Indice Articoli
Rai, verdetto bis su Foa L’ ombra del ricorso al Tar
“Ciancio, giornali fatti con i boss”
Tra De Benedetti e mafia, potere e latte di mandorle
Pessina, due anni all’ Unità, 20 milioni di fatturato in più
Kurz ferma il bavaglio degli alleati-ultrà
Offerta vincolante per Persidera
La Rai e ilvoto su Foa, una giornata particolare
Rai, il ritorno di Foa: oggi l’ elezione Subito le nomine a Raisport, Gr e Tgr
«Parco Verde un racconto a due facce»
Agevolazione sulla pubblicità al primo test
Gli ultimi 5 business di Ciancio sotto la lente dei Pm
No al bonus pubblicità senza investimenti nel periodo precedente
Per le Casse private resta la doppia tassazione
Minori sempre più precoci digitali
DeA Planeta Libri si fa il premio letterario, punta al 5% di mercato e sfida Feltrinelli
Pubblicità internet al sorpasso
Rai Way presenta offerta per rilevare la rete di Persidera
Abolite pure l’ Ordine, nessuno lo rimpiangerà
Rai, verdetto bis su Foa L’ ombra del ricorso al Tar
Corriere della Sera
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La commissione di Vigilanza Rai ascolterà oggi Marcello Foa come presidente eletto dal Cda. Solo dopo il voto dei due terzi della commissione sarà ufficialmente insediato ma è già previsto un Cda alle 19. La giornata potrebbe registrare un colpo di scena: la presentazione di una richiesta urgente di sospensiva dal Tar del Lazio da parte della consigliera in quota Pd Rita Borioni. E l’ Usigrai avverte: «Attenzione al rischio di illegittimità della nomina».
“Ciancio, giornali fatti con i boss”
Il Fatto Quotidiano
Saul Caia
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“Una pericolosità sociale qualificata da parte di Mario Ciancio Sanfilippo, fondata sulla verifica del fatto che vi è stato un apporto costante nel tempo e di grande rilievo nei confronti di Cosa nostra”. Parole del Procuratore Capo di Catania Carmelo Zuccaro a proposito del decreto di sequestro e confisca ai danni dell’ editore etneo, imputato per concorso esterno in associazione mafiosa, che coinvolge 31 aziende più altre 7 partecipate, conti correnti e beni immobili, per un valore complessivo di circa 150 milioni di euro. Secondo i pm, già dagli anni 70, Ciancio avrebbe intrattenuto stretti rapporti con la mafia etnea facente capo a Giuseppe Calderone, detto cannarozzu d’ argento e già componente della commissione regionale di cosa nostra, carica poi passata in consegna a Nitto Santapaola, legato al rinnovamento dei corleonesi. Per Ciancio è stata chiesta la sorveglianza speciale, rigettata però dal giudice perché “l’ età avanzata e il tempo risalente degli ultimi accertamenti (2013) hanno indotto il Tribunale a escludere l’ attualità della pericolosità sociale”. La gestione editoriale de La Sicilia, secondo l’ accusa, avrebbe “apportato uno stabile contributo a cosa nostra catanese”. Nel decreto è citato un episodio del 1993, quando il giornalista Concetto Mannisi in un articolo sui reati ambientali scrisse che Giuseppe Ercolano, cognato di Santapaola, era considerato “massimo esponente della nota famiglia sospettata di mafia”. Ercolano si recò da Ciancio per avere spiegazioni, e l’ editore convocò il giornalista davanti al boss. Mannisi spiegò al suo direttore che l’ informazione derivava a una nota del Ministero dell’ Interno, ma Ciancio ribadì che non era loro compito dire che “Ercolano fosse mafioso”. Direttore per 51 anni de La Sicilia, Ciancio insieme al figlio Domenico ha deciso di dimettersi, affidando le redini ad Antonello Piraneo. La situazione del quotidiano più diffuso nell’ est Sicilia resta però molto critica. “L’ obiettivo è mantenere il valore sociale del quotidiano pur partendo da una situazione pessima”, ha spiegato il pm Antonino Fanara, che ha coordinato l’ inchiesta, ribadendo che “lo Stato si occuperà degli utili e non della linea editoriale“. Discorso simile per la Gazzetta del Mezzogiorno, confiscata al 70% per le quote di Ciancio ma non coinvolta in vicende di mafia, che si troverebbe in una situazione “molto grave” sotto il profilo economico. In entrambi i casi ci sono state delle assemblee di redazione e sono previsti degli incontri con gli amministratori giudiziari, per confrontarsi sulla vicenda. Se da una parte si segnalano i messaggi di solidarietà dei sindacati di categoria, resta però l’ assordante silenzio della politica, soprattutto catanese, che non si è espressa sul caso Ciancio, a eccezione di Claudio Fava, che si auspica che le “testate siano affidate ai giornalisti”.
Come ti nascondo la notizia
Il Fatto Quotidiano
Michela Rubortone
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Non deve essere sembrata interessante ai primi giornali italiani per diffusione la notizia del provvedimento di sequestro disposto dal Tribunale di Catania su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, per circa 150 milioni di euro, nei confronti di Mario Ciancio Sanfilippo. Il Corriere ha dedicato alla vicenda circa 1.500 battute a pagina 18, titolando in punta di penna “Sequestrati 150 milioni all’ editore della Sicilia”. Repubblica ha relegato la notizia al colonnino di pagina 18, quello accanto ai necrologi e sotto la mezza pagina dedicata allo stupro della studentessa di Firenze. Non senza difficoltà si legge: “L’ antimafia confisca beni per 150 milioni all’ editore Ciancio”. Più accurate le edizioni locali: Repubblica edizione Bari ha titolato l’ articolo di pagina 5 “Gazzetta, arriva il Commissario. Il primo sequestro di un giornale”. Il titolo dell’ articolo a pagina 5 dell’ edizione di Palermo è invece “Confiscati giornali e tv di Ciancio”. Anche il Corriere del Mezzogiorno, edizione di Bari, ha dedicato un intero articolo all’ editore: “Bufera su Ciancio Sanfilippo. Sequestrate anche le quote di maggioranza della Gazzetta”. Peccato che nei tre titoli non compaia alcun riferimento al capo d’ imputazione: concorso esterno in associazione mafiosa.
Tra De Benedetti e mafia, potere e latte di mandorle
Il Fatto Quotidiano
Giuseppe Lo Bianco
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L’ istantanea è di Nino Milazzo, che fu vicedirettore del Corriere della Sera, poi richiamato da Mario Ciancio a co-dirigere La Sicilia negli anni 2000: Milazzo rivoluzionò il giornale iniziando da Messina, dove l’ informazione è tradizionalmente paludata, ma l’ iniziativa non piacque al corrispondente dello Stretto, uno dei “fedelissimi” di Ciancio: “Una sera si presenta l’ editore assieme a questo signore – raccontò Milazzo – e lo porta nella mia stanza per mettere le cose a posto. Io dissi che a me non stava bene. L’ editore mi disse di uscire dalla stanza. Io gli dissi che doveva uscire lui, visto che ero il direttore. Lui disse di essere il padrone, allora io risposi che non ero il suo massaro L’ indomani mi sono dimesso, spiegando le ragioni”. Padre padrone di un giornale (e poi di due tv), presidente della Fieg e vicepresidente dell’ Ansa, amico di Pippo Baudo e Carlo De Benedetti, abilissimo uomo di affari impegnato su più tavoli, dall’ editoria agli appalti all’ agricoltura, Mario Ciancio è stato il volto del potere siciliano nascosto, discreto e affabile all’ apparenza, duro e insofferente a ogni regola nella sostanza, crocevia a Catania e non solo delle relazioni tra potenti che hanno determinato i destini di politica e affari nella parte orientale dell’ isola. Con amici ovunque, anche all’ Agenzia delle Entrate: quando la Procura scoprì che, nonostante avesse occultato al Fisco una parte delle somme all’ estero era stato ammesso di nuovo allo scudo fiscale, l’ allora procuratore Giovanni Salvi all’ Antimafia parlò di “supermercato dell’ impunità”; la Commissione tributaria che aveva archiviato gli illeciti fiscali era presieduta da Giovanni Tinebra, il procuratore della strage di via D’ Amelio, come scoprì Claudio Fava solo leggermente corretto da Salvi: era “presidente della sezione ma non presidente del collegio”. Amico di tutti sindaci degli ultimi 40 anni, le pagine di cronaca comunale de La Sicilia venivano confezionate all’ ufficio stampa del Comune e poi “passate” alla redazione. E ancora oggi i locali che ospitano la redazione catanese dell’ Ansa sono all’ interno del palazzo de La Sicilia. Per chi arrivava a Catania per un affare, un’ intervista o un semplice saluto, l’ appuntamento con foto nell’ ufficio del direttore era un must, condito dal latte di mandorle dell’ anziana segretaria, gemella della segretaria di Nino Drago, capo degli andreottiani catanesi. Potere pubblico mediaticamente esibito, potere privato esercitato stringendo in una morsa l’ editoria catanese, e non solo: per stampare in Sicilia Repubblica, il gruppo L’ Espresso dovette rinunciare alla diffusione dell’ edizione siciliana a Catania, per non “disturbare” La Sicilia. E quando i Siciliani giovani decisero di ripubblicare il giornale che fu di Pippo Fava affidandone 5.000 copie al distributore si videro restituire acconto e copie: “Noi lavoriamo con Ciancio”, disse un impiegato, né miglior fortuna ebbero con un altro che confidò loro: “Una persona molto importante ci ha suggerito di trovare ogni scusa per boicottarvi il giornale”. Potere felpato, gestito abilmente sottotraccia strizzando l’ occhio ai boss per i quali, come emerge dall’ inchiesta e dalle carte dell’ Antimafia, Ciancio ha avuto spesso un atteggiamento di riguardo. E infatti veniva difficile accettare il necrologio dei familiari del commissario di polizia Beppe Montana, ucciso dalla mafia, respinto perché “si parlava di alti mandanti”. Ma non era vero, nel necrologio, che ribadiva tutto il disprezzo dei familiari per Cosa Nostra e i suoi complici occulti, di “alti mandanti” non c’ era traccia. Bugie utilizzate anche in occasione della pubblicazione di una lettera di Vincenzo Santapaola, fratello del boss Nitto, che rinchiuso al 41 bis era riuscito a fare avere la missiva al giornale che l’ aveva pubblicata, sollevando una marea di polemiche. “L’ ha autorizzata il gip”, scrisse il giornale, ma anche in questo caso non era vero, e a smentire La Sicilia fu il presidente dell’ ufficio Gip, Rodolfo Materia. E se il collaboratore Franco Di Carlo rivelò che anche Ciancio, insieme al cavaliere del lavoro Costanzo, era intervenuto su un capitano dei carabinieri a favore di Santapaola fermato in occasione dell’ omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari, dalle parole di un altro collaboratore, Giuseppe Catalano, viene fuori che le “attenzioni” erano ricambiate: nel ’93 fu costretto dal boss Aldo Ercolano a restituire il bottino da un miliardo trafugato nella villa di Ciancio, che aveva ospitato Lady Diana, perché “Ciancio era un loro amico e non si doveva toccare più”. In cambio ricevette una busta con circa “20 milioni”.
Pessina, due anni all’ Unità, 20 milioni di fatturato in più
Il Fatto Quotidiano
Gianni Barbacetto
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Fare l’ editore conviene. Magari non ai giornalisti, che dall’ editore possono essere cacciati a casa. E non alla testata, che per quanto gloriosa può essere chiusa. Ma agli imprenditori che si lanciano in un’ avventura editoriale, sì: rivestire per una stagione i panni di chi manda in edicola un giornale può far bene ai loro affari. È il caso di Massimo Pessina e di Guido Stefanelli, rispettivamente presidente e amministratore delegato di Pessina Costruzioni. La loro azienda, fondata nel 1954 da Carlo Pessina, zio di Massimo, sede a Milano, cantieri anche all’ estero, nel 2015 ha una svolta: diventa editrice della più storica tra le testate giornalistiche italiane, L’ Unità, fondata da Antonio Gramsci. La storia è nota: Pessina Costruzioni e Guido Stefanelli costituiscono la società Piesse, che acquista l’ 80 per cento dell’ ex quotidiano del Pci; il restante 20 per cento è di Eyu (Europa Youdem Unità), nelle mani del Pd allora strettamente controllato da Matteo Renzi. Partenza scoppiettante, navigazione subito difficile, crisi lunghissima e dolorosa, fino al 2 giugno 2017, quando l’ editore annuncia la sospensione delle pubblicazioni. “L’ Unità è di un privato”, se ne lava subito le mani Renzi. Il “privato”, intanto, torna a fare il costruttore a tempo pieno. Ha perso soldi nell’ avventura editoriale. Ma ha visto rifiorire il suo core business. Ha acquisito commesse. Ha aperto cantieri. Molti con soldi pubblici. Vediamo le cifre, che non sono opinioni. Fatturato 2016: 44,8 milioni di euro. Fatturato 2017: 66 milioni. La Pessina è risalita al ventitreesimo posto della classifica delle imprese di costruzione italiane, con un utile netto di 8,8 milioni. Gli ingredienti di questo successo sono diversi. Nel 2017, Pessina vince un arbitrato contro A2a, la multiutility dell’ energia controllata dai Comuni di Milano e Brescia, che le porta in cassa 44,2 milioni ottenuti come risarcimento da A2a. Così i ricavi salgono da 90 a oltre 113 milioni e permettono a Columbia Prima, la holding che controlla Pessina Costruzioni, di chiudere già il bilancio 2016 con un profitto di 9,1 milioni, dopo che l’ anno precedente aveva registrato una perdita di 700 mila euro. Nella primavera 2018, poi, Pessina ingloba, partecipando a un’ asta del Tribunale di Bolzano, la Oberosler, una delle più grandi società di costruzioni dell’ Alto Adige, attiva soprattutto nella realizzazione di strade e gallerie, con un portafoglio lavori di oltre 270 milioni di euro, tre concessioni per la realizzazione di tratti autostradali e una commessa per la realizzazione del tunnel di base di una centrale elettrica. Più in generale, il portafoglio ordini della Pessina si dilata: a Torino, gli uffici della Reale Mutua e il progetto Juventus Village; a Pescara il centro direzionale della Fater; a Bogliasco il centro sportivo Mugnaini della Sampdoria. Ma a moltiplicarsi sono soprattutto i progetti che hanno a che fare con committenti pubblici: la Casa della salute, il nuovo poliambulatorio di Bologna; il velodromo di Spresiano, a Treviso, che sarà il più grande d’ Italia; l’ ospedale Felettino di La Spezia; il polo bionaturalistico dell’ Università di Sassari; l’ ospedale di Garbagnate, in provincia di Milano; il liceo Sigonio di Modena; l’ Accademia della Guardia di finanza a Bergamo, realizzata da Cassa depositi e prestiti; la ristrutturazione, per l’ Agenzia del demanio, dei caselli daziari a Milano; la partecipazione, sempre a Milano, a “Reinventing cities”, il bando internazionale per rigenerare e rendere ecologici siti degradati della città (per Pessina, le Scuderie de Montel, nei pressi dello stadio di San Siro). Fu il programma tv Report, nel 2017, a sostenere che l’ acquisto dell’ Unità aveva come contropartita, per la Pessina, appalti in Kazakistan (opere civili, industriali e infrastrutturali legate ai giacimenti dell’ Eni), e in Iran (cinque ospedali da costruire). L’ azienda smentì immediatamente ogni collegamento tra l’ impegno nell’ Unità e i suoi appalti all’ estero. In Italia, intanto, si moltiplicavano i lavori di peso e le polemiche. Sull’ ospedale di La Spezia, fu il candidato del centrodestra alla Regione Liguria Giovanni Toti (poi vincitore) a sollevare il problema durante la campagna elettorale: “È singolare che a pochi giorni dal voto si firmi un appalto da centinaia di milioni per la realizzazione di un nuovo ospedale. E che il gruppo che lo realizzerà, unico a presentare l’ offerta, sia, guarda caso, il maggiore titolare delle quote dell’ Unità, giornale che il segretario del Pd e premier Matteo Renzi si è preso l’ impegno di salvare. Sarà tutto certamente regolare, ma lascia perplessi”. Reazione stizzita del gruppo Pessina: “C’ è stata una regolare gara e noi l’ abbiamo vinta in base all’ offerta migliore”. Le polemiche non riguardano soltanto storie di mattoni e cemento, ma anche di acqua. Sì, perché il gruppo Pessina, attraverso la holding Columbia Prima, controlla anche una serie di marchi di acque minerali, i più noti dei quali sono Norda e Sangemini, con 26 fonti e 130 milioni di fatturato. Ebbene, proprio il gruppo Norda ha ricevuto nel 2017, dal presidente della Regione Abruzzo, il pd Luciano D’ Alfonso, la concessione per l’ utilizzo della sorgente Sponga di Canistro, in provincia de L’ Aquila. Dopo un lungo contenzioso, nell’ agosto del 2018 la Regione ha dovuto bandire una nuova gara. In questa storia con molte incertezze, di certo c’ è solo che Pessina cresce, e l’ Unità non c’ è più.
Kurz ferma il bavaglio degli alleati-ultrà
Il Fatto Quotidiano
Mattia Eccheli
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Il ministero degli Interni austriaco ha chiesto alla Polizia di limitare allo stretto indispensabile le informazioni da passare ai media che nella loro comunicazione hanno un atteggiamento ritenuto “unilaterale e negativo” sullo stesso dicastero e sulle forze dell’ ordine. I media messi all’ indice sono Falter, Kurier e Der Standard (gli ultimi due sono il 5° e il 7° quotidiano più letti, Der Standard è uno dei pochi ad aver guadagnato lettori lo scorso anno): i nomi delle tre testate sono contenute in una email di uno dei responsabili della comunicazione del ministero inviata alla Polizia. Alla quale è stata data anche un’ esplicita raccomandazione sia di riferire la cittadinanza e lo status di residenza dei sospettati sia di dare maggior risalto ai reati sessuali. Il ministro responsabile è Herbert Kickl della Fpoe, il partito delle libertà, già finito nell’ occhio del ciclone per aver disposto una perquisizione presso alcuni uffici dei Servizi segreti successivamente liquidata come “sproporzionata” dal tribunale. Il movimento nazionalista di destra di Kickl è l’ alleato di governo voluto dal giovane cancelliere conservatore Sebastian Kurz alla guida del paese. Che da New York, a margine dell’ assemblea dell’ Onu, è stato costretto a intervenire: “I partiti, le istituzioni governative e le strutture pubbliche hanno una grande responsabile per il giornalismo libero e indipendente. Ogni limitazione della libertà di stampa è inaccettabile”, ha dichiarato. Una presa di distanza netta, ma le opposizioni hanno chiesto a Kurz di allontanarlo dall’ esecutivo. Oggi Kickl, che non sarebbe stato a conoscenza né della mail né del suo contenuto, dovrà riferirà in Consiglio nazionale. Il ministro è uno degli uomini forti dell’ esecutivo: per 13 anni, fino a gennaio, è stato segretario della Fpoe. Il suo modo di agire e la stessa mail “incriminata” per penalizzare i quotidiani “non allineati” e spostare l’ attenzione su certi tipi di reati ricordano simili recenti esternazioni italiane. Alma Zadic, esponente della lista Pilz, ha parlato di “aggressione di Kickl alla libertà di stampa” e anche di “orbanizzazione del ministero degli Interni”. “Un ministro degli interni che viola il diritto anziché tutelarlo deve andarsene”, hanno rincarato i socialdemocratici (Spoe). “È una museruola per gli organi di informazione indipendenti”, ha sintetizzato il portavoce Thomas Drozda. Per Ska Keller, co-capogruppo dei Verdi all’ Europarlamento, “è una vergogna e uno scandalo che un ministro degli interni di un paese dell’ Ue provi a minare la libertà di stampa”. Kickl è finito anche sotto il tiro dei liberali (Neos). A giudizio di Beate Meinl-Reisinger il “ministro degli Interni ha perso ogni pudore. Punire le voci critiche e premiare i media sottomessi si vede solo in autocrazie illiberali. È maturo per le dimissioni”.
Offerta vincolante per Persidera
Il Giornale
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Rai Way ha confermato in una nota di aver sottoposto ai soci di Persidera (Telecom al 70% e Gedi al 30% ndr) un’ offerta vincolante, soggetta a talune condizioni, per l’ acquisizione dell’ infrastruttura di rete e delle relative attività di tale società. Gedi ha già rifiutato un’ offerta da 250 milioni.
La Rai e ilvoto su Foa, una giornata particolare
Il Manifesto
Vincenzo Vita
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Oggi è un giorno delicato per la Rai. La commissione parlamentare di vigilanza ascolta in audizione il presidente in pectore Marcello Foa e in serata rivota il parere sul nome avanzato nuovamente lo scorso venerdì dalla maggioranza del consiglio di amministrazione. Farebbe bene la commissione medesima a ponderare bene le scelte. Vi è il ragione vole dubbio, infatti, che la decisione consiliare sia di dubbia legittimità, come ha nesso in evidenza Rita Borio ni, componente di minoranza dell’ organismo. Il rappresentante dei dipendenti Riccardo Laganà ha deciso sull’ argomento un’ eloquente astensione. Il meccanismo di scelta del presidente ha nel parere parlamentare (obbligatorio e vincolante) il momento di chiusura, secondo la previsione della legge n.220 del 2015 che stabilisce un quorum di due terzi per il gradimento. Senza introdurre altri quozienti meno consistenti in successive sedute. È lecito, dunque, interpretare la norma – «specia le» , quindi asimmetrica rispetto alla routine immagina taper le società dal codice civile- come un atto unico. Non come un sistema a due tempi, il secondo dei quali ripetibile alla bisogna. Il diritto non è mai neutrale e il clima politico pesa enormemente. Non si fa mistero del cambiamento di opinione di Berlusconi, malgrado i mal di pancia dei gruppi parlamenta ridi Forza Italia. La resa senza condizioni al diktat di Salvini su Foa ha origine negli interessi aziendali di Arcore. Pesano le azioni annunciate dal Mov5Stelle sui tetti pubblicitari. Il cavaliere è esposto su troppi fronti: l’ andamento alterno di Media set, lo scontro con Vivendi, l’ egemonia di Sky sullo sport, e così via. La sopravvivenza di Fininvest val bene, allora, un Foa alla Rai. Tuttavia, la vicenda giuridica ha un’ inerzia inesorabile. Nel 2005 il consiglio della Rai decideva di indicare in Alfredo Meocci il direttore generale, sottovalutando l’ anomalia evidente che scaturiva dall’ essere egli stato componente dell’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. La legge n.249 del 1997 regolava il caso. E, infatti, l’ incompatibilità fu acclarata nel maggio del 2006. Di conseguenza i consiglieri votanti per Meocci furono condannati ad un cospicuo risarcimento del danno erariale provocato. Il clima era banalizzante, persino con esibita supponenza. Ora, su una vicenda diversa ma contigua, gli amministratori rischiano di vedersi coinvolti in un’ azione giudiziaria. C’ è da augurarselo per il servizio pubblico? No di certo. Anzi. I cinquanta giorni trascorsi nell’ inerzia dopo la prima «stecca» hanno ulteriormente indebolito l’ azienda di viale Mazzini. Il quadro del sistema radiotelevisivo è in rapido mutamento. Le reti del gruppo Mediaset stanno cercando di affrancarsi dall’ epoca della «gloriosa» Retequattro e da quella recente dei talk del populismo urlato. La7 si destreggia con abilità e viene vissuta da parti consistenti degli utenti come il vero servizio pubblico. La Rai, ferma e in affanno, appare ormai come una costola del governo: il luogo dell’ eterna lottizzazione. Ecco, allora, che il tema della presidenza si carica di simboli persino superiori al valore effettivo. Le conclamate simpatie putiniane di Foa, accompagnate a un malcelato sovranismo rendono la scelta assai opinabile, essendo per di più la funzione «di garanzia». Tanto di garanzia che l’ interprete designato ha polemizzato con il massimo garante, vale a dire il presidente della Repubblica. Intendiamoci. Ognuno può esprimere le opinioni che crede, ma non si candidi al ruolo apicale di un bene pubblico. Si gioca una partita seria.
Rai, il ritorno di Foa: oggi l’ elezione Subito le nomine a Raisport, Gr e Tgr
Il Mattino
S. Can.
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IL CASO ROMA C’ è «l’ accordo quadro» M5S-Lega sulle posizioni da dividersi in viale Mazzini, ma manca però ancora il presidente della Rai. E oggi – salvo sorprese e franchi tiratori nel segreto dell’ urna – Marcello Foa dovrebbe riuscire nell’ impresa fallita lo scorso 1° agosto. «Ormai è una faccenda psicologicamente archiviata», dicono da Forza Italia, pronti questa volta al sì. Alle 13 è in programma l’ audizione in commissione di Vigilanza. Sulla strada del giornalista le domande al veleno dell’ opposizione (Pd e Leu), ma, ed è il caso degli azzurri, anche puntualizzazioni su come intenderà concepire la pubblicità nella televisioni pubblica. La sinistra pungolerà Foa su fake news, Russia e su certi tweet lanciati contro il Quirinale lo scorso maggio. Alle 19 il voto della commissione che non dovrebbe riservare appunto sorprese, come d’ accordo tra Matteo Salvini e Silvio Berlusconi dieci giorni fa ad Arcore. I RICORSI Se non si metteranno in mezzo i numeri, potrebbero pensarci però i cavilli e i ricorsi. Il Pd resta sulle barricate contro una «nomina illegittima»: la consigliera Rita Borioni, unica a votare no in cda, ha già preannunciato ricorso. Ma fino a ieri sera ancora non c’ era: con la richiesta di sospensiva al Tar potrebbe davvero fermare tutto. I capigruppo Delrio e Marcucci hanno chiesto ai presidenti di Camera e Senato di sconvocare la Vigilanza. Al pressing su Fico e Casellati si aggiunge l’ Usigrai: «Occorre evitare che la Rai finisca in un pantano di contenziosi legali che ne metterebbero a rischio l’ operatività», è l’ altolà del sindacato, che allega il parere legale dello studio Principato – con le «ragioni di illegittimità della riproposizione» di Foa – e il precedente del 2005, quando la Vigilanza «considerò all’ unanimità decaduto dal cda il candidato a presidente che era stato bocciato dai commissari». E Michele Anzaldi: «L’ abuso che viene commesso con Foa rischia di gettare il servizio pubblico in un girone dantesco di ricorsi e controricorsi». Insomma, il clima è questo. Ma dalla maggioranza pentaleghista sono più che fiduciosi. E già pensano a chi andrà dove. Matteo Salvini con discrezione sta iniziando lo scouting per le posizioni apicali: è dell’ altra sera il contatto con Giovanni Alibrandi, già vicedirettore del Tg2. I NOMI Ma sono due le nomine più importanti da chiudere subito: si tratta del tgr, la più urgente, e, in seconda battuta, il giornale radio. Per la direzione del primo si fa largo il nome di Alessandro Casarin in quota Lega, per la radio ecco Giuseppe Carboni, in odore del M5S. In terza battuta, l’ altra nomina che il cda dovrà fare entro lunedì riguarda RaiSport: Bruno Gentili, nominato ad interim, è in odor di pensione. Per la successione, oltre al nome di Jacopo Volpi si fa largo quello di Maurizio Losa. Se queste le priorità, il resto può attendere ancora per un po’. Per questo, sulla rampa di lancio per la direzione del Tg1 figurano Alberto Matano e Franco Di Mare, in quota M5S, con l’ ex conduttore di Uno Mattina, spinto dall’ ala grillina più vicina al presidente della Camera Fico. Per il Tg2, invece, Gennaro Sangiuliano, Luciano Ghelfi. Discorso diverso al Tg3: potrebbe essere confermato Luca Mazzà, anche se non manca il sostegno alla candidatura di Simona Sala, quirinalista del Tg1. Anche se l’ ad Salini potrebbe pescare da La7 Gianluca Foschi. Per Rai Uno la Lega sarebbe orientata a confermare un nome che gira ormai da mesi, quello di Marcello Ciannamea, mentre per la seconda Rete resta in pole Maria Pia Ammirati, ex vicedirettrice di Rai1, dal 2014 a capo di Rai teche e molto gradita ai grillini. Mentre a Rai3 potrebbe restare Stefano Coletta. Della stima dell’ ad – che ha lavorato anche a Discovery e a Sky – godono anche Laura Carafoli e Antonella D’ Errico, nonché un dirigente Rai di lungo corso come Carlo Freccero, per il quale si continua a parlare di un possibile ruolo di peso. Ma prima del toto-nomi ci sarà l’ urna. S. Can. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
«Parco Verde un racconto a due facce»
Il Mattino
Luciano Giannini
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«L’ istituto professionale Morano di Parco Verde sorge lungo un vialone che separa la più grande piazza di spaccio dopo Scampia, crogiuolo di prostituzione, traffico di armi, abusi sui minori, dall’ unico avamposto di legalità della zona. Quella scuola è un’ oasi dove ragazzi già contaminati dall’ infanzia possono emanciparsi; quel viale, insomma, divide il male dalla speranza del bene. Ecco perché proprio là, in quella periferia, ho portato le telecamere», spiega Domenico Innacone, autore dei «Dieci comandamenti», un tipo di documentario che nel silenzio, nelle pause, nell’ elogio della lentezza e, quindi dell’ umanità, racconta per Raitre brandelli di vita del pianeta Italia. Ieri, assieme al direttore di rete Stefano Coletta, Iannacone ha presentato la puntata sull’ istituto Morano, in onda il 18 novembre in prima serata, alla prima giornata del Prix Italia Rai, in corso a Capri fino a sabato. «La nuova serie», spiega il giornalista, «avrà come riferimento i diritti costituzionali. Tra i tanti, ho voluto cominciare con quello all’ istruzione, che è da tutelare a tutti i costi. È in gioco il nostro futuro». C’ è un altro motivo che lo ha sospinto verso Caivano. È la preside, Eugenia Carfaro: «L’ ho conosciuta per un altro mio programma e, come spesso mi accade, sono curioso di sapere come vanno a finire certe storie. Eugenia mi aveva colpito. Lei, che scende in strada a raccogliere i ragazzi per condurli in aula, e dice che si sente sola, abbandonata, eppure continua a lottare; lei che dà fastidio perché mette in discussione la realtà maledetta in cui opera, è davvero una eroina, coraggiosa e sconosciuta come sono i veri eroi». Iannacone mostra statistiche da brivido: «La Campania è al penultimo posto nella graduatoria dell’ abbandono scolastico, con il 29,2 per cento. Dopo c’ è soltanto la Sardegna che, però, è assai meno popolata. In Italia, nel 2018, su 600 mila ragazzi, 130 mila non termineranno la scuola dell’ obbligo». Ancora: «Lo Stato spende 7000 euro all’ anno per ogni studente. Con una dispersione scolastica superiore al 20 per cento, lo spreco è quantificabile in circa 55 miliardi di euro negli ultimi 23 anni. Sono dati sufficienti per mettere la scuola al primo posto tra i diritti da trattare». Torniamo alla preside. Iannacone: «Eugenia salva molti ragazzi, ma altrettanti ne perde. Questo è il suo rammarico. Avrebbe voluto che la scuola fosse verticale, per seguire i suoi allievi dall’ asilo al diploma. Non gliel’ hanno permesso. Mi ha raccontato di un’ alunna, 14 anni, che ha smesso di andare a scuola perché incinta. È andata a trovarla quando ha partorito: in quel letto – mi ha detto – non c’ era un bambino, ma due. L’ altro era la madre». Perché quel titolo, «I dieci comandamenti»? «Nasce dal bisogno di indagini approfondite. I comandamenti diventano inchieste su pezzi di società e, dunque, fotografie di quella che è la verità più nascosta degli uomini, la morale. A me interessa come la società riesce a viverla. Perciò, ci occuperemo di scuola, ma anche di periferie, di diritto alla casa, di ambiente e di lavoro usato come arma di ricatto – è il caso del polo petrolchimico di Augusta – fino a immergerci nelle celle del carcere di Volterra. Ogni puntata ha una densità tale da costringere il pubblico a riflettere su chi siamo e dove stiamo andando». Il linguaggio di Iannacone aggiunge quel che immagini e parole non dicono: «Ho recuperato lo stile dei grandi documentaristi, Pasolini, Comencini, Gregoretti, Zavoli. Per loro lo spazio naturale tra domanda e risposta accresce la possibilità di pensare. I tagli improvvisi bloccano le emozioni. Sono per una tv che dà respiro, non per quella urlata e frenetica. Il suo rifiuto mi ha portato ai Dieci comandamenti. Il successo mi spinge a insistere. Siamo già alla settima edizione». Intanto, il giornalista prepara un nuovo programma per Raitre, «Che ci faccio qui?», in onda ad aprile: «Saranno 25 puntate, dal lunedì e venerdì, inserite tra Blob e Un posto al sole, con incursioni tragiche, comiche, paradossali che racconteranno altri pezzi d’ Italia. Avrò uno studio, stavolta. Sarà una caverna di Platone dove riprodurre, anche in un luogo chiuso, il mio stile, il mio elogio della lentezza. Nel segno dell’ uomo, non della tv». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
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Il Sole 24 Ore
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Dal 22 settembre è possibile presentare le istanze per la prenotazione del credito d’ imposta sugli investimenti incrementali (maggiori dell’ 1%) in campagne pubblicitarie effettuati dal 24 giugno al 31 dicembre 2017, nonché per quelli dell’ anno 2018. Il modello di istanza, con le relative istruzioni, è stato approvato con provvedimento del 31 luglio 2018 dal dipartimento per l’ Informazione e l’ editoria della presidenza del Consiglio dei ministri, ed è da presentare telematicamente. Le scadenze per gli investimenti 2017 e 2018 Per gli investimenti del 2017 e del 2018, le imprese, i lavoratori autonomi e gli enti non commerciali che intendono beneficiare del credito d’ imposta devono presentare separatamente dal 22 settembre 2018 al 22 ottobre 2018: la «dichiarazione sostitutiva» sugli investimenti pubblicitari effettuati dal 24 giugno al 31 dicembre 2017 sulla sola stampa quotidiana e periodica, anche online; la «comunicazione per l’ accesso al credito» degli investimenti relativi al 2018 sulla stampa quotidiana e periodica, anche online, e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali. La «dichiarazione sostitutiva» degli investimenti effettuati nel 2018 sulla stampa quotidiana e periodica, anche online, e sulle emittenti televisive e radiofoniche locali, analogiche o digitali dovrà essere presentata dal 1° al 31 gennaio 2019. L’ utilizzo del credito Il credito d’ imposta è utilizzabile solo in compensazione, tramite il modello F24 da presentarsi in via telematica, ed incluso nel limite annuale di 250mila euro. Poiché esso è concesso nel limite massimo complessivo dello stanziamento di spesa stabilito dalla legge, l’ importo effettivamente spettante potrà essere inferiore a quello richiesto con l’ istanza, nel caso in cui l’ ammontare complessivo degli importi richiesti con le istanze superi l’ ammontare delle risorse stanziate. Di conseguenza, il credito sarà utilizzabile solo dopo che sarà annunciata, a cura delle competenti autorità, la percentuale definitiva di ripartizione tra i richiedenti, in un termine che non è peraltro stabilito. Il contenuto del modello Per quanto attiene la compilazione del modello, si richiama l’ attenzione sui seguenti aspetti: la tipologia di comunicazione: «Comunicazione» per l’ accesso al credito o «Dichiarazione» sostitutiva relativa agli investimenti effettuati; il costo complessivo degli investimenti pubblicitari effettuati, o da effettuare, nel corso dell’ anno, che ove riguardino sia la stampa sia le emittenti radio-televisive, andranno esposti distintamente per le due tipologie di media; il costo complessivo degli investimenti effettuati sugli analoghi media nell’ anno precedente; per “media analoghi” si intendono la stampa, da una parte, e le emittenti radio-televisive dall’ altra; non il singolo giornale o la singola emittente; l’ indicazione dell’ incremento degli investimenti su ognuno dei due media (tale conteggio è effettuato in automatico); l’ ammontare del credito d’ imposta richiesto per ognuno dei due media (anche tale conteggio è effettuato automaticamente). Se è barrata la casella «Dichiarazione sostitutiva relativa agli investimenti effettuati» l’ ammontare degli investimenti indicato non può essere superiore a quello esposto nella precedente «Comunicazione per l’ accesso al credito d’ imposta». Se viene indicato un importo superiore, l’ applicazione non consente di proseguire nella compilazione e la dichiarazione non può essere presentata. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Gli ultimi 5 business di Ciancio sotto la lente dei Pm
Il Sole 24 Ore
Nino Amadore
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Catania Un’ azienda, un giornale, una città, un sistema imprenditoriale per quarant’ anni condizionati dalla mafia: prima quella di Giuseppe Calderone, poi quella di Benedetto Santapaola detto Nitto e con lui gli Ercolano. Al centro di tutto lui, Mario Ciancio Sanfilippo, direttore ed editore del quotidiano la Sicilia di Catania, cui è stato confiscato un patrimonio di 150 milioni: il provvedimento è stato emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale etneo presieduta da Nunzio Trovato. I giudici hanno accolto le tesi della Direzione distrettuale antimafia guidata da Carmelo Zuccaro che aveva chiesto per Ciancio anche la misura personale della sorveglianza speciale. Misura che però non è stata accolta sia per l’ età avanzata di Ciancio (ha 86 anni) sia perché gli ultimi accertamenti risalgono al 2013. Pesanti le conclusioni cui sono arrivati i magistrati secondo cui è provata la «pericolosità sociale» di Ciancio che ha «intrattenuto rapporti sinallagmatici con la famiglia catanese di Cosa nostra». Per i magistrati Ciancio ha imposto a La Sicilia una «linea editoriale improntata alla finalità di mantenere nell’ ombra i rapporti tra la famiglia mafiosa e le imprese direttamente o per interposta persona controllate dalla mafia». E infine accusano Ciancio di aver impiegato «grandi quantità di capitali di provenienza mafiosa investiti nelle iniziative economiche, anche di natura speculativa immobiliare». Ma sono recenti i cinque progetti in cui i magistrati hanno ritenuto di aver riscontrato i rapporti tra Ciancio e Cosa nostra. Il caso più rilevante è quello del centro commerciale Porte di Catania, un complesso che ospita 150 negozi. Nell’ affare della costruzione del centro Ciancio era socio, sostengono i giudici, di Giovanni Vizzini e Tommaso Mercadante, vicini a personaggi coinvolti in vicende di mafia. Tra gli altri affari imprenditoriali contestati all’ editore, c’ è anche il parco commerciale Sicily outlet di Dittaino, in provincia di Enna. Nel provvedimento dei giudici si fa riferimento ancora a tre progetti non realizzati: Stella polare; un insediamento residenziale a supporto della base di Sigonella; la costruzione del polo commerciale Mito. In tutti e tre i casi Ciancio era proprietario dei terreni. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
No al bonus pubblicità senza investimenti nel periodo precedente
Il Sole 24 Ore
Giorgio Gavelli
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Non è possibile accedere al bonus se non vi sono investimenti pubblicitari ammissibili nel periodo precedente. Sia perché, con riferimento a quella tipologia di investimento, l’ impresa non ha sostenuto costi, sia perché non era ancora costituita. Per «analoghi investimenti» e «sugli stessi mezzi di informazione», si intendono investimenti realizzati sullo stesso «canale informativo» e non sulla singola emittente o sul singolo giornale. I costi vanno assunti al netto delle spese accessorie e dei costi di intermediazione. Sono le risposte più interessanti alle Faq comparse sul sito del dipartimento per l’ Informazione e per l’ editoria della presidenza del Consiglio dei ministri con riferimento al credito d’ imposta sugli investimenti pubblicitari. La risposta più attesa è quella che riguarda l’ esatta declinazione dell’ approccio incrementale sul periodo precedente di riferimento (24 giugno-31 dicembre 2016 per il bonus 2017 o anno 2017 per il bonus 2018), nel caso in cui in tale periodo non vi siano costi ammissibili, anche eventualmente perché l’ impresa si è costituita successivamente. In proposito, il dipartimento conferma la lettura imposta dal Consiglio di Stato nel parere 1255 del maggio scorso sullo schema di regolamento poi pubblicato come Dpcm 90/2018, in controtendenza rispetto ad agevolazioni passate e presenti. Si conferma infatti che, qualora nel periodo di riferimento non vi siano stati investimenti agevolabili, il credito d’ imposta non spetta. Dagli esempi presenti nelle risposte si comprende come: l’ incremento percentuale minimo dell’ 1% deve, in primo luogo, essere presente a livello di investimenti complessivi nei due canali agevolabili, il che significa che se su entrambi nel periodo di riferimento le spese sono state pari a zero non spetta alcun beneficio; rispettato tale paletto, l’ incremento assume rilevanza solo nel canale pubblicitario in cui gli investimenti del periodo precedente non sono pari a zero, e nei limiti di esso. Va sottolineato che i valori vanno considerati rispettando (anche per soggetti Ias od Oic diversi dalle micro-imprese) quanto prescritto dall’ articolo 109 Tuir, come stabilito dal comma 2 dell’ articolo 4 del Dpcm: trattandosi di prestazioni di servizi si avrà riguardo all’ ultimazione o alla maturazione se si tratta di corrispettivi periodici. Circa le modalità di realizzazione degli investimenti pubblicitari, le risposte mantengono una linea di rigida interpretazione. Il credito è riconosciuto solo per gli investimenti pubblicitari incrementali effettuati sulle emittenti radiofoniche e televisive locali, iscritte presso il Registro degli operatori di comunicazione, o su giornali quotidiani e periodici, nazionali e locali, in edizione cartacea o digitale, iscritti presso il competente Tribunale o presso il menzionato Registro degli operatori di comunicazione, e dotati della figura del direttore responsabile. In merito alla rinuncia al beneficio precedentemente richiesto, il Dipartimento precisa che essa può essere presentata negli stessi termini della comunicazione (e quindi entro il 22 ottobre per il 2018), essendo irrilevante sia una rinuncia presentata fuori termine, sia quella relativa ad una dichiarazione sostitutiva. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Per le Casse private resta la doppia tassazione
Il Sole 24 Ore
Federica Micardi
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La prossima legge finanziaria non affronterà l’ annosa questione della doppia tassazione per le Casse di previdenza, che quindi per ora resterà. Lo ha anticipato ieri il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon a margine di un convegno che si è svolto ieri a Milano. Si torna, invece, a parlare dell'”emanando regolamento” sugli investimenti delle Casse di previdenza dei professionisti, di cui si vocifera da anni ma che fino ad ora non ha mai visto la luce. Il tema sarà affrontato oggi durante l’ incontro tra le rappresentanze delle Casse di previdenza e il sottosegretario. Tra gli argomenti sul tavolo ci sono il fondo di garanzia intercasse che, per Durigon è necessario istituire a tutela del sistema della previdenza privata, e l’ eventuale aumento dal 5 all’ 8% come limite di investimenti agevolati nell’ economia reale. Durigon ha anche parlato del caso Inpgi, l’ Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti che ha visto un esodo di iscritti a causa della crisi che sta attraversando l’ editoria, una crisi che ovviamente si ripercuote anche sui conti della Cassa che da alcuni anni registra uscite per pagare le prestazioni maggiori delle entrate: nel bilancio 2017 a fronte di 361 milioni di entrate contributive le uscite per prestazioni sono state pari a 510 milioni . «Mi è stato chiesto di valutare la possibilità di ampliare la platea dei soggetti che possono iscriversi all’ Inpgi – racconta Durigon -e i tecnici del ministero ne stanno verificando la fattibilità, mentre non mi convince la strada della fusione o dell’ accorpamento». Sul tema della doppia tassazione Durigon apre alla possibilità di intervenire, ma non in tempi brevi. Anche Durigon, come chi lo ha preceduto, torna a parlare del ruolo strategico che le Casse di previdenza possono avere attraverso gli investimenti nel Paese. Il loro patrimonio ammonta oggi a 85 miliardi; va però trovato il modo di rispettare l’ autonomia degli enti, consentire loro investimenti “a basso rischio” e garantire un rendimento ragionevole.
Tutte le testate giornalistiche che contano hanno usato, senza fiatare, le informazioni di Rocco Casalino
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Nella vicenda che ha visto protagonista il portavoce del governo, Rocco Casalino, con la divulgazione del suo audio in cui suggerisce indiscrezioni da pubblicare sui giornali relative a una «vendetta dei 5 Stelle contro tecnici e burocrati del Mef», c’ è un pezzo del racconto che non è ancora emerso con chiarezza. Ovvero che Casalino, come ormai usa fare in qualità di comunicatore del M5S e, ora, del premier Giuseppe Conte, ha inviato quel messaggio vocale via WhatsApp a una cerchia piuttosto ampia di cronisti parlamentari nella serata di mercoledì 19 settembre. Si tratta di un nuovo modo di comunicare con la stampa accreditata: file testo e file audio che con un solo clic vengono inviati a liste di giornalisti. Più veloce, più facile, se si vuole anche più democratico. Sono messaggi che devono essere qualificati come «confidenziali», che poi ciascun giornalista attribuisce a «fonti riservate», «persone vicine a», «fonti parlamentari». Nello specifico caso, Casalino spiegava perché il vicepremier Luigi Di Maio quel giorno aveva invitato il ministro Tria a essere serio («nulla di personale, solo un invito generico») e poi annunciava cosa succederà se non saranno trovati i 10 miliardi per il reddito di cittadinanza: «Sarà una mega vendetta, li passiamo per i coltelli questi pezzi di m del Mef, questi tecnici e burocrati che non mettono a disposizione le pieghe del bilancio». Che la tecnica di Casalino funzioni, lo dimostrano tuttavia i quotidiani del giorno successivo, il 20 settembre. La Stampa, addirittura, ci apre il giornale, con il titolo principale della prima pagina che recita «I Grillini: via i tecnici del tesoro», e un pezzo di Ilario Lombardo, a pagina 4, che ribadisce «M5S, nel mirino i tecnici del tesoro». La Repubblica, a pagina 3, ospita un lungo articolo di Tommaso Ciriaco, dal titolo «Tria, M5S all’ attacco del ministero». Messaggero e Corriere della Sera, invece, vanno più cauti, e inseriscono le minacce solo all’ interno delle cronache, senza degnarle di titoli: Alberto Gentili, sul Messaggero, a pagina 3, sottolinea che «i 5 Stelle tornano all’ attacco» del Mef, dove «vorrebbero un repulisti», mentre Alessandro Trocino e Claudia Voltattorni, a pagina 2 del Corriere della sera, scrivono che «i 5 Stelle sono in rivolta contro Tria. Nonostante le rassicurazioni di Di Maio, la pressione resta forte». Insomma, Casalino detta e c’ è chi abbocca. D’ altronde, nel mestiere di giornalisti, spesso ci si ritrova a fare la buca delle lettere di messaggi di qualcuno destinati a qualcun altro. Nei giorni successivi, l’ audio di Casalino, uno dei tanti inviati dal portavoce ma probabilmente quello dai toni più accesi e dal linguaggio più forte, è stato reso pubblico, facendo scoppiare polemiche. Ma, come giustamente hanno fatto notare sia Paolo Liguori, direttore del TgCom24, sia Claudia Fusani, cronista parlamentare per Tiscali news, sarebbe stato opportuno che già mercoledì 19 o giovedì 20 settembre i giornalisti, tutori della libertà di stampa, si fossero scandalizzati del metodo Casalino (usato, peraltro, da tantissimi comunicatori), smascherandolo sui mezzi di informazione, senza invece urlare all’ attento alla democrazia a scoppio ritardato, con tanto di intervento dell’ Ordine dei giornalisti lombardo (cui è iscritto Casalino) per verificare la correttezza del comportamento del portavoce. Come spin doctor, finora, Casalino ha certamente lavorato bene, tenuto conto dei risultati raggiunti dal Movimento 5 Stelle. E pure tutte queste polemiche non faranno che consolidare il suo ben sviluppato ego da burattinaio dell’ informazione che lo stesso Casalino già contribuì a celebrare quando, nel giorno in cui Salvini e Di Maio siglarono l’ accordo di governo, pubblicò in rete il video con cui mostrava in diretta come lui stesso, seduto davanti alla tv, dava live le notizie via WhatsApp al direttore del Tg di La7 Enrico Mentana in studio e ne commentava i tempi di reazione.
Minori sempre più precoci digitali
Italia Oggi
GIANFRANCO FERRONI
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Nel 97,1% dei nuclei familiari c’ è almeno un televisore. Una diffusione che è stata messa in evidenza dal primo Rapporto Auditel – Censis intitolato «Convivenze, relazioni e stili di vita delle famiglie italiane» presentato ieri a Roma al Senato della Repubblica, nella sala Zuccari di palazzo Giustiniani. Un dato che ha fatto riflettere il sottosegretario all’ editoria e all’ informazione Vito Crimi: «È necessario tutelare i minori che sono i soggetti più deboli e, in tal senso, è importante il ruolo dei genitori nel loro percorso di crescita e di educazione all’ utilizzo delle nuove tecnologie. Viviamo in un’ epoca in cui si sta sviluppando una vera e propria dipendenza dalle varie piattaforme digitali quasi come in un «supermercato globale». Per questo, gli strumenti che ci fanno accedere alla rete devono essere considerati come tali». E i minori sono autentici precoci digitali: nella fascia d’ età 4-10 anni il 17,6% ha il cellulare, il 6,7% utilizza il pc fisso, il 24,2% il portatile, il 32,7% il tablet e il 49,2% è connesso al web. I nati dal 2000 in avanti sono il banco di prova tangibile degli effetti sociali, anche sulle relazioni familiari, dei nuovi strumenti tecnologici. Il rapporto si basa su una ricerca effettuata su un campione di 41 mila individui, aggiornamento 7 volte l’ anno, da cui emerge la realtà delle convivenze attuali: 43 milioni sono gli apparecchi televisivi all’ interno delle case. Le donne con il ruolo di capo famiglia sono ormai 6,3 milioni pari al 25,7% del totale delle famiglie. La tv è vista come un elemento aggregante mentre lo smartphone isola. La fruizione dei device digitali è precoce nei bambini e adolescenti dai 4 ai 17 anni. E sono 28 milioni gli utilizzatori notturni che lo hanno eletto a inseparabile partner sin nel proprio letto. Con 11,8 milioni che indicano esplicitamente la fruizione, sempre e ovunque, dello smartphone sul web. Le case degli italiani sono diventate degli showroom di elettrodomestici tradizionali o di ultima generazione. Tra tutti, spicca il televisore: ve ne sono oltre 43 milioni, con il 97,1% delle famiglie che ne possiede almeno uno, contro 14 milioni di pc portatili (48,1%), 7,4 milioni di tablet (26,4%), 5,6 milioni di pc fissi (22,1%). Il 19,3% delle famiglie dispone di almeno un televisore connesso al web o perché è una smart tv perché è un apparecchio tradizionale connesso al web con dispositivo esterno. I telefoni cellulari sono presenti in oltre il 95% delle famiglie, i fissi solo nel 60%. Per il presidente di Auditel Andrea Imperiali, «grazie alla collaborazione e alla costante interazione con le principali istituzioni statistiche, Auditel ha potuto perfezionare e validare un approccio assolutamente originale e lontano dai luoghi comuni per fotografare le trasformazioni in atto nella società italiana. Ora, assieme al Censis, abbiamo deciso di sistematizzare e rendere pubbliche le risultanze della ricerca di base Auditel che rende possibile un racconto reale della nostra società, giacché è basato su un lavoro d’ indagine non mediato e realizzato interamente sul territorio, porta a porta», sottolinea Imperiali. E il sottosegretario alle politiche sociali e al lavoro Claudio Durigon ha rilevato che «il rapporto delinea efficacemente una famiglia di fatto, reale, al cui interno sono presenti elementi disgregatori ed erosivi, come lo smartphone che azzerano formidabilmente i momenti di aggregazione collettiva». © Riproduzione riservata.
DeA Planeta Libri si fa il premio letterario, punta al 5% di mercato e sfida Feltrinelli
Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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DeA Planeta si muove nella Penisola e presenta il premio letterario DeA Planeta per opere inedite, in italiano, di autori esordienti e non. L’ ennesimo riconoscimento tricolore? Forse no, perché le intenzioni della jv paritetica De Agostini Libri e gruppo iberico Planeta, al di là dell’ annuncio, sono quelle di scuotere le parti basse della classifica degli editori di libri in Italia, in termini di quote di mercato sul segmento trade (quello delle librerie). Oggi DeA Planeta Libri ha «circa l’ 1,5-2%», dichiara a ItaliaOggi l’ a.d. Gian Luca Pulvirenti, ma l’ obiettivo è «raggiungere quota 4% nel giro di un triennio, per poi arrivare al 5%», aggiunge il direttore generale editoriale Daniel Cladera. Ma stando ai dati Gfk sul 2017, tra il 4 e il 5% c’ è Feltrinelli. Più distanti, risalendo il ranking, si ritrovano Giunti all’ 8,2%, Gems al 10,2% e sul primo gradino del podio Mondadori con il 28,7%. Quindi dopo le operazioni di concentrazione sui primi posti della classifica, con la cessione di Rcs Libri al gruppo di Segrate, adesso si preannunciano tempi di manovre tra i gruppi che seguono come, per l’ appunto, DeA Planeta Libri e Feltrinelli. Nel futuro della joint venture nata a inizio 2017, ma che solo dallo scorso autunno è entrata nella narrativa straniera e dallo scorso marzo in quella italiana, c’ è da «rafforzare il segmento ragazzi», portato in dote da De Agostini, prosegue Cladera, «così come quello della fiction». Oltre a successi di narrativa come Mi vivi dentro di Alessandro Milan e i premiati come L’ ultimo faro di Paola Zannoner (Strega ragazze e ragazzi), ci sono anche i buoni risultati nella scolastica. Ogni titolo di narrativa, comunque, viene seguito sempre con un occhio a possibili declinazioni non solo cartacee o digitali ma anche audiovisive, sempre secondo il d.g. editoriale. A conferma dell’ appeal commerciale che ogni titolo deve avere, lo stesso riconoscimento italiano DeA Planeta al debutto (in Spagna è alla 67° edizioni con autori premiati da Mario Vargas Llosa a Clara Sánchez) tenderà a selezionare libri «con un’ anima commerciale e internazionale», spiega Cladera. Obiettivo: arricchire il proprio catalogo, volendolo declinare sia in italiano sia in spagnolo, oltre che in francese e inglese a vantaggio di tutto il network. «Non c’ è concorrenza con gli altri premi letterari», precisa Pulvirenti, «perché questi ultimi si rivolgono a opere già edite. Noi a nuovi potenziali talenti». In palio ci sono 150 mila euro come anticipo sulle prime 100 mila copie vendute (royalty aggiuntive sono previste sopra questa soglia). «Nel caso di autori sotto contratto con altri editori», conclude l’ a.d. di DeA Planeta Libri, «ricordo che il bando impegna gli autori solo per l’ opera in concorso». Appuntamento dunque al 15 aprile 2019 per la premiazione a Milano, aspettando metà maggio per la pubblicazione del vincitore. Le selezioni sono aperte fino al 28 febbraio (www.premiodeaplaneta.it). Nel frattempo, in Spagna, il riconoscimento torna in scena il 15 ottobre.
Pubblicità internet al sorpasso
Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Tv e internet peseranno sempre più nel mercato dell’ intrattenimento e dei media nei prossimi anni. Secondo il report annuale PwC, insieme avranno una quota del 69,5% nel 2022, quando tutti i 17 segmenti entertainment & media analizzati dalla società di consulenza varranno in Italia 41 miliardi di euro, dai 32,8 miliardi del 2017, grazie a una crescita media annuale del 4,5%. In questa fetta intorno al 70% del totale, Internet sarà quasi il doppio della tv, 18,8 miliardi (+7,8% all’ anno) contro 9,6 miliardi (+2,1% all’ anno). Nel computo delle entrate si considera tutto: spesa dei consumatori per l’ accesso alla rete e ai contenuti, ma anche la pubblicità. Ed proprio sulla raccolta che PwC segnala il ribaltamento delle posizioni, perché quello che finora è stato il segmento più ampio del mercato pubblicitario, la televisione, lascerà il posto a Internet nel 2019. Il prossimo anno la tv dovrebbe valere 3,23 miliardi, Internet 3,29 miliardi, assunto che nei cinque anni considerati il primo crescerà a un ritmo del 9,7%, il secondo a quello del 2,1%. Che il sorpasso ci sarà è una cosa ovvia, vedremo se realmente accadrà alla fine dell’ anno prossimo, visto che le proiezioni sono tutt’ altro che infallibili soprattutto in questo campo. In ogni caso, il mercato pubblicitario nel suo complesso aumenterà del 4% all’ anno passando dagli 8,1 miliardi del 2017 ai 9,8 miliardi del 2022. In testa per crescita il mobile internet per quanto riguarda le piattaforme (+19,2%) e il video per quanto concerne i formati (+22,5%). Andrea Samaja, che guida il team PwC dedicato al settore, ha sottolineato la grande trasformazione tecnologica che il mercato sta affrontando e che può portare al ribaltamento delle posizioni dei vari attori. «La vecchia affermazione ‘content is king’ viene messa in discussione. Non perché non sia più importante, ma perché oggi la fruizione è importante quanto il contenuto stesso e quindi la piattaforma con l’ innovazione tecnologica e le modalità di accesso pesano parecchio». Basta vedere cosa accade con l’ Internet video, con l’ Italia che diventerà il quinto mercato più grande dell’ Europa Occidentale nel 2022. Nel paese i ricavi di Netflix e gli altri hanno superato l’ anno scorso quelli dei supporti fisici grazie a 2,2 milioni di abbonati (secondo Ovum) e quest’ anno, il solo streaming video on demand avrà ricavi da 343 milioni contro i 272 milioni dell’ intero home video. Ma i pesi di Internet e tv di cui si è detto prima vanno anche a discapito di altri segmenti. Sui quotidiani, per esempio, PwC ha ridotto le stime (probabilmente troppo ottimistiche) rilasciate un anno fa, quando la società di consulenza prevedeva che le perdite di ricavi si sarebbero via via assottigliate fino quasi ad annullarsi nel 2021 grazie alla progressiva sostituzione dei ricavi da carta con quelli da digitale. Con le nuove stime i quotidiani perderanno una media del 4,8% all’ anno di qui al 2022. Un po’ meglio i magazine, che dovrebbero perdere un -1,1% grazie anche alla capacità di diversificazione sul digitale. Per quanto riguarda gli altri settori, i libri sono visti in sostanziale pareggio, il cinema in crescita al 2,7% annuale, la radio al +3,3%, mentre l’ out of home, grazie alle novità introdotte dal digitale, incrementerà del 4,2% all’ anno. Si fa strada la parte audio, con musica, radio online e podcast a +5,9% così come la parte più giovane, dai videogames (+9,9%) al virtual reality (+35%) e agli e-sports,+28%. © Riproduzione riservata.
Rai Way presenta offerta per rilevare la rete di Persidera
La Repubblica
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MILANO Rai Way ha «sottoposto ai soci di Persidera un’ offerta vincolante, soggetta a talune condizioni, per l’ acquisizione dell’ infrastruttura di rete e delle relative attività», ha annunciato ieri in una nota. Persidera, nata dalla joint venture tra Telecom Italia Media Broadcasting, appartenente al gruppo Telecom Italia che oggi controlla il 70% di Persidera, e Rete A, di proprietà del Gruppo Editoriale L’ Espresso (Gedi) che ne detiene il restante 30%, è il più importante operatore di rete indipendente in Italia con 5 multiplex digitali nazionali. Rai Way ne possiede altri 5 ed è per questo che l’ Antitrust potrebbe porre qualche paletto all’ operazione. Il secondo nodo per la cessione è il prezzo, non ancora definito.
SE COMANDA IL MASCHIO
La Repubblica
MARIA NOVELLA DE LUCA
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Ma davvero le donne in famiglia decidono soltanto quale aspirapolvere comprare, perché tutto il resto lo decidono i maschi, come dice il Censis? Ma non è poi la stessa Italia dove sei milioni di madri sono capofamiglia e di queste un milione e settecentomila crescono da sole, totalmente da sole i propri figli? Donne protagoniste, certo, ma ancora e sempre costrette in un’ ombra determinata da rapporti economici impari e segnata nel profondo da un gender gap radicato e insidioso. All’ interno di nuclei familiari oggi trasformati in reti di welfare sostitutive, in cui ( di nuovo) sono loro a reggere l’ accudimento di tutte le fragilità, dai vecchi ai bambini, dai figli precari ai portatori di handicap. Racconta ancora una volta l’ Italia dell’ asimmetria e delle contraddizioni il ponderoso primo rapporto Censis- Auditel su ” convivenze, relazioni, stili di vita”, uno scandaglio della nostra quotidianità basato sulle interviste a 41mila italiani ascoltati “casa per casa”, interrogati su scelte, consumi, connessioni rapporti di potere e stili di vita. Dove uno dei dati più forti sembra una capriola indietro, tra quelle pubblicità anni Cinquanta in cui accanto a una aspirapolvere non mancava mai una donna… Perché nel caso ce lo fossimo dimenticato, l’ istituto fondato da Giuseppe De Rita ci rammenta che «è prevalente il potere decisionale maschile su settori vitali della vita familiare nelle coppie con o senza figli ». Mentre alle mogli e compagne è riservata soltanto l’ autonomia negli «acquisti quotidiani e di elettrodomestici, unici ambiti a prevalente potere decisionale femminile». Il resto, scrive il Censis, «è tutto in mano ai maschi, che nella gran parte dei casi sono i capofamiglia, mentre cresce il peso dei figli nel caso di decisioni di spesa per i device informatici » . Insomma secondo questo sondaggio le donne in famiglia sul fronte economico decidono poco o nulla, se non la marca di un’ aspirapolvere o di un frullatore, la pasta per il pranzo o il pesce per la cena. Come se su tutto il resto non avessero le competenze (ma in realtà i soldi ) per far valere le proprie scelte nell’ arena familiare. E addirittura dopo i mariti sarebbero i figli ad avere più voce delle madri. In realtà lo scenario è assai più frastagliato per fortuna e un po’ meno subalterno. In tema di gender gap quanto afferma il Censis conferma il dato del World Economic Forum che colloca l’ Italia addirittura all’ 82esimo posto su 144 Paesi in tema di parità, ed è la riprova di quanto invece un’ occupazione femminile ferma al 49% significhi per le donne essere fuori dal potere d’ acquisto. Pensiamo alle regioni del Sud, dove una su due non ha lavoro e questo le rende prive di autonomia, vulnerabili, soggette alla violenza e ai ricatti sui figli. Però c’ è anche un’ altra lettura di questi dati, anzi qualcosa che i dati non raccontano, ma la nostra esperienza e il nostro lessico familiare invece sì. E cioè che in buona parte delle famiglie italiane invece le donne contano eccome. Da sempre. In tutti i ceti. E non c’ è decisione, anche economica, che non passi il vaglio di questo matriarcato di fatto. Senza contare che in quelle (poche) regioni dove i dati delle occupate sono simili a quelli maschili, il potere d’ acquisto è identico. E sempre di più nelle coppie giovani, con lavori precari allo stesso modo, in cui è impossibile non guadagnare in due per ipotizzare una vita insieme, esiste una parità diffusa, una complicità di scelte che iniziano a smentire quell’ asimmetria di ruoli e di potere. Una parità con il contagocce che avanza a passi da formica, ma per fortuna avanza. © RIPRODUZIONE RISERVATA Ma nelle coppie giovani esiste una parità diffusa, una complicità di scelte che iniziano a smentire le asimmetrie di potere.
Abolite pure l’ Ordine, nessuno lo rimpiangerà
Libero
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FILIPPO FACCI Molti grillini credono che abolire l’ Ordine dei Giornalisti equivalga ad abolire i giornalisti, o comunque a far loro del male, o eliminarne dei privilegi a margine di una professione che in realtà è sempre più da morti di fame. Non sanno quanti giornalisti sono stra-favorevoli all’ abolizione dell’ Ordine, e probabilmente si sentono avanguardisti anche in questo. Che dire? Facciano. Aboliscano. Questa artificiosa contrapposizione grillini-Ordine tuttavia non tiene conto della possibilità che possano aver torto entrambi: il primo, Casalino, come emblema di quell’ autentico squadrismo antidemocratico che i Cinque stelle mostrano ormai da molti anni in tema di comunicazione, mentre il secondo, l’ Ordine col suo consiglio disciplinare, nelle sue assurde pretese di istruire processini contro qualsiasi collega giornalista che non gli vada a genio: tra questi, ora, c’ è Casalino, che – persino lui – è iscritto all’ Ordine. Detto in altre parole: Casalino, nei suoi minacciosi audio telefonici contro i tecnici del Tesoro, ha mostrato di che pasta sono fatti lui e i minus habens amici suoi, e già lo sapevamo; ma l’ Ordine della Lombardia, nella sua pretesa di fargli un “processino” per quanto ha detto in una telefonata, mostra ancora una volta quanto sia fuori dal mondo nel suo ergersi a giudice etico e deontologico di questo e di quello, peraltro a prescindere dalle leggi civili e penali che già disciplinano i comportamenti dei cittadini, giornalisti e Casalini compresi. Va detto che a Libero purtroppo siamo esperti di entrambe le aberrazioni: dei boicottaggi di Casalino e dei processini a cui l’ Ordine della Lombardia ci ha abituato. Resta l’ impressione che se anche abolissero entrambi (l’ Ordine e Casalino) difficilmente qualcuno scenderebbe in strada a fare le barricate. Ciò detto, su Casalino e dintorni ha già detto tutto Vittorio Feltri proprio ieri: prendere sul serio uno come lui, portavoce di un muto, è una follia. Però è anche vero che da anni, con l’ acquiescenza di autori e conduttori televisivi, il Casalino «responsabile per la comunicazione» ha sempre deciso sui grillini richiesti dai talkshow (coi vari parlamentari a obbedire come servi) anche se il ragazzotto è sempre stato solo un pupazzo di Beppe Grillo. Per anni, ad esempio, appreso che lo scrivente sarebbe stato presente in un programma, Casalino interdiceva la presenza di qualsiasi grillino. Ricordo bene quando fece lo stesso genere di ricatto a Nicola Porro (che allora conduceva Virus su Raidue) e ricordo che Porro si rivolse al presidente della Commissione di Vigilanza Rai, un certo Roberto Fico: gli chiese se fosse giusto che un programma del servizio pubblico dovesse subire delle censure sugli ospiti giornalistici in funzione degli umori del giro grillino. Ecco, Casalino sta semplicemente proseguendo il suo lavoro, e i suoi veti riguardano moltissimi altri colleghi (si potrebbe fare un elenco) mentre troppi colleghi ancora, tra i quali autori e conduttori privi di spina dorsale, per anni hanno fatto buon viso a cattivo gioco. L’ Ordine li facesse a loro, i processi. Invece no: tralasciando il caso di Libero – e ce ne sarebbe, da dire – l’ Ordine in questi anni ha preferito rompere le palle, chessò, su Barbara D’ Urso perché non aveva un adeguato curriculum giornalistico, ma intanto si tollerava che il confronto democratico fosse giostrato da un Casalino che aveva nel curriculum il Grande Fratello, i trenini di Buona Domenica e la scuderia di Lele Mora. Ergo, che dire allora ai grillini: anche stavolta, che agiscano di più e parlino di meno, se proprio ritengono urgente e necessario abolire l’ Ordine, e se davvero – tu figurati – «il provvedimento è già sul tavolo del governo». C’ è di tutto, su quel tavolo. Vorrà dire che l’ Ordine, in Italia, sparirà per il drammatico caso di Rocco Casalino, uno che naturalmente adesso sbraita (assieme al presidente della Camera Roberto Fico e al presidente del Consiglio; scusate, ora me ne sfugge il nome) perché a suo dire diffondere l’ audio della sua telefonata sarebbe incostituzionale e non ha corrisposto a una notizia di interesse pubblico. È questa la democrazia grillina. Se i dirigenti del Tesoro non si piegheranno ai grillini – dice Casalino, portavoce del premier – saranno «fatti fuori». E non sarebbe una notizia, questa: anche senza un Ordine, i giornalisti la pubblicheranno sempre. E, anche senza un Ordine che verifichi se Casalino abbia violato «la legge professionale n. 69 del 3 febbraio 1963», gli elettori giudicheranno. riproduzione riservata.
L'articolo Rassegna Stampa del 26/09/2018 proviene da Editoria.tv.