Indice Articoli
Rutelli: “Sul cinema Netflix non apra quella finestra “
Magnitudo lancia il film in 8k, oltre l’ alta definizione
La libertà di stampa e la trave nell’ occhio del giornalismo italiano
Rai, la strategia di Salvini: punteremo sugli interni
La governance è un tema chiave: ne va della credibilità dell’ azienda
La tivù su tablet e smartphone con 11 canali «in chiaro»
Il business culturale fa crescere le città Milano capofila
Matrimonio per Giuffrè E arriva la maxi banca dati
Rutelli: “Sul cinema Netflix non apra quella finestra “
Affari & Finanza
STEFANO CARLI
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«I l governo deve definire regole importanti per il mondo del cinema italiano. Sono norme che riguardano anche le tv, i broadcaster italiani, la Rai e Mediaset in primis ma anche Sky, che ha appena cambiato proprietà. Si sta per formare un tavolo perché, come ogni filiera industriale, abbiamo bisogno di norme e decisioni condivise. E vorremmo che a questo tavolo ci fosse anche Netflix. Ci deve essere. È un loro dovere ma potrebbe essere una opportunità anche per loro». Francesco Rutelli è il presidente dell’ Anica, l’ associazione che riunisce i protagonisti della filiera cinema italiana. Ma il cinema, come è ormai evidente a tutti, non è più una parte isolata del più grande mercato dei contenuti video, quello che ha visto, nell’ arco di pochi mesi cambiare completamente lo scenario mondiale: a giugno è arrivato il via libera dell’ Antitrust Usa all’ acquisizione di Time Warner da parte di At&t: a luglio c’ è stata l’ acquisizione di Fox da parte di Disney; a settembre la conquista di Sky, ossia la pay tv numero uno di Gran Bretagna, Italia e Germania, da parte di Comcast. E mentre nel mondo avviene tutto questo anche l’ Italia vive la sua piccola rivoluzione: per la prima volta un film prodotto da Netflix vince alla mostra del cinema di Venezia e la streaming tv Usa decide di rompere il patto non scritto delle finestre e fa uscire un’ altra sua produzione, il film su Stefano Cucchi, contemporaneamente nelle sale e sulla sua piattaforma streaming, dando luogo alle dimissioni di Andrea Occhipinti, il produttore italiano e presidente della componente distribuzione dell’ Anica. La scorsa settimana la rivolta dei distributori alla notizia che il prossimo cinepanettone di Enrico Vanzina e Marco Risi sarà prodotto da Netflix, con conseguente dichiarazione di bandire dalle sale italiane (almeno di quelle che fanno capo all’ UniCi, terza catena in Italia dietro Uci e The Space) i film che dovessero uscire in contemporanea in streaming. Il mercato italiano arriva diviso a questo appuntamento per fissare le nuove regole. Non è un buon segnale. «È un momento concitato: lo scenario mondiale è cambiato moltissimo in pochissimo tempo. Un rivolgimento così radicale che la stessa Netflix, che fino a prima dell’ estate era in posizione di forza estrema, praticamente da sola in un mercato che di fatto ha creato, ora si trova ad essere in una situazione a rischio. At&t-Time Warner, Disney con Fox, ora Comcast, tra poco creeranno ciascuna la propria Netflix. E sullo sfondo c’ è Amazon, che con Prime Video per ora si muove con cautela ma sta per entrare in gioco e, come al solito, scompaginando le carte con una mossa a sorpresa. Come quando ha sorpreso tutti comprando una catena di supermecati “fisici”, così ora sta per acquisire Landmark, una delle maggiori catene di multisala americane. Se Netflix continua a sconvolgere le regole del gioco potrebbe restarne a sua volta vittima». Che cosa deve decidere il tavolo convocato dal Mibact, il ministero competente? «Deve completare degli adempimenti fissati dalla Legge Franceschini. Che ha fissato, ad esempio, l’ ingresso anche in Italia, come in Francia, delle quote di produzione nazionale che i distributori devono rispettare. E la legge obbliga a decidere presto perché le nuove norme devono andare in vigore dal primo gennaio 2019. Ci sono due mesi e mezzo per vararle. Ma soprattutto vanno varate con un percorso condiviso. L’ idea delle quote di produzione ha avuto reazioni negative da parte dei broadcaster, ma a questo punto, con l’ effetto dirompente sul mercato sia delle sale che delle tv, è interesse di tutti arrivare a un risultato. E per raggiungere l’ obiettivo tutti hanno bisogno di misurare correttamente il perimetro del mercato. Ma questo non è possibile se non sappiamo quanto investe Netflix, o quanti abbonati abbia. Sappiamo solo quanti dipendenti ha in Italia, ossia nessuno. Deve uscire da questa opacità. Anche questo è un capitolo di questa nuova fase in cui i mercati chiedono alle grandi web company più trasparenza e regole che valgano per tutti». Si dovrà discutere anche delle “finestre”? «Certo, si deve discutere di tutto. Oggi le finestre danno la scansione per cui un film esce prima nelle sale, poi si passa alla sfruttamento ad acquisto singolo, il dvd, o l’ acquisto online del singolo titolo, come Chili Tv da noi; poi si passa alle pay tv e allo streaming per abbonamento, ossia Netflix, ma anche Sky Now o Premium e infine alle tv in chiaro. In Italia finora erano una norma non scritta, e così in Germania. Solo in Francia sono fissate per legge. Ne dobbiamo parlare, si deve capire se, come e in che misura renderle più flessibili, ma vanno difese. Si può però discutere se 109 giorni per la finestra delle sale oggi siano una misura ancora adeguata, ma non si può avere lo streaming in contemporanea alla sala. D’ altra parte le sale sono un mercato che ha ancora un valore inestimabile: 28 milioni di italiani vanno al cinema: quattro volte il numero di quanti visitano i musei. Il nostro box office 2017 ha incassato 584 milioni, anche se il dato è in calo dell’ 11%. Ma ci sono anche segnali positivi, il 2018 segna una ripresa delle produzioni e coproduzioni italiane, più 40% sul 2017. Ma dobbiamo intervenire: il valore medio di un film italiano è di 1,5 milioni. Il meccanismo delle quote può aumentare la domanda di prodotti italiani, ma soprattutto quelli di qualità se dovranno andare anche nel prime time dei palinsesti tv. E quindi bisognerà investire di più e su produzioni di maggiore qualità». Con quali strumenti si può intervenire? «Bisogna ripensare l’ intera catena del valore: aver chiaro da dove un film riceve i suoi ricavi e ripensare anche i contenuti dei fondi pubblici. Oggi sono intorno ai 400 milioni e dentro c’ è di tutto: dal tax credit al sostegno alle sale, dai finanziamenti ai festival all’ Istituto Luce. Ed è la metà di quanto ogni anno il governo francese assegna al solo Centro Nazionale di Cinematografia ».
Magnitudo lancia il film in 8k, oltre l’ alta definizione
Affari & Finanza
STEFANIA AOI
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Milano Forse una delle sue opere più famose, realizzata con il padre Pietro, è la fontana della Barcaccia a Roma, nella centrale piazza di Spagna, meta di milioni di turisti ogni anno. Ma i capolavori di Gian Lorenzo Bernini, grande artista del Seicento, sono tantissimi. E adesso ben sessanta, radunati nell’ incantata cornice di Villa Borghese, saranno immortalati in una pellicola per il cinema prodotta dalla Magnitudo e girata con una tecnologia rivoluzionaria: l’ 8k. Tanto proiettata nel futuro che ancora non ci sono televisori capaci di far godere al pubblico le qualità di un’ immagine così ad alta definizione. Anche se ci sono aziende come Samsung che stanno lavorando a questi schermi, che potrebbero essere commerciati a breve. «Si tratta solo del primo passo. Ormai la tecnologia 8k è disponibile – afferma l’ amministratore delegato di Magnitudo, Francesco Invernizzi – e quindi la utilizzeremo per realizzare con essa anche i nostri prossimi film: quello su Leonardo e su Canova. Vogliamo che i nostri lavori possano essere tramandati nel tempo e arrivare al pubblico di domani restando attuali, mostrando la loro qualità, proprio come i lavori dei grandi maestri dell’ arte di cui raccontiamo la storia». È questa l’ ultima sfida di Magnitudo, azienda italiana fondata nel 2011, proprio da Invernizzi, una vita passata nel mondo della pubblicità, e da Aline Bardella. Circa 3 milioni di euro di fatturato, Magnitudo ha lavorato in collaborazione con Sky come produttore esecutivo, ed in alcuni casi come co-produttore, a pellicole sul mondo dell’ arte. Nel 2014, per esempio ha realizzato ‘Musei Vaticani”, un film d’ arte in 3D. Prodotto da Sky con il Centro Televisivo Vaticano, il documentario porta per la prima volta alla scoperta dei Musei Vaticani e della Cappella Sistina con tecnologie come il 4K. Ancora la società ha realizzato nel 2016, “San Pietro e le Basiliche Papali” dove si svelano i tesori della Città Eterna. Un tour cinematografico con punti di vista inediti e riprese mai realizzate prima. Che racconta la meraviglia delle quattro Basiliche Papali di Roma. San Pietro, San Giovanni in Laterano, Santa Maria Maggiore, San Paolo Fuori le Mura e le opere d’ arte in esse custodite. L’ impianto visivo utilizzato e la potenza del 3D consentono allo spettatore di entrare in contatto con le opere e di immergersi in architetture e sculture rese vive e a portata di mano. Nel 2017 è stata poi la volta di “Raffaello – Il principe delle arti”, film sul genio immortale di Raffaello Sanzio, pittore conosciuto e ammirato in tutto il mondo. E raccontato attraverso i luoghi in cui ha operato e che lo hanno visto protagonista. È stata ripercorsa la sua vita e sono state riprese più di 50 opere d’ arte custodite nei musei più famosi del Pianeta. Magnitudo ha raccontato anche la vita di Michelangelo, Caravaggio. «Ma ora è la pellicola sul Bernini la grande scommessa: costerà un 25 per cento in più di una pellicola girata con tecnologia inferiore », racconta Invernizzi. Da questo momento in avanti, tutte le produzioni di Magnitudo potranno poi beneficiare dell’ 8K. «L’ obiettivo della nostra azienda è quello di conservare e proteggere l’ eredità culturale e le bellezze artistiche del presente e del passato che sono patrimonio di tutti », afferma l’ ad. Per farlo la società ha anche usato la realtà virtuale per digitalizzare luoghi e oggetti, scansionare opere ad alta risoluzione e realizzare documentari d’ arte, mostre virtuali, App. Magnitudo Film sviluppa progetti di realtà virtuale e aumentata. «Possiamo ricreare immagini tridimensionali da sovrapporre all’ ambiente reale in cui ci troviamo o ricostruire attraverso le migliori tecnologie informatiche – sottolinea Invernizzi – ambienti e luoghi per un’ esperienza immersiva completa». Per capire come realizzare una pellicola con tecniche così innovative Magnitudo è andata negli Studios. Negli Stati Uniti. «Alcune tecnologie che abbiamo fatte nostre – spiegano dall’ azienda – sono già state utilizzate, per esempio, per tutta la serie di film Marvel». Ancora, la società italiana ha collaborazioni con le Università e le Scuole di Cinema per favorire uno scambio reciproco di conoscenze. «E a livello globale oggi – prosegue Invernizzi – siamo una delle realtà più importanti per quanto riguarda le pellicole dell’ arte. Abbiamo investito tanto anche nella distribuzione, sia cinematografica broadcast che Vod, stringendo accordi in oltre 70 Paesi». Uno degli ultimi accordi firmati è con la piattaforma di film on demand Tvod Chili per la distribuzione dei suoi contenuti. «Chili – spiega l’ imprenditore – è un’ azienda europea che guarda al futuro attraverso una piattaforma di distribuzione on demand in grado di offrire al pubblico film per il cinema e serie tv, in cui è possibile acquistare un singolo titolo, anche senza abbonamento, direttamente da smart tv, lettori blue ray, Pc, tablet e smartphone ». Una sorta di Netflix, dove si paga per ogni film che si desidera vedere. In questo modo è già possibile vedere i documentari Magnitudo in Italia, ma anche in Europa (Inghilterra, Germania e Austria). «Puntare sulla qualità premia. Il nostro fatturato cresce di un 30 per cento all’ anno, nonostante l’ industria del cinema non goda in genere di ottima salute, e nel 2018 dovremmo chiudere a quasi 5 milioni di euro di ricavi».
La libertà di stampa e la trave nell’ occhio del giornalismo italiano
Il Fatto Quotidiano
Pietrangelo Buttafuoco
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Non è la libertà che manca, mancano gli uomini liberi. La malinconica notazione di Leo Longanesi fa sempre testo tenendosi sulle generali ma neppure può dirsi che sia mai mancata la “libertà di stampa”. La questione è un’ altra: non c’ è una stampa intellettualmente libera. Mario Calabresi, direttore di Repubblica, al culmine di un fuoco polemico – uno scontro con Luigi Di Maio in tema di fake news e subitanea morte dei giornali – ha sentito il dovere di dire grazie ai suoi lettori, e quindi ai colleghi dei “giornaloni”, per il rinnovato patto con di passione, affetto e solidarietà. Tutto giusto, tutto bello ma un dettaglio – uno solo – pur nella solennità del comizio scritto, rivela la trave quando si tenta di scovare la pagliuzza nell’ altrui occhio. Ed è quando il direttore scrive a proposito dell’ imbarbarimento del dibattito pubblico in un tempo in cui – argomenta Calabresi – “la voglia di squalificare e sporcare chi dissente è martellante”. In tema di sporcare e squalificare chi dissente, nessuno – soprattutto la stampa più autorevole – può proclamarsi innocente. C’ è un lunghissimo elenco di persone, anche in Italia, sporcate e squalificate in ragione della loro squisita eccentricità rispetto al conformismo, ma ancor più lungo è l’ elenco di chi – nel dissenso – già giace nell’ oblio ancora prima di arrivare alla tomba. È proprio della libertà di stampa, nel suo artificio retorico, il silenziare – ancor più che perseguitare – chi dissente. Il pensiero unico è davvero unico, non esiste altra cerchia che il proprio circoletto; il reclutamento delle professionalità passa attraverso quei rituali sociali il cui unico canone – un ascensore sociale più consono alle ambizioni dei borghesi bohémien – è, resta e sempre sarà il Bel Amì, il romanzo di Guy de Maupassant. Non è certo tramite le comprovate competenze o il riconoscimento dei meriti che si arriva nel dorato mondo dell’ informazione. Tra uno bravo che porta notizie e uno capace di accendere frisson sarà sempre e solo frisson, nel trionfo di piritollame&aperitivi. Un campione della bella società è, per fare un esempio da letteratura – giusto a Repubblica, oggi parlamentare – il mitico Tommaso Cerno: frisson, frisson! E sempre pasta e patate, patate e pasta, pasta con patate offre il giornalismo nella sua veste istituzionale quando accuratamente – e mai come nell’ attuale stagione liberale il totalitarismo s’ invera negli automatismi dei signorsì – dispensa la versione dei fatti secondo tabù. “Noi abbiamo la censura e la censura si può aggirare, mentre voi”, mi dice un amico turco, “siete messi peggio: voi avete i tabù”. E non poter nominarne neppure uno, tanto sono inviolabili questi divieti, sta a dimostrare l’ enormità della trave nell’ occhio di Mario Calabresi. Tanto grande da ritrovarmela conficcata anch’ io.
La settimana Incom
Il Fatto Quotidiano
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Bocciati Occhio Ranocchio prezzemolo Epico scazzo catodico tra Vittorio Sgarbi e Mario Giordano nel salotto di Bianca Berlinguer. A un certo punto urlavano tutti improperi incomprensibili (rana e ranocchio le vette, in sostituzione della più celebre capra). Solidarietà agli atri due ospiti presenti, Marco Furfaro e Alessandro Giuli, le cui facce valevano un punto di share. N.c. Cinepanettonee digipandoro Per la prima volta il film di Natale quest’ anno non sarà disponibile nelle sale ma solo sullo schermo Netflix, a partire dal 7 dicembre. Il film, “Natale a 5 stelle”, affronta un tema politico. La bella deputata del Pd ha un marito leghista e geloso (Massimo Ciavarro) mentre first lady (Paola Minaccioni) trascurata dal premier si concede al di lui portaborse (Ricky Memphis), nostalgico del fu Pci. Spazio a reddito di cittadinanza, ai dibattiti nella terza Camera (Porta a porta) e tutto il cucuzzaro. Vedremo (forse). Qui non si parla di politica, si lavora “Il successo di Salvini è dovuto all’ arrabbiatura della gente. Alla paura e anche all’ ignoranza. Al fatto che probabilmente non è stato fatto molto di quello che era stato promesso di fare. Mi fa paura vedere un tipo di politica che è basata sui muri. Vorrei una politica che andasse incontro ai più deboli e che aiutasse questo Paese a risollevarsi in un altro modo”. Così Cristina Parodi, intervenuta nel corso del programma notturno “I Lunatici” su Radio2 dall’ 1.30. Queste affermazioni sarebbero passate pressoché inosservate data l’ ora di messa in onda. Senonché alcuni parlamentari della Lega hanno chiesto le dimissioni della suddetta: “Se è tanto delusa dalla politica italiana scenda in campo. E, soprattutto, lasci la Rai. Con le sue offese a Matteo Salvini, la giornalista e moglie del sindaco Pd di Bergamo Giorgio Gori, ha utilizzato il servizio pubblico a proprio uso e consumo, facendo propaganda politica alla faccia del pluralismo informativo e ciò non è giustificabile. Ne chiederemo conto in Commissione di Vigilanza Rai“. Ragazzi, costringerci a dare solidarietà a Cristina Parodi è davvero troppo. Eppure ci tocca. Dai, c’ è l’ articolo 21. Promossi Benicio & bonissimo In un’ intervista a Vanity Fair (sulla cui copertina campeggia in super forma) Benicio Del Toro ha raccontato i suoi guai dopo aver girato il film “Paura e delirio a Las Vegas”. “Non ho trovato lavoro per un bel po’. In America fu un grandissimo flop. I casting director – ha detto – non mi ricevevano più. Parlavano solo di quanto io fossi ingrassato. Ero ingrassato per il film e non avevo ancora avuto il tempo per dimagrire. Dicevano anche che ero alcolizzato, confondendomi con il personaggio del film. Ne ho sofferto, stupidamente. Ho dato troppo peso a questa storia”. Ma bastava farci una telefonata!
Rai, la strategia di Salvini: punteremo sugli interni
Il Messaggero
Mario Ajello
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IL RETROSCENA dal nostro inviato BOLZANO «Noi non siamo degli epuratori. Anzi, per me in Rai qualcuno di quelli nominati da Renzi dovrà restare». Questa la strategia di Matteo Salvini. Insieme a Di Maio, con cui si sono già visti per parlare di Rai, e manca soltanto un ultimo confronto prima del grande annuncio delle nuove nomine, l’ obiettivo è quello di «valorizzare le risorse interne e non di lottizzare». Salvini sembra avere le idee chiare, anche se i nomi giusti nelle caselle giuste ancora vanno messi uno per uno. La partita dei direttori di reti e di tiggì comunque si chiuderà a fine settimana, nel Cda di giovedì o di venerdì. LE ROSE Il presidente Marcello Foa e l’ ad Fabrizio Salini hanno dato una serie di nomi di papabili ai due vicepremier, loro ci stanno «serenamente» ragionando e il via libera sta per arrivare. Anche se per il Tg1 ci sono due o tre nomi, interni Rai e considerati di solida professionalità, tra cui scegliere ma il nominato per ora non c’ è e certamente Salvini non si sbilancia nel derby che secondo i boatos sarebbe Di Mare-Sangiuliano. Anche per il Tg2 il nome secco manca e così per la radio. E a quest’ ultima Salvini – in linea con la teoria di Steve Bannon per cui le emittenti radio sono culturalmente e politicamente decisive, e in America sono per lo più d’ orientamento conservatore – tiene particolarmente, nella sua convinzione così riassunta a tavola: «Va cambiato e rinfrescato il racconto del Paese, senza strappi, senza faziosità». Il leader della Lega, che in Trentino Alto Adige si prepara ad avere un’ altra vittoria nel voto di domenica, beve una lunga weiser beer, mangia un pezzo di pollo e si gode con migliaia di persone in un pratone sotto l’ Alpe di Siusi il concerto dei Kastleruther Spatzen, gli adiratissimi passerotti del folk sud-tirolese, e gente arrivata anche dalla Germania, dall’ Austria e dalla Svizzera li applaude pazzamente ma anche Salvini è adorato: «I am german and I love you», gli dicono in tanti. E poi lo spingono ad andare sul palco per un saluto, lui lo fa in tedesco (traduzione: «Un grande saluto e buona musica a tutti») e prosit! anche con la campionessa di sci Denis Karbon. Mamma Rai, matrona romanesca, è lontanissima da qui, ma da quassù qualche elemento per capire che cosa abbia in mente Salvini si può avere. «Occorre valorizzare non sempre gli stessi, ma anche altri, e valorizzare non significa chiedere obbedienza politica – questa la convinzione del capo del Carroccio – ma augurarsi un po’ più di equilibrio dal servizio pubblico. Lo pagano tutti e tutti hanno il diritto di avere una televisione che non faccia gli interessi di alcuni contro altri». Ancora una ventina di selfie e poi: «Come Vasco Rossi, e questa è una citazione, ho il fegato spappolato». Oddio, no: troppa birra? Macché, roba di televisione: «Tutti i tiggì, anche quelli Mediaset, non fanno che attaccarci. E non è giusto, nel caso della televisione pubblica, per chi paga il canone e che vorrebbe magari un racconto più completo». Nella Rai che ha in mente Salvini ci saranno le voci di tutti, anche di quelli che comandavano prima. I nomi per ora Di Maio e Salvini li tengono per sé, ma dopo che tutti hanno visto tutti – il contatto tra i due vicepremier e i due capi azienda Rai è stato tanto riservato quanto fitto in queste settimane – l’ ultima scrematura è questione di poco tempo. Le indicazioni arrivate loro da Foa e da Salini sono apprezzate da Salvini, anche perché in buona parte si tratta, come auspica lui, di persone che hanno decenni di esperienza in Rai e conoscono questo mondo. Modo. Ma è un gioco d’ incastri in cui chi ora sembra stare dentro il puzzle dei nuovi direttori alla fine potrebbe non esserci, e viceversa. Una convinzione Salvini sembra averla: «Va ridimensionato lo strapotere degli agenti esterni nella produzione dei programmi. Non è possibile appaltare una parte rilevante del palinsesto della televisione pubblica a società private, per programmi che potrebbero farsi in casa, grazie ai 13.000 dipendenti professionisti che ha la Rai e che spesso sono molto qualificati. Si tratta di tutelare i soldi degli italiani, senza inutili sprechi». Dunque, la linea di Salvini sulla Rai non è quella del non faremo prigionieri. Ma c’ è un’ altra cosa – prima di andare a Bolzano nei giardini degli immigrati, dove qualche nero lo fischierà e qualche altro farà i selfie con lui sorridendo e chiamandolo Il Capitano – che Salvini confida a tavola: «Spero di avere la fortuna, che ho avuto finora, di non dover telefonare mai a un direttore di telegiornale, anche se negli ultimi mesi questa tentazione mi è venuta, vendendo come ci trattano». Ora la musica, o meglio il racconto, dovrebbe cambiare. E se Salvini davvero non farà mai il numero telefonico di Saxa Rubra, almeno da questo punto di vista – ma è possibile? – si potrà parlare di discontinuità.
La governance è un tema chiave: ne va della credibilità dell’ azienda
Italia Oggi Sette
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«La normativa in tema di controlli e compliance societaria non si è mai fermata. Le ultime novità del Dpo, e la privacy in generale, confermano quanto complessa sia la ricerca di un equilibrio tra la gestione ordinaria dell’ impresa e il rispetto delle regole di governo e controllo societario. Soprattutto in un contesto economico dove ancora si vedono gli effetti di condotte ben oltre il lecito e la complessità delle relazioni economiche impone una nuova geografia dei controlli e delle conseguenti responsabilità». Chi parla, Alessandro De Nicola, senior partner di Orrick, oltre alla competenza professionale unisce quella scientifica. È stato appena pubblicato un suo volume, Il Diritto dei controlli societari, edito da G. Giappichelli Editore, che costituisce un ideale sviluppo di un testo uscito otto anni or sono, all’ indomani della legge Tremonti del 2005 e il dlgs 29 sulla revisione dei conti. «In questi anni abbiamo assistito ad una terziarizzazione di molte funzioni e attività di controllo da parte dello Stato che hanno finito per ricadere sulle imprese. Basti pensare alla storia infinita della legge 231/2001», spiega De Nicola. Sono cresciute quindi le responsabilità dirette sulle imprese e con esse l’ affermarsi di nuove figure professionali come il risk manager e internal audit. «L’ evoluzione normativa e con essa l’ affermarsi di una giurisprudenza più precisa su queste tematiche ha dato corpo a principi nuovi in tema di responsabilità degli organi della società ed in essa di figure apicali. Se si eccettua la disciplina del Gdpr, in generale le novità normative si sono stabilizzate. Inizia ora la complessa fase di interpretazione che la giurisprudenza porta avanti giorno dopo giorno» aggiunge. Domanda. Che ruolo ha avuto in questo percorso la dimensione sempre più internazionale della finanza mondiale? Risposta. Certamente ha giocato un ruolo di stimolo importante. I fondi internazionali: il mercato richiede sempre più informazioni e governance più adeguata. Il nostro osservatorio in Orrick, grazie all’ affaccio internazionale, ci permette di identificare alcuni vantaggi: una chiara percezione di quali siano le tendenze internazionali in materia di governance. In secondo luogo la possibilità per molti di noi di partecipare a cda di aziende e gruppi internazionali trasferisce una sensibilità su modalità di controllo e compliance che arriveranno anche da noi. Infine, come altre realtà, l’ intervenire direttamente su operazioni rilevanti accresce la capacità di definire e dettare trend in materia di governance. D. Le aziende italiane sono sensibili a queste problematiche? R. Direi più di prima ma ancora molto resta da fare. L’ aspetto più significativo è legato ai danni alla reputazione aziendale e dei manager apicali che la violazione di norme di governance può arrecare, finendo per compromettere la credibilità di aziende presso la comunità finanziaria. D. Cosa dobbiamo attenderci in un futuro non troppo lontano? R. Sebbene differenze esistano tra gli Stati Uniti e il mondo europeo, credo che assisteremo ad una razionalizzazione del sistema. Oggi operiamo in un sistema piramidale capovolto, dove su ruoli singoli gravano controlli e oneri diffusi. Ad esempio, il peso dei controlli in tema di compliance è eccessivo rispetto alla portata della disciplina. Per contro, dobbiamo prevenire l’ affermarsi di una cultura sospettosa nei confronti dell’ impresa in sé e della sua attività e ruolo economico che svolge. Rispettare realmente le regole esige che esista un sistema di controllo efficace e tempestivo. D. Cosa dire, infine, delle società di revisione e della figura del segretario del cda? R. Per le prime credo sarebbe opportuno arrivare ad una graduale separazione tra l’ attività di consulenza e quella di revisione. Questo aiuterebbe il mercato a crescere e svilupperebbe la concorrenza. Quanto al segretario del cda, è una figura che ha un ruolo enorme, e come tale deve essere valorizzato. Occorre allargare la sua istituzionalizzazione negli statuti societari. Avrebbe un grande impatto, a cascata anche sul tema dei controlli».
La tivù su tablet e smartphone con 11 canali «in chiaro»
L’Economia del Corriere della Sera
(m. ga.)
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Undici canali da vedere in streaming su tablet e smartphone in ogni luogo e in qualsiasi momento. Mediaset Play, aggiornata e disegnata con gusto e semplicità d’ uso, è un piccolo software prezioso per chi non vuole perdere la trasmissione «in chiaro» preferita. Come per la concorrente Rai Play, anche l’ applicazione del Biscione permette di rivedere alcune trasmissioni già trasmesse (ottima opzione per le fiction) e, nell’ area on demand, si possono vedere film e serie televisive. L’ applicazione è semplice da utilizzare, veloce e stabile (non abbiamo notato bug). Unica pratica un po’ noiosa è la registrazione obbligatoria in linea con la filosofia di altri network, servizio pubblico compreso.
Il business culturale fa crescere le città Milano capofila
L’Economia del Corriere della Sera
di Barbara Millucci
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Ci sono la Design e Fashion Week, l’ apertura del Museo Permanente del Design Italiano (prevista per inizio 2019) curato da Joseph Grima al Palazzo dell’ Arte, sede della nuova Triennale firmata da Stefano Boeri. La mostra di Caravaggio, Banksy al Mudec dal 21 novembre, lo Smau in Fiera Milano (23-25 ottobre), la nuova piazza dedicata ad Adriano Olivetti che riqualifica un’ ex area industriale a due passi dalla Fondazione Prada e i nuovi lab e residenze di Base, nell’ ex area Ansaldo. A Milano scelgono di vivere e lavorare i intellettuali, artisti e designer di tutto il mondo. Secondo i dati della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi che L’ Economia anticipa, la città ha una spinta produttiva sempre più creativa e in crescita: +1,3% nei primi sei mesi del 2018 e +6% in 5 anni. Il mondo dell’ arte, della cultura e l’ editoria non solo offrono sbocchi occupazionali in città ma anche in tutto il resto della Lombardia (+0,8% in sei mesi e + 2% dal 2013) rispetto al resto d’ Italia(+0,7% e +1,4%). «Milano guida il Paese grazie all’ economia dei settori creativi: dalla moda al design, dalla cultura alla ricerca, dall’ editoria al tempo libero», spiega Valeria Gerli membro di giunta della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi. Sempre secondo i dati, su 323 mila imprese dell’ economia creativa in Italia, 66 mila si trovano in Lombardia, la metà a Milano. La città della Madonnina è infatti protagonista assoluta con 32 mila imprese creative. Seconda Roma con 28 mila. Nella classifica regionale, segue Brescia dove sono concentrate 6 mila partite Iva di studiosi, artisti, architetti e musicisti. Positivo il dato di Sondrio (453 imprese, +8% in cica cinque anni) e di Bergamo (+5%). Tra i settori in crescita ci sono quelli legati all’ informazione (pr e uffici stampa) e comunicazione, come le attività editoriali, cinematografiche, radio-tv e informatica (24 mila imprese, +11% in circa cinque anni). Bene anche le attività di noleggio e supporto agli uffici (1.606, +4%), le attività creative, artistiche e di intrattenimento con anche musei e luoghi di cultura (3 mila nella regione, +3%), e quelle professionali, come studi di architettura, ricerca e pubblicità (14 mila imprese, +3%). «Si tratta di settori che negli ultimi anni hanno avuto un’ importante funzione di traino per la crescita dell’ export milanese – aggiunge Gerli -. A questa economia della conoscenza e delle idee, si accompagnano buon gusto e attenzione alla qualità nella realizzazione dei prodotti e nell’ organizzazione dei servizi». In città nasce l’ esigenza di nuove infrastrutture e spazi in grado di far contaminare saperi, conoscenze e attività formative. Non a caso la Luiss, la business school della capitale, ha scelto di aprire proprio qui un innovativo Hub for maker and student, uno spazio polifunzionale dedicato alla formazione, sviluppo d’ impresa, creatività digitale, cultura dell’ innovazione mentre Talent Garden ha intenzione di ampliare la sede del campus milanese, in Via Merano, acquistando nuovi edifici. Anche il progetto Base, che offre laboratori, spazi per esposizioni, spettacoli, workshop, conferenze, sale studio e residenze d’ artista si amplia di altri 6 mila mq arrivando a quota 12 mila. «In primavera apriremo uno spazio per la manifattura 4.0 e un laboratorio musicale», racconta Nicolò Bini, ad di Base. Oltre un quarto dei lavoratori creativi nazionali (studiosi, innovatori, stilisti) hanno scelto la Lombardia. Gli addetti sono 395 mila in regione, il 27% del totale nazionale , di cui 238 mila concentrati a Milano. Una regione che si distingue, perché il tessuto urbano è sempre più all’ insegna della diversità e dell’ integrazione. Forte la presenza delle donne, 15 mila in Lombardia su un totale di 66 mila imprese della creatività. Cinque mila i giovani e sei mila gli stranieri che in Regione hanno ormai trovato casa.
Matrimonio per Giuffrè E arriva la maxi banca dati
L’Economia del Corriere della Sera
Ba. Mill.
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Nasce un nuovo colosso specializzato in editoria giuridica. La storica casa editrice milanese Giuffrè Editore e Memento Francis Lefebvre si sono fuse in una nuova realtà produttiva: Giuffrè Francis Lefebvre. Il nuovo gruppo editoriale potrà contare su un fatturato di circa 60 milioni di euro, occupando 220 dipendenti tra Milano, Roma e Macerata. L’ operazione straordinaria coinvolge anche le due società controllate al 100% da Giuffrè Editore, Infogiuridica e Giuffrè Informatica. L’ obiettivo dell’ operazione è consolidare la leadership nei mercati storici – legale, fiscale e dei consulenti del lavoro – sviluppare l’ offerta dedicata ai notai e ai magistrati ed entrare anche nel mercato della formazione alle imprese, con soluzioni dedicate in prima battuta ai manager delle aree risorse umane, amministrazione e finanza. «Questa fusione nasce dalla volontà di affiancare in maniera sempre più puntuale ed efficiente i professionisti in ogni fase del loro lavoro – spiega Giuseppe De Gregori, direttore generale di Giuffrè Editore -. Proseguiamo sulla strada dell’ innovazione digitale e svilupperemo ulteriormente l’ offerta con nuovi servizi e soluzioni integrate. L’ obiettivo è consolidare la nostra ed entrare nel mercato delle aziende. Stiamo lavorando per offrire ad avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro, ma anche a direttori finanziari e responsabili del personale, strumenti di lavoro digitali di altissima qualità, continuamente aggiornati, che garantiscano semplicità e velocità di consultazione». Si tratta, in particolare, di una nuova banca dati di informazione giuridica che semplifica il processo di ricerca e analisi dei dati mettendo a disposizione degli utenti cinque milioni di documenti relativi a massime, sentenze integrali, formulari e legislazione nazionale, regionale ed europea. La banca dati vine utilizzata ogni giorno da 25.000 persone per un totale di 200.000 ricerche. La casa editrice organizzerà inoltre corsi in aula e online accreditati dal Consiglio nazionale forense e dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti «per sviluppare una nuova offerta integrata sempre più in linea con le esigenze dei professionisti ed affiancarli in ogni fase della loro attività quotidiana».
L'articolo Rassegna Stampa del 15/10/2018 proviene da Editoria.tv.