, passando per Valerio Aprea, Massimo De Lorenzo, Andrea Sartoretti, Alessandro Tiberi e Francesco Pannofino) ma è stata quella di essere una delle prime serie tv italiane concepite per conquistare una platea completamente diversa rispetto a quella tradizionale delle tv, dando fiducia all’ intelligenza del pubblico con facce nuove, comicità moderna, sceneggiature da leccarsi i baffi. Prima ancora del mondo dell’ informazione, sarà il mondo delle fiction, oggi guidato in Rai dal direttore Tinni Andreatta, che verrà trasformato nel terreno del cambiamento sovranista, e quando Di Maio e Sal vini metteranno le mani sulla produzione delle fiction della più importante aziende culturale italiana dovranno scegliere se usare anche in Rai lo stesso modello utilizzato finora per guidare il paese: occuparsi non tanto di come costruire un futuro ma prima di tutto di come archiviare il passato. Una Rai concentrata, come è purtroppo oggi l’ Italia, a non occuparsi di futuro, e a occuparsi solo della cancellazione del passato, è una Rai che magari potrà divertirsi a sostituire ogni contenuto sulla diversità di genere o sull’ integra zione dei migranti con nuove appassionanti puntate su Federico Barbarossa o importanti documentari sulla bellezza della democrazia russa ma è una Rai che si dimenticherà che il suo obiettivo prioritario oggi dovrebbe essere quello di fare concorrenza più alle offerte di Netflix, di Amazon e di YouTube che alla Rai del Pd. In una delle ultime puntate della terza stagione di Boris, il regista René Ferretti prima di portare in Rai una sua fiction su Machiavelli vede in sogno il cda dell’ azienda bocciargli così il suo progetto: “In Rai non sappiamo se affrontare lo spinosissimo problema delle guerre puni che, si figuri se possiamo riaprire il capitolo Machiavelli così di punto in bianco”. Scegliere tra il modello Marcello Foa e il modello René Ferretti in fondo significa questo: decidere se la più grande azienda culturale italiana merita di essere governata a colpi di fake news o a colpi di innovazione. Se il modello scelto per la Rai sarà quello truce scelto da Salvini e Di Maio per guidare il paese, la comicità sul modello Boris non sarà quella prodotta dalla tv di stato ma sarà quella prodotta dai consigli dei ministri di Palazzo Chigi.
Chi è Giuseppina Paterniti, il volto “europeo” che il M5s vuole al Tg1
Il Foglio
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Roma. La “manina” che non c’ è, la tensione tra alleati gialloverdi che maschera un rapporto di forze già mutato, l’ Europa che guarda e poi una delle piccole cose di casa nostra che, per così dire, agita le conversazioni tra ministri in subbuglio per il decreto fiscale, riempiendo intanto di ipotesi le supposizioni dei professionisti Rai in attesa di nomine (slittate di una settimana). E la piccola cosa di casa nostra potrebbe essere ben rappresentata dalla domanda “ma quanto contano i Cinque stelle nella partita gialloverde sulla tv pubblica?”. L’ impressione sottesa ai ragionamenti felpati, infatti, è che la Lega di Matteo Salvini sia in qualche modo in vantaggio anche riguardo al piatto televisivo, dove attorno alle nomine dei direttori di reti e telegiornali si è giocata negli ultimi tempi una campagna mediatica a basso impatto (della serie: noi non vogliamo lottizzare, e però tra il dire e il fare c’ è di mezzo la gestione della prossima campagna per le Europee). E anche se la Lega non ha nascosto, fino a poco tempo fa, di puntare al Tg1, i Cinque stelle che guardano i sondaggi favorevoli al fratello -coltello Salvini stanno cercando di ribaltare il gioco di poltrone (a loro sarebbe dovuta andare Rai1 e non il primo telegiornale). E per ribaltarlo sono stati fatti due nomi di donne con lunga esperienza Rai, apprezzate anche nelle stanze dell’ opposizione: Federica Sciarelli e Giuseppina Paterniti (ma, man mano che passavano le ore, era Paterniti che si attestava come soluzione possibile -probabile per il Tg1 o per Rainews, mentre Sciarelli veniva messa tra i papabili per un eventuale Tg3). E da quando i due nomi sono emersi dal magma delle totonomine, è proprio su Paterniti, a lungo corrispondente Rai da Bruxelles, che si sono concentrate le elucubrazioni (ogni riferimento ai buoni rapporti da tenere con l’ Europa, vista la manovra economica gialloverde, non è casuale, come non è casuale il fatto che Paterniti abbia fama di giornalista dal piglio istituzionale, stimata presso i Palazzi, Quirinale compreso). Ma chi è colei che alcuni colleghi, scherzosamente, in questi giorni, chiamano “Lady Ue”? Siciliana di Capo D’ Or lando, classe 1956, Paterniti è l’ esperta di temi geopolitici che diventa nota al grande pubblico, a inizio anni Novanta, grazie al programma “Atlante”, anche se c’ è chi la ricorda “presentatrice e autrice in programmi per bambini”, racconta un veterano Rai, sottolineando anche la presenza di Paterniti in “Big!” con Piero Chiambretti. Ancora non era, allora, Paterniti, la corrispondente dal Parlamento euro peo che a ogni vertice Ue appariva in video con il tradizionale caschetto castano -rosso e gli occhiali dalla montatura invisibile. E però la donna che oggi i Cinque stelle vorrebbero al Tg1, anche per via del profilo non troppo partisan, si era già fatta conoscere dal Tg3 come volto “da G8” e già sapeva muoversi, da esperta di economia internazionale, tra Nato e Wto, senza per questo trascurare il profilo sindacale interno all’ azienda (Usigrai). Quando è arrivata a Bruxelles, nel 2008, c’ era chi pronosticava per lei un tran -tran sonnacchioso. Invece arrivò la crisi economica. E poi il caso Grecia: Paterniti si trovò a seguire i giorni duri di Atene per tutti i telegiornali Rai, con momenti di moderata critica anti tedesca e ragionamenti su fondo di garanzia e riforme possibili e impossibili che facevano strabuzzare gli occhi ai professori in studio durante i suoi collegamenti (strabuzzare nel senso della stima, ché Paterniti in passato si era anche occupata di cartolarizzazioni). Ed è proprio l’ europeismo solido ma non rigorista di Paterniti (che ha anche scritto un libro dal titolo Una nuova anima europea) a renderla ora preziosa agli occhi grillini in cerca di scudi anti espansionismo leghista, in giorni di battaglia sommersa sulla Rai. Marianna Rizzini.
Vodafone passa all’ attacco su Iliad
Il Giornale
Maddalena Camera
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Maddalena Camera Per difendersi dal ribasso delle tariffe mobili, Vodafone punta sulla qualità della rete con la giga network 4.5G che anticipa il 5G 8che arriverà a 10giga9 , e supera la soglia di un gigabit al secondo. Da domenica sarà disponibile per tutti i clienti a livello tecnologico ma in 17 città che diventeranno 23 entro fine anno gli utenti potranno usufruire di 1 giga di velocità. E a novembre a Milano e Roma la velocità a novembre oltrepasserà il giga. Certo la forte spinta a migliorare è arrivata con l’ intensiva concorrenza di Iliad e, dunque, non solo sul fronte delle tariffe ma anche su quello dei giga messi a disposizione degli utenti. E dato che il gestore francese è partito subito forte, con una offerta che comprendeva ben 30 giga con chiamate illimitate a un prezzo di circa 7 euro al mese, i concorrenti hanno dovuto adeguarsi. «Negli ultimi 3 mesi – ha detto Andrea Rossini, direttore business consumer di Vodafone – c’ è stato un aumento del traffico dati superiore rispetto a quello dei precedenti 12 mesi. Per questo abbiamo deciso di lanciare questa nuova rete, che anticipa il 5G». A spingere il consumo di giga, oltre al «crollo» dei prezzi degli stessi, che non rendono più necessario cercare di agganciarsi il più rapidamente possibile a una rete wi-fi, anche le nuove necessità di consumo. «Abbiamo verificato – ha aggiunto Rossini- che il consumo di giga sale vertiginosamente in caso di trasmissione di partite di calcio». E, dato che la nuova sport tv Dazn trasmette solo via web e che anche Sky si sta predisponendo in questo senso, non c’ è dubbio che la necessità di avere una rete mobile efficiente sia ulteriormente cresciuta. La giga network fa leva sulle soluzioni software più innovative con l’ elaborazione dei cosiddetti Big Data, ossia dei dati dei clienti. Nel senso che è in grado di sapere quali sono le celle della rete a cui viene richiesto maggior traffico dati secondo le ore del giorno ma anche secondo i periodi dell’ anno. Ad agosto, ad esempio, a Milano e Roma la richiesta si abbassa, perché le persone vanno in vacanza, mentre sale nei luoghi di villeggiatura. L’ elaborazione dei dati sulle due città fa si che Vodafone sia in grado di sapere che i cittadini di Milano e Roma scelgono, in Italia, luoghi diversi dove villeggiare e si «mischiano» soltanto in alcune località montane del Trentino Alto Adige e in Sardegna. Per ottimizzare la rete e adattarla ai flussi Vodafone impiega algoritmi e soluzioni di intelligenza artificiale. Tutto in attesa del 5G. «Quest’ ultima rete potrebbe essere pronta già a fine 2019 – ha detto il capo tecnologia Fabrizio Rocchio- e a Milano abbiamo una sperimentazione avanzata». La società ha presentato anche una nuova tariffa, Unlimited red, con giga illimitati, chiamate illimitate, 5 giga di traffico fuori dalla Ue e mille minuti di chiamate internazionali a 39,99 euro al mese. Però, se si è clienti Iliad o di un operatore virtuale, passando a Vodafone si può avere chiamate illimitate con 50giga di traffico a 7,99 euro al mese. Ossia come quella di Iliad.
Sky, reintegrati tre licenziati a Roma
Il Manifesto
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Primi tre reintegri peri licenziati di Sky Italia della sede di Roma, chiusa in gran parte dall’ azienda con lo spostamento a Milano di Sky Tg24. Il tribunale del lavoro di Roma ha accolto il ricorso di tre tecnici licenziati con procedura di licenziamento collettivo – originariamente per 124 esuberi – che non avevano accettato il «mutamento consensuale» di sede a Milano imposto dall’ azienda. I licenziamenti sono stati dichiarati illegittimi a causa dei criteri utilizzati per individuare il personale: nelle «esigenze tecnico produttive» sono stati «privilegiati i lavoratori addetti alla sede di Milano perché non è stato attribuito alcun punteggio ai lavoratori della sede di Roma». «È come se ciascun dipendente milanese è come se avesse in più 7 figli a carico in più o 28 anni di anzianità aziendale, un doping incolmabile», spiega l’ avvocato Pier Luigi Panici.
Intesa lontana anche sulla Rai
Il Mattino
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Il caos nella maggioranza sul decreto fiscale ha fatto slittare l’ incontro (inzialmente previsto per la giornata di ieri) tra Movimento 5Stelle e Lega sulla questione della Rai. Il tema delle nomine (direttori dei tg e delle reti) viene dunque rinviato alla prossima settimana. E’ sempre in corso il confronto tra i due partiti di maggioranza sul vertice del Tg1, ma sembra che per Federica Sciarelli sia quasi fatta. Grillini e leghisti stanno lavorando per far sì che il consiglio d’ amministrazione possa chiudere la partita martedì prossimo.
Nomine, si rinvia
Il Messaggero
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Il caos nella maggioranza sul decreto fiscale ha fatto slittare l’ incontro (inzialmente previsto per la giornata di ieri) tra Movimento 5Stelle e Lega sulla questione della Rai. Il tema delle nomine (direttori dei tg e delle reti) viene dunque rinviato alla prossima settimana. E’ sempre in corso il confronto tra i due partiti di maggioranza sul vertice del Tg1, ma sembra che per Federica Sciarelli sia quasi fatta. Grillini e leghisti stanno lavorando per far sì che il consiglio d’ amministrazione possa chiudere la partita martedì prossimo.
Il bonus pubblicità non premia solo gli incrementi di spesa
Il Sole 24 Ore
Giorgio Gavelli
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Credito di imposta per investimenti pubblicitari vincolato all’ incremento di spesa, ma ripartito tra i diversi media pubblicitari non in base all’ entità dell’ incremento, quanto piuttosto in proporzione alla spesa complessiva sostenuta. Queste sono le indicazioni che emergono dalla compilazione del modello di comunicazione telematica per l’ accesso al credito relativa al 2018 e della dichiarazione sostitutiva sugli investimenti effettuati per il 2017, che imprese, lavoratori autonomi ed enti non commerciali possono inviare entro il 22 ottobre. I casi pratici Vediamo, con l’ aiuto degli esempi pubblicati in pagina, come opera il meccanismo. Dalle risposte alle Faq del dipartimento per l’ Editoria è emersa l’ esatta declinazione dell’ approccio incrementale sul periodo precedente di riferimento (24 giugno-31 dicembre 2016 per il bonus riferito all’ analogo periodo del 2017, ovvero anno 2017 per il bonus 2018). Nel caso in cui nel periodo di riferimento non vi siano costi ammissibili, anche eventualmente perché l’ impresa si è costituita successivamente, il bonus non spetta (si veda Il Sole 24 Ore del 26 settembre). In questo senso, proprio con riferimento a una società di nuova costituzione, si è espressa anche l’ agenzia delle Entrate con la risposta all’ interpello n. 38, pubblicata ieri. In proposito il dipartimento conferma la lettura imposta dal Consiglio di Stato nel parere 1255 del maggio scorso sullo schema di regolamento poi pubblicato come Dpcm 90/2018, in controtendenza rispetto ad agevolazioni passate e presenti. Dagli esempi numerici (esempi 1 e 2) si comprende come: l’ incremento percentuale minimo dell’ 1% deve, in primo luogo, essere presente a livello di investimenti complessivi nei due canali agevolabili, il che significa che se su entrambi nel periodo di riferimento le spese sono state pari a zero non spetta alcun beneficio; rispettato tale paletto, l’ incremento assume rilevanza solo nel canale pubblicitario in cui gli investimenti del periodo precedente non sono pari a zero, e nei limiti di esso. Superato questo primo scoglio, scatta il tema del riparto del credito d’ imposta tra i diversi media ammessi all’ agevolazione. Il maggiore investimento Supponendo un incremento per entrambi i canali di spesa (esempio 3), dalla compilazione del modello emerge che la ripartizione del bonus che il software effettua in automatico non premia il maggior incremento quanto il maggior investimento. Il credito d’ imposta totale spettante, infatti, viene ripartito non sulla base dell’ incremento da un anno all’ altro per singolo mezzo pubblicitario, ma in base all’ ammontare degli investimenti effettuati nell’ anno sul singolo canale di spesa, in rapporto al totale dell’ investimento annuo complessivo. Può così capitare che, a fronte di due incrementi analoghi sul periodo di riferimento, quasi tutto il credito d’ imposta sia attribuito a un solo media, ossia quello in cui è stato fatto l’ investimento maggiore rispetto al totale. Così come a un incremento maggiore non è affatto detto che corrisponda, in proporzione, un credito d’ imposta maggiore, dipendendo dall’ entità dell’ investimento nel periodo. Le conclusioni Stante questa scelta, effettuata a monte della realizzazione del software e su cui non è possibile incidere in alcun modo, gli effetti non si dovrebbero riverberare sull’ utilizzo del bonus da parte dei contribuenti (analogo per i due canali di spesa) quanto, piuttosto, sulla distribuzione delle risorse e sull’ eventuale ripartizione qualora si superasse il plafond complessivamente reso disponibile per quello specifico canale di spesa. L’ articolo 4 del Dpcm 90/2018 prevede, infatti, che nel caso di insufficienza delle risorse disponibili rispetto alle richieste ammesse, si procede alla ripartizione delle stesse tra i beneficiari in misura proporzionale al credito d’ imposta astrattamente spettante, tenuto conto delle distinte imputazioni delle risorse per tipologia di investimento. Credito che, come dimostrato, viene ripartito non con riferimento all’ incremento quanto, piuttosto, prendendo come base l’ investimento operato, con risultati che, in presenza di risorse insufficienti su uno (o entrambi) i canali di spesa, potrebbero destare più di una sorpresa. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Netflix, 12 mld per i contenuti
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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In una economia mondiale dove pochi soggetti hanno voglia di investire con decisione, è piuttosto naturale che venga spontaneo guardare con ammirazione, e quasi gratitudine, un colosso come Netflix che nel 2018 mette sul piatto 12 miliardi di dollari per la produzione di contenuti video originali (film, serie tv, documentari, cartoon) da veicolare in esclusiva sulla sua piattaforma di streaming a pagamento. Le analisi dedicate agli ultimi risultati del terzo trimestre 2018 nella società americana si concentrano quindi sulla crescita di ricavi, sul boom di abbonati (sono a quota 137 milioni in tutto il mondo), sulle stime di chiusura d’ anno a 15,2 miliardi di dollari di ricavi e 1,2 miliardi di utili. Ma come mai Netflix, che aveva previsto nel 2018 di spendere 8 miliardi di dollari nella produzione di nuovi contenuti, ha invece rilanciato, aumentando a 12 miliardi il suo investimento? Fino a oggi la società aveva ingrossato di un miliardo all’ anno la cifra destinata alle nuove produzioni (nel 2016 investiva 6 miliardi di dollari), mentre a questo giro si punta molto più forte. Netflix, ovviamente, deve arricchire a dismisura la sua library, per non farsi trovare impreparata quando, per esempio, Disney, nella primavera 2019, lancerà il suo servizio di ott a pagamento, sottraendo a Netflix, via via che scadranno i contratti, tanti contenuti pregiati, dal mondo dei supereroi Marvel e Fox ai titoli di Disney, Pixar, le saghe di Guerre stellari, L’ era glaciale, Il pianeta delle scimmie, Avatar, i film e le serie tv di Twentieth century Fox, i documentari e le serie di National Geographic ecc. Insomma, diventerà molto costoso alimentare la biblioteca Netflix con produzioni originali, attingendo sempre meno dal mercato di editori terzi. E peggiorando una situazione che già ora, quanto a livello di indebitamento e di cassa bruciata, preoccupa molti analisti. Tanto per dare una idea, la cassa di Netflix è stata negativa per circa un miliardo di dollari nel 2015, in rosso per 1,6 mld di dollari nel 2016, per 2 miliardi di dollari nel 2017, e nel 2018 siamo già a una cassa negativa per 1,7 miliardi di dollari solo nei primi nove mesi. Probabile che l’ anno si chiuda a quota -2,5 miliardi. Questo significa che Netflix continua a spendere molto più di quanto incassa. E che chiude i conti con degli utili solo perché ammortizza le spese monstre spalmandole su più anni. Ma fino a quando potrà reggere questo modello di business? A Wall Street scommettono che reggerà fino a quando Apple o Amazon si presenteranno dal fondatore di Netflix, Reed Hastings, staccando un bell’ assegno superiore ai 100 miliardi di dollari. Con i migliori omaggi a casa.
Radio digitale Dab+, frequenze insufficienti
Italia Oggi
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Le frequenze disponibili per la radiofonia digitale in tecnologia Dab+ sono «assolutamente insufficienti» per l’ avvio della nuova tecnologia da parte di tutti i soggetti operanti in analogico (Rai, radio nazionali private, radio locali) e, a oggi, mentre la radiofonia nazionale opera in vaste aree del Paese, l’ emittenza locale può operare solo in alcune zone limitate. È l’ allarme lanciato dalla federazione di categoria delle emittenti locali Aeranti-Corallo, il cui coordinatore, Marco Rossignoli, ha sottolineato come le radio locali, nel mercato analogico, hanno circa il 40% degli ascolti e della raccolta pubblicitaria e come vi siano alcune regioni in cui una radio locale è la prima negli ascolti. Per contro «a causa della scarsità delle frequenze l’ emittenza locale non può accedere a tale tecnologia in molte aree del paese dove invece le radio nazionali stanno operando». Una situazione che si sta verificando nonostante le radio locali di Aeranti-Corallo abbiano investito nella nuova tecnologia e costituito da tempo le società consortili necessarie per l’ avvio delle trasmissioni digitali. Sul lato della possibilità di ricezione molte cose si sono mosse: le auto di nuova produzione vengono fornite con autoradio Dab+, mentre la legge prevede che i nuovi ricevitori venduti siano adeguati. L’ Agcom, con la delibera 465 del 2015 ha suddiviso il territorio italiano in 39 bacini per il servizio radiofonico digitale terrestre, fino a ora tuttavia, sono state pianificate le frequenze in solo 16 di tali 39 bacini e la relativa assegnazione, da parte del ministero dello sviluppo economico, è avvenuta in solo 10 di tali 16 bacini. Nei rimanenti 29 bacini l’ emittenza locale non ha, ad oggi, la possibilità di trasmettere in digitale. La recente delibera Agcom (290/18/Cons), con la quale è stato approvato il nuovo piano delle frequenze per la tv digitale terrestre ha ridotto ulteriormente gli spazi per il Dab+. «Le imprese che non potranno operare fin da subito in digitale matureranno un incolmabile ritardo», ha concluso Rossignoli, «rispetto a quelle che già vi operano, con grave pregiudizio in termini concorrenziali. Per tale motivo molti operatori di rete radiofonica dab+ in ambito locale hanno proposto ricorso al Tar Lazio chiedendo l’ annullamento della delibera nella parte in cui la stessa prevede le frequenze per la radiofonia digitale terrestre». © Riproduzione riservata.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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Confalonieri, Marina Berlusconi non vuole vendere il Biscione e contro Vivendi si procede per vie giudiziali. «Non è vero»: con queste parole il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri ha smentito ieri, in occasione dell’ assemblea annuale di Assolombarda a Milano, le indiscrezioni di stampa secondo le quali il presidente di Fininvest Marina Berlusconi sta spingendo nei confronti del padre Silvio per vendere la controllata cui fanno capo le reti tv. Nessuna novità, inoltre, su un eventuale accordo extragiudiziale tra Mediaset e Vivendi per il mancato perfezionamento della vendita di Premium. «Siamo in tribunale», ha sottolineato Confalonieri. Publicis, la trimestrale delude Wall Street. La multinazionale, che si occupa di pubblicità, comunicazione e marketing, ha mancato le previsioni di Wall Street sulle vendite nel terzo trimestre. Ora l’ azienda ha intenzione di vendere parte della divisione sanitaria. Gli analisti si aspettavano una crescita dei ricavi dell’ 1,4% su base organica ma l’ azienda ha registrato un aumento del fatturato dell’ 1,3%. I ricavi totali sono poi saliti solo dello 0,5% a 2,2 miliardi di euro, svantaggiati da tassi di cambio sfavorevoli. Publicis sta trattando con alcuni compratori per l’ acquisizione di Publicis Health Services, per cui ci si aspettano vendite di circa 250 milioni di euro quest’ anno. La compagnia ha annunciato inoltre di aver iniziato a riesaminare il proprio portafoglio. «Saremo molto rigidi su ciò che è fondamentale e ciò che non lo è», ha detto ieri il ceo Arthur Sadoun. Cinema, fondo Mibac per coproduzioni minoritarie. Il settore cinematografico italiano avrà a disposizione nelle prossime settimane un fondo per le coproduzioni minoritarie da 5 milioni di euro. Lo ha annunciato ieri al Mia-Mercato internazionale dell’ audiovisivo Nicola Borrelli, direttore generale Mibac per il cinema. «Stiamo scrivendo le modalità con cui accedere a questo fondo», ha spiegato Borrelli. «Stiamo cercando meccanismi quanto più possibile automatici, non discrezionali ma legati a situazioni oggettive». Gazzetta dello Sport in versione extra domenica prossima. In occasione del derby Inter-Milan, domenica prossima, i lettori troveranno in edicola La Gazzetta dello Sport con tiratura e foliazione maggiorate e con una copertina rovesciata di grande formato (405x575cm). Nelle pagine della «Grande Gazzetta» da collezionare, tutte le informazioni sul match, i calciatori e gli allenatori con approfondimenti, profili, schede e interviste. Due le interviste esclusive: il sindaco Giuseppe Sala, tifoso interista, e il governatore della Lombardia Attilio Fontana, milanista. Sempre domenica in edicola ci sarà anche il libro C’ era una volta il derby di Milano. Le più belle immagini degli anni ’60 e ’70 dall’ archivio de La Gazzetta dello Sport e del Corriere della Sera, corredato con i tabellini delle partite e le foto dei grandi campioni che hanno vestito le maglie dell’ Inter e del Milan in quegli anni (192 pagine, 9,99 euro). Il mago Silvan testimonial per Fox. L’ illusionista è il protagonista del promo dedicato alle nuove serie in arrivo sui canali Fox. Ideata e realizzata dal team creativo di Fox, la pubblicità sarà in onda sui canali Fox e sulla piattaforma Sky. Poste, annullo in memoria di Gronchi. Poste italiane celebra con un annullo filatelico la memoria di Giovanni Gronchi. L’ iniziativa è stata realizzata in occasione della visita del presidente della repubblica Sergio Mattarella, a Pontedera, per commemorare il terzo presidente della repubblica nel settennato 1955-1962, in occasione del 40° anniversario della sua scomparsa.
Più Leone per Del Vecchio e Caltagirone
Italia Oggi
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Complici i prezzi determinati dai ribassi dei mercati, continua lo shopping sui titoli Generali da parte degli imprenditori Francesco Gaetano Caltagirone e Leonardo Del Vecchio. Dopo gli acquisti effettuati tra il 15 e il 16 ottobre, il patron di Luxottica e l’ immobiliarista ed editore romano hanno messo in portafoglio altre azioni del Leone, comprate sul mercato tra il 16 e il 17 ottobre. Del Vecchio, attraverso Delfin, ha acquistato 697 mila azioni, pari a circa lo 0,044% del capitale. Il gruppo Caltagirone ne ha rilevate 710 mila, che corrispondono allo 0,045% Del Vecchio si è portato così intorno al 3,4%, mentre Caltagirone ha superato il 4,4%. Le manovre all’ interno dell’ azionariato di Generali, che il 21 novembre presenterà a Milano il nuovo piano industriale, si stanno intensificando anche in vista della scadenza del prossimo aprile, quando l’ assemblea dovrà rinnovare l’ intero cda. In ballo c’ è almeno un cambio al vertice, quello alla presidenza. Salvo modifiche dello statuto, che al momento non sono nell’ aria, il mandato di Gabriele Galateri di Genola non potrà essere rinnovato, dato che l’ attuale presidente avrà 72 anni, superando i 70 anni massimi previsti attualmente per la carica. © Riproduzione riservata.
” I miei amori: la televisione e la regina Cleopatra”
La Repubblica
SILVIA FUMAROLA
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ROMA La torta alta quasi come lui non se l’ aspettava. «Ma la cosa più sorprendente nella folla è stata la presenza dei giovani». Neo cittadino onorario di Pompei, che l’ ha festeggiato in piazza, valigia pronta – c’ è sempre un aereo da prendere – Alberto Angela ha l’ agenda di Trump. Ma un bilancio dei sabato sera su Rai 1 all’ insegna della cultura (domani l’ ultima puntata di Ulisse- Il piacere della scoperta è dedicata alla principessa Sissi) è obbligatorio. «Per prima cosa ringrazio il pubblico. Questo esperimento è stato importante perché ha indicato una strada e ha dimostrato che c’ è un pubblico curioso, pronto all’ ascolto. È stata una rivoluzione, nessun servizio pubblico europeo sceglie questo tipo di offerta il sabato sera». Angela, cominciamo da Pompei? «Ci tengo a dire che non ho scoperto niente: nel mio libro, scritto quattro anni fa, parlavo dell’ eruzione e della data anticipata perché condividevo umilmente l’ opinione di molti studiosi. Ma niente a Pompei è definitivo, quell’ iscrizione a carboncino risale al 17 ottobre. Se poi credessi alle coincidenze». Perché dice così? «È la data in cui sono diventato cittadino onorario di Pompei Scherzo. Il bello di questo sito è che racconta una storia infinita, ancora tutta da scrivere». Cos’ ha rappresentato portare “Ulisse” su Rai 1 il sabato? «Una bella sfida. La Rai ha avuto una grande intuizione e coraggio ad aprire questa oasi di cultura in una serata da sempre destinata ad altro. Si è fidata degli italiani, il merito è tutto del pubblico. Andavo in onda il sabato anche su Rai 3, ma è diverso. Approdare su Rai 1 è stata una straordinaria opportunità». La serata sulla Memoria ha aperto un confronto sui social. Se l’ aspettava? «È stato emozionante. Fin dall’ inizio sapevamo di voler raccontare la Shoah. Sì, puoi aver letto i libri. Ma quando entri nei vagoni, visiti i campi di sterminio, vedi la montagna di scarpe, resti annichilito. Ti porti dentro una profonda sofferenza. Era nostro dovere far capire che non bisogna dimenticare questi orrori, perché possono tornare. È una lezione della storia: se non ne parli, tutto si dimentica». Invece i ragazzi ne hanno parlato molto. «È un segnale di speranza. I ragazzi nascono con la voglia di sapere, viaggiano e s’ informano, hanno tutti i mezzi per farlo. Ma in tv seguono certi temi perché c’ è bisogno del racconto, di qualcuno che li guidi». Una puntata sul passato ma attuale, la più politica. Lei però non vuole sentir parlare di politica. Perché? «Tendo a stare lontano dalla politica e dai politici il più possibile. A me interessa diffondere la cultura. Io dico che quella puntata riguarda l’ umanità, parla di un popolo deportato con l’ unica colpa di far parte di una cultura e una religione diversa. Questo dovrebbe farci ragionare quando le persone sono additate come “diverse”». Sta già pensando al nuovo “Ulisse”? «Non faccio progetti. Ora sto lavorando sulla prossima serie di Meraviglie- La penisola dei tesori ». La Rai sta cambiando i vertici: è preoccupato per il futuro? «Spero di poter fare il mio lavoro senza ingerenze, sono sempre stato libero di scegliere i temi e di trattarli come credevo meglio». Cosa vuol dire fare divulgazione? «Rispettare chi è a casa cercando di dare qualcosa in più a chi non ha la possibilità di fare approfondimento». Suo padre che le dice? «La cosa più giusta è che lo chieda a lui». E lei cosa dice a sé stesso? «Che mi sento onorato di poter portare la cultura agli italiani nel sabato sera che una volta era di Walter Chiari e di Mina. Mi sento piccolo piccolo rispetto ai giganti». La rivoluzione del sabato a cosa porterà? «Si è aperta una nuova epoca. Siamo andati in missione in un territorio sconosciuto. Si è percepita, da parte della gente, la necessità di una televisione credibile, affidabile, e guarda caso è avvenuto con l’ esplosione del web. Le due cose sono collegate, riguardano la maturità del pubblico e l’ impatto sui giovani: nell’ era del web si può comunicare diversamente». Che peso hanno gli ascolti? «Per me il grande risultato è stato andare in onda. Lo share è una specie di semaforo ma il valore è fare un programma che parli a tutti». Com’ è cambiata la sua vita? «Sono sempre in giro, faccio le tre di notte per scrivere. Ho scoperto una donna pazzesca, intelligentissima: non ce ne sono altre come lei». Finalmente una notizia: rompiamo la proverbiale riservatezza? «Parlo di Cleopatra, protagonista del mio nuovo libro. Una donna con la capacità di interloquire con Cesare, Marco Antonio, Ottaviano, che vive in un momento cruciale a Roma dalla Repubblica all’ Impero, moderna in tutto e per tutto, di cui si conoscono scene di gelosia magnifiche. Unica. O forse no Anche Elisabetta d’ Inghilterra ha una bella personalità». © RIPRODUZIONE RISERVATA Raccontare la Shoah è stata una sofferenza ma era un dovere farlo In Egitto ho trovato una donna intelligentissima e pazzesca: scriverò un libro su di lei Non ho scoperto niente: nel mio libro su Pompei parlavo dell’ eruzione e della data anticipata perché condividevo umilmente l’ opinione di molti studiosi Divulgatore Alberto Angelo è nato a Parigi l’ 8 aprile del 1962.
Murdoch smobilita e i figli incassano 2 miliardi ciascuno
La Repubblica
ANTONELLO GUERRERA
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Dal nostro corrispondente LONDRA Se Bill e Melinda Gates hanno annunciato l’ intenzione di non lasciare nulla in eredità ai propri figli, i sei “piccoli” Murdoch avranno una vita sicuramente molto più facile. Non che questa sia una novità, perché già in passato l’ 87enne magnate australiano per tenerli calmi e in riga aveva somministrato centinaia di milioni di dollari a loro favore. Adesso, però, papà Rupert ha pronta una paghetta davvero niente male che, grazie allo smembramento della sua 21st Century Fox, sarà pari a ben due miliardi di dollari ciascuno. Il calcolo è presto fatto. Nell’ ambito dello sganciamento dell’ impero Murdoch dal settore dell’ intrattenimento oramai cannibalizzato da Google-YouTube, Amazon e Netflix, come è noto Disney si è impegnata ad acquisire la 21st Century Fox del tycoon, che comprende studi cinematografici, canali tv via cavo e Star India, in un’ operazione da 71,3 miliardi di dollari complessivi. Il fondo Murdoch Family Trust, come ha riportato il Financial Times, detiene il 17% della 21 Century Fox. Dunque, in base al prezzo di 38 dollari ad azione, ecco i 12 miliardi. Così, ai figli adulti Prudence, James, Lachlan e Elisabeth e alle adolescenti Grace e Chloe (le due figlie avute con la ex moglie Wendi Deng) andranno due miliardi di dollari a testa. Questo almeno in teoria. In pratica, poi, i calcoli sono un po’ più complessi. Innanzitutto, sempre secondo il quotidiano della City, nei 12 miliardi sono incluse le quote di Fox in Sky venduta a Comcast lo scorso settembre per 40 miliardi, ma non le quote della famiglia Murdoch in News Corp (il gruppo editoriale che gestisce il tabloid britannico Sun e l’ americano Wall Street Journal) e neanche quelle della nuova Fox che si staccherà dalla 21st Century e che comprende Fox News Channel e Fox broadcast network. Inoltre, non è chiaro se Murdoch darà questi 12 miliardi ai figli interamente in denaro o anche quote. L’ offerta della Disney per 21st Century Fox permette agli investitori di scegliere le parti tra cash e azioni della Disney stessa e non si è ancora capito con che ripartizione l’ imprenditore australiano – che non ha interessi finanziari in questo fondo ma checontrolla donerà l’ immensa fortuna ai suoi figli. A tal proposito. In seguito alla rivoluzione, il figlio maschio più grande di Rupert, Lachlan Murdoch (47 anni) continuerà a lavorare a fianco del padre nella nuova Fox come presidente e Ceo, con il grande vecchio co-presidente. Come annunciato, invece, si divideranno le strade con il figlio maschio più giovane: James, 45 anni, è e rimarrà amministratore delegato della 21st Century Fox . Strano destino quello di James, prima erede probabile di Rupert (soprattutto dopo la dipartita di Lachan verso l’ Australia per seguire la moglie) poi coinvolto nello scandalo delle intercettazioni in Gran Bretagna, soffocato dalla ingombrante presenza del padre e infine, stufo della deriva trumpiana dei media di famiglia, il suo addio alla galassia dell’ informazione in cambio dell’ intrattenimento. È andata sicuramente meglio a Prudence, la figlia meno giovane di Murdoch (60 anni), che pur non avendo ruoli dirigenziali come per esempio la 50enne Elisabeth avrà comunque il suo ricco assegno premio. E che dire delle teenager Grace e Chloe, 17 e 16 anni, che ancora minorenni ne beneficeranno pur non avendo diritto di voto nel fondo. E pensare che i loro interessi fino al 2016 erano amministrati dall’ amica di famiglia Ivanka Trump, dimessasi dopo l’ elezione del padre © RIPRODUZIONE RISERVATA Senza esito la lotta tra Lachlan e James per la successione. Il secondo resterà nel gruppo ora in mano alla Disney AP I figli maschi dello “Squalo” Rupert Murdoch al centro con i figli James (a sinistra) e Lachlan (destra). Ha altre 4 figlie.
Mediaset non è in vendita. E il titolo va giù
Libero
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Fedele Confalonieri spegne le voci sulla possibile vendita di Mediaset. Il titolo, complice anche una pessima giornata di Borsa, lascia sul terreno il 4,08% a 2,58 euro. A diffondere le voci, nei giorni scorsi, era stato Dagospia. Il più noto dei siti di gossip italiani aveva parlato di un confronto molto franco all’ interno della famiglia Berlusconi. Protagonista Marina in pressing sul padre per spingerlo a vendere il gruppo. A motivarne le preoccupazioni due ordini di motivi: da una parte la sfiducia nei confronti del governo gialloverde che (nel silenzio della Lega) minaccia una revisione complessiva delle concessioni (compresa anche quella tv). Dall’ altra l’ avanzata di nuovi protagonisti come Netflix e Amazon Prime che potrebbero erodere ascolti e quindi la redditività dell’ azienda. Secondo Marina (riferiva Dagospia) sarebbe questo il momento giusto per vendere considerando che il gruppo gode di un periodo di grande salute. A consolidarlo il successo dei Mondiali e la tenuta di ascolti e conti dopo qualche anno dal passaggio al digitale terrestre. Per il momento questa ricostruzione ha ottenuto solo smentite. La dichiarazione di Confalonieri è l’ ultima dopo quella della stessa Marina Berlusconi e dell’ ufficio stampa di Mediaset. Restano, ovviamente, le dichiarazioni di Pier Silvio Berlusconi che vede, nel futuro di Mediaset una grande integrazione a livello europeo. L’ ingresso di Vivendi sembrava il primo passo in questa direzione. Poi la lite e le carte bollate. La decisione vendere Premium a Sky ha chiuso definitivamente il fronte. Il tema dell’ alleanza strategica però resta sul tavolo. N.SUN. riproduzione riservata Fedele Confalonieri.
Scrittori e giornalisti all’irriverente festival che inizia a Pietrasanta
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Come trasformare Pietrasanta in una città santa del libro? Ci pensa Libropolis, festival dell’ editoria e del giornalismo giunto alla sua 2° edizione, che si svolge a Pietrasanta (Lucca) da oggi fino al 21 ottobre. L’ appuntamento si connota per la sua irriverenza, mettendo insieme grandi nomi e voci libere della carta stampata e del mondo intellettuale e coinvolgendo case editrici indipendenti. Nella tre giorni verranno sviscerati alcuni filoni sui macro-temi di attualità. Sulle questioni ideologiche e geopolitiche interverranno Franco Cardini (oggi, 16.15) che parlerà di mito e illusione di Europa, Toni Capuozzo e Gian Micalessin (domani, ore 11) che presenteranno Bandiere nere. L’ Isis a fumetti, e Sebastiano Caputo (domani, 16.30) con il saggio Mezzaluna sciita. Fabio Dragoni e Thomas Fazi (domani, 15), faranno un bilancio a 10 anni dal fallimento di Lehman Brothers, e Oscar Giannino e Claudio Sapelli (domenica, 16.30), analizzeranno pregi e difetti della smart economy. Ma il cuore del festival riguarda il rapporto tra potere e media. Carlo Freccero, Giampaolo Rossi e Lorenzo Vitelli (domani, 18.30) si interrogheranno sul tramonto delle élite, mentre il neo-presidente Rai Marcello Foa, Claudio Messora ed Enzo Pennetta (domenica, 12) tratteranno di mainstream e nuovi media. Massimo Fini (domani, 12.15), si racconterà, presentando in anteprima il libro Confesso che ho vissuto. GIANLUCA VENEZIANI.
Fraccaro: no a giornali, tv e radio regionali nelle mani di un unico editore
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“Stiamo lavorando per ripristinare il divieto, che già c’ era, di concentrazione in un unico editore di giornali, tv e radio regionali”. Lo ha detto il ministro per i Rapporti con il Parlamento Riccardo Fraccaro, a Bolzano per la campagna elettorale. “Oggi abbiamo una concentrazione preoccupante in Trentino Alto Adige, per cui questa norma influirà soprattutto su questa regione, visto che oggi i principali quotidiani regionali sono in mano alla stessa persona”, ha concluso Fraccaro. Lo scorso luglio, ricordiamo, il quotidiano ‘L’ Adige’ è stato ceduto dalla famiglia dei Conti Gelmi di Caporiacco al gruppo Athesia di Bolzano, società editrice anche dei quotidiani ‘Trentino’ e ‘Alto Adige’.
Editoria: il tycoon ceco Kretinsky vicino all’ ingresso nel capitale di Le Monde
Prima Comunicazione
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Continua la ‘campagna di Francia’ del magnate ceco Daniel Kretinsky. Dopo aver già acquistato il settimanale Marianne e puntato gli occhi su una serie di magazine come Elle, il tycoon nato a Brno, potrebbe strappare una partecipazione indiretta nel capitale del quotidiano Le Monde. Il gruppo Lnei, di proprietà del banchiere Matthieu Pigasse, già azionista del quotidiano, tra le testate più importanti e influenti di Francia, ha infatti annunciato che sta negoziando con il gruppo di Kretinsky, Czech Media Invest, una “alleanza strategica” che prevede, tra l’ altro, una “partecipazione minoritaria” – oscillante tra il 40% e il 49% – del gruppo ceco nella società Le Nouveau Monde con cui Pigasse detiene appunto la sua quota in Le Monde. Kretinsky, a capo del gruppo dell’ energia Eph, ha il controllo del primo gruppo media ceco che comprende tre quotidiani, portali di informazione e 29 magazine. (compagine azionaria di Le Monde.
L'articolo Rassegna Stampa del 19/10/2018 proviene da Editoria.tv.