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Rassegna Stampa del 27/09/2018

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Indice Articoli

«Porterò aria fresca e nuovi direttori dei tg Basta con i settarismi»

«La Verità» di Belpietro vuole rilevare «Panorama»

Trasformare i sogni in realtà Un concorso per gli under 30

Disordine dei giornalisti

“Dopo 20 anni di vittorie voglio la frequenza”

Caso chiuso: Carlotto resta al suo posto

Editoria, la lunga crisi di B. Belpietro prende Panorama

Foa presidente per un voto: “Non giudicatemi per i tweet”

Murdoch vende: dopo 30 anni lo “squalo” molla la preda Sky

Il silenzio degli obbedienti

Foa diventa presidente, e la sua audizione ci dice molto sul metodo culturale del populismo

«La Verità» si fa avanti per «Panorama»

Anche Murdoch si arrende Comcast si prende tutta Sky

«È stato un piacere immergermi in Napoli La mia Roma invece…»

Foa presidente Rai, e ora Lega e M5s si spartiscono i tg

«La mia sarà una Rai poco politica» le nomine sono tutte da decidere

«È sempre più Napoli la vera star dei Bastardi in tv»

«Sarà una Rai poco politica Nomine tutte da decidere»

Murdoch esce da Sky e vende il 39% a Comcast

Foa passa in commissione con l’ ok di Fi

Per l’ accesso al bonus pubblicità domanda senza documenti allegati

Chessidice in viale dell’ Editoria

Panorama, parte l’ iter di cessione

Telesia, semestrale in forte crescita I ricavi su del 12% a 3,26 mln di euro

Murdoch vende il 39% di Sky

Rai, l’ ok della Vigilanza a Foa

La concessionaria di Viacom Italia chiuderà il 2018 con una raccolta in crescita del 36%

Murdoch dice addio a Sky vende la sua quota a Comcast

PANORAMA È L’ ORA DELLA VERITÀ

Un’ offerta miliardaria per conquistare la pay-tv 30,6 mld Le sterline spese da Comcast per …

Zappia resta al suo posto: obiettivo 5 milioni di abbonati

Foa è il nuovo presidente Rai Il sì di Berlusconi a M5S-Lega

Murdoch vende e si arrende Comcast vince la guerra di Sky

Gassmann: la serie punto di partenza della mia nuova vita

Alfredo Frassati

«Porterò aria fresca e nuovi direttori dei tg Basta con i settarismi»

Corriere della Sera
STEFANO LORENZETTO
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Dopo un’ impasse durata 61 giorni, Marcello Foa, appena proclamato presidente della Rai, abbandona la riservatezza elvetica e regala al Corriere della Sera una battuta: «Mi sento La donna che visse due volte. Spero di non finire come la protagonista del film di Alfred Hitchcock». Se non altro, stavolta non potranno accusarlo di preconcetta ostilità al gender. L’ ex amministratore delegato del gruppo che edita il Corriere del Ticino ha avuto bisogno di un secondo voto della Vigilanza. A nessuno dei suoi 28 predecessori fu mai accordato il bis. Non teme che il nuovo parere sia impugnabile dal punto di vista giuridico? «I legali interpellati lo escludono. Non esisteva alcuna norma che vietasse la riproposizione dello stesso candidato. Senza contare che il 1° agosto non fui bocciato: mancò solo il quorum perché Pd, Forza Italia e Leu non votarono. A parte una scheda bianca, gli altri 22 commissari erano a mio favore». Ma se per qualche ricorso dovessero impallinarla, che succederebbe? «Ho letto di piani B, C, D, E, con direzioni di reti, tg e molto altro. C’ era e c’ è un piano A e solo un piano A: la presidenza». Lei rappresenta il primo caso di un padre che si fa raccomandare dal figlio per ottenere un posto di lavoro. «Questa non l’ avevo ancora sentita. Però è molto bella». È un fatto che Leonardo Foa, 24 anni, figura nello staff di Matteo Salvini. «Guardi, mio figlio non ha avuto un contratto a tempo determinato al ministero degli Interni per grazia ricevuta. Vuole conoscere il suo curriculum?». Mi legge nel pensiero. «Liceo francese a Milano. Laurea a 21 anni in Economia aziendale alla Bocconi. Subito assunto da Azimut. Master in business development all’ École de management di Grenoble: appena 40 studenti da tutto il mondo. Nel 2017 s’ è accorto che Salvini spopolava sui social media e, per scrivere la tesi, ha chiesto di fare uno stage nell’ azienda che ne cura i profili web. Alla fine gli hanno proposto di restare. Ma aveva altre offerte importanti». E lei quando ha conosciuto Salvini? «Nel 2015, a un convegno. Era un lettore accanito del mio blog, però io non lo sapevo. Nel 2017 m’ invitò a una tavola rotonda con l’ economista Alberto Bagnai e, senza preavviso, mi chiese di parlare a braccio per dieci minuti. Anche Gianroberto Casaleggio mi leggeva e mi citava spesso. Poco prima di morire, il guru dei 5 Stelle volle conoscermi. Fu un incontro molto bello. Due ore che consolidarono una reciproca stima intellettuale». Ma davvero Salvini non l’ aveva avvisata di tenersi pronto per la Rai? «Mai saputo nulla delle sue intenzioni, giuro. A fine luglio ero partito con la famiglia per l’ isola greca di Skyros. Di solito, quando vado in vacanza, nella valigia metto sempre giacca, camicia e cravatta, un tic da vecchio inviato: non si sa mai. Stavolta solo braghette e t-shirt, volevo riposarmi. Giovedì 26, alle 21, mi ha telefonato Salvini per sondare la mia disponibilità. Subito dopo è giunta una comunicazione anche da Palazzo Chigi. Ho chiesto: quanto tempo mi date per decidere? “Due ore”, è stata la risposta». In queste settimane a viale Mazzini si è sentito accettato o sopportato? «Osservato. Da tutti, uscieri compresi. Non è che la stampa mi abbia trattato bene, per cui si erano fatti l’ idea di un troglodita fanatico. Poi hanno scoperto che sono cortese e ragionevole». Ora non potrà più provare «disgusto» per una dichiarazione del capo dello Stato. «Ci tengo a chiarire che, anche nelle polemiche più aspre, non ho mai offeso le persone. Sono andati a pescare un tweet, ma non sono riusciti a trovare un solo articolo in cui criticassi irrispettosamente il presidente Sergio Mattarella, che stimo per il ruolo di servitore dello Stato e per il tributo pagato dalla sua famiglia nella lotta alla mafia. Spero di avere l’ occasione per ribadirglielo di persona». Come può un giornalista senza esperienza di televisione gestire la Rai? «Per sette anni ho amministrato anche Tele Ticino e Radio 3i, che ha triplicato l’ audience e oggi è l’ emittente privata più ascoltata in Svizzera». Ma lei a Lugano seguiva la Rai? «Certo, regolarmente». Che cosa le piaceva di più? «Sfide, novità di Rai 3 degli anni Novanta, per la sua tensione narrativa, e Virus di Nicola Porro, bell’ esempio d’ informazione imparziale. Infatti fu chiuso». I suoi maestri Indro Montanelli e Mario Cervi, che io sappia, guardavano solo «L’ ispettore Derrick» su Rai 2. «È vero, e guai a entrare a quell’ ora nell’ ufficio del direttore. Per loro provo un’ acuta nostalgia. Conservo decine di originali degli editoriali di Montanelli, recuperati in tipografia. Li scriveva di getto, con rare correzioni a mano. Vado anche molto fiero di una risposta data di suo pugno a una missiva che gli consegnai nel 1992 e che, con mia grande sorpresa, mi ritrovai pubblicata nella posta dei lettori: “Questa lettera, caro Foa, potrei averla scritta io”». Che mandato ha avuto dal governo? «Ampio e fiduciario. La parola d’ ordine è portare aria fresca in Rai». Traduco: cambiare i direttori dei tg. «Fa parte del mandato. Sono stati nominati dal precedente consiglio di amministrazione e non tutta l’ informazione è sembrata esente da settarismi». Conosce Steve Bannon, l’ americano che sussurra al leader della Lega? «Lo incontrai a Lugano a margine di una conferenza. Un genio della comunicazione, determinante nell’ ascesa di Donald Trump. Un po’ sopra le righe. Parla sempre, parla tanto. L’ ho rivisto solo un’ altra volta in circostanze fortuite a un colloquio dove c’ era Salvini». Lei è ebreo? Glielo chiedo solo perché i suoi detrattori l’ accusano persino di questo. «No, sono cattolico, come i miei genitori. La mamma, greca, nacque ortodossa. Era ebreo il nonno Egizio, che s’ innamorò di una cattolica e la sposò». Chi sono «Gli stregoni della notizia», per stare al titolo del suo saggio? «Gli spin doctor che orientano la stampa. Dopo averne smascherato le tecniche, ho provato sulla mia pelle la loro perfidia. L’ inviato del tedesco Die Zeit è andato a rileggersi tutti i 1.176 articoli che ho scritto in dieci anni sul blog del Giornale e ha scoperto che ne hanno scovati solo cinque per demonizzarmi. Lo 0,43 per cento dell’ intera produzione». Il blog s’ intitola «Il cuore del mondo». Sicuro che il mondo ce l’ abbia, un cuore? «Io ci credo. Non voglio arrendermi al male, al pessimismo. Ho mollato tutto e lasciato la Svizzera perché sono convinto che l’ Italia sia piena di talenti da valorizzare. Quando il dovere ti chiama, non puoi voltarti dall’ altra parte».

«La Verità» di Belpietro vuole rilevare «Panorama»

Corriere della Sera
FABRIZIO MASSARO
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«Facciamo un investimento azzardato, in questo periodo per l’ editoria, ma lo facciamo perché ci crediamo. Vogliamo rilanciare e migliorare quel prodotto facendo della buona informazione restando nell’ ambito di quello che è stato Panorama». Spiega così Maurizio Belpietro le ragioni dell’ offerta alla Mondadori per lo storico settimanale fondato nel 1962 come mensile e reso celebre dal direttore Lamberto Sechi che nel 1967 lo trasformò in settimanale, e che lo stesso Belpietro ha diretto tra il 2007 e il 2009. Il direttore di La Verità, quotidiano da lui fondato nel 2016, pensa a un’ integrazione con il giornale ma non a far diventare Panorama un inserto del quotidiano: «Non ho intenzione di trasformarlo in allegato, resterà in edicola e si conquisterà i lettori da solo». Del ramo d’ azienda fanno parte i 30 giornalisti della testata, anche se il numero finale dipenderà dall’ esito della trattativa con il ceo di Mondadori, Ernesto Mauri, dopo che il consiglio presieduto da Marina Berlusconi ieri ha deciso di avviare i negoziati. Nelle scorse settimane si era parlato di un interesse degli editori di Libero e Il Tempo, la famiglia Angelucci, e del gruppo Class. Sembrava che Panorama venisse ceduto senza esborsi ma anzi con una dote patrimoniale. «No, non c’ è dote, non è gratis. La nostra è un’ offerta vera. Noi paghiamo», spiega Belpietro.

Trasformare i sogni in realtà Un concorso per gli under 30

Corriere della Sera

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Un concorso letterario rivolto ai giovani under 30 che abbiano un manoscritto (inedito) nascosto nel cassetto. Nasce la prima edizione di Letteralmente, il contest che da lunedì 1° fino al 30 ottobre permetterà ai partecipanti di proporre il proprio lavoro caricandolo direttamente online sul sito letteralmente.eu. Il progetto è organizzato da Agol (Associazione giovani opinion leader) e dall’ agenzia di comunicazione Visverbi, con il contributo dell’ Agenzia nazionale giovani, il patrocinio di Zètema (media partner: «Corriere della Sera»). Tema del concorso è #DoWhatYouCant – Nulla è impossibile, ovvero il racconto di una «narrativa positiva». A valutare il manoscritto – che sarà pubblicato da Cairo Editore – è un comitato scientifico composto dal presidente Gian Arturo Ferrari (storica figura di Mondadori), Marco Garavaglia, Gianni Letta, Francesca Jacobone, Simona Ercolani e Roberto Costantini. «Premieremo il testo che ci racconti di chi ha lottato per realizzare un sogno – ha spiegato Gian Arturo Ferrari -, chi ha trasformato l’ impossibile in realtà». Un riconoscimento che premia anzitutto la positività dei giovani concorrenti. (jessica chia)

Disordine dei giornalisti

Il Fatto Quotidiano
Marco Travaglio
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Oltre 10 anni fa, quando non c’ erano né il Fatto né i 5Stelle e Casalino lavorava a Telenorba, mi chiama Gianroberto Casaleggio, animatore con Beppe Grillo del famoso blog: “Dopo Bologna, stiamo organizzando il secondo V-Day a Torino, per lanciare tre referendum: contro l’ Ordine dei giornalisti, i finanziamenti pubblici ai giornali e la legge Gasparri. Verresti a parlare? E come la pensi?”. Risposi che condividevo da tempo tutt’ e tre le battaglie: avevo appena sfidato Renato Soru, editore dell’ Unità con cui collaboravo, a mantenere l’ impegno di rinunciare ai fondi pubblici; la Gasparri era un mio chiodo fisso; e dell’ Ordine dei giornalisti mi ero fatto un’ idea precisa leggendo Luigi Einaudi (che lo riteneva un residuato corporativo del fascismo), ma soprattutto sperimentandolo sulla mia pelle. Nel 2001 l’ insigne sinedrio mi aveva “processato” per aver osato presentare L’ odore dei soldi al Satyricon di Luttazzi e parlar male di B. e Dell’ Utri in campagna elettorale (feci notare che, se un candidato premier ha rapporti con la mafia, è meglio dirlo prima delle elezioni che dopo, e fui assolto). Dal palco del V-Day dissi alla gente in piazza – incazzata nera contro la nostra categoria – che l’ Ordine va abolito e i soldi pubblici pure. Ma i giornalisti no, anzi vanno difesi e sostenuti, soprattutto quelli che rompono le palle al potere. Applausi misti a brusio. Aggiunsi che l’ informazione dev’ essere professionale e retribuita, perchè quella gratuita e autoprodotta online dai “cittadini comuni” è una pia illusione. Brusio misto ad applausi. Nessuno avrebbe immaginato che di lì a poco sarebbe nato il Movimento 5 Stelle, che di lì a 5 anni sarebbe entrato in Parlamento, di lì a 10 anni sarebbe andato al governo e avrebbe aperto il fuoco sui giornalisti. Ora, non siamo intoccabili, ma i politici non devono parlare dei giornalisti (semmai, viceversa): possono rettificare le inesattezze e le falsità, replicando sui fatti ed eventualmente querelando, mai negando il diritto di criticare né tanto peggio minacciando ritorsioni. Il guaio è che ogni difesa della casta pennuta cade nell’ indifferenza generale o addirittura rafforza chi l’ attacca, perché i giornalisti sono una delle categorie più screditate e indifendibili su piazza. E non a torto. Se, al crollo del ponte Morandi, nessun grande giornale osa nominare i Benetton che l’ hanno in concessione, per interessi pubblicitari e conflitti d’ interessi padronali, la gente se ne accorge. Se gli ispettori del ministero sentenziano che il ponte è crollato per le inadempienze di Autostrade Spa e nessun giornalone ci fa un titolo in prima pagina, la gente lo nota. Anche perché avrebbe diritto di sapere che gl’ investimenti in sicurezza furono per il 98% durante la gestione pubblica e solo per il 2% nell’ èra Benetton. Tantopiù che la notizia del giorno viene rimpiazzata dalla bufala del M5S che fa il decreto Genova coi buchi al posto delle cifre (spetta alla Ragioneria dello Stato e al Mef riempire gli spazi con le coperture, peraltro di poche decine di milioni, cosa che non è stata fatta per ben 7 giorni, da mercoledì 19 a ieri). Se poi l’ editore (ed ex presidente degli editori) Mario Ciancio, l’ uomo più potente della Sicilia, è indagato per mafia e si vede sequestrare 150 milioni (anche nascosti all’ estero) più due giornali, e la libera stampa non scrive una riga su nessuna prima pagina, la gente ci fa caso. E se poi qualcuno legge la notizia – questa sì, ben coperta – che l’ Ordine dei giornalisti indaga su Rocco Casalino, reo di aver telefonato a due cronisti per dare loro informalmente una notizia vera, e cioè che i 5Stelle vogliono cacciare alcuni tecnici del Mef (quelli che in una settimana non trovano le coperture al decreto Genova e tante altre belle cose), e di essersi ritrovato le sue parole su vari giornali e il file audio su vari siti, magari gli scappa da ridere. Ma come: anziché sui cronisti che non tutelano la riservatezza di una fonte, si indaga sul portavoce che porta la voce? E quando Filippo Sensi, portavoce di Renzi, incitò i cronisti amici a “menare Di Battista”, ma sbagliò chat e la cosa si riseppe, come mai nessuno strillò allo squadrismo o alla mafia e nessun Ordine, neppure quello degli squadristi, aprì un’ inchiesta? E le indagini su chi tace su Benetton e Ciancio quando partono? L’ unica spiegazione è che l’ Ordine muoia dalla voglia di farsi abolire e faccia di tutto per dimostrare la propria faziosità, cioè inutilità. O, in alternativa, che stia provocando i 5Stelle, da sempre contrari all’ Ordine, per trasformare un loro legittimo punto programmatico in una vendetta pro Casalino. Infatti, appena il M5S ha ribadito l’ intenzione di abolire l’ Ordine, è subito insorta la Federazione della stampa (quella che riuscì a non fare un minuto di sciopero quando la Rai di B. cacciò Biagi, Luttazzi e Santoro e quando la Rai di Renzi cacciò Gabanelli, Giannini e Giletti), vaneggiando di “ritorsioni e liste di proscrizione per cancellare la libertà di stampa”, fra gli applausi di FI e Pd, cioè dei più feroci epuratori del ventennio. E Pigi Battista, sul Corriere, s’ è scagliato contro la “rappresaglia” dei “5Stelle che chiedono all’ improvviso la soppressione dell’ Ordine dei giornalisti” a scopo “strumentale e vendicativo”. All’ improvviso? Veramente lo chiedono da prima di nascere, cioè dal 2008. E il 7 agosto, 43 giorni prima del caso Casalino, il sottosegretario all’ Editoria Vito Crimi ricordava alla Camera che procederà all’ abolizione, “come il M5S chiede da cinque anni, ma prima ho voluto incontrare i vertici dell’ Ordine”. Chi spaccia un’ intenzione precedente per una vendetta su un fatto successivo ricorda il lupo di Esopo che, a monte del torrente, accusava l’ agnello a valle di intorbidargli l’ acqua. Ma almeno il lupo faceva il lupo, non il giornalista.

“Dopo 20 anni di vittorie voglio la frequenza”

Il Fatto Quotidiano
Marco Maroni
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Una lettera al presidente del Consiglio e una al ministro dello Sviluppo. Le ha spedite il 18 settembre scorso l’ editore romano Francesco Di Stefano per chiedere che venga applicata una sentenza della Corte di Giustizia europea che gli permetterebbe di avere una nuova frequenza tv. È l’ ultimo capitolo di una saga che vede Di Stefano battagliare da vent’ anni per la possibilità di creare una tv nazionale fuori dell’ oligopolio Rai-Mediaset, in un guazzabuglio normativo e amministrativo nel quale i governi e l’ Autorità garante per le comunicazioni hanno assecondato più che altro gli interessi del colossi dominanti. La speranza dell’ editore è che il nuovo esecutivo si mostri meno deferente. La saga. Alla fine degli anni 90 Di Stefano raggruppa una serie di emittenti locali per fondare Europa 7. Nel 1999 il governo D’ Alema, cercando di mettere ordine in un sistema in cui ogni successiva stratificazione normativa e giurisprudenziale aveva lasciato le cose com’ erano, indice una gara pubblica. Europa 7 si aggiudica una delle otto concessioni nazionali in palio. Ma non può trasmettere, perché gli sono negate le frequenze: sono quelle che avrebbe dovuto liberare Rete4, l’ emittente di Mediaset che dovrebbe traslocare sul digitale satellitare, ma prosegue sui canali analogici con un’ abilitazione provvisoria, dato che per l’ Agcom non ha ancora un “congruo sviluppo delle antenne satellitari”, condizione stabilita dalla legge Maccanico. Di Stefano comincia a far partire ricorsi e richieste di risarcimento. Arrivano una serie di sentenze che dovrebbero soddisfare le richieste di Europa 7, ma arriva anche, nel 2004, la legge Gasparri, che salva di nuovo il monopolio Mediaset, allargando il ventaglio di mezzi su cui calcolare i tetti pubblicitari anti-monopolio. La svolta per Europa 7 arriva col passaggio al digitale terrestre: nel 2008, a Di Stefano viene assegnato un multiplex (Mux) di frequenze, il canale 8 Vhf; nell’ aprile 2010 per completare la copertura gli vengono assegnate frequenze integrative (“cerotti Uhf” in gergo). Europa way, il nuovo nome della società, può quindi trasmettere su scala nazionale e avvia un progetto per una nuova piattaforma ricevibile anche su dispositivi mobili, il cui lancio è atteso nei prossimi mesi. La Corte europea dei Diritti umani nel 2012 ha inoltre riconosciuto a Di Stefano un risarcimento di 10 milioni, a carico dello Stato italiano. L’ ultimo capitolo. Nel 2012 il governo Monti annulla la procedura per assegnare ulteriori frequenze digitali indetta l’ anno prima dal governo Berlusconi. Un beauty contest (valutazione delle offerte), in cui Europa Way era stata l’ unica a partecipare, e quindi a vincere, per il lotto di frequenze del canale 6 Vhf; Rai, Mediaset e Telecom sono assegnatari degli altri cinque lotti. Ma se alla tv di Di Stefano non va nulla, negli anni successivi, il ministro dello Sviluppo concede agli altri (Cairo communication è succeduta a Telecom come editore di La7) le frequenze richieste, per risolvere “problematiche interferenziali”. Nuovo ricorso di Europa Way alla Corte di Giustizia europea che, il 26 luglio 2017, gli dà ragione. Non solo: afferma che Rai e Mediaset hanno avuto più multiplex del necessario. Il Consiglio di Stato, che deve recepire la sentenza europea, si riunisce oggi, se il dispositivo fosse accolto integralmente, sarebbero da ridiscutere tutte le concessioni. “Le sentenze della Corte sono immediatamente esecutive”, fa notare Di Stefano, “Ma a noi non interessa che vengano tolte frequenze agli altri, basta che ci diano quelle che ci spettano”.

Caso chiuso: Carlotto resta al suo posto

Il Fatto Quotidiano
Ilaria Proietti
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La Rai prova a chiudere il caso di Massimo Carlotto: potrà continuare a condurre senza problemi il programma Real Criminal Minds, un ciclo di puntate ispirate ai più spietati killer della storia, nonostante le polemiche. Approdate in Parlamento con un’ interrogazione di Fratelli d’ Italia contro lo scrittore noir che è stato condannato a 18 anni di carcere per – si legge nel testo dell’ interrogazione – “aver massacrato a coltellate nel ’76 una ragazza padovana, Margherita Magello”, ma fuggito in Messico prima della condanna definitiva. Estradato poi in Italia “ha scontato solo sei anni di pena” prima di essere graziato per motivi di salute nel 1993 dall’ allora presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro”. Fabio Rampelli e Giorgia Meloni chiedono di sostituire Carlotto (“all’ epoca dei fatti appartenente alla formazione parlamentare di Lotta Continua”) dalla conduzione del programma come segno di rispetto per la memoria della vittima. Sollecitazione respinta dall’ azienda. Che nella risposta pervenuta alla Commissione di Vigilanza ha fatto sapere che la scelta di affidargli il programma “è stata fatta tenendo conto del suo skill professionale”: i suoi libri sono tradotti in molte lingue, ha vinto numerosi premi sia in Italia che all’ estero. E ancora: è anche autore teatrale, sceneggiatore e collabora con diversi quotidiani e riviste. “In tale quadro, pertanto, pur nella consapevolezza delle potenziali criticità collegate alla sua vicenda processuale, si è ritenuto che Carlotto potesse fornire un contributo editoriale in grado di apportare un valore aggiunto al programma per come strutturato”. Che si occupa di fatti di sangue internazionali, con una introduzione breve, in tutto 2-3 minuti. Il caso è chiuso, le polemiche meno. Come quelle che riguardano la giornalista del Tg1, Claudia Mazzola che avrebbe voluto entrare nel cda Rai. Dopo aver sottoposto il suo curriculum alla consultazione della piattaforma Rousseau dei 5 Stelle, come ha sottolineato Michele Anzaldi del Pd. Che ha chiesto all’ azienda per quale motivo non sia stata nel frattempo spostata “ad altra redazione, diversa da quella politica” in cui ha continuato a seguire “proprio il Movimento per le principali edizioni del Tg1”. Nella risposta l’ azienda ha ricordato che la giornalista ha presentato la propria candidatura attraverso la procedura disposta dal Senato e dalla Camera. E che “evidentemente proposta secondo norme di legge non può costituire discrimine rispetto all’ esercizio della professione di giornalista”. E i giornalisti del concorsone Rai del 2014? L’ assunzione dei primi 100 classificati si è conclusa nel 2017, mentre “nelle prossime settimane per esigenze di copertura del turn over” si arriverà fino al numero di 196 (201 per effetto degli ex aequo). Insomma alla scadenza della graduatoria il prossimo 15 ottobre sarà stata assorbita circa la metà dei candidati esaminati. Per gli altri 200 non sembra esserci speranza, almeno a interpretare la risposta all’ interrogazione presentata di Mirella Liuzzi del Movimento 5 Stelle: il concorsone infatti non ha implicato un giudizio di idoneità, presupposto indispensabile per le assunzioni del nuovo contratto di servizio 2018-2020.

Editoria, la lunga crisi di B. Belpietro prende Panorama

Il Fatto Quotidiano
Daniele Martini
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Come l’ assassino che torna sempre sul luogo del delitto, Maurizio Belpietro, direttore di Panorama una decina di anni fa, dal 2007 al 2009, si ripresenta da protagonista nella sala comando di quello che fu il fiore all’ occhiello tra i giornali della Mondadori. Questa volta nella veste di padrone. Nel senso che Belpietro, che due anni fa fondò il quotidiano La Verità, Panorama se lo compra proprio. Dopo settimane di trattative dietro le quinte, ieri mattina si è riunito a Segrate il Consiglio di amministrazione della casa editrice di proprietà di Silvio Berlusconi e ha accettato la proposta di acquisto vincolante presentata dal giornalista. Il quale in contemporanea ha pubblicato sul giornale La Verità poche righe per dire che il suo quotidiano sta andando bene e per anticipare che in serata, durante una festa a Roma per celebrare il secondo compleanno della testata, avrebbe annunciato l’ avvio di “altri importanti progetti”. Belpietro mette le mani su Panorama con la società La Verità di cui è proprietario al 60 per cento e di cui è socio Mario Giordano, altro giornalista di peso. Al momento non sono stati comunicati i contenuti economici dell’ affare. Belpietro ha battuto gli Angelucci, i signori delle cliniche romane e del Sud Italia che erano stati i suoi editori a Libero e che almeno fino all’ inizio dell’ estate sembravano i pretendenti più accreditati per rilevare la gloriosa ma acciaccatissima testata berlusconian-mondadoriana. Secondo indiscrezioni insistenti, per rilevare Panorama gli Angelucci volevano essere pagati. Pretendevano cioè una dote dalla Mondadori come stessero facendole un favore sgravandola di un peso e un fastidio, considerato lo stato deficitario cronico e le prospettive non proprio brillanti della testata. È molto probabile che anche Belpietro abbia trattato la faccenda con lo stesso approccio. Il suo progetto editoriale però diverge completamente da quello degli Angelucci. Questi ultimi avevano intenzione di trasformare Panorama in un prodotto da allegare ai quotidiani del loro gruppo: Libero, Il Tempo, i Corrieri del Centro Italia. Belpietro ha un piano diverso e più ambizioso: “Non ci penso proprio a trasformare Panorama in un semplice allegato della Verità”, dice al Fatto Quotidiano. “Ho intenzione di mandarlo in edicola da solo. So che è un’ idea in controtendenza, ma anche quando due anni fa fondai La Verità, quotidiano di carta, mi dicevano che era una pazzia, ma il giornale sta in piedi, vende 26 mila copie e ad agosto è cresciuto del 14 per cento rispetto allo stesso mese dell’ anno precedente”. Chi conosce i meccanismi dell’ editoria sa però che una cosa è far nascere un giornale nuovo e un’ altra è tentare di riportare all’ onor del mondo un settimanale che fu un levriero, ma è diventato un bracchetto. Fondato nel 1962, Panorama tra gli anni Ottanta e la fine del secolo passato fu una testata autorevole e una macchina da soldi, con una foliazione che superava spesso le 300 pagine a numero, una raccolta pubblicitaria super e il traguardo del milione di copie a portata di mano. La realtà di oggi è lontana anni luce da quei record: le perdite sono da tempo superiori ai 4 milioni di euro l’ anno, le copie vendute in edicola sono poche migliaia, la foliazione non supera le 100 pagine e lo spazio per la pubblicità è ormai una miseria. I costi fissi, invece, sono molto elevati: 5 milioni e 600 mila euro di cui 4,8 per gli stipendi dei dipendenti, una redazione di 24 giornalisti, quasi tutti con una qualifica superiore a quella di redattore, e 6 grafici e editoriali. Più la sfilza dei collaboratori che costano complessivamente più di un milione di euro, alcuni prestigiosi e molto ben remunerati come Bruno Vespa, Giuliano Ferrara, Claudio Martelli, Augusto Minzolini. È sulla riduzione di questi costi che probabilmente Belpietro sarà costretto a concentrarsi. Al confronto la sua Verità è un giocattolino con un direttore, un condirettore, 2 vice, 4 giornalisti a tempo pieno e altri 2 per l’ online, un grafico e i collaboratori.

Foa presidente per un voto: “Non giudicatemi per i tweet”

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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“Domenica è il mio compleanno. Chissà che non riceva un bel regalo”. Il dono che Marcello Foa si augura all’ inizio della sua audizione in commissione di Vigilanza, all’ ora di pranzo, si materializza all’ ora di cena. Ma arriva per il rotto della cuffia. Foa, infatti, incassa 27 voti, che rappresentano esattamente il quorum dei due terzi della commissione. Tre sono stati i voti contrari, più una scheda nulla e una bianca. A votare sono stati 32 componenti su 40, perché il Pd (7 parlamentari) e Pier Ferdinando Casini non hanno partecipato. Sta di fatto, però, che a Foa sono mancati 2 voti. Sulla carta, infatti, il neo presidente poteva contare su 29 sì (il presidente della Vigilanza Alberto Barachini ha votato scheda bianca) e invece si è fermato a 27. Rispetto alle previsioni, c’ è stato un voto contrario in più e una scheda nulla. Con polemica finale scatenata da Michele Anzaldi: “Avete taroccato il voto!”. “Le indicazioni di voto erano chiare, nessun errore”, la risposta di Barachini. Anche se con il minimo dei voti, però, Marcello Foa è stato eletto presidente della Rai. Grazie soprattutto alla giravolta di Forza Italia che, rispetto ad agosto, ha dato il suo via libera dopo un braccio di ferro durato settimane tra Salvini e Berlusconi. “È cambiato il metodo, ora condiviso, e il merito, dopo aver ascoltato Foa. Quindi voteremo a favore”, ha annunciato Giorgio Mulè ( FI ) al termine dell’ audizione. Un voto che, nel caso della Vigilanza, fotografa l’ allargamento della maggioranza gialloverde a FI e Fratelli d’ Italia. Ieri, però, è stato il giorno di Marcello Foa, che per la prima volta parlava in pubblico. La curiosità era molta e i riflettori erano puntati tutti su di lui. E il neo presidente non se l’ è cavata male. Anche grazie a domande un po’ blande da parte degli oppositori, Pd e LeU. Più impegnati a capire perché quel tal giorno Foa ha ritwittato le parole del leader CasaPound, Simone Di Stefano, o, quell’ altro, la “sovranista” Francesca Totolo, senza però mai andare al nocciolo delle questioni. “Giudicatemi per quello che dico e scrivo. Ritwittare contenuti sui social, magari di persone che nemmeno si conoscono, non significa aderire. A volte lo si fa perché li si ritiene solo interessanti”, ha spiegato Foa. Poi c’ è la questione della riproposizione del suo nome in Vigilanza dopo la prima bocciatura, che ha scatenato una guerra di pareri legali e su cui si preannunciano ricorsi. “Io non ho chiesto di fare il presidente della Rai e nemmeno il consigliere. Dopo il mancato raggiungimento del quorum, mi sono rimesso a chi mi aveva indicato, ovvero il Mef, da cui non è giunta nessuna indicazione a farmi da parte. Se avessi avuto il minimo sentore che il mio nome per legge non fosse riproponibile, mi sarei fatto da parte”, racconta l’ ex cronista del Giornale. E si arriva a Mattarella, che Foa in un tweet di qualche tempo fa giudicò “indegno”. “Non è mai stata mia intenzione offendere o mancare di rispetto al capo dello Stato, per cui nutro un profondo rispetto per la carica che ricopre e per la sua storia familiare”, ha sottolineato il neo presidente. Che però un paio di gaffe le ha fatte. La prima dicendo di “essere stato indicato dal governo”, quando invece l’ indicazione del presidente spetta, per legge, al Cda, come gli fa notare Antonello Giacomelli (Pd) e pure l’ Usigrai. La seconda è aver glissato alla domanda su suo figlio, assunto nello staff della comunicazione di Salvini. Non proprio un bel biglietto da visita. Per il resto, in audizione, Foa ha precisato che i suoi capisaldi “sono l’ indipendenza dell’ informazione e il pluralismo”, valori che intende portare avanti anche in Rai. E a questo proposito ha ricordato di aver offerto a Ferruccio de Bortoli una collaborazione sul Corriere del Ticino quando fu costretto alle dimissioni da Via Solferino. “Non ho mai avuto tessere di partito, il mandato che ho ricevuto non è politico ma professionale”, ha spiegato Foa, ricordando di essere “un liberale vecchio stampo, allievo di Indro Montanelli e Mario Cervi”. Unica nota programmatica sulla Rai, “l’ intenzione di recuperare velocemente il terreno perso sul web, che rappresenta il punto più debole della tv di Stato”. “Evviva, ora in Rai tornerà la meritocrazia”, ha twittato Luigi Di Maio. Ultimo passaggio, la ratifica da parte del Cda di Viale Mazzini, convocato questo pomeriggio.

Murdoch vende: dopo 30 anni lo “squalo” molla la preda Sky

Il Fatto Quotidiano

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Rupert Murdoch venderà a Comcast il suo 39% in Sky, chiudendo la sua era nel colosso inglese che ha lanciato quasi 30 anni fa come primo servizio di pay tv in Gran Bretagna e che per anni ha cercato di controllare interamente. Una decisione presa d’ accordo con la Walt Disney dopo la ‘sconfitta’ dei giorni scorsi durante l’ asta indetta dalle autorità inglesi. Un’ asta che Comcast si è aggiudicata mettendo sul piatto 17,28 sterline per azione. È proprio a tale prezzo che Fox e Disney cederanno la quota.

Il silenzio degli obbedienti

Il Fatto Quotidiano
Claudio Fava
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L’ aspetto che più stupisce della lunga, lunghissima vicenda padronale e giudiziaria di Mario Ciancio è la soggezione che quest’ uomo produce sul mondo, diciamo, di sopra (amministratori, sindaci, imprenditori, editori, opinionisti, giornalisti, ministri). Perfino adesso che ha ormai 86 anni, è imputato di concorso esterno in associazione mafiosa e s’ è visto sequestrare l’ intero patrimonio, ovvero 31 società, partecipazioni, giornali, televisioni, ville, casali, forzieri e 25 milioni di euro in conti correnti. Notizia d’ un certo significato. Se non altro perché per la prima volta, applicando la legge La Torre, viene disposto il sequestro di un quotidiano per ragioni di mafia. Eppure in questi giorni non un fiato, non un commento. Tacciono tutti: letteralmente. Tacciono i sindaci che da Ciancio ebbero accompagnate campagne elettorali e stagioni di governo (da antologia lo scambio d’ effusioni intercettato tra Ciancio ed Enzo Bianco), i politici d’ arrembaggio e di nuova moralità, le sinistre guevariste e le destre d’ ordine, tacciono i colleghi editori, i colleghi direttori, i colleghi giornalisti (perché Ciancio è stato editore, direttore, giornalista), tacciono gli imprenditori in affari con lui, i vecchi magistrati della Procura di Catania che frequentavano il suo desco, gli esimi, le eccellenze, gli emeriti, le eminenze. Spariti. Se qualcosa avevano da dire, l’ hanno ingoiata in silenzio. Non hanno sequestrato il chiosco dei frappé a un sottopanza dei Carcagnusi. Hanno portato via al più riverito e potente editore del Mezzogiorno 150 milioni in azioni, assicurazioni, redazioni, amministrazioni e antenne. Perfino la stampa nazionale – con poche, pochissime eccezioni: tra cui questo giornale – ha fatto finta di non sapere. Buffo, no? Se avessero confiscato per mafia, che so?, un giornale a Caltagirone, un albergo a Ligresti, una villa in Sardegna al Cavaliere, il titolo sarebbe finito in prima, con ricche foto e implacabile editoriale. Per Ciancio, no. Si sussurra, si accenna, si parla d’ altro. Ecco: la più limpida misura del suo potere è esattamente questa. Il fatto è che si sapeva tutto o quasi. Il “quasi” è legato ai conti correnti accesi a Chiasso e a Lugano, alle cassette di sicurezza nel Liechtenstein, ai 51 milioni che hanno preso la via dei paradisi fiscali e ai bilanci delle sue società gonfiati con piccioli di ignota provenienza. Tutto il resto però si sapeva. Si sapeva del patto non scritto fra Ciancio e Cosa Nostra, la neutralità delle Famiglie catanesi in cambio d’ una moral suasion del suo giornale, impegnato a convincere i catanesi che mafia, in quella città, proprio non ce n’ era. E dunque Nitto Santapaola era un “noto imprenditore” (così definito fino al giorno del suo primo mandato di cattura); la famiglia Ercolano meritava solo rispetto e benevolenza; i Cavalieri di Catania (segnatamente Gaetano Graci e Carmelo Costanzo) erano straordinari e generosi capitani d’ industria; i sindaci corrotti, i politici collusi, gli amministratori venduti andavano semplicemente protetti perché tutto quello che offuscava questo presepe di buone notizie (per esempio i servizi televisivi di Giuseppe Marrazzo, le interviste della buon’ anima di Carlo Alberto dalla Chiesa, le inchieste de I Siciliani) erano solo “mascariamenti”, giacobinismi, invidie sociali Si sapeva. E si taceva. Fingendo che ogni episodio (i necrologi rifiutati, i nomi censurati, le foto sforbiciate) fosse solo folklore locale, brevi e inoffensive mitologie di provincia. Sapevano i colonnelli di Ciancio in redazione, e tacevano. Sapevano l’ Ordine e il sindacato dei giornalisti, e tacevano. Sapevano i signori Procuratori della Repubblica e tacevano. Sapevano i ministri e i presidenti in visita di cortesia nei suoi uffici e tacevano. Tra parentesi, la consuetudine di quelle visite, ridicole per piaggeria e disarmanti per trasversalità, è continuata fino a pochi mesi fa, con Mario Ciancio indagato già da otto anni per mafia e la solita coda in anticamera dei candidati di turno (dal presidente Nello Musumeci all’ onorevole Guglielmo Epifani) in attesa di intervista, stretta di mano e foto con l’ editore. Anche il racconto della visita del capomafia Giuseppe Ercolano al signor editore era noto da anni. Siamo all’ imbocco degli anni Novanta e Pippo Ercolano, cognato di Nitto Santapaola, è molto incazzato. Quel giorno La Sicilia ha dato notizia di un’ inchiesta che coinvolge il suo casato mafioso. Falso? No, vero, verissimo, perché Ercolano è un mafioso: ma certe cose non si scrivono. Mai. Per questo u zu’ Pippo è incazzato. E adesso sta andando in redazione per capire a chi minchia è venuto in testa di scrivere degli Ercolano senza prima sciacquarsi la bocca. Ora, che succede se un capomafia si presenta al vostro cospetto pretendendo scuse per aver scritto una cosa vera? Chiamate il 113 e la cosa finisce lì. Ciancio, che è uomo di mondo, alza il telefono: ma non per chiamare la polizia. Chiama il giovane cronista che aveva scritto l’ articolo, lo convoca nel proprio ufficio e, quando se lo ritrova davanti, lo cazzìa. In presenza del boss, ovviamente. Che finalmente sorride compiaciuto: l’ incazzatura gli è passata. In realtà Mario Ciancio è stato molto più di tutto questo. Il siciliano più potente nel senso aristocratico del termine. Non si tratta solo del censimento delle sue ricchezze. Il potere di un uomo come Ciancio risiede anzitutto nella capacità di infischiarsene di ogni umano giudizio, proprio come i reali di Francia a Versailles, convinti di mettere la catena al collo della storia distribuendo brioches alla plebe incazzata. Mario Ciancio, come la regina Antonietta, ha lasciato per anni che sulle sue vicende si depositasse il conforto del proprio silenzio. Mai un verbo, un’ intervista, un articolo a firma sua. Non è timidezza: è davvero la cifra più alta del potere, la sua capacità di isolarsi in una dimensione in cui non c’ è sospetto, parola o dubbio che possa scalfirti. E così sarebbe stato nei secoli se non si fossero messi di traverso alcuni giudici della Procura di Catania, svelando un sistema che aveva fatto del giornale di Ciancio un notaio del non dire, del non chiedere, del non mostrare mai. Ciò che ancora stupisce è il senso di obbedienza che Ciancio è riuscito a far crescere attorno a sé. Perché un giornale non lo fa un editore: lo scrivono i suoi giornalisti. E a lui, Ciancio, non occorreva nemmeno un ordine formale: per anestetizzare ogni notizia, perfino gli annunci mortuari, bastava la solerzia di un dipendente, lo zelo di un capocronista, lo scrupolo d’ un segretario di redazione. Proprio come accadeva in Italia dopo le leggi razziali del 1938, quando si trovarono subito decine di imbecilli felici di far sapere che i loro erano negozi ariani, Ciancio ha sempre trovato molti giovani e meno giovani cronisti felici d’ appendersi anche loro al collo un invisibile cartello su cui stava scritto: “Questo è un giornalista autocensurato”. La sensazione è che quello zelo, quell’ obbedienza non siano stati scalfiti. Ieri, primo giorno de La Sicilia sequestrata, i giornalisti hanno diramato un accorato comunicato riconoscendo a Ciancio doti di umanità e generosità. Generosità verso se stesso, forse. Mentre lasciava le sue testate e le sue redazioni affogare lentamente nei debiti (ne licenziò sette, di giornalisti, a Telecolor), Ciancio ammassava i suoi profitti nei forzieri della Svizzera e del Liechtenstein. Siamo seri, ragazzi: generoso costui? Ai posteri (e ai tribunali) la sentenza.

Foa diventa presidente, e la sua audizione ci dice molto sul metodo culturale del populismo

Il Foglio

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Roma. L’ accordo tra Lega e Forza Italia c’ era già prima, grazie all’ incastro delle alleanze per le prossime amministrative, e non sono state certo le parole di Marcello Foa a convincere i deputati azzurri a votarlo. Alla fine la Commissione di Vigilanza ha approvato la nomina di Marcello Foa come presidente della Rai con 27 voti a favore su 40, quindi superando il quorum necessario dei due terzi. Ma l’ audizione che ha preceduto la votazione è stata completamente inutile. Nulla a che vedere con le serrate au dizioni che si fanno in America prima delle nomine importanti, basta vedere in questi giorni il fuoco di fila che sta subendo Brett Kavanaugh, prescelto da Trump, per poter diventare giudice della Corte suprema. Nella sua mezz’ ora di audizione il presidente della Rai ha semplicemente ribadito che è un “allievo di Montanelli”, lo ha ripetuto per quattro volte (la prima dopo appena un minuto), ma non ha fatto chiarezza su numerose questioni sollevate. Non una parola sulle sue posizioni antiscientifiche (dalle cure alternative ai vaccini), nessuna spiegazione per l’ esaltazione di complottisti come la “vera intellettuale” che sostiene che Obama sarebbe un discendente di Carlo Magno, né per le accuse rivolte al presidente della Repubblica. Il riferimento è a un tweet in cui, dopo la bocciatura di Savona a ministro dell’ Economia, Foa scrisse: “Il senso del discorso di Mattarella: io rispondo agli operatori economici e all’ Unione europea, non ai cittadini. Ma nella Costituzione non c’ è scritto. Disgusto”. Foa non spiega, ma dice che “non è stata mai mia intenzione offendere e mancare di rispetto al presidente Mattarella”. Poi, quasi orecchiando la famosa gaffe di Conte: “Provo solo stima per Mattarella, anche per la sua nota storia familiare che ha comportato il sacrificio supremo di un membro molto importante della sua famiglia”. Insomma, siamo di nuovo al “congiun to”. E stavolta non c’ è stato neppure uno del Pd a ricordare, come fece Graziano Delrio in Parlamento, che: “Si chiamava Piersanti!”. Luciano Capone.

«La Verità» si fa avanti per «Panorama»

Il Giornale
CM
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Panorama, storico settimanale del gruppo Mondadori (che partecipa al capitale de Il Giornale) potrebbe cambiare proprietà. La Verità Srl, che edita l’ omonimo quotidiano fondato e diretto da Maurizio Belpietro, ha presentato «un’ offerta vincolante» ad Arnoldo Mondadori Editore per «l’ acquisizione del ramo d’ azienda relativo al newsmagazine Panorama». L’ operazione sarebbe destinata a trasformare il magazine, diretto in passato dallo stesso Belpietro, in un inserto (anche) de La Verità. Il cda di Mondadori, riunitosi ieri, dopo aver analizzato l’ offerta, ha dato mandato al management di procedere alla definizione dell’ accordo. Da tempo il gruppo guidato dall’ ad Ernesto Mauri sta procedendo a riorganizzare settimanali e mensili. Proprio a maggio Mondadori aveva raggiunto un accordo con l’ editore croato European Network (a cui fanno capo le testate di Sirio, Astrella, Eva Mese 3000 e Vip Party) per la cessione dei settimanali Tustyle e Confidenze. L’ operazione, che prevedeva il passaggio dell’ organico con una garanzia di due anni, era poi rientrata a seguito di un accordo sindacale per il taglio dei costi. CM.

Anche Murdoch si arrende Comcast si prende tutta Sky

Il Giornale
Maddalena Camera
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Maddalena Camera Comcast ce l’ ha fatta: con 30,6 miliardi di sterline (40 miliardi di dollari), conquista Sky. Rispetto alle attese, secondo cui il deal non sarebbe stato sbloccato prima di due settimane, il gigante Usa della tv via cavo è riuscito a bruciare le tappe grazie alla decisione di 21st Century Fox di vendere il suo 39% di Sky per 11,9 miliardi di sterline. Anche il fondo Elliott, che in Italia ha l’ 8,8% di Tim, ha aderito all’ offerta, consegnando il 4,3% (plusvalenza stimata di mezzo miliardo). Insomma, Rupert Murdoh si è fatto da parte dopo aver inutilmente cercato di acquisire la maggioranza della pay tv. La mossa arriva a pochi giorni dalla vittoria di Comcast nell’ asta competitiva per Sky proprio contro Fox. La decisione di Murdoch è appoggiata dalla Disney che a luglio ha raggiunto un accordo per acquistare per 71 miliardi di dollari le attività nell’ intrattenimento di Fox, inclusa la quota in Sky. La vendita permetterà dunque a Disney di intascare oltre 11 miliardi di sterline da usare per ridurre il debito dopo l’ acquisizione degli asset Fox. A questo punto, sfuma l’ ipotesi che il tandem Murdoch-Disney possa organizzare dei rilanci per accaparrarsi il 61% di Comcast. Del resto, l’ offerta di Comcast è apparsa da subito allettante: esprime un premio del 125% rispetto all’ ultimo prezzo di Borsa prima dell’ inizio nel dicembre 2016, fischio d’ inizio della partita per il controllo di Sky. Il prezzo incorpora un multiplo di 15,5 volte il mol rettificato Comcast è un colosso da 80 miliardi di dollari di fatturato ma è un’ azienda a guida famigliare, dato che il capo azienda Brian Roberts è il figlio del fondatore, Ralph, e ha preso le redini dal 1990. In Europa Comcast e il suo patron sono poco conosciuti. Negli Usa invece la società con sede a Philadelfia, oltre a essere un operatore di tlc, è la prima televisione via cavo per numero di abbonati, la seconda multichannel complessiva con la sua Xfinity (dopo At&t che controlla U-Verse e Direct Tv), nonchè il più grande fornitore di servizi internet via cavo nelle case americane. Un impero ramificato che possiede canali nazionali (come Nbc e Telemundo) e canali solo via cavo: MsNbc, CNbc, Usa Network, lo sportivo NbcSn e The Weather Channel. Cui si aggiungono gli studi di produzione Universal Pictures e i parchi tematici Universal Parks&Resorts a Los Angeles, Orlando, Osaka e Singapore. Inoltre sta costruendo gli Universal Studios di Pechino, che diventeranno i più grandi studios cinematografici della Cina. L’ Europa, però, era un pezzo che mancava sulla scacchiera. Ecco spiegato l’ interesse per Sky che nel vecchio continente conta 23 milioni di abbonati. Di cui circa sei milioni in Italia, inclusi quelli ereditati dal recente accordo con Mediaset. L’ intesa ha avuto come risultato più importante quello di far cessare le ostilità sul fronte della pay tv tra le due società. Anche al costo, per garantire la concorrenza sulla visione delle partite di calcio, di far entrare sul mercato un nuovo player, Dazn, che però opera soltanto via web. Mentre il pacchetto Sky, comprensivo del campionato di calcio italiano e della Champions è fruibile, oltre che sul satellite ora anche sul digitale terrestre grazie alla piattaforma che, tra novembre e dicembre, Mediaset dovrebbe cedere all’ ex-rivale. Comcast ha garantito che Sky resterà un brand a sè stante con autonomia strategica anche se, sul fronte sport ha esperienza. Oltre a trasmettere molti canali sportivi, è proprietario di due squadre di Philadelfia di basket e di hockey. Lo sbarco di Comcast in Europa darà filo da torcere a due giganti del web Netflix e Amazon che hanno rivoluzionato il mercato televisivo pay con formule di abbonamento molto agili e a prezzi inferiori rispetto ai circa 40 euro al mese dell’ abbonamento Sky. Il costo di quest’ ultimo è però legato principalmente al calcio e allo sport in generale dato il costo dei diritti per i quali Sky in Italia spende circa 400 milioni all’ anno.

«È stato un piacere immergermi in Napoli La mia Roma invece…»

Il Giornale
Laura Rio
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Laura Rio nostro inviato a Capri Fare il poliziotto simpatico e inquieto gli viene benissimo. Così lo rivedremo di nuovo protagonista in I bastardi di Pizzofalcone, la serie, ambientata in uno scalcagnato commissariato di Napoli, che l’ anno scorso ha avuto grande successo su Raiuno. Alessandro Gassmann, come i suoi colleghi, è un eroe malconcio, dal passato pieno di ombre, che cerca di rifarsi una vita mentre viene a capo delle vicende più improbabili. Nella prima puntata in onda lunedì 8 ottobre presentata al Prix Italia, il premio internazionale televisivo della Rai in corso a Capri, deve affrontare il caso di una neonata abbandonata e della madre morta ammazzata. Con la regia di Alessandro D’ Alatri (alla sua prima volta in tv), l’ adattamento di Maurizio de Giovanni, dai cui romanzi è tratta la serie, e la presenza nel cast di Carolina Crescentini e Tosca D’ Aquino, la fiction è composta da sei puntate. E già si pensa alla terza stagione. Ma prima di parlarci dei Bastardi, Gassmann si lascia andare a un ricordo di Paolo Granzotto, cofondatore e colonna portante del Giornale. «Sono cresciuto con lui, era uno dei migliori amici di mia madre (Juliette Mayniel), una persona straordinaria, mi manca tantissimo. Mi ricordo un viaggio bellissimo in macchina con lui, mia madre e l’ allora marito di lei, da Roma a Cannes. Da grande ho imparato ad apprezzarne la scrittura, ma da piccolo era una specie di zio, mi dava attenzione, una cosa molto importante per me figlio di una figura così imponente (Vittorio Gassman) e di una madre sui generis: mi ha aiutato ad avere fiducia in me stesso. Uno dei ricordi più belli della mia infanzia». A proposito di figli, il suo, Leo, è apparso nella scorsa puntata di X Factor e si è preso quattro «sì» dai giudici: glielo aveva detto che avrebbe partecipato al talent di Sky? «No, ha fatto tutto chiuso nella sua stanzetta. Me l’ ha rivelato dopo essere stato scelto. Comunque sono contento: è un ragazzo serio, dolce, gentile, fa l’ università e ha passione per la musica. Non è come me alla sua età: io ero uno scapestrato, una capra a scuola, bravo solo nello sport, sono scappato di casa a 18 anni. Dovevo andarmene, per forza, per trovare una mia strada…». Leo è figlio e nipote Gassman. La creatività si eredita? «Credo che sia l’ amore dei genitori a coltivarla. Se hai una famiglia che ti fa capire quanto sia bello fare il mestiere dell’ attore o del cantante, sei favorito. Mio padre era severo con me, come io lo sono con mio figlio. Pochi paletti, ma invalicabili. Mi diceva: se devi scegliere tra due strade prendi quella più faticosa. Dunque Leo potrà fare il cantante, ma deve finire l’ università…». E lei fatica parecchio. A cosa sta lavorando? «Sto doppiando Benedict Cumberbatch nel film animato Il Grinch che fa molto ridere, un folletto che odia il Natale: uscirà in Italia a novembre. Poi sto preparando un adattamento di Fronte del porto ambientato nel porto industriale di Napoli nel 1978, quindi si parla di camorra. A inizio ottobre comincerò a girare la commedia Croce e delizia di Godano che racconta l’ incontro tra due famiglie opposte per ceto e cultura. Da metà 2019 curerò un’ altra regia teatrale con un testo magnifico di Maurizio de Giovanni, Il silenzio grande, storia di una famiglia aristocratica di Posillipo che deve abbandonare la propria casa». Praticamente Napoli l’ ha adottata. «In effetti ormai ci passo più tempo che a Roma. Girare I bastardi me l’ ha fatta conoscere da dentro, mi ci sono immerso. La nostra serie trasuda di Napoli, la città è uno dei personaggi». E la sua Roma, come la vede? «Sono convinto che la Raggi sia una persona onesta, ma l’ amministrazione non sta funzionando. Non ho mai visto la città ridotta così. Del resto, il Paese non va molto meglio…». Cosa pensa di questo governo? «Sono molto preoccupato. Questi signori hanno lavorato sul ventre dell’ Italia che è prolassato. Ma la situazione attuale è la conseguenza di ciò che non è stato fatto prima. Ora non c’ è più opposizione ed è molto preoccupante». Lei è impegnato socialmente… «Ora sto cercando di rimettere in piedi il teatro popolare che fondò mio padre negli anni ’50. Vorrei realizzare un tendone in periferia: lezioni gratis per i bambini la mattina e la sera spettacoli a prezzi bassi. In questo ho trovato ascolto nel Comune di Roma».

Foa presidente Rai, e ora Lega e M5s si spartiscono i tg

Il Manifesto

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Foa ce l’ ha fatta per un pelo: 27 voti a favore, 3 contrari (i 2 di Leu più un misterioso franco tiratore), 1 scheda bianca e 1 nulla. Il Pd aveva deciso di non partecipare al voto: una mossa improvvida, anche perché, in questo modo, non c’ era nessuno in ufficio di presidenza a controllare eventuali errori o irregolarità nel voto. FORZA ITALIA INVECE ONORA l’ ac cordo di Arcore e non solo concede il semaforo verde ma rovescia il verdetto dello scorso primo agosto e vota a favore. Non è una sorpresa. L’ audizio ne del candidato Foa, ieri all’ ora di pranzo, era fatta apposta per concedere al partito azzurro un alibi e permettere ai berlusconiani di cambiare voto accampando almeno una esilissima scusa. NELL’ AUDIZIONE, FOA esordisce ironizzando, «sono pronto a deporre», poi se la cava bene nei toni: misurati, quasi umili, ma glissa sugli appunti più acuminati che non mancano. Il fianco più esposto è quello delle fake news: qui i capi d’ accusa sono davvero troppi per far finta di niente. Decine di notizie surreali e allarmiste rilanciati come se niente fosse, inclusi i riti voodoo e cannibaleschi nella tragedia di Macerata. È che «i social inducono scelte impulsive». Comunque tra ritwittare e scrivere di proprio pugno «c’ è una differenza molto netta. Ritwittare non significa condividere». La teoria è bislacca mai commissari non sono convenuti per discutere di comunicazione. Dove non può scivolare, il neo -presidente semplicemente non risponde, come quando De Petris (LeU), gli rinfaccia l’ entusiasta prefazione a un libro nel quale si rivela come il mondo sia dominato da una setta di discendenti di Carlo Magno, tra i quali Barack Oba ma, George Washington e Winston Churchill. Foa finge di non sentire. Un capitolo particolarmente spinoso sono gli attacchi contro il capo dello stato. Equivoci: «Mai stata mia intenzione offendere o mancare di rispetto al presidente Mattarella». È capitato… Attento a calibrare le parole, Marcello Foa incorre in una sola gaffe. Quando, per sostanziare l’ impegno a garantire «un’ informazione libera e plurale» aggiunge che questo è del resto il «mandato del governo». Ma le forme hanno la loro importanza e il governo non ha facoltà di dare al presidente della Rai alcun mandato. Il Pd si butta a pesce sul capitombolo, protesta e chiede chiarimenti, Ma tant’ è: a Fi basta e avanza. Mulè si sente «rassicurato» e sulla scorta di tanta rassicurazione informa che il partito azzurro è «orientato al sì». PER LA VERITÀ IL PRESIDENTE an cora in pectore neppure finge che la riunione abbia significato più che formale. La lista dei suoi obiettivi è una fiera delle ovvietà: «Far crescere la Rai, sviluppare un’ informazione corretta, premiare professionalità e meritocrazia, promuovere e ampliare la straordinaria missione culturale della Rai». Tutto, sia chiaro, senza invadere il campo dell’ ad Salini e «attenendosi scrupolosamente» ai limiti del mandato del presidente. Unico guizzo, l’ obiettivo di riavvicinare al servizio pubblico i giovani in continuo esodo, ma senza specificare neppure alla lontana come immagini di centrare l’ ambiziosa meta. Terminata la messa in scena, con esplicito tripudio M5s, le altre caselle dei vertici di viale Mazzini saranno riempite con celerità. Quella del Tgr verrà coperta dall’ ad con un interim ma passerà poi al Carroccio, che non è riuscito a strappare la direzione del Tg1, alla quale siederà quasi certamente Alberto Matano, mentre la direzione di rete sembra già quasi assegnata a Marcello Ciannamea, quota Carroccio. Parti invertite sulla seconda rete, con il Tg a un leghista, forse Genny Sangiuliano, e la rete a una 5S, con Maria Pia Ammirati. Conclusione prevista già lunedì. Seguirà brindisi alla fine della lottizzazione. a. co.

«La mia sarà una Rai poco politica» le nomine sono tutte da decidere

Il Mattino
Mario Ajello.
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Esausto ma contento», così si definisce Marcello Foa. Ora, dopo il lungo tira e molla, è presidente della Rai. Eletto con 27 voti su 40. Con il Pd che grida allo scandalo e una strana alleanza M5S-Lega-Forza Italia che ha determinato questa elezione. Oggi Foa guiderà da presidente il Cda di Viale Mazzini, previsto per le 14. Che sarà non quello delle nomine dei direttori di tiggì e reti, a parte la decisione dell’ interim di pochi giorni per la guida della TgR. Per il resto, i bocconi grossi del potere televisivo giallo-verde verranno spartiti tra mercoledì prossimo e i giorni immediatamente successivi. Presidente Foa, ci saranno sorprese, oppure lo schema è: Tg1 a Matano o a Di Mare (cioè ai 5 Stelle), il 2 a Sangiuliano (Lega) e il 3 a Mazzà (uscente)? «Guardi, di nomi non si è ancora parlato. O almeno, io non ne ho avuto notizia. La situazione mi sembra più fluida di quello che dicono i giornali». La lista della spartizione Salvini-Di Maio balla anche per le reti di cui si dice: Ciannamea a Rai1, Ammirati a Rai2 e Coletta a Rai3? «E’ un argomento di cui non mi sono occupato proprio. Me ne occuperò perché rientra nei compiti del consiglio, ma so bene che è l’ amministratore delegato, Fabrizio Salini, che per legge deve proporre i nomi per le varie caselle. Io posso solo assicurare che la meritocrazia è la mia bussola e non guardo alle casacche politiche». Temeva di non superare la «deposizione», come l’ ha chiamata lei, in commissione di Vigilanza? Poi si è corretto… «Ho superato l’ audizione ma immaginavo che le mie buone ragioni e il racconto di chi sono e di che cosa ho fatto nella mia vita professionale, sempre improntata al pluralismo, all’ indipendenza dalla politica e alla buona informazione dai tempi del Giornale di Montanelli a quelli del gruppo Corriere del Ticino dove ho portato Ferruccio De Bortoli come collaboratore prestigioso, avrebbero trovato un positivo ascolto nella commissione parlamentare». Con l’ amministratore delegato Salini che rapporto avete: affiatati o no? «Sono molto felice di collaborare con lui. Non lo conoscevo prima, ma in questi mesi l’ ho potuto apprezzare come persona seria, equilibrata e competente. E come me non ha un background politico, questo ci unisce molto. La nostra sarà una Rai poco politica e molto professionale e di prodotto». Ma in Vigilanza tanti hanno insistito sul contrario: nomina politica e tanti retweet di messaggi politicissimi. « Ho detto che una cosa è ritwittare messaggi di altri, che non significa aderirvi, e un’ altra è scrivere e parlare in prima persona. E ho anche detto che in nessun modo volevo offendere il presidente della Repubblica, ritwittando un messaggio che parlava di lui». Quale sarà la sua vera sfida dalla plancia di comando di Viale Mazzini? «Sarà quella sul web». La Rai da questo punto di vista è all’ anno zero? «Il web è fondamentale e la Rai sta indietro su questo terreno. La missione più importante in assoluto che mi pongo è quella di far recuperare questo gap all’ azienda. Negli Stati Uniti, se cerchi una notizia sui motori di ricerca è la Cnn o un’ altra grande emittente la prima in cui incappi. In altri Paesi, penso alla Francia ma non solo, è la televisione pubblica quella che, se clicchi in rete alla ricerca di qualcosa, ti fornisce l’ informazione che cresci. Qui in Italia, con la Rai, non è così. Questo deve cambiare. Salini e io, in proposito, abbiamo la stessa sensibilità e ci impegneremo in questa grande sfida».

«È sempre più Napoli la vera star dei Bastardi in tv»

Il Mattino
Luciano Giannini
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Gianfelice Imparato: «Cammino per strada, due vecchiette mi sbirciano e una dice all’ altra: Ê visto? È chillo d’ e’ Bassotte e Monfaccone». Sì, anche questa è Napoli, anche se è appena sfiorata dai «Bastardi di Pizzofalcone», titolo esatto della fiction di Raiuno storpiato dalle due signore di Imparato. È lui il vicecommissario Pisanelli delle storie di Maurizio de Giovanni, dipanate nei suoi romanzi, e poi in tv. Dopo il successo della prima stagione, con quasi sette milioni di spettatori e il 26.18 per cento di share, ecco la seconda, presentata ieri in anteprima al Prix Italia della Rai, che fino a sabato, là dove nacque, in una ventosa Capri strapazzata dai primi sintomi d’ autunno, celebra 70 anni di vita. In una sala del centro congressi comunale, Alessandro Gassmann, Carolina Crescentini, Gennaro Silvestro, Tosca D’ Aquino, Antonio Folletto e via via gli altri; il cast quasi al completo (manca Massimiliano Gallo), con il regista Alessandro D’ Alatri, l’ autore delle musiche Marco Zurzolo, i produttori e la direttrice di Rai Fiction Eleonora Andreatta testimoniano tutti il valore attribuito alla serie. I crismi sono di una fiction italiana medio-alta, dal costo di circa un milione e mezzo di euro per ciascuno dei sei episodi. Le emozioni sono garantite. La messa in onda è prevista su Raiuno a partire da lunedì 8 ottobre, alle 21.25; ma la puntata d’ esordio sarà su Rai Play già dal primo del mese, per una settimana. Alle riprese hanno dato il loro apporto fondamentale la Regione Campania, la sua Film Commission e il centro di produzione Rai di Napoli. I centri vitali di questa stagione, ancora più della prima, sono due: i Bastardi e Napoli. Gassmann: «Ho imparato a scoprirla, e oggi lei mi ha adottato. Un po’ come accade al mio personaggio, l’ ispettore Lojacono. A novembre, per esempio, tornerò al Bellini per firmare la regia di una versione di «Fronte del porto» ambientata a Napoli e in napoletano». E D’ Alatri: «Ci ho vissuto un anno. Ho girato dappertutto, ho incontrato centinaia di attori per scegliere quelli da usare come personaggi di puntata e… è vero, è la capitale del teatro. Io l’ amo perché conserva un’ autenticità altrove svanita. Avevo voglia che emergesse, la città; che dal racconto trasudasse il suo respiro, oltre i luoghi comuni». Sì, ha ragione D’ Alatri, regista eccellente. Vedendo il primo episodio, la città vien fuori; da Pizzofalcone al Palazzo dello Spagnolo nella Sanità, dove Gassman si arrampica per inseguire una mezza tacca di malvivente; dai Quartieri a via Caracciolo, dal porto a Posillipo; terrazzi mozzafiato, scorci di vicolo… ma è comunque una Napoli edulcorata dal mezzo tv e dai fini del progetto: «Un dramma poliziesco con insert comedy e sentimentali», precisa l’ Andreatta. E ora loro, i Bastardi, scarti di poliziotto, cuori «fratturati e sanguinanti», li definisce de Giovanni; prima relegati nella riserva indiana di un commissariato in disarmo; poi riabilitati per i successi sul campo; creature che tradiscono le ferite in una inguaribile malinconia dell’ essere. È questo il segreto del loro successo. Crescentini: «Quelle anime sgretolate creano empatia». «Nella nuova stagione», chiarisce Gassmann, «Lojacono vivrà la sua segreta storia d’ amore con il giudice Piras; ma lo farà tra dubbi e incomprensioni». Nel primo episodio, «Cuccioli», l’ assistente Romano, separato perché picchiava la moglie, trova una neonata tra i rifiuti. Da lei si snoda la storia di un omicidio, fino allo svelamento; per Romano, però, quella bimba è lo specchio in cui leggere i propri tormenti. De Giovanni, ma non la criticano per il modo di tratteggiare la sua terra? E lui: «Ogni ora, ma io non mi occupo di crimini che non siano passionali. Vedete, Napoli è una cipolla. Ognuno può leggerne e interpretarne una sfoglia. E tutte le visioni sono legittime, la mia, quelle di Saviano, della Ferrante, di Erri De Luca…». E, infatti, non demorde lo scrittore. A novembre, per Einaudi, uscirà Vuoto, un altro capitolo dei Bastardi: «Racconterà una scomparsa e il vuoto che la mancanza genera. Napoli è luogo di molte solitudini». Dalla letteratura al teatro: l’ estate prossima debutterà a Spoleto una sua nuova pièce, «Il silenzio grande», prodotta dal Diana, diretta da Alessandro Gassmann, con Massimiliano Gallo, Stefania Rocca e Monica Nappo: «È la cosa più bella che abbia scritto; la storia di una famiglia, i genitori, due figli e una domestica, in cui i silenzi crescono e diventano ingombranti. Troppo». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

«Sarà una Rai poco politica Nomine tutte da decidere»

Il Messaggero

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Esausto ma contento», così si definisce Marcello Foa. Ora, dopo il lungo tira e molla, è presidente della Rai. Eletto con 27 voti su 40. Con il Pd che grida allo scandalo e una strana alleanza M5S-Lega-Forza Italia che ha determinato questa elezione. Oggi Foa guiderà da presidente il Cda di Viale Mazzini, previsto per le 14. Che sarà non quello delle nomine dei direttori di tiggì e reti, a parte la decisione dell’ interim di pochi giorni per la guida della TgR. Per il resto, i bocconi grossi del potere televisivo giallo-verde verranno spartiti tra mercoledì prossimo e i giorni immediatamente successivi. Presidente Foa, ci saranno sorprese, oppure lo schema è: Tg1 a Matano o a Di Mare (cioè ai 5 Stelle), il 2 a Sangiuliano (Lega) e il 3 a Mazzà (uscente)? «Guardi, di nomi non si è ancora parlato. O almeno, io non ne ho avuto notizia. La situazione mi sembra più fluida di quello che dicono i giornali». La lista della spartizione Salvini-Di Maio balla anche per le reti di cui si dice: Ciannamea a Rai1, Ammirati a Rai2 e Coletta a Rai3? «E’ un argomento di cui non mi sono occupato proprio. Me ne occuperò perché rientra nei compiti del consiglio, ma so bene che è l’ amministratore delegato, Fabrizio Salini, che per legge deve proporre i nomi per le varie caselle. Io posso solo assicurare che la meritocrazia è la mia bussola e non guardo alle casacche politiche». Temeva di non superare la «deposizione», come l’ ha chiamata lei, in commissione di Vigilanza? Poi si è corretto… «Ho superato l’ audizione ma immaginavo che le mie buone ragioni e il racconto di chi sono e di che cosa ho fatto nella mia vita professionale, sempre improntata al pluralismo, all’ indipendenza dalla politica e alla buona informazione dai tempi del Giornale di Montanelli a quelli del gruppo Corriere del Ticino dove ho portato Ferruccio De Bortoli come collaboratore prestigioso, avrebbero trovato un positivo ascolto nella commissione parlamentare». Con l’ amministratore delegato Salini che rapporto avete: affiatati o no? «Sono molto felice di collaborare con lui. Non lo conoscevo prima, ma in questi mesi l’ ho potuto apprezzare come persona seria, equilibrata e competente. E come me non ha un background politico, questo ci unisce molto. La nostra sarà una Rai poco politica e molto professionale e di prodotto». Ma in Vigilanza tanti hanno insistito sul contrario: nomina politica e tanti retweet di messaggi politicissimi. « Ho detto che una cosa è ritwittare messaggi di altri, che non significa aderirvi, e un’ altra è scrivere e parlare in prima persona. E ho anche detto che in nessun modo volevo offendere il presidente della Repubblica, ritwittando un messaggio che parlava di lui». Quale sarà la sua vera sfida dalla plancia di comando di Viale Mazzini? «Sarà quella sul web». La Rai da questo punto di vista è all’ anno zero? «Il web è fondamentale e la Rai sta indietro su questo terreno. La missione più importante in assoluto che mi pongo è quella di far recuperare questo gap all’ azienda. Negli Stati Uniti, se cerchi una notizia sui motori di ricerca è la Cnn o un’ altra grande emittente la prima in cui incappi. In altri Paesi, penso alla Francia ma non solo, è la televisione pubblica quella che, se clicchi in rete alla ricerca di qualcosa, ti fornisce l’ informazione che cresci. Qui in Italia, con la Rai, non è così. Questo deve cambiare. Salini e io, in proposito, abbiamo la stessa sensibilità e ci impegneremo in questa grande sfida». Mario Ajello © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Murdoch esce da Sky e vende il 39% a Comcast

Il Sole 24 Ore

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Dopo aver perso la corsa a favore di Comcast per prendere il controllo totalitario di Sky, Rupert Murdoch ha deciso di vendere anche la quota del 39% detenuta da 21 Century Fox nell’ operatore satellitare per 11,9 miliardi di sterline. L’ acquirente della quota è la medesima Comcast che ha già messo sul tavolo un’ offerta da 30 miliardi di sterline per vincere la corsa per Sky. La decisione di Murdoch è ovviamente appoggiata dalla Disney che a luglio ha raggiunto un accordo per acquistare per 71 miliardi di dollari le attività nell’ intrattenimento di Fox, inclusa la quota in Sky. La vendita permetterà dunque alla Disney di intascare oltre 11 miliardi di sterline che verranno utilizzati per ridurre l’ esposizione debitoria aumentata significativamente proprio per portare a termine l’ acquisizione degli asset Fox. Una mossa attesa, tanto che la vittoria di Comcast su 21st Century Fox per aggiudicarsi Sky è stata già giudicata positivamente da Moody’ s Investors Service. L’ agenzia di rating nei giorni scorsi ha poi sottolineato che l’ eventuale cessione – oggi avvenuta – della quota in Sky a Comcast, porterebbe ulteriori benefici per i possessori di obbligazioni Disney e permetterebbe di finanziare l’ acquisizione degli asset Fox senza indebolire la posizione creditizia di Disney. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Foa passa in commissione con l’ ok di Fi

Il Sole 24 Ore
Em. Pa.
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Con 27 voti favorevoli, 3 contrari e tutti i membri del Pd fuori dall’ Aula per protesta la commissione bicamerale di Vigilanza Rai ha dato ieri sera il via libera alla nomina di Marcello Foa a presidente della Rai. Con il minimo dei voti necessari (37 su 40), tuttavia, dal momento che oltre ai due di Leu c’ è un altro voto contrario “sfuggito” e ci sono due schede non valide (una nulla e una bianca): forse il segno di qualche malessere in Forza Italia. Il voto di ieri ha comunque sbloccato l’ impasse in atto dal 1 agosto, quando la stessa Vigilanza bocciò la nomina voluta fortemente da Matteo Salvini con il no decisivo dei parlamentari azzurri. Un no rientrato, come è noto, dopo una cena ad Arcore tra il vicepremier e Silvio Berlusconi: nel menù, oltre al caso Rai, anche il nodo del futuro della coalizione di centrodestra con la decisione di candidature comuni alle prossime regionali. E il Pd, contrario fin dall’ inizio alla nomina di Foa in quanto “sovranista”, ha buon gioco a lanciare l’ hashtag #M5Silvio per denunciare quello che considera un inciucio tra i pentastellati e Berlusconi sulla tv pubblica, un atto che fa di Fi «un alleato ufficiale» del governo giallo-verde. Da parte sua Foa, audito in Vigilanza prima della votazione, ha voluto tranquillizzare il suo uditorio dicendosi convinto sostenitore del pluralismo e dell’ indipendenza della tv pubblica e assicurando il massimo rispetto nei confronti del Capo dello Stato (era stato accusato di aver attaccato Sergio Mattarella). Il Pd non abbandona in ogni caso la strada delle carte bollate, ritenendo illegittima la seconda votazione. Ma deve essere un membro del cda a firmare il ricorso (in prima battuta al solo Tar): occhi puntati sulla consigliera indicata dal Pd Rita Borioni. Mentre il renziano Michele Anzaldi accusa: una parte del Pd non vuole il ricorso. Intanto oggi il cda Rai si riunirà per prendere atto del sì a Foa.

Per l’ accesso al bonus pubblicità domanda senza documenti allegati

Il Sole 24 Ore
Giorgio Gavelli
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Nessun documento va allegato alla comunicazione telematica per l’ accesso al credito d’ imposta sugli investimenti pubblicitari di cui all’ articolo 57-bis del Dl 50/2017, così come non contiene allegati neppure la dichiarazione sostitutiva sugli investimenti effettuati per il 2017. Continuano le risposte del Dipartimento per l’ informazione e per l’ editoria della presidenza del Consiglio dei ministri ai quesiti ricorrenti proposti dalle imprese. È infatti stato chiesto se le fatture asseverate attestanti le spese sostenute vadano presentate unitamente alla comunicazione telematica. Come si poteva intuire dalle istruzioni ai modelli, non sono previsti allegati. I richiedenti sono tenuti a conservare, per i controlli successivi, e ad esibire su richiesta dell’ amministrazione tutta la documentazione a sostegno della domanda, tra cui le fatture (ed eventualmente copia dei contratti pubblicitari) e l’ attestazione sull’ effettuazione delle spese sostenute. Nel caso in cui la comunicazione telematica sia trasmessa da un intermediario, quest’ ultimo è tenuto a conservare copia della comunicazione e delle dichiarazioni sostitutive previste, compilate e sottoscritte dal richiedente (soggetto beneficiario) e copia di un documento di identità dello stesso richiedente. Se la fattura è emessa non dall’ impresa editoriale ma da un concessionario, va specificato separatamente l’ importo della pura pubblicità (che costituisce spesa eleggibile) e dovrà essere indicata la testata giornalistica o l’ emittente radio-televisiva sulla quale è effettuata la campagna pubblicitaria. I costi vanno assunti al netto delle spese accessorie e dei costi di intermediazione. Le comunicazioni telematiche potevano essere inviate a partire dal 22 settembre (ed entro il prossimo 22 ottobre). L’ ordine cronologico di presentazione non è rilevante; in caso di insufficienza delle risorse disponibili, infatti, è prevista la ripartizione percentuale tra tutti i soggetti che hanno presentato nei termini la comunicazione telematica contenente spese ammissibili al beneficio. Circa le modalità di realizzazione degli investimenti agevolabili, le risposte alle Faq escludono cartellonistica, volantini, affissioni, pubblicità su vetture o tramite social, piattaforme on line, banner su portali, ecc. Ricordiamo, infine, alcuni aspetti rilevanti non trattati dalle Faq. Dal punto di vista contabile il credito d’ imposta si qualifica come un contributo in conto esercizio (voce A.5 del conto economico con separata indicazione) se (come quasi sempre sarà) il costo è spesato a conto economico, a partire dal momento in cui l’ attribuzione del bonus è certa. In caso di costi di start up qualificabili come “costi d’ impianto e di ampliamento” (Oic 24, paragrafi 25 e 41-43), la ripartizione del beneficio avviene in correlazione all’ ammortamento della spesa. Fiscalmente, non avendo il legislatore esplicitato la non imponibilità, il bonus è soggetto ad imposte sui redditi e Irap, nel periodo di corretta rilevazione contabile. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Chessidice in viale dell’ Editoria

Italia Oggi

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Wpp fonde Young & Rubicam e Vml. E’ ufficiale, il primo gruppo pubblicitario al mondo guidato dal neo a.d. Mark Read ha deciso di fondere la sua agenzia creativa con quella digitale del suo network, creando Vmly&R. La nuova sigla avrà un fatturato complessivo di oltre un miliardo di dollari (850 milioni di euro) e sarà diretta dall’ a.d. Jon Cook, finora amministratore delegato di Vml. David Sable, attuale global ceo di Y&R, sarà il presidente non esecutivo. Sabato in edicola il nuovo Io Donna by Danda Santini. Il settimanale femminile del Corriere della Sera non solo aumenta il formato, sceglie una carta più sofisticata per offrire una maggiore resa alle immagini e cambia anche carattere tipografico ma soprattutto torna a essere un vero e proprio femminile, con la moda in primo piano (come anticipato da ItaliaOggi del 13/09/2018). Nel complesso «una comunicazione distintiva», secondo Raimondo Zanaboni, direttore generale di Rcs Pubblicità, «che i brand di alta gamma hanno subito fatto propria, generando il +120% di ricavi sul numero in edicola il 29 settembre». Cbs ha un nuovo presidente: Richard Parsons. L’ ex amministratore delegato di Time Warner e Citigroup è approdato in Cbs da qualche settimana con un incarico ad interim che comprende anche il ruolo di a.d. Succede infatti a Leslie Moonvers, dimessosi dopo le accuse di comportamento sessuale improprio (era presidente e a.d.). Tra le priorità di Parsons c’ è in particolare la ricerca del nuovo amministratore delegato del network tv, che fa capo alla famiglia Redstone. Laradiorende! riparte a fine anno. La campagna pubblicitaria lanciata dalle concessionarie Fcp-Assoradio (Fcp-Federazione concessionarie pubblicità) è pronta per una seconda pianificazione dopo quella partita da metà agosto scorso fino alla metà di settembre. La creatività e la produzione sono di Trip Multimedia Group, Square e altre sigle del gruppo xG Publishing.

Panorama, parte l’ iter di cessione

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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«Se ci sono dentro le notizie, può funzionare anche un settimanale», altro che mali endemici dei periodici o tantomeno dell’ intera carta stampata: «Panorama sarà un settimanale d’ informazione, darà notizie, racconterà fatti così come fa la Verità. Due anni fa, nessuno avrebbe scommesso sulla riuscita di un nuovo quotidiano», rilancia con ItaliaOggi Maurizio Belpietro, direttore della stessa Verità e socio dell’ omonima casa editrice che ha avanzato un’ offerta irrevocabile per il newsmagazine Mondadori. Richiesta che proprio ieri, secondo quanto risulta a ItaliaOggi, è stata ammessa dal gruppo di Segrate, guidato dall’ a.d. Ernesto Mauri e presieduto da Marina Berlusconi. A breve, nel giro di 2-3 giorni, partirà la procedura formale di vendita. Per la finalizzazione dell’ operazione ci vorranno poi più di 20 giorni, sempre che si concretizzino tutte le condizioni vincolanti poste dalla Verità srl per l’ acquisto. Focus particolare sarà sul costo del personale in una redazione di quasi 30 tra giornalisti e grafici. Come confronto, quando Mondadori era in trattativa con la famiglia Angelucci, editori di Libero e Tempo, sarebbero stati invece solo 12 i redattori a trasmigrare (a fronte di una dote da oltre 4 milioni di euro). Al momento, comunque, si profila per Panorama un futuro da allegato della Verità (un po’ come l’ Espresso per Repubblica). La direzione potrebbe andare allo stesso Belpietro, anche se sono circolati altri nomi come quello di Mario Giordano (altra firma di punta della Verità). In arrivo al nuovo polo giornalistico è dato anche Gian Marco Chiocci, che si è dimesso giusto ieri dalla direzione del Tempo. I numeri della Verità. «Diciamo che si è sbagliato chi non ha creduto nella bontà editoriale del giornale», sottolinea Belpietro. «Ma c’ è stato anche chi non ci ha creduto per altri motivi… All’ epoca il governo aveva un altro colore… Sta di fatto che ad agosto abbiamo avuto picchi di vendita sulle 30 mila copie e a settembre rimaniamo in crescita, in linea col mese precedente». A luglio, considerando la variabile ferie estive, il quotidiano di stanza a Milano ha diffuso sulle 23 mila copie complessive carta+digitale, secondo i dati Ads (mentre Panorama è sulle 147 mila copie totali carta+digitale, sempre a luglio). A livello di conto economico, «chiuderemo il 2018 in utile», prosegue il direttore, «dopo un primo anno in fase di start-up, nel 2016, e un 2017 già con un piccolo utile». Ieri sera infatti, la Verità ha festeggiato i suoi primi due anni di vita, regalandosi anche 500 mila utenti unici grazie al sito www.laverita.info (interamente a pagamento), una crescita del 60% delle copie digitali e il pareggio della società del gruppo che si occupa delle iniziative online. La raccolta curata dalla concessionaria Opq (gruppo Eco di Bergamo) porta infine in dote un +20% nei primi 9 mesi dell’ anno, oltre quota 800 mila euro. Salvini, Pansa e Feltri… Ieri sera è arrivato pure Matteo Salvini alla festa per il compleanno della Verità, organizzata a Roma in una terrazza vista cupola di San Pietro. Ma perché a Roma e non a Milano? «La capitale è la città in cui vendiamo di più», risponde Belpietro, «di più, seppur di poco, rispetto a Milano dove abbiamo festeggiato il 1° compleanno. Dopo Milano, seguono le altre regioni come Emilia, Veneto…» Insomma non solo Nord Italia, anche se la presenza di Salvini alla festa sembra confermare la deriva leghista del giornale, come denunciato da Giampaolo Pansa: «ho pubblicato tutti gli editoriali firmati da Pansa contro Salvini», controribatte il direttore. «Ugualmente ho pubblicato editoriali in ogni altra direzione. Se Salvini farà qualcosa che non ci piace, lo diremo anche noi». Ma per non sembrare sempre antipatico, Belpietro aggiunge che «pubblicheremo anche quello che ci piace. Di chiunque». Del resto, la Verità piace perché «prende posizione», sempre secondo il direttore che ha guidato anche il mondadoriano Panorama. «Abbiamo delle idee, ci occupiamo di quello che ci incuriosisce e di quello che molti lettori segnalano. Dopodiché ci poniamo domande senza troppe remore e, come in un paese normale, esigiamo delle risposte». Per esempio? «Per esempio sul caso Autostrade, su cui inizialmente i giornali hanno ragionato come fosse un’ entità astratta. Oppure m’ interrogo come un cittadino normale se uno dice di non essersi arricchito con la carriera politica e dopo si compra una villa milionaria» (vedi Matteo Renzi). Al momento non sembra mancare nulla al direttore, neanche la tv: «e perché mai? La faccio tutti i giorni, m’ invitano ovunque». © Riproduzione riservata.

Telesia, semestrale in forte crescita I ricavi su del 12% a 3,26 mln di euro

Italia Oggi

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Una semestrale in forte crescita quella di Telesia, società (quotata sul mercato AIM Italia) protagonista del mercato della Go Tv controllata da Class Editori (casa editrice di MF/Milano Finanza). I ricavi sono aumentati del 12%, a 3,264 milioni di euro e l’ incremento segue un’ analoga crescita percentuale registrata al 30 giugno 2017 rispetto alla semestrale 2016, riconducibile al buon andamento dei ricavi provenienti dalla vendita di spazi pubblicitari sui diversi canali Go Tv che, pur a fronte di un mercato della pubblicità tv sostanzialmente flat, registrano una crescita dell’ 8,2%. L’ Ebitda è cresciuto del 23,5%, a 0,947 milioni di euro, con un’ incidenza sul fatturato pari al 29% (nel 2017 era pari al 26%). Anche l’ Ebit è in crescita, del +35%, a 0,737 milioni di euro. Il risultato netto è stato pari a 0,529 milioni di euro. La posizione finanziaria netta al 30 giugno 2018, debitoria per 0,140 milioni di euro, è in miglioramento rispetto a 0,296 milioni di euro al 31 dicembre 2017. Il patrimonio netto è salito a 7,633 milioni di euro (era 7,097 milioni di euro l’ anno precedente). dei principali progetti in corso. Numerosi i progetti in corso d’ opera, dal Digital Advertising (per il programmatic buying) al progetto WeCounter (WeC), una Wi-Fi active tracking solution che permette di rilevare il numero di apparati wi-fi attivi in un determinato luogo e in un determinato momento. Sta per essere lanciato il Progetto audience Minuto Medio, che ha l’ obbiettivo di mettere a disposizione degli investitori pubblicitari della Go Tv di Telesia il calcolo le audience degli spot pubblicitari secondo le riconosciute metriche televisive. Il nuovo servizio sarà lanciato il prossimo 1° ottobre 2018, nell’ ambuito del nuovo software per la gestione palinsesti, destinato a introdurre una gestione dinamica degli spazi pubblicitari trasmessi dai canali GoTv Telesia con l’ adozione di nuovi moduli pubblicitari studiati per raggiungere target differenziati. Secondo un comunicato della società presieduta da Paolo Panerai e con Gianalberto Zapponini come amministratore delegato, Telesia sta registrando positivi sviluppi dei ricavi della Go Tv anche successivamente al primo semestre: alla data del 28 agosto 2018 si registra infatti un trend positivo (+5%) degli ordini pubblicitari di competenza dell’ intero esercizio in corso rispetto alla stessa data del 2017. Per la Linea Digital, il mercato di riferimento è prevalentemente costituito da enti ed imprese interessate a dotare i propri ambienti (pubblici e privati) di sistemi e reti di monitor per diffondere informazioni di servizio e promozionali ai propri frequentatori/clienti, anche in relazione al piano statale di finanziamenti finalizzato al ringiovanimento dell’ obsoleto parco autobus del Tpl (Trasporto pubblico locale). Per questo motivo, in affiancamento alle attività commerciali ed istituzionali l’ azienda ha avviato un approfondimento per individuare i principali player di settore al fine di avviare uno sviluppo tecnologico per adeguare le tecnologie Telesia alle principali soluzioni Its presenti sul mercato e parallelamente avviare apposite relazioni commerciali.

Murdoch vende il 39% di Sky

Italia Oggi

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Disney ha appoggiato la decisione della 21st Century Fox di Rupert Murdoch di vendere la sua quota del 39% in Sky a Comcast che ha vinto l’ asta sul gruppo satellitare sabato scorso. Il magnate uscirà così dal gruppo europeo ottenendo 17,28 sterline per azione che porta la quota Sky di Fox a un valore superiore ai 13 miliardi di euro. La transazione, abbinata alla cessione delle reti sportive Fox Sports, ridurrà significativamente l’ ammontare del debito che Disney si troverà ad affrontare nell’ acquisizione della 21st Century Fox. In una nota Disney ha spiegato che avere un bilancio solido servirà per espandere gli investimenti nelle piattaforme che arrivano direttamente ai consumatori a marchio Disney entro la fine del 2019 e nel nuovo servizio di streaming sportivo Espn+, oltre a consentire di aumentare gli investimenti nell’ offerta di contenuti di Hulu e nella distribuzione internazionale. La storia di Murdoch con Sky risale agli anni 80 quando rilevò la maggioranza da un precedente servizio via satellite, ma è nel 1990 che ci fu la fusione con British Satellite Broadcasting per via della reciproca crisi. Successivamente il magnate cercò di acquisire il 100% della società senza però avere successo.

Rai, l’ ok della Vigilanza a Foa

Italia Oggi
MARCO LIVI
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Alla fine ieri è arrivato il via libera della Commissione di Vigilanza alla nomina di Marcello Foa a presidente della Rai. Il parere favorevole è arrivato con 27 voti, quelli di Lega, M5S e di Forza Italia, tre voti contrari, una nulla e una bianca. Adesso la palla ritorna al consiglio di amministrazione che dovrà fare la nomina vera e propria nella prossima riunione che potrebbe essere già oggi. Il voto di Forza Italia ha sbloccato una situazione che andava avanti da prima dell’ estate con i partiti di governo che erano decisi a far nominare il giornalista nonostante il blocco che si era avuto nella stessa Vigilanza. Durante l’ audizione nella commissione di Vigilanza iniziata alle 13 e durata un’ ora e mezza per poi essere ripresa alle 19 per la votazione, Foa ha rassicurato tutti: «mai voluto offendere il presidente Mattarella», «mai voluto mancare di rispetto al Parlamento», «mai nessuna intromissione sulla linea politica» dei direttori da a.d. del gruppo Corriere del Ticino, un impegno «intenso, motivato, irriducibile» contro le fake news e un mandato avuto «dal governo, dal Mef», che «non è politico ma professionale». Foa si è detto sicuro di poter svolgere, da presidente della Rai, un ruolo di garanzia e ha assicurato di aver ricevuto dal governo un mandato professionale e non politico che sarà orientato a permettere alla tv di Stato di realizzare un’ informazione rispettosa di tutti, sul fronte politico, culturale e religioso. Sotto i riflettori dei commissari sono finiti molti tweet e retweet di Foa, uno dei quali contro il presidente della Repubblica. «Non è mai stata mia intenzione offendere o mancare di rispetto al presidente Mattarella. Voglio sgombrare il campo da qualunque equivoco: mai è stata mia intenzione mancargli di rispetto e mai lo sarà», ha precisato Foa aggiungendo che «chi mi conosce sa che io raramente attacco, mai immaginerei di attaccare la massima carica dello Stato» per la quale «sento un sentimento di stima per il suo ruolo di servitore dello Stato e per la storia della sua famiglia che ha pagato con il sacrificio estremo della vita di un membro della sua famiglia». Parlando del futuro dell’ azienda pubblica, «la Rai», ha spiegato, «deve promuovere un pluralismo politico, culturale, religioso autentico e nel rispetto di tutti». Alla Rai, ha proseguito, serve una «crescita armoniosa della società, tutelando i principi dell’ inclusione; va recuperato il tempo perso sul fronte dell’ offerta web, sogno una Rai apprezzata dal grande pubblico sopra i 50 anni, ma anche dai più giovani attraverso i canali che sono propri dei cosiddetti cittadini digitali, sogno una Rai di cui i cittadini siano fieri». Inoltre, «per difendere il pluralismo, pilastro della nostra democrazia, siamo consapevoli che la Rai dovrà affrontare un percorso difficile», ha continuato Foa aggiungendo che «la concorrenza non viene più soltanto dalle emittenti private, ma anche e soprattutto da colossi come Netflix, Amazon, Apple, che stanno diversificando la loro offerta e hanno un fortissimo seguito e richiedono perciò scelte intelligenti, originali e tutt’ altro che facili». Queste sfide, ha aggiunto, vanno affrontate «se vogliamo che la Rai resti sempre un punto di riferimento culturale e giornalistico, diversificando linguaggi, canali, applicando nuove logiche di diffusione e fruizione». © Riproduzione riservata.

La concessionaria di Viacom Italia chiuderà il 2018 con una raccolta in crescita del 36%

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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La concessionaria pubblicitaria Vimn advertising and brand solutions, controllata dal gruppo Viacom Italia, chiuderà l’ esercizio 2018 (che termina alla fine di settembre) con una raccolta in crescita del 36%, a perimetro non omogeneo poiché, nel corso dell’ esercizio, sono entrati nuovi canali televisivi come Spike, Alpha (di De Agostini, rimasto in Vimn adv da ottobre 2017 a luglio 2018, e poi passato a Sky Media), o DeejayTv (di Gedi), mentre da inizio agosto 2018 è uscito Food Network, passato a Discovery Media. Bene il mercato kids 4-14 anni, dove i canali nel portafoglio di Vimn adv (Nick junior, Nickelodeon, TeenNick, Pop, Super!) raccolgono il +13% di pubblicità; ancora meglio per gli altri canali della concessionaria (i vari brand di Mtv, Comedy central, e poi Paramount channel, Spike, Vh1, CineSony, Radio Italia tv e DeejayTv), che nell’ esercizio 2018 hanno una raccolta a +48%. Insomma, la società guidata dal direttore generale Paolo Romano rappresenta ormai un polo di 14 canali televisivi (di cui otto editi da Viacom), con circa 500 clienti investitori attivi (+30% sul 2017) e si colloca appena sotto il network di Urbano Cairo tra le concessionarie più importanti in Italia. La pubblicità tabellare pesa per l’ 87% del fatturato di Vimn adv, mentre gli eventi e il branded content valgono il 13%. Nell’ esercizio 2017, chiuso a settembre 2017 e di cui è pubblico il bilancio, Vimn adv and brand solutions ha raggiunto un valore della produzione di 51,16 milioni di euro (+68,1% sul 2016), mentre il gruppo Viacom Italia, nel suo complesso, ha incassato 67,9 milioni di euro (+20,6% sul 2016). «Nell’ esercizio 2019 non puntiamo ad allargare il nostro portafoglio di mezzi», spiega Romano, «poiché 14 canali sono già tanti e siamo soddisfatti della copertura dei vari target. Vogliamo concentrarci sulla valorizzazione dei nostri ascolti, perché, guardando alla quantità e alla qualità delle audience, riteniamo di essere ancora in credito rispetto alle logiche del mercato. Vorremmo che alla percentuale di share di ascolti corrispondesse analoga percentuale di quota del mercato pubblicitario della tv, ovvero un power ratio pari a 100. E, troppo spesso, non è così. Ad esempio, sul target adulti abbiamo una share di ascolti del 2,5% e puntiamo almeno a un 1% di quota del mercato pubblicitario televisivo. Un 1% che secondo noi, nettissimo e partendo dai dati Nielsen, vale 29 milioni di euro. Peraltro in settembre siamo, quanto ad ascolti, al +40% sul settembre 2017. E nessun altra concessionaria ha un portafoglio tv con questi numeri». Quanto a un futuro dove i canali tv potrebbero perdere di importanza a favore invece delle app, grazie al parco di smart tv in costante crescita, «la verità assoluta non ce l’ ha nessuno. Di sicuro ci sono due capisaldi: la qualità del prodotto e la forza del brand. E su questi fronti», conclude Romani, «noi di Viacom siamo tranquilli. Per il resto vedo molta incertezza: anche le acquisizioni a cifre pazzesche di colossi dell’ entertainment (il caso Fox-Disney-Comcast-Sky, ndr) sono lì a dimostrare che quello che oggi viene valutato 100 domani viene invece valutato il doppio. Come a dire: non so bene quanto vale e cosa farci, ma intanto lo prendo, poi vedremo. Credo che comunque la tv lineare durerà ancora per tantissimi anni, e che le piattaforme di contenuti in streaming accetteranno sempre di più la pubblicità, così come accaduto in passato con la pay tv».

Murdoch dice addio a Sky vende la sua quota a Comcast

La Repubblica
ENRICO FRANCESCHINI
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londra E alla fine Rupert Murdoch vende tutto. Il tycoon cede alla Comcast anche il 39% del gruppo televisivo Sky che gli rimaneva, controllata attraverso la sua Twenty Century Fox: la parte che è stata sempre sua, dalla quale voleva crescere fino ad avere la proprietà dell’ intero gigante della tv a pagamento in Europa. Invece ora il colosso Usa Comcast, dopo avere vinto l’ asta, sempre contro Twenty Century Fox, per il restante 61% di Sky in una specie di poker ” al buio”, con rilanci a colpi di miliardi, si porta via pure questo pacchetto e avrà il 100%. Insomma, tutto. E allo Squalo, niente. Bisogna dire che a questo punto c’ era da aspettarselo. Non è da Murdoch fare il socio di minoranza in un’ azienda controllata da altri, specie se si tratta di un’ azienda da lui fondata più di trent’ anni fa e che ha cercato a lungo di conquistare interamente. Meglio vendere, allora. Anche perché l’ assalto di Comcast, che già possiede negli Usa la rete televisiva Nbc e gli Universal Studios e nei giorni scorsi ha comprato la maggioranza di Sky per 30 miliardi di sterline, ha fatto salire vertiginosamente le azioni della rete televisiva, portandole al doppio del valore che avevano un anno fa. A vendere è ufficialmente Murdoch, ma il vantaggio finanziario andrà ad altri. Come in un gioco di scatole cinesi, o come in una matrioska, le bamboline russe infilate una dentro l’ altra, quel 39% di Sky era destinato a confluire nella Walt Disney, che a luglio ha acquisito la Twenty Century Fox, che a sua volta aveva incorporato Sky in uno dei numerosi riassetti dell’ impero dello Squalo, come Murdoch è soprannominato da molto tempo per la fama di predatore che ha. O meglio, che aveva, visto che negli ultimi mesi è sembrato più intenzionato a farsi mangiare che a mangiare. È Disney, in ultima analisi, che guadagnerà più di 11 miliardi e mezzo di sterline dalla vendita dell’ ultimo 39% di Sky. Bob Iger, il suo ad, spiega così la decisione: « La vendita riduce sostanzialmente il costo complessivo della nostra acquisizione della Twenty Century Fox e ci consente di continuare a investire per rafforzarci ulteriormente nella produzione di contenuti d’ alta qualità». Come fare buon viso a cattiva sorte, consolandosi della sconfitta nell’ asta? Forse. Perché se davvero la Disney voleva rifarsi dei soldi spesi per prendersi la Twenty Century Fox, chi le ha fatto fare di offrire l’ altro giorno 27 miliardi di sterline per avere la maggioranza di Sky. Non per nulla il suo ultimo cartone animato s’ intitola ” Gli incredibili”. Ma è vero che il conglomerato dell’ intrattenimento sta moltiplicando le iniziative: ha appena lanciato Espn Plus, un canale di sport, e progetta un nuovo servizio in streaming ” per famiglie” con contenuti prodotti dalle sue divisioni Marvel, Pixar e Lucasfilm. Sul versante opposto, Comcast celebra la conquista del 100% di Sky assicurando che potrà operare «un modo indipendente» una volta che l’ operazione sarà completata, mantenendo piena autonomia sotto l’ attuale Ceo Jeremy Darroch. « La nostra filosofia è delegare i poteri, decentralizzare e mantenere uno spirito imprenditoriale » , dice Brian Roberts, il miliardario che ha gestito l’ acquisto di Sky. Senza più la Twenty Century Fox ( ceduta alla Disney) e senza più Sky (ceduta alla Comcast), che cosa farà adesso lo Squalo? Anche se ha 87 anni, pochi credono che intenda ritirarsi e restano ancora un bel po’ di frecce, dalla Fox tivù al Wall Streeet Journal, dal Times al Sun di Londra, al suo arco. Oltre ad ancora più soldi di prima. © RIPRODUZIONE RISERVATA Gli americani, che già possiedono la rete televisiva Nbc e Universal Studios , ampliano il loro potere BLOOMBERG GETTY IMAGES Il tycoon australiano Rupert Murdoch, 87 anni, è il proprietario di Fox Tv, del Wall Street Journal e del Times.

PANORAMA È L’ ORA DELLA VERITÀ

La Repubblica
LUCA PAGNI
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Avevano provato a lungo a convincere la famiglia Angelucci, già editori de Il Tempo e di Libero. Ma pur rimanendo nell’ ambito dell’ editoria che ha sposato come linea politica quella del centrodestra, sarà il gruppo che controlla il quotidiano La Verità a diventare il nuovo proprietario del settimanale Panorama. A vendere è Mondadori, che lo ha lanciato oltre 50 anni fa: il cda del gruppo di Segrate ha dato mandato ai manager di chiudere la trattativa. Lo storico settimanale che ha fatto la storia del giornalismo italiano, quando il motto era “i fatti separati dalle opinioni” e aveva come riferimento periodici come il tedesco Stern e il francese Express, torna di fatto nelle mani di Maurizio Belpietro (editore al 40% de La Verità) che già lo ha diretto nel decennio scorso. Anzi, Belpietro, accettando di prenderlo in carico (con tutta probabilità a costo zero) fa un bel favore alla Mondadori: la casa editrice controllata da Fininvest vuole concentrarsi solo sui libri (soprattutto dopo l’ acquisizione di Rcs) e i periodici contano sempre meno (il 30% del fatturato): non per nulla il prossimo passo potrebbe essere la cessione dei periodici posseduti in Francia.

Un’ offerta miliardaria per conquistare la pay-tv 30,6 mld Le sterline spese da Comcast per …

La Repubblica

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Un’ offerta miliardaria per conquistare la pay-tv 30,6 mld Le sterline spese da Comcast per vincere l’ asta “al buio” sul 61 per cento di Sky. La cifra equivale a 40 miliardi di dollari 39 % Rupert Murdoch, dopo aver perso l’ asta, ha deciso di vendere a Comcast il 39% della partecipazione in Sky. 11,9 mld La cifra per il 39% di Comcast entrerà nelle casse della Disney che a luglio ha acquistato Fox, inclusa Sky 22,5 mln Oggi il gruppo Sky ha nel complesso 22,5 milioni di clienti nei Paesi europei in cui è attivo 31 mila Sono i dipendenti complessivi di Sky, che negli ultimi anni si è lanciato anche nella produzione tv 5 Sky è attiva in cinque paesi: si tratta di Gran Bretagna, Irlanda, Germania, Austria e Italia.

Zappia resta al suo posto: obiettivo 5 milioni di abbonati

La Repubblica
ALDO FONTANAROSA
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roma Un benvenuto agli americani di Comcast nell’ Italia di Salvini, Di Maio e Martina. Nell’ Italia di Berlusconi, un po’ politico e un po’ editore tv. Nell’ Italia di AgCom e Antitrust. Dei Tar e dei Consigli di Stato. Un benvenuto agli americani di Comcast in uno dei Paesi più complessi al mondo. Proprio la complessità della nostra Italia spingerà Comcast a fare una cosa precisa, dalle nostre parti: lasciare, per il momento, le cose come stanno. L’ intero gruppo dirigente di Sky Italia – che entra nelle proprietà di Comcast – sarà confermato nel ruolo, almeno nel breve periodo. A partire dall’ ad, Andrea Zappia. Cambiare sarebbe un azzardo. Questi dirigenti avranno la possibilità, dunque, di lavorare all’ obiettivo segreto che perseguono da mesi. All’ inizio di novembre, quando arriveranno i nuovi dati sugli abbonati, Sky Italia spera di dare l’ annuncio più dolce del superamento di quota 5 milioni di clienti. Sky Italia confida insomma nella slavina. Crede che almeno 300 mila abbonati di Mediaset Premium possano lasciare la morente pay-tv del Biscione per guardare – su Sky – l’ Europa League, la Champions, oltre alle 7 partite della Serie A in esclusiva ad ogni turno. E più idee l’ attuale management di Sky Italia metterà in campo, maggiori saranno le possibilità di conservare la poltrona anche nel medio periodo. Da quando nel 2011 ha comprato la NBCUniversal, la Comcast è diventata uno dei giganti mondiali dello spettacolo tv. Ma Comcast nasce, nel 1963, come operatore di telefonia e si afferma, dal 1996, come venditore di abbonamenti Internet. Proprio per questa sua anima telefonica, Comcast guarda con favore all’ assetto che Sky ha raggiunto sul mercato inglese. Fin dal 2013, la Sky inglese offre in prima persona connessioni alla Rete, dopo aver acquistato le società del settore O2 e BE. Dal 2016, la Sky inglese vende anche abbonamenti alla telefonia mobile. Ed è questa, dunque, la rotta di marcia che anche la Sky italiana dovrà prendere. Un primo deciso passo. Sky Italia lo ha già fatto a marzo, firmando un accordo con Open Fiber ( proprietà dell’ Enel e della Cassa Depositi e Prestiti). Ora, Open Fiber sta costruendo una sua rete ad altissima velocità, che poi noleggerà a operatori delle tlc e dei media. Per il momento, l’ intesa con Sky Italia resta ferma alla casella di partenza, priva di sviluppi e di contenuti. Ma è arrivato il momento di cambiare marcia. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Foa è il nuovo presidente Rai Il sì di Berlusconi a M5S-Lega

La Stampa
ALESSANDRO DI MATTEO
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Per un soffio, ma Marcello Foa ce l’ ha fatta. In commissione di Vigilanza il patto Lega-M5s-Fi-Fdi ha retto e l’ ex firma del Giornale è ora ufficialmente presidente Rai, anche se solo per un voto: Foa avrebbe dovuto ottenere 29 preferenze, due in più delle 27 richieste dalla legge, ma si è fermato esattamente a 27. Impossibile sapere chi si è sfilato, il voto era segreto, ma è noto che parte dei 5 stelle ha digerito male l’ accordo Salvini-Berlusconi. D’ altro canto nella stessa Forza Italia c’ erano malumori. Foa, comunque, è ora presidente, dopo la bocciatura di inizio agosto. «Una grande emozione e un grande onore». Ha funzionato la risoluzione del leghista Paolo Trimani votata in commissione la scorsa settimana per dare “copertura politica” ad un Cda preoccupato per i ricorsi annunciati dal Pd contro la ricandidatura. I democratici, in realtà, contestano anche il risultato, sostenendo che due schede nulle sarebbero state considerate buone, ma il presidente della commissione Alberto Barachini la chiude così: «L’ indicazione di voto era chiara». La giornata era iniziata con l’ audizione di Foa. Il presidente incaricato aveva fatto di tutto per svelenire il clima prima del voto, cominciando da quei tweet contro Sergio Mattarella che gli sono stati più volte rinfacciati: «Non è stata mai e mai sarà mia intenzione offendere e mancare di rispetto al presidente Mattarella ». Foa si è proposto come «garante del pluralismo e dell’ indipendenza», rivendicando di non avere «mai militato in un partito per fare carriera». Il Pd non ha partecipato al voto. Formalmente per protestare contro la riproposizione di Foa, considerata «illegittima». Ma in realtà anche per evitare l’ accusa di avere, nel segreto dell’ urna, fatto arrivare qualche voto a Foa. Per capire il clima nel partito basta sentire Michele Anzaldi: «Il Pd è unito? Non mi pare. Se in Cda voti contro l’ abuso di Foa, come ha fatto la consigliera indicata dal Pd (Rita Borioni, ndr.) e ti riservi di adire le vie legali, poi devi andare fino in fondo. Altrimenti è una presa in giro». La Borioni si limita a dire: «Non ho parlato con Anzaldi. Sul ricorso deciderò in scienza e coscienza. Le cose vanno fatte bene». Festeggiano invece Matteo Salvini – che twitta «buon lavoro presidente» – e Luigi Di Maio: «Anche in Rai tornerà la meritocrazia!». Ma i due non hanno finito il lavoro sulla Rai. Secondo fonti leghiste torneranno a vedersi verso la fine della prossima settimana per mettere a punto le prime nomine, innanzitutto Tg e reti. Allo stato, il Tg1 dovrebbe andare a M5s, ma c’ è un ballottaggio tra Alberto Matano e Franco Di Mare, mentre la Rete 1 toccherebbe a Marcello Ciannamea. Più complicato per il Tg2, dove potrebbe andare Gennaro Sangiuliano in quota Lega, ma anche Giovanni Alibrandi o Luciano Ghelfi. Per la Rete 2 si parla di Maria Pia Ammirati. Il Tg3 resterebbe a Luca Mazzà. Alla Lega toccherebbe la Tgr, con Alessandro Casarin, mentre M5s punta alla radio con Giuseppe Carboni, ma c’ è in lizza anche Paolo Corsini. Altra casella chiave, Rai pubblicità: la Lega potrebbe decidere di tenere Antonio Marano, ma si parla anche di Alessandro Ronco, m anager Ferrero. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Murdoch vende e si arrende Comcast vince la guerra di Sky

La Stampa
FRANCESCO SPINI
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Non bisognerà nemmeno attendere l’ 11 di ottobre. La partita per il controllo di Sky, di fatto, si chiude qua, con la decisione da parte della 21st Century Fox di Rupert Murdoch, di comune accordo con Disney, di vendere a Comcast il 39% della tv satellitare con 23 milioni di clienti sparsi per l’ Europa. Per il gigante di Filadelfia, già proprietario di NbcUniversal e della DreamWorks Animation, si spiana la strada per la conquista del 100% di Sky dopo che sabato scorso ha vinto l’ asta sulla società offrendo 17,28 sterline per azione, valorizzando così il gruppo europeo la bellezza di 33 miliardi di euro. Alla Disney, che aveva speso 71,3 miliardi di dollari per le attività della Fox proprio con l’ idea di passare alla conquista di Sky, toccherà un premio di consolazione da 15 miliardi di dollari. Altrettanti arriveranno dalla vendita dei network di sport regionali in pancia alla Fox.Tali risorse, spiega Bob Iger, ad del gruppo di Topolino&Co, «ridurranno sostanzialmente il costo dell’ acquisizione di Fox e ci consentiranno di investire per creare contenuti di alta qualità». Jeremy Darroch, numero uno di Sky, si congeda da Murdoch: «La sua visione e la sua fiducia – dice – ci hanno consentito di crescere e diventare una società media di rilievo in Europa». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Gassmann: la serie punto di partenza della mia nuova vita

La Stampa
MICHELA TAMBURRINO
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I Bastardi di Pizzofalcone hanno atteso la vetrina del Prix Italia di Capri. È qui che, sfidando una bufera di vento e mare grosso che ha mandato il traghetto con a bordo la protagonista Carolina Crescentini contro il molo caprese, hanno presentato la nuova serie. Accenni di action e più grinta, impressa dal regista Alessandro D’ Alatri al suo debutto in una serie tv. Sei puntate prodotte da Clemart e RaiFiction, sei serate su Rai 1 da lunedì 8 ottobre con l’ anticipo del primo episodio su RaiPlay il 1° ottobre. Dietro il successo strepitoso dei Bastardi c’ è la penna prolifica di Maurizio De Giovanni che coniuga misteri e incognite in una città, Napoli, che è in sé un rebus affascinante. Lui, l’ autore, confessa di essere attratto esclusivamente dai delitti passionali e dunque di scrivere solo di quelli; un modo, dice, per conferire universalità alla narrazione. Sulla scia di Camilleri, più volte accusato di non voler toccare temi più scottanti della sua regione. «Accuse che puntualmente piovono addosso anche a me. Io rispondo che Napoli è una cipolla a più strati e ognuno ha una sua dignità di lettura: ci sono gli sguardi Ferrante, Montesano, Parrella, Saviano. Mai dimenticando che Napoli ha il record di Pil negativo in Europa e mai sminuendo il fenomeno della criminalità organizzata. Io scrivo di delitti passionali perché quelli mi interessano. Potrei agevolmente fare altro, ma non voglio». E questo mentre presenta il nuovo romanzo Vuoto , che uscirà per Einaudi il 9 novembre. Protagonista dei Bastardi , nei panni di un tormentato ispettore Lojacono, Alessandro Gassmann: «Questa seconda serie con tanti attori del teatro napoletano è più vicina alla scrittura di De Giovanni rispetto alla precedente. Anche io comincio a somigliare al mio personaggio, come lui sono stato catturato dalla città che regala a tutti una seconda possibilità, una nuova partenza». Una Disneyland per un regista abituato a calibrare effetti e introspezione come fossero spezie. Dunque anche per Gassmann seconda vita: «Sto provando per il teatro Fronte del porto che ho riadattato in una Napoli del 1978, protagonista Daniele Russo e tutti attori sconosciuti. E per mia fortuna ho trovato un piccolo gioiello sempre di De Giovanni che porterò in teatro dopo il debutto a Spoleto. È Il silenzio grande , storia di una famiglia altolocata che per un rovescio economico è costretta a lasciare la sua casa. La regia mi riporta alle origini, ricevo enorme soddisfazione. Sento di esserci portato e alla mia undicesima prova non ho più dubbi». Pensa mai a quello che le avrebbe detto suo padre? «Sempre, come succede a molti figli a prescindere dalla fama dei padri. E più passa il tempo più mi sento di assomigliargli, in tante cose siamo uguali. Era un brav’ uomo». Dunque animale da palcoscenico? «Il teatro è la mia casa, il cinema mi ha dato belle occasioni, adesso inizio a girare Croce e delizia con Bentivoglio, Galiena e Trinca su una storia di diversità intrigante. In tv preferisco la lunga serialità che ti permette di approfondire il personaggio, un po’ come a teatro». Gassmann ci ha provato gusto a lavorare su testi autoriali. «A me piace moto Scurati. Ho letto Il sopravvissuto , sarebbe un bellissimo film. E poi Ammaniti, Ferrante, la diversità di scrittura mi intriga». Come si vede in prospettiva? «Sempre più regista, in un Paese più gentile di quello che abbiamo oggi. Ho pensato di andare via, all’ estero. Ma sarebbe un atto di vigliaccheria, se fatto da un privilegiato come me». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Alfredo Frassati

La Stampa
ALBERTO SINIGAGLIA
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Una moderna vita d’ eroe attendeva Alfredo Frassati, nato a Pollone il 28 settembre 1868: avvocato, giornalista, editore, fondatore e direttore della Stampa , padre di un santo e di una scrittrice, senatore, ambasciatore, amico di Giolitti, nemico di Mussolini, membro dell’ Assemblea Costituente, salvatore dell’ Italgas. Vita di idee, di orizzonti, di battaglie, di vittorie, di sconfitte, anche di lacrime. Fatta l’ Italia bisognava fare gli italiani e i giornali avrebbero dato una mano. Frassati lo intuì quando era ancora un vulcanico giovanotto bello, occhi bruni, volto imperioso, appassionato di montagna, di cavalli e di belle donne. La Stampa fu il suo capolavoro. Studente di legge in Germania, a ventitré anni cominciò a inviare corrispondenze alla Gazzetta Piemontese di Vittorio Bersezio, il commediografo delle Miserie d’ monsù Travet . In redazione In tre anni divenne comproprietario e condirettore della testata. Nel 1895 le cambiò i connotati e il nome, facendone un grande giornale politico, tecnicamente all’ avanguardia, approdo e vivaio di firme illustri: Guido Gozzano in cronaca, Luigi Einaudi principiante all’ economia, tra gli inviati e i critici Ernesto Regazzoni, Arrigo Cajumi, Francesco Pastonchi, Giuseppe Antonio Borgese, Edoardo Scarfoglio. Un quotidiano nazionale dai ferrei princìpi di «un giornalismo moderno, indipendente da tutti, onestissimo nel più rigido e assoluto senso della parola», come scrisse ad Alberto Bergamini, fondatore del Giornale d’ Italia . La persecuzione Si prese subito la scena. Liberale ma simpatizzante per i socialisti, attento all’ economia e allo sviluppo dell’ industria, ma pure alle questioni sociali e ai diritti dei lavoratori, Frassati fu il primo giornalista a diventare senatore. Inviato da Giolitti ambasciatore a Berlino, quando il Duce agguantò il potere si dimise e tornò in redazione. Con lo stessa determinazione con la quale si era opposto all’ intervento italiano nella guerra 1914-18, si lanciò contro la sgangherata impresa di D’ Annunzio a Fiume. Fu antifascista in pieno fascismo, tra minacce e irruzioni squadriste in casa e al giornale. Come Zola per l’«affare Dreyfus», Frassati gridò il suo «atto d’ accusa» al regime, smascherato mandante dell’ assassinio di Matteotti. Pagò con una serrata che fermò il quotidiano quaranta giorni. Poi lo perse del tutto, scacciato dalla direzione e dalla proprietà poco dopo la morte del figlio Pier Giorgio: ventiquattro anni, poliomielite fulminante. Combattè la disperazione lavorando. Agricoltore a Pollone, fece piantare centomila alberi sulle montagne biellesi. Presidente dell’ Italgas, pilotò l’ azienda a risorgere da un drammatico fallimento. Membro dell’ Assemblea Costituente, superati i novanta continuava a scrivere articoli di memorie politiche. Morì all’ improvviso il 21 maggio 1961, senza poter immaginare che per tanti gesti di fede e di carità il suo Pier Giorgio fosse venerato dal prete polacco Karol Wojtyla e che questi, diventato papa, l’ avrebbe eletto tra i beati e avviato a essere il primo santo della Torino laica. E senza immaginare che la figlia Luciana gli avrebbe dedicato un monumento di carta: Un uomo, un giornale . Due figli speciali Laureata in legge a ventun anni, a ventitré sposa di Jan Gawronski, l’ ultimo ambasciatore polacco a Vienna prima dell’ invasione nazista, eroina della resistenza in Polonia, Luciana Frassati tra il 1978 e il 1982 pubblicò sei volumi sulla tumultuosa e drammatica vicenda umana, professionale e politica del padre. Modi rapidi, talvolta bruschi, di un caratteraccio ammesso e sofferto, fu con gli amici-rivali Alberto Bergamini e Luigi Albertini un pioniere italiano del moderno giornalismo. Per alcuni aspetti più completo di loro: direttore teso all’ alta qualità del quotidiano, ma anche imprenditore attento alla salute del suo bilancio; pronto a cogliere le novità tecnologiche, mai però distratto nella «difesa della dignità del giornalismo e del suo onore», per la quale il 23 aprile 1899 proprio lui, giornalista ed editore, aveva fondato a Torino l’ Associazione Stampa Subalpina. Un’«ambizione senza freni, ma forte, sana e onesta, insofferente d’ ogni viltà, schiva d’ ogni compromesso» portò Frassati vicino a cariche nazionali e lo indusse a pronte rinunce. Ma al giornalismo non rinunciò mai. Come Gobetti, come Gramsci – sebbene culturalmente diverso da loro – lo guidava un’ idea dell’ informazione come pubblico servizio ed essenziale ingrediente della democrazia. Un’ idea che bandiva il dilettantismo, che pretendeva professionalità, affidabilità, responsabilità, rigore morale: quel «frangar, non flectar» che La Stampa portò a lungo sotto la sua testata. Un’ idea dell’ informazione sulla quale è urgente tornare a ragionare. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

L'articolo Rassegna Stampa del 27/09/2018 proviene da Editoria.tv.


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