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Rassegna Stampa del 21/07/2018

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Indice Articoli

“Nel cda Rai io eletto e gli altri nominati”

La spartizione giallo-verde della tv pubblica

La7, avanti con la cura Cairo

Tg, share in crescita. Giornali, Gedi e Rcs aumentano le quote di mercato

France Presse si vende la casa

Il pomeriggio di Rai 1 costerà il triplo

Rinascono gli archivi tv

Whatsapp, nelle chat solo 20 contatti

L’ INFORMAZIONE NON È GRATIS E ANDARE SUL POSTO è FONDAMENTALE

Poltrone di Rai e Ferrovie l’ agenda dei test di coalizione

“Nel cda Rai io eletto e gli altri nominati”

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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“Porterò la voce dei lavoratori al settimo piano di Viale Mazzini. Se c’ è una differenza coi miei futuri colleghi del cda è che loro sono stati nominati (votati dal Parlamento su indicazione dei partiti, ndr), io sono stato eletto”. Riccardo Laganà, 43 anni, tecnico di produzione, è il primo consigliere di amministrazione Rai scelto dai dipendenti, come prevede la nuova legge. Giovedì è stato eletto con 1916 voti, contro i 1356 di Roberto Natale e i 1201 di Gianluca De Matteis, entrambi rappresentanti dei sindacati (Usigrai il primo, Cgil, Cisl e Uil il secondo). Laganà s’ è presentato senza nessuno alle spalle, ma in azienda è conosciuto perché col sito Indignerai e l’ associazione “Rai bene comune” da anni si fa portavoce del malcontento dei lavoratori sui più svariati argomenti, dalla mensa interna alla pioggia che penetra dai tetti. Laganà, lei è il consigliere dei dipendenti arrabbiati? C’ è una parte di voto di protesta. Ma anche una sfiducia nei confronti di figure più istituzionali che magari hanno deluso le aspettative. E c’ è pure la voglia di cambiare, di fare qualcosa di bello per questa azienda. Non me l’ aspettavo. Come intende rappresentare i suoi colleghi in cda? Li consulterà prima di votare? Partecipazione è una delle mie parole preferite. Di sicuro non deciderò da solo ma mi rapporterò coi lavoratori, anche attraverso il web. Qual è il male maggiore della Rai? La dipendenza da interessi privati, siano essi di partito, lobbistici o commerciali. Le forze politiche contano troppo in Viale Mazzini. Noi abbiamo avanzato delle proposte che si sono trasformate in un ddl presentato in Parlamento in cui si prevede la creazione di un trust che stia tra il Palazzo e l’ azienda cui spetti il compito di nominare i vertici e dare un indirizzo. Mercoledì il Parlamento ha votato gli altri 4 consiglieri col classico metodo della lottizzazione. Da un governo che si definisce del cambiamento ci si aspettava qualcosa di più. Ora i 4 avranno modo di dimostrare la loro competenza e la loro indipendenza. Alberto Barachini, ex dipendente Mediaset, è a capo della Vigilanza Rai. Mi chiedo: possibile che dentro Forza Italia non si potesse scegliere qualcuno con un profilo più indipendente? Anche qui si doveva fare uno sforzo in più. Ora, però, mi auguro scelte di alto profilo su dg e presidente, all’ insegna della competenza e del merito. Nomi? Sarebbe inelegante farne. La Rai fa servizio pubblico? Lo fa a macchia di leopardo. Noi abbiamo portato avanti battaglie importanti, come quella del maggior utilizzo delle risorse interne. Purtroppo la tv di Stato sconta un gap tecnologico enorme. Altro che Netflix italiana Come giudica l’ ultima gestione Rai: Campo Dall’ Orto prima e Orfeo poi? Abbiamo perso tre anni, in cui non si è riusciti a presentare né un piano industriale, né un progetto editoriale. Laganà, lo ammetta, ha vinto grazie al suo blog Indignerai mi ha fatto conoscere dentro l’ azienda, non partivo da zero Tra l’ altro è un po’ colpa vostra perché l’ idea del blog, nel 2011, m’ è venuta proprio leggendo gli articoli del Fatto sulla Rai. La mia elezione, però, voglio dedicarla a Roberto Tocci, un collega che non c’ è più, e a Paolo Borsellino. Promessa finale. Devolverò una parte del mio compenso in beneficenza. Invito gli altri consiglieri a fare altrettanto.

La spartizione giallo-verde della tv pubblica

Il Fatto Quotidiano
Giovanni Valentini
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“E poi c’ è il fatto che Mediaset nasce e prospera come una tv commerciale, per consumatori (). Mentre la Rai sarebbe un bene pubblico dei cittadini, di coloro che chiedono un servizio e non solo un prodotto” (da “Italiopoli” di Oliviero Beha – Chiarelettere, 2007 – pag. 69) Ha un bel coraggio Roberto Fico, da presidente della Camera ed ex presidente della Commissione di Vigilanza sulla Rai, a dichiarare che “finisce l’ era delle influenze del governo sui giornalisti della tv pubblica”. Non solo perché finora la maggioranza giallo-verde a cui appartiene non ha cambiato nulla, se non i nomi e le poltrone, in Viale Mazzini e dintorni. Ma, anzi, ha applicato in modo ancora più rigido la “riformicchia” del governo Renzi per la composizione del nuovo consiglio di amministrazione. E soprattutto, perché il governo Conte-Di Maio-Salvini si accinge a utilizzare la stessa legge per nominare il (o la) presidente e l’ amministratore delegato, spartendo a quanto pare le due cariche fra la Lega e il Movimento 5 Stelle. Da presidente della Camera, Fico dovrebbe sapere bene che ciò contrasta con tutte le sentenze della Corte costituzionale che attribuiscono invece al Parlamento il controllo del servizio pubblico radiotelevisivo. E forse, da ex presidente della Vigilanza, dovrebbe deplorare il fatto che, in seguito a un “voto di scambio” tra Pd e Forza Italia, quest’ ultima ha imposto come suo successore un ex dipendente di Mediaset, il giornalista e senatore Alberto Barachini, in cambio della nomina del “dem” Lorenzo Guerini alla presidenza del Copasir, il comitato di controllo dei Servizi segreti. È vero che si tratta di due organi di garanzia e come tali vanno assegnati per galateo istituzionale alle opposizioni. Ma ha ragione Pier Luigi Bersani a parlare di “uno sfregio”. E ancor più le rappresentanze dei giornalisti, la Federazione nazionale della Stampa e il sindacato interno della Rai, a dire che “siamo alla istituzionalizzazione del conflitto di interessi”. Non s’ era mai visto che a capo della Commissione di controllo sulla televisione pubblica venisse insediato un rappresentante dell’ azienda che è la sua principale concorrente. Per fare un paragone parlamentare, e senza offesa per nessuno, sarebbe come nominare Marcello Dell’ Utri alla presidenza dell’ Antimafia. Pur avendo in passato polemizzato duramente con l’ ex ministro Maurizio Gasparri, artefice della famigerata riforma che portava il suo nome, non esitiamo a dire che sarebbe stato meglio lui a Palazzo San Macuto. Se non altro perché si tratta di un uomo politico, proveniente dalle file di Alleanza nazionale e poi emigrato in quelle di Forza Italia: un personaggio, insomma, con cui sai con chi hai a che fare e che, almeno fino a prova contraria, non è stato a libro-paga di Silvio Berlusconi. Tant’ è che perfino il senatore grillino Gianluigi Paragone, già conduttore televisivo, ha commentato polemicamente la scelta di Barachini augurandosi che “non faccia gli interessi di Mediaset, ma quelli degli italiani”. Il guaio è che, qualsiasi cosa faccia o non faccia, il neo-presidente sarà sospettabile di favorire Mediaset o di danneggiare la Rai. Dal “governo del cambiamento” potevamo aspettarci che cambiassero almeno i criteri di nomina ai vertici della Rai. Magari scegliendo figure super partes, competenti, autorevoli, indipendenti. E invece, dovremo assistere a una replica del do ut des fra i due principali azionisti dell’ esecutivo. Un presidente a te, un amministratore delegato a me, secondo i canoni della peggiore lottizzazione.

La7, avanti con la cura Cairo

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Mentre impazza il dibattito sul nuovo quotidiano online di Enrico Mentana, direttore del Tg di La7, sul tipo di rapporto che ci sarà con Urbano Cairo (editore di La7), sulla linea editoriale e il piglio che avrà la nuova avventura, ci sono però i conti della tv di cui Mentana è direttore del Tg e grande ispiratore. Nel bilancio consolidato di Cairo communication, le attività di La7 hanno chiuso l’ esercizio 2017 con ricavi per 101,4 milioni di euro, in calo del 6,3% sul 2016, un mol positivo per 7 milioni, un ebit in rosso per 3 milioni (-6,6 milioni nel 2016) e un risultato netto negativo per 800 mila euro (-1,3 mln nel 2016). Se però andiamo ad analizzare i conti del bilancio civilistico di La7 spa, dove gli ammortamenti sono contabilizzati in altro modo rispetto al consolidato di Cairo communication, la situazione è un po’ diversa. Il valore della produzione è sempre a quota 101,4 milioni di euro, ma cala del 3,9% sul 2016. I costi della produzione, invece, sono ben superiori ai ricavi, a quota 109,1 milioni, e rimangono comunque sotto controllo solo grazie al drastico calo (-10,4%) rispetto al 2016. C’ è stato, infatti, l’ impatto positivo sui costi di palinsesto dopo l’ addio di Maurizio Crozza e del suo show che, da solo, faceva spendere circa 10 milioni di euro all’ anno, e pure la netta razionalizzazione dei costi per i servizi di trasmissione televisiva, che, grazie a Cairo network srl, sono scesi a 8,1 milioni di euro nel 2017 rispetto ai 13,9 mln versati ad altri operatori nel 2016. Il mol è positivo per 5,59 milioni di euro (-2,27 milioni, invece, nel 2016) ma l’ ebit, che è una delle misure più importanti nel valutare l’ attività di una televisione, è negativo per 7,7 milioni (erano addirittura -16,1 mln nel 2016). Con un risultato di fine esercizio che per La7 spa, nel 2017, si traduce in una perdita di 5,3 milioni di euro, rispetto ai 10,8 milioni di rosso del 2016. Nulla di cui preoccuparsi, ci mancherebbe, anche perché nel 2018 gli ascolti di La7 stanno andando benissimo e ci si attende una netta crescita della raccolta pubblicitaria dal prossimo autunno. Tuttavia la posizione finanziaria netta (parametro cui Urbano Cairo è affezionatissimo) di La7 spa è passata dai 104 milioni in cassa di inizio 2016 ai 93,4 milioni di inizio 2018. Insomma, tutto questo per dire che già all’ interno di La7 ci sono ancora tante cose da fare per migliorare i conti. Nel caso dell’ online, per esempio, i ricavi di La7 sono di appena 1,59 milioni di euro nel corso del 2017, rispetto agli 1,4 milioni del 2016. E su questo fronte lo stesso Urbano Cairo, nel commentare l’ iniziativa di Mentana, ha voluto anche tirare qualche frecciatina: «Con Mentana abbiamo un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, è il direttore del nostro tg, ha una esclusiva, siamo amici, non c’ è nessun problema con lui. Mentana, certo, pone un tema centrale legato al lavoro dei giovani. Io, come editore, tra Italia e Spagna, faccio lavorare oltre 8 mila giornalisti tra dipendenti e personale a borderò. E comunque, se Mentana farà delle cose, ha detto che le farà con me. Segnalo, per esempio, questi numeri: il quotidiano New York Times ha 94 milioni di utenti unici nell’ aprile 2018, il sito di Cbs news ne ha 68 milioni, quello di Cnn, altra tv ma specializzata nelle news, ne ha 122 milioni. Se guardiamo all’ Italia, nei rapporti tra utenti unici di quotidiani importanti e di tv dedicate alla informazione, qualcosa non torna. Il Corriere della Sera ha 2,5 milioni di utenti unici al giorno, mentre La7, tv specializzata nell’ informazione, ne ha appena 120 mila. Lì si deve fare di più. E lì», conclude Cairo, «si potrebbero dirottare risorse giornalistiche dipendenti di La7, dove abbiamo circa 100 giornalisti, e magari anche i giornalisti giovani di cui parla Mentana, nella sua proposta buttata lì in un post su Facebook». A La7, per la precisione, lavorano sei dirigenti, 59 quadri, 122 giornalisti (di cui 97 a tempo indeterminato), 275 impiegati (255 a tempo indeterminato) e un operaio, per un totale di 464 persone, numero costante rispetto al 2016. Mentana, tuttavia, ha fatto sapere che nella sua nuova iniziativa di quotidiano online non coinvolgerà Cairo come editore, ma, al massimo, come concessionaria di pubblicità. Staremo a vedere. © Riproduzione riservata.

Tg, share in crescita. Giornali, Gedi e Rcs aumentano le quote di mercato

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Cresce l’ ascolto delle edizioni serali dei principali telegiornali: secondo l’ Osservatorio trimestrale dell’ Autorità per le garanzie nelle comunicazioni pubblicato ieri, a marzo quasi tutti i tg hanno incrementato la propria quota degli ascolti sul totale, con l’ eccezione del Tg1, che è rimasto stabile ma che è sempre il più seguito dagli italiani (5,7 milioni di spettatori), e del Tg2, calato dal 7,3% di share di marzo 2017 al 6,7% di quest’ anno. Il secondo posto è sempre del Tg5, che guadagna 0,4 punti percentuali al 19,6% (4,7 milioni di spettatori). Ma a crescere maggiormente nel periodo considerato sono le due edizioni del Tg3, quella regionale, terza in classifica, e quella nazionale, quarta, entrambe in crescita di un punto percentuale. Dopo il Tg2, quinto, c’ è il Tg di La7, con il suo 5,5% di share contro il 5% di un anno prima e così avanzano leggermente anche Studio Aperto, al 5%, e Tg4, al 4,2%. Guardando alle audience della tv in generale, sempre a marzo (l’ osservatorio prende in considerazione il primo trimestre) è La7 l’ unico gruppo ad aumentare gli ascolti rispetto a un anno prima: la share cresce di 1,4 punti percentuali fino al 3,5% e il gruppo di Urbano Cairo si conferma al quinto posto. Per il resto share stabili o in leggero calo: Rai al 36,3% (-0,7), Mediaset 32,5% (-0,2), Sky 7,6% (-0,2), Discovery 6,2% (-0,2). Per quanto riguarda la carta stampata i primi due gruppi editoriali italiani, Gedi e Rcs, incrementano la loro quota di mercato, sempre a marzo: Gedi arriva al 20,5% (+0,6), Rcs al 20,1% (+0,4). Il gruppo Amodei (Corriere dello Sport, Tuttosport), che è terzo, cala invece di un punto percentuale all’ 8,6% del mercato. Al quarto posto Monrif è piuttosto stabile con un 7,5% (+0,2), così Caltagirone con il 7,2%, mentre il Sole 24 Ore, 4,9% di marketshare, cede 0,2 punti. In totale le vendite di marzo sono calate di 250 mila unità, -8,2%. Passando a Internet, cresce l’ audience di tutti i gruppi, nazionali e internazionali. Google e Facebook restano ovviamente ai vertici: 32 milioni e 29 milioni di utenti unici mensili rispettivamente, ma crescono anche ItaliaOnline (18 milioni), Mondadori (17 milioni), Gedi (15 milioni) Rcs (12 milioni). Fra i social, dopo Facebook arriva l’ altra piattaforma di Mark Zuckerberg, Instagram (15 milioni di utenti unici a marzo), poi distanziati Linkedin (11 milioni), Twitter (7,9 milioni), Pinterest (6,1 milioni), Google+ (5,7 milioni), Tumblr (2 milioni) e Snapchat (1,5 milioni). L’ Osservatorio trimestrale riporta i dati del mercato delle comunicazioni, alcuni già diffusi durante l’ audizione annuale dell’ Agcom: il settore (che comprende telecomunicazioni, media e servizi postali) è cresciuto dell’ 1,2% nell’ intero 2017 a 54,2 miliardi di euro. Al suo interno, i media pesano per il 26,9% e sono calati dello 0,9%, le tlc hanno la fetta maggiore (59,4%) e sono in aumento dello 0,9%, mentre i servizi postali sono al 13,7% dei ricavi totali, in crescita del 6,6%. © Riproduzione riservata.

France Presse si vende la casa

Italia Oggi
MARCO A. CAPISANI
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Emmanuel Macron colpisce al cuore il sistema francese dei media, ossia li tocca sui soldi e stringe i cordoni della borsa riducendo i finanziamenti. Proprio mentre in Italia si aspetta la nuova governance della Rai in salsa giallo-verde e si completano le caselle nelle convenzioni governo-agenzie stampa, Oltralpe la prima a farne le spese è l’ Agence France Presse (Afp) che sta valutando di vendere la sua sede storica, accanto alla Borsa di Parigi. Obiettivo dell’ Ansa transalpina (terza agenzia al mondo dopo Associated Press-Ap e Reuters): evitare una impasse finanziaria con un deficit di budget atteso sui 21 milioni di euro, in aggiunta a un rosso già previsto per oltre 10 milioni di euro. La cura dimagrante ci sarà anche per tv e radio pubbliche visto che France Télévisions, Radio France e il resto del sistema audiovisivo nazionale devono risparmiare in tutto 190 milioni di euro (di cui 180 milioni solo per France Télé e Radio France). In parallelo, tutti queste case editrici dovranno sborsare 150 milioni di euro aggiuntivi in investimenti sul digitale. Colpisce che il presidente della Repubblica tra i più comunicativi (ma solo in prima persona) abbia messo nel mirino proprio i media, anche se solo tre mesi fa (vedere ItaliaOggi del 17/4/2018) aveva già dato avvio a un valzer di nomine ai vertici. O, meglio, di normalizzazione con la scelta di manager vicini a lui e al suo movimento En Marche. Fatto sta che France Presse, dopo un periodo senza la guida di un presidente-direttore generale (in francese pdg), si ritrova adesso a dover raddrizzare conto economico e riscadenziare debiti da rendere a breve per 8 milioni di euro. E non se ne parla di chiedere un aumento dei fondi che lo Stato versa per la copertura degli eventi nazionali e internazionali d’ interesse generale (una sorta di convenzione all’ italiana che vale 110 milioni di euro, in Italia un’ ottantina circa). Così l’ attuale pdg Fabrice Fries ha varato un nuovo piano di sviluppo che, a differenza del suo defenestrato predecessore Emmanuel Hoog, si concentra su foto e video. Passano in secondo piano sport e new business (accordi con nuovi clienti). Fries vuole andare anche all’ estero a pescare nuovo fatturato, in particolar modo in Africa e Medio Oriente (visto che in alcune zone si parla per giunta francese), senza dimenticare gli Stati Uniti. Il traguardo è quella di equilibrare al 50% le fonti di ricavi (nel 2016 pari a 300,5 milioni di euro) tra parola scritta e immagine (video+foto). Oggi la prima pesa in media per il 61%, la seconda per il restante 39%. Da ultimo, anche le fake news contribuiranno al rilancio dell’ Ansa francese visto che «l’ informazione sicura è diventata un prodotto di lusso», conclude Fries, «e alla lotta alle bufale online può contribuire Afp con i suoi giornalisti». Al momento non sono esclusi tagli nel personale.

Il pomeriggio di Rai 1 costerà il triplo

Libero

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GIANLUCA MONTANINO Mamma Rai fa la spesa per «abbuffare» i telespettatori nella prossima stagione televisiva; specialmente, gli affezionati ai programmi pomeridiani. Stando a quanto riporta il sito Dagospia, infatti, i vertici di Viale Mazzini puntano molto sul daytime – il pomeriggio (dalle 14 alle 18,45) della rete ammiraglia (volendo contrastare la corazzata di Barbara d’ Urso a Pomeriggio 5). Prima novità, alle 15.30, torna un titolo di consolidato successo che, da appuntamento settimanale, trasmesso in prima serata diventa un quotidiano: dal 10 settembre va in onda Il Paradiso delle Signore, terza stagione. La fiction è prodotta da Aurora Tv ed è in questi giorni sul set a Roma dopo il mancato accordo con la sede Rai di Torino. Secondo Prima Comunicazione (che ha spiegato la faccenda già sul numero in edicola ad aprile), la Rai avrebbe investito 20 milioni di euro per la realizzazione di 180 episodi. Non proprio bruscolini, insomma. NUOVI PROGETTI A conti fatti, una sola puntata de Il Paradiso delle Signore costa circa 110 mila euro, undici volte il costo di un episodio de Il Segreto (comprato dall’ estero) che si sarà anche abbassato in termini di gradimento, ma nell’ ultima stagione ha ottenuto oltre il 24% di share al pomeriggio. Ma lasciamo da parte telefilm e soap opera e veniamo ai programmi veri e propri. Per l’ atteso Vieni da me, progetto di Magnolia che segna il ritorno di Caterina Balivo al primo canale (dopo il successo sul secondo di Detto Fatto), la televisione di Stato sborserebbe, invece, 4 milioni euro, secondo quanto scritto da Davide Maggio, a fronte dei 3 milioni di Zero e Lode (il tiepido quiz condotto da Alessandro Greco) durando solo quindici minuti in più. Notare che la Rai non si è mai scomodata a smentire queste cifre. Andando avanti nel palinsesto pomeridiano di Rai 1, alle 16.30 ci imbattiamo nella nuova Vita in diretta presentata dalla riconfermata Francesca Fialdini e dalla novità Tiberio Timperi: nella stagione 2017/18 il contenitore pomeridiano sarebbe costato a puntata circa 35 mila euro, per un costo complessivo stagionale di oltre 6 milioni di euro. Premesso che il programma quest’ anno dovrebbe durare circa 70 minuti in meno, dunque si prevede una riduzione dei costi. Comunque, sommando Vieni da me, Il Paradiso delle Signore e La Vita in Diretta si arriva a un totale che si aggira intorno ai 30 milioni, euro più euro meno. CONTI DELLA SERVA Quindi, come riporta in maniera ancora più chiara Dagospia, (facendo quasi i conti della serva): «Conti alla mano il nuovo pomeriggio costerà alla Rai come due edizioni del Festival di Sanremo (16.4 milioni di euro nel 2018) e quasi come i diritti della Champions League in chiaro (pagati quasi 40 milioni)». La spesa aumenterebbe dai 9 milioni dello scorso anno ai circa 30 per la stagione in arrivo, più del triplo. Non è dato conoscere al momento le previsioni di Rai Pubblicità su questi prodotti: sicuramente, ci sarà molta ansia intorno ai loro debutti, visto e considerato che solo ascolti sensibilmente più alti degli ultimi anni potrebbero giustificare investimenti tanto massicci. Fra l’ altro, conduttori e attori non hanno alcuna responsabilità diretta sull’ operazione. Non a caso, nei corridoi di Viale Mazzini corre già un simpatico soprannome per il nuovo programma della Balivo: Vieni da Me… «che c’ ho i sordi». riproduzione riservata Una parte del cast della fiction Rai «Il Paradiso delle Signore»

Rinascono gli archivi tv

Corriere della Sera
Renato Franco
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DAL NOSTRO INVIATO TORINO Un grande racconto sull’ evoluzione dell’ Italia attraverso eventi, personaggi, cambiamenti culturali e di costume che hanno segnato il nostro Paese, attraverso programmi di intrattenimento entrati nella sostanza dell’ immaginario collettivo. Da un secolo (le prime trasmissioni radiofoniche risalgono al 1924) la Rai rappresenta un pezzo importante della nostra memoria, che in tempi smemorati non guasta: documenti, immagini e suoni che ci raccontano quello che siamo stati, fonte condivisa di identità. «Dire che la Rai è un patrimonio comune non è uno slogan – spiega la direttrice di Rai Teche Maria Pia Ammirati -. Stiamo vivendo una fase di rinascimento degli archivi, l’ espansione viaggia su un doppio binario: da una parte l’ audiovisivo è diventato fonte storica primaria utile agli studiosi, dall’ altro gli archivi spingono al riuso di materiali che alimentano i programmi che vanno in onda. L’ archivio dunque non ha più solo la vecchia funzione di conservazione, ma anche quella più dinamica di riuso del materiale di repertorio». Un aiuto per la didattica degli storici, ma anche a chi costruisce palinsesti per 13 canali, basta pensare al successo di un programma di «ritagli» come Techetechetè. Se la vocazione principale di Rai Teche è quella della preservazione, fruizione ed evoluzione dell’ archivio, questa passa in primo luogo dalla attività di digitalizzazione, che da Torino si innerva negli altri poli di produzione. Trasferire in un file digitale milioni di ore di messa in onda è problema non indifferente, perché dal 3 gennaio 1954 (primo giorno di trasmissioni televisive regolari) ad oggi i supporti video sono passati attraverso oltre 20 standard diversi seguendo il cammino dell’ evoluzione della tecnologia. La digitalizzazione però non è che l’ atto finale di una filiera che ha la sua prima stazione nel restauro, fondamentale per rendere nuovamente integre immagini che altrimenti andrebbero perse. E La lunga strada del ritorno – dove Blasetti diede voce a 150 reduci della Seconda Guerra Mondiale – è la rappresentazione plastica di come da una pellicola rovinata si possa ricostruire una pellicola premiata ai Focal International Awards. Un lavoro di recupero incessante che si affianca a quello di ricerca di programmi perduti per sanare i più eclatanti «buchi» d’ archivio. Fra i grandi ritrovamenti in atto ci sono quelli della serata finale del Festival di Sanremo 1968 e 1967 («con un’ atmosfera molto malinconica per il suicidio di Tenco»); il recupero della prima stagione di Blitz e delle due stagioni complete della Tv della Ragazze. «In vista del trentennale e del ritorno in tv di Serena Dandini questo recupero assume ancora più importanza». Parallelo è anche lo sviluppo di nuovi progetti volti al riutilizzo e alla valorizzazione del patrimonio archivistico: «Il patrimonio audiovisivo è infatti materia produttiva con molte storie da raccontare, non solo replica, effetto nostalgia o curiosità, non memoria inerte ma elemento generatore che, ri-elaborato, diventa racconto nuovo». Così ecco la produzione di film documentari in collaborazione con Rai Cinema costruiti attingendo esclusivamente alla ricchezza del contenuto d’ archivio: «È un percorso che Rai Teche ha iniziato tre anni fa – spiega ancora Ammirati -. L’ idea è quella di utilizzare l’ archivio per realizzare grandi film, ricostruendo in modo narrativo un grande tema. Il bianco e nero rivitalizzato da un montaggio avvincente restituisce la fotografia di un tempo passato senza annoiare. Lo abbiamo sperimentato con I bambini nel tempo di Roberto Faenza e Filippo Macelloni, un viaggio attraverso l’ immagine dell’ infanzia a partire dagli anni 50. I progetti del 2018 sono un titolo sulla camorra affidato a Francesco Patierno; una storia del rapimento di Aldo Moro, per la regia di Luca Rea; un racconto inedito e originale su Federico Fellini di Eugenio Cappuccio; un grande affresco di Cristina Comencini sul mondo femminile e la sua evoluzione dagli anni 50 ad oggi». Guardare al passato per capire il presente. In tempo di slogan, non è uno slogan.

Whatsapp, nelle chat solo 20 contatti

Il Giornale
Manuela Gatti
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Manuela Gatti Ricevi, leggi, inoltra a tutti i contatti. Bastano due clic su Whatsapp per diffondere il panico tra decine di migliaia di persone. Anche senza motivo. Lo dimostra l’ India, dove nelle ultime settimane l’ isteria collettiva scatenata dai messaggi ricevuti sugli smartphone ha portato al linciaggio di più di 20 persone: scambiate per rapitori di bambini, la loro unica colpa è stata in realtà quella di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Le crescenti dimensioni del fenomeno hanno costretto l’ app a intervenire, introducendo limiti nell’ inoltro per tutti gli utenti e misure specifiche per l’ India. In uno dei primi video che hanno scatenato il panico si vedono due uomini a bordo di un motorino che avvicinano un gruppo di bambini e se ne portano via uno. Il filmato – diventato virale su Whatsapp, che in India ha un miliardo e mezzo di iscritti – finisce qui. La versione originale, però, prosegue con i due che tornano e rilasciano il piccolo, mostrando un cartello che dice: «Ci vuole solo un attimo per rapire un bambino dalle strade di Karachi». Il video, infatti, era parte di una campagna di sensibilizzazione sul tema promossa dal governo pakistano (Karachi è la città più popolosa del Paese). Non si sa chi l’ abbia manomesso e l’ abbia diffuso così. Altri messaggi che girano tra le chat parlano di «200 rapitori di bambini arrivati in città» e si raccomandano di «stare vigili». Una delle prime vittime della paura incontrollata è stata, a maggio, una 65enne, Rukmani, che insieme a 4 familiari si stava recando in visita a un tempio nello Stato del Tamil Nadu. Sulla strada hanno trovato una folla inferocita che li aspettava: hanno assalito la loro auto, li hanno tirati fuori a forza e picchiati con ferri, bastoni, mani e piedi, come mostrano i video – anche quelli – circolati online. La donna è morta per i colpi subiti. A giugno, invece, è stata la volta di Kaalu Ram, 26 anni. Arrivato a Bangalore, nello Stato di Karnataka, in cerca di lavoro, anche lui è stato scambiato per un rapitore di bambini ed è stato picchiato a morte. Un video lo mostra con mani e piedi legati, trascinato per le strade della città. L’ elenco prosegue: a inizio luglio nel Maharashtra 5 persone sono state linciate dopo essere state viste parlare con un bambino in un mercato. L’ ultimo episodio riportato dai media risale invece al 13 luglio, quando il 27enne Mohammad Azam e 2 amici sono stati attaccati da una folla di 2mila persone, sempre nel Karnataka. Secondo la polizia i tre amici si sarebbero fermati fuori da una scuola e avrebbero offerto del cioccolato agli alunni. La fobìa dei rapimenti di bambini in India è motivata dal fatto che ogni anno sono decine di migliaia i piccoli che spariscono nel nulla, condannati alla prostituzione o al traffico degli organi. Ma i 24 morti registrati da maggio a oggi hanno mostrato a cosa può portare la disinformazione e hanno convinto Whatsapp a prendere provvedimenti. La scorsa settimana la società, acquistata da Facebook nel 2014, ha comprato alcune pagine sui principali quotidiani indiani per spiegare, in inglese e in hindi, come distinguere le notizie vere dalle bufale. Ieri, invece, l’ app ha annunciato novità più drastiche, anche se per ora in forma di test. Se finora i messaggi potevano essere inoltrati a 250 contatti contemporaneamente, permettendo di far arrivare quel contenuto in pochissimo tempo a migliaia di persone, ora il limite scende a 20 contatti. Per l’ India, invece, sono state pensate novità ad hoc: lo stesso messaggio potrà essere inoltrato solo a 5 chat e sarà eliminato il tasto di inoltro rapido presente di fianco ai contenuti multimediali. La società, che si è detta «sconvolta» dai linciaggi, ha detto di sperare che questi cambiamenti «aiuteranno Whatsapp a rimanere un’ app sicura e affidabile per comunicare con amici e parenti, il motivo per cui è nata».

L’ INFORMAZIONE NON È GRATIS E ANDARE SUL POSTO è FONDAMENTALE

Corriere della Sera
Brescia
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Caro Aldo, a proposito del servizio Rai, mi chiedo che senso abbia inviare, da parte di RaiNews24, una giornalista in Thailandia per seguire le operazioni di recupero dei ragazzi intrappolati nella grotta. Guardando i servizi effettuati fino ad ora, tutto poteva svolgersi in Italia leggendo i giornali locali o i social. Infatti non c’ è stato alcun contatto con i soccorritori, le autorità e il luogo della vicenda è blindato e isolato. A chi giova un servizio del genere? Uno spreco fra i tanti. Caro Marco, H o letto la sua mail nei giorni scorsi, mentre ero all’ estero per servizio, e ho pensato di risponderle solo privatamente. Un po’ perché mi sentivo in conflitto di interessi. Un po’ perché i giornalisti tendono a parlare sin troppo di giornalismo; proprio come gli idraulici di idraulica, i demografi di demografia, i gastroenterologi di apparato digerente. Poi ho deciso che per una volta si parlerà di giornalismo anche qui. Sono in totale disaccordo con lei. RaiNews24 ha fatto bene a mandare un inviato, come bene ha fatto il Corriere. Francesco Battistini ha svolto come sempre un gran lavoro, coprendo quasi 24 ore al giorno il salvataggio dei ragazzi, sul giornale e sul sito. Del resto, è uno degli inviati che hanno sempre la valigia pronta, e quando arriva la chiamata disdicono vacanze, cambiano il programma della famiglia, prendono, partono; e dopo poche ore hanno già parlato con i colleghi locali, si sono trovati una o più fonti, hanno annusato l’ aria, visto, intuito, scritto. È un lavoro tanto bello quanto difficile, che richiede talento, tecnica, esperienza; non lo può fare chiunque; proprio come l’ idraulico, il demografo, il gastroenterologo. Farlo attraverso un computer o, come suggerisce lei, i social, significa ragionare per schemi, costruirsi un’ idea astratta della realtà, e cercare poi segni che la confermino. Andare sul posto è fondamentale. Parlare con le persone, vivere le vite degli altri. Certo è anche un costo (anche se i tempi della business class e dei grandi alberghi sono finiti, ed è giusto così). Ma l’ informazione non è gratis. Gratis sono soltanto le cose che vogliono farvi trovare.

Poltrone di Rai e Ferrovie l’ agenda dei test di coalizione

La Repubblica

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1 Dg di Viale Mazzini Nell’ agenda nomine il prossimo capitolo è la Rai. La Lega ha ipotecato il posto di presidente (indicando Giovanna Bianchi Clerici) mentre spetta ai 5Stelle designare il direttore generale, vero capo azienda 2 Ferrovie dello Stato Il 27 luglio c’ è l’ assemblea di Fs. La Lega si oppone alla fusione con Anas voluta dall’ attuale numero uno Renato Mazzoncini. 3 Scintille su Eni Sotto tiro un membro del cda di Eni, Fabrizio Pagani, già nello staff del ministro Padoan. Secondo Buffagni, dei 5Stelle, “dovrebbe dimettersi”

L'articolo Rassegna Stampa del 21/07/2018 proviene da Editoria.tv.


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