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Rassegna Stampa del 17/07/2018

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Indice Articoli

Dal manager Disney alla cronista del Tg1 M5S vota i nomi per il cda della Rai

Il sindacato di Viale Mazzini: ecco dove sono i conservatori

Mediaset esulta Pier Silvio Berlusconi: «Siamo orgogliosi»

Signorsì e Signornò

Chi sono i candidati targati M5S

Laganà, Enni Paradisi & C. gli outsider del nuovo Cda

Veti incrociati Lega-M5S sulle nomine Rai e 007

Tv e club felici, il tifoso fregato paga due volte per la Serie A

Rai, le mani M5s sul Cda Spunta la cronista «amica»

«Sui Mondiali Mediaset ha fatto servizio pubblico»

Ora i cattivi di periferia mettono le mani su Roma

Cda Rai, M5S vota online i candidati

Rai, siglato il patto Giorgetti-Di Maio Bianchi Clerici presidente, l’ ad ai grillini

La partita Rai: Bianchi Clerici alla presidenza

Rai, Bianchi Clerici per la presidenza la mossa della Lega

Ei Towers, arriva l’ Opa di Mediaset e F2i

I numeri incoronano il Biscione: share al 34%

Premium, affaccio con Dazn sul campionato di Serie A

I diritti connessi tutelano la democrazia

Lega su FB, M5S su WhatsApp: così si informano i nuovi politici

Ma per il cacciato Mastrapasqua nessuno gridò allo scandalo

Gasparri a un passo dalla presidenza

La figuraccia di Fazio L’ uomo d’ oro Rai bocciato da Qualitel

Biscione, quasi 300 milioni di telespettatori per le partite dei mondiali di Russia 2018

Calcio, le mosse di Sky e Mediaset

Perform, in dirittura d’ arrivo gli accordi per Liga spagnola e Ligue 1 francese

Mediaset-F2i, opa su Ei Towers

Fieg, stretta su rassegne stampa in radio, tv e web da settembre

Cda, in lizza un licenziato e una cronista del Tg1

Rai, deroga al tetto la tentazione M5S per lo stipendio del nuovo manager

Mediaset e F2i, Opa sulle torri l’ obiettivo è la fusione con Rai

La Serie A e il collage delle tv il sabato sera è in streaming

Mondiali record 297 milioni in tv per Mediaset

Rai, l’ editto dei 5 Stelle: esclusi Santoro e Minoli

Più web e produzioni interne In bilico anche Fazio e Vespa Ecco la tv pubblica giallo-verde

I grillini votano online per il cda della Rai In corsa la giornalista criticata da Casalino

Dal manager Disney alla cronista del Tg1 M5S vota i nomi per il cda della Rai

Corriere della Sera

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EMANUELE BUZZI – MILANO Piccoli passi avanti nella partita delle nomine. I Cinque Stelle si muovono sul fronte Rai e indicano una rosa di nomi (Paolo Cellini, Beatrice Coletti, Paolo Favale, Claudia Mazzola, Enrico Ventrice) come candidati consiglieri per il consiglio d’ amministrazione Rai. I militanti sceglieranno oggi con una votazione sulla piattaforma Rousseau i nomi che il Movimento dovrà portare in Aula. Il nuovo cda Rai, infatti, non sarà più composto da 9 membri, ma da 7 e i consiglieri saranno eletti – due per parte – da Camera e Senato, altri due dal Consiglio dei ministri. Uno, infine, sarà scelto dall’ assemblea dei dipendenti Rai. «Vogliamo mettere la parola fine alla lottizzazione della tv di Stato», scrivono i pentastellati sul blog. Tra i candidati Cellini vanta esperienze in multinazionali come Microsoft e Disney. Coletti – che i rumors accreditano tra i favoriti – è stata amministratrice delegata e direttrice di canali tv. Favale, invece, è un avvocato con esperienza decennale nella direzione Affari legali della Rai, dove ha lavorato fino al 2014. Il suo caso è tornato alla ribalta pochi giorni fa: la Cassazione ha annullato il provvedimento della Corte d’ Appello di Roma di licenziamento per giusta causa. Ventrice è un documentarista e produttore televisivo. Mazzola, invece, è una giornalista che da anni segue i 5 Stelle per il Tg1: nel 2014 finì all’ indice sul blog accusata di mandare in onda «servizietti». Da allora però è trascorso del tempo e la scelta suscita le critiche del dem Michele Anzaldi: «L’ indicazione in cda Rai, da parte del M5S, della cronista del Tg1 che segue da anni proprio il Movimento per il primo Tg Rai, è il trionfo del conflitto di interessi, l’ apoteosi della lottizzazione politica del servizio pubblico». Ma la maggioranza di governo in queste ore, più che ai consiglieri, guarda con apprensione ai vertici aziendali: il tetto dei compensi (a 240 mila euro annui) sarebbe un ostacolo per la scelta di alcuni manager indicati come papabili per il ruolo di direttore generale. Le indiscrezioni indicano sempre (ma con, appunto, maggiori riserve) Fabio Vaccarono, country manager di Google, oltre a Fabrizio Salini, un passato come direttore di La7, e prima ancora ad di Fox Italia dal 2014 al 2016. Lega e 5 Stelle, intanto, ragionano anche sugli assetti della tv di Stato. Il Movimento guarda al Tg1, mentre il Carroccio punta a Rai1. Più delicata la partita che riguarda le testate giornalistiche regionali, con la Lega pronta a far sentire la propria voce. Un equilibrio da trovare che si preannuncia complicato. Un’ altra partita che corre parallela alle nomine Rai è quella che riguarda i vertici di Cassa depositi e prestiti: in questo caso Lega e M5S sarebbero orientati sul duo composto dal vicepresidente della Bei Dario Scannapieco (come amministratore delegato) e da Fabrizio Palermo (direttore generale). In questo caso, però, i nodi da sciogliere sono con il Tesoro. E la soluzione non appare per nulla scontata.

Il sindacato di Viale Mazzini: ecco dove sono i conservatori

Corriere della Sera
Milena Gabanelli
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Caro direttore, ieri Milena Gabanelli è tornata a parlare della Rai Servizio Pubblico dalle pagine del Corriere della Sera, quotidiano di proprietà – ricordiamolo – dello stesso editore di La7, Urbano Cairo, che nei giorni scorsi ha chiesto per la sua azienda una fetta del canone. Riteniamo doverose alcune precisazioni. L’ Usigrai chiede da anni una profonda rivoluzione delle news e un serio progetto web. Chi non è in grado di proporli è il vertice della Rai: negli ultimi 3 anni ben 3 progetti sono stati scritti e affossati dagli stessi vertici. Senza mai arrivare al confronto con il sindacato. Quindi i conservatori, quelli che difendono l’ esistente, non sono nelle redazioni, ma nel Consiglio di amministrazione della Rai. Gabanelli ne sa qualcosa, visto che lei stessa è stata costretta a lasciare la Rai perché bloccata non certo dalle redazioni, ma dai conservatori del settimo piano di Viale Mazzini. Le inefficienze che Gabanelli denuncia, l’ Usigrai le denuncia da anni: sono il «costo della politica». Pertanto, chi vuole il bene della Rai Servizio Pubblico deve curare non il sintomo ma la malattia: la vera urgenza è una riforma per liberare la Rai dai governi e dai partiti. Attaccare la Rai e i lavoratori della Rai con dati parziali e fuorvianti fa il gioco di chi vuole privatizzare. Due dati: 1 – parlando di stipendi, citare il «costo azienda» dà l’ idea di un guadagno abnorme: di quei 70 mila euro, ad esempio, il lavoratore percepisce circa 2 mila euro al mese. 2 – tra i principali Servizi Pubblici europei, la Rai ha il canone più basso, il minor numero di dipendenti, ma lo share più alto e la quota di mercato più grande. Chi ha intenzione di delegittimare la Rai, o addirittura a ridimensionarla, troverà sempre l’ opposizione del sindacato. Chi ha a cuore il rilancio e il futuro della Rai Servizio Pubblico, troverà sempre l’ Usigrai dalla sua parte, pronta sempre a confrontarsi nel merito. Nell’ interesse esclusivo dei cittadini. Non ho scritto che il neoassunto incassa 70.000 l’ anno, ma che si tratta del costo azienda, e non ho attaccato i lavoratori della Rai. Al contrario, ho denunciato l’ inefficienza mostruosa prodotta dalle scelte politiche nella spartizione delle poltrone. Se nulla cambia forse è anche perché il vostro sindacato non sta facendo grandi battaglie.

Mediaset esulta Pier Silvio Berlusconi: «Siamo orgogliosi»

Corriere della Sera

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Quasi trecento milioni di telespettatori hanno visto il Mondiale russo sui canali Mediaset, 49 milioni in più (+19,7%) rispetto all’ edizione Brasile 2014 con l’ Italia in lizza e trasmessa da due diversi operatori, Rai più Sky. «Questa avventura – ha dichiarato Pier Silvio Berlusconi (foto) – è stata un orgoglio per tutti noi che lavoriamo a Mediaset. Orgoglio di averci pensato e poi creduto quando tutto il sistema televisivo era scettico. Un orgoglio aver deciso in modo innovativo di portare tutti i 64 match del Mondiale in diretta nelle case degli italiani. Ed è stato un orgoglio aver fatto tutto questo, sia in Italia sia in Spagna, in maniera totalmente gratuita, senza canoni o abbonamenti. Per un editore, questa è la soddisfazione più grande: offrire un vero servizio per il pubblico». La partita più vista in assoluto è stata la finale Francia-Croazia, nonostante l’ orario pomeridiano: 11.688.000 spettatori, con uno share del 66,58%, che sale al 69,51% nella fascia tra i 15 e i 44 anni, La gara più seguita in prime-time è stata Croazia-Inghilterra con 10.785.000 spettatori (share 47,23%). La media-ascolti delle partite in day-time è 3.815.000 spettatori (30,7% share), in prime-time 7.133.000 (34,19%). Molto rilevanti anche i dati del digitale: in diretta sul web e sui dispositivi mobili le visualizzazioni sono state oltre 35 milioni. Circa 20 milioni hanno utilizzato i contenuti digitali Mediaset con 600.000 download.

Signorsì e Signornò

Il Fatto Quotidiano
Marco Travaglio
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Da anni non guardo il Tg1 per motivi di igiene personale. Quindi non conosco Claudia Mazzola, la telegiornalista inserita dai 5Stelle nella cinquina di aspiranti candidati al nuovo Cda Rai messi ai voti sulla piattaforma Rousseau. L’ unica cosa che so di lei è quel che leggo sui social, stupiti dal fatto che i 5Stelle la candidino dopo che quattro anni fa Rocco Casalino l’ aveva duramente attaccata sul blog di Grillo per un suo servizio, accusandola di “disinformazione”, “propaganda del governo” e “vergogna”; e alcuni parlamentari M5S avevano chiesto le dimissioni sue e dell’ allora direttore Mario Orfeo. Il che mi basta e mi avanza per sperare vivamente che Claudia Mazzola, se ha i requisiti di competenza, entri nel nuovo Cda Rai. Sarebbe il primo caso, nella storia repubblicana, di lottizzazione all’ incontrario: cioè di un partito che premia nel “servizio pubblico” un suo avversario, vero o presunto. Se pensiamo ai Cda precedenti, o anche solo all’ ultimo (pieno di ex parlamentari o di portaborse che a stento distinguono un televisore da un forno a microonde, con un paio di lodevoli eccezioni, fra cui di Carlo Freccero, indicato dai 5Stelle senz’ averli mai votati), sarebbe un enorme passo in avanti. E una sorprendente prova di intelligenza e apertura mentale da parte di un movimento che spesso compie sforzi immani per apparire stupido e intollerante almeno quanto i partiti che dice di combattere. Per lo stesso motivo sarebbe una gran cosa se Conte e Di Maio confermassero a presidente dell’ Inps un illustre economista come Tito Boeri. Nominato da Renzi malgrado il grave handicap di non essere toscano e di non appartenere al Giglio Fradicio, Boeri era entrato quasi subito in rotta di collisione col presunto rottamatore (che voleva cacciarlo già un anno fa), mostrando un’ indipendenza che ora lo rende immune da qualunque sospetto di collusione con i partiti. È vero: l’ ha fatta fuori dal vaso con la seconda relazione tecnica al decreto Dignità che, con criteri economicamente molto dubbi, prevede un crollo di 8 mila contratti a tempo determinato all’ anno (e perché non 6,5 o 9,7? Boh). Un oracolo che ha lo stesso valore scientifico di un oroscopo e che la Ragioneria dello Stato – quella sì sospettabile di remare contro il nuovo governo, all’ insegna del motto di tutti gli Ancien Régime: “Quieta non movere et mota quietare” – ha subito colto al balzo per dare una mano alle solite lobby. Ma i governi intelligenti le voci critiche e autorevoli come quella di Boeri devono attirarle e incoraggiarle, non respingerle. Evitare accuratamente di circondarsi di yesmen. E , fra un Signorsì e un Signornò, preferire sempre il secondo. Il potere dà alla testa e avere a tiro qualcuno che ti aiuta a non sbagliare e a tenere i piedi per terra è la migliore garanzia di successo e di longevità. Se, al posto della sua corte di tirapiedi & leccapiedi toscani, Renzi si fosse circondato di tanti Boeri (che invece restò rara avis, e sempre in bilico) in grado di contraddirlo, avrebbe capito per tempo quand’ era il caso di fermarsi. Un attimo prima di varare la Buona Scuola, il Jobs Act e altre boiate che gli inimicarono milioni di italiani. Un istante prima di schiantarsi sulla Costituzione, sull’ Italicum e sul Rosatellum. E un secondo prima di stroncare sul nascere il dialogo con i 5Stelle, per gettarli fra le braccia di Salvini. Anche B. si era giocato due governi su tre per non aver saputo ascoltare prima Bossi, che rovesciò il primo sulla riforma delle pensioni, e poi gli alleati centristi e finiani, che lasciarono il terzo in dissenso sull’ economia e sulla legalità. Chi pretende cieca obbedienza e fedeltà assoluta, cioè le virtù dei cani e i vizi degli uomini stupidi, resta solo con un branco di bestie e di cretini. E si suicida. È il rischio che corrono ora i nuovi detentori del potere, se non sapranno scegliersi i collaboratori giusti, cacciando i veri nemici con un sano spoils system e conservando o attirando i veri amici. Anche se oggi, nella strana alleanza giallo-verde, le forze centrifughe sono molto più spiccate che nelle coalizioni precedenti, perché il governo Conte non si regge su un’ alleanza strategica fra partiti contigui, ma su un’ unione tattica suggellata da un contratto fra due contraenti diversi, se non opposti, e certamente concorrenti. Estinta FI e disperso il Pd, la dialettica maggioranza-opposizione si gioca tutta nell’ area di governo. E addirittura in seno al contraente maggiore: i 5Stelle, che lasciano convivere varie anime molto diverse e talora contraddittorie (attorno a Di Maio, Grillo, Fico e Di Battista), mentre la Lega appare per ora (ma fino a quando?) un monolite plasmato a immagine e somiglianza del capo assoluto Salvini, che come il duce ha sempre ragione e non viene mai messo in discussione da alcuno. Al momento, l’ assenza di voci critiche dal fronte leghista potrebbe indurre Di Maio a tacitare le voci critiche dentro e fuori i 5Stelle per strillare più di Salvini e contendergli la scena. Ma sarebbe pura miopia. Se l’ opposizione tace perché non sa cosa dire, le diversità nel movimento e nel governo vanno non solo tollerate, ma incoraggiate come un valore aggiunto e un’ opportunità per il futuro. Non è affatto detto che il potere logori chi ce l’ ha e che il 32% del 4 marzo sia una vetta ineguagliabile da cui si può solo scendere. I primi successi raccolti in Europa sui migranti da due figure mediaticamente inconsistenti come Conte e Moavero dimostrano che gli strilli quotidiani alla Salvini non pagano. Alla lunga gli italiani ubriachi di sparate potrebbero stufarsi e preferire uno stile di governo sempre intransigente nei fatti, ma più tranquillizzante nei toni. Allora chi avrà più frecce al proprio arco vincerà. E chi ne avrà una sola, magari spelacchiata, perderà.

Chi sono i candidati targati M5S

Il Fatto Quotidiano
Gia. Ros.
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Ecco chi sono i candidati per il cda Rai targati M5S , che oggi saranno votati sulla piattaforma Rousseau. Claudia Mazzola : dal 2012 è nella redazione politica del Tg1, dove si occupa proprio del M5S . Qualche tempo fa fu attaccata da Rocco Casalino per un servizio del Tg1 che non era piaciuto al Movimento (“il Tg1 fa servizietti”, furono le parole del capo della comunicazione del M5S ). M5S , però, su di lei deve avere cambiato idea. È stata anche a Telecamere e Rai Parlamento. Paolo Favale : avvocato specializzato nella rappresentanza legale delle società, le sue maggiori esperienze sono nel settore comunicazione, nell’ audiovisivo e nel diritto d’ autore. Per anni ha lavorato nell’ ufficio legale della Rai di cui è stato direttore fino al 2014 quando venne licenziato con l’ accusa di aver rivelato all’ esterno dati sensibili. Dopo diversi ricorsi, giorni fa la Cassazione ha annullato il licenziamento. Beatrice Coletti : manager televisiva, come si evince dal suo curriculum, ha lavorato a Sky Italia, Fox, Disney Channel, La7, Sole 24 Ore e Freemantle. È stata anche ad del canale Supertennis. Un profilo manageriale e molto televisivo che è sicuramente il suo punto di forza. Enrico Ventrice : documentarista, filmmaker e produttore televisivo, negli ultimi anni ha lavorato negli Usa per Global Vision Group Newsnet, un’ azienda che si occupa di news e produzioni tv. Dopo aver prodotto una 20 documentari all’ estero, nell’ aprile scorso ha deciso di tornare a lavorare in Italia. Paolo Cellini : altro uomo azienda, docente della Luiss, ha lavorato in diverse imprese, anche multinazionali. Attualmente a Octo Telematics, è stato anche in Seat Pagine Gialle, Buffetti, Benetton, Invitalia, Disney. Rispetto agli altri ha un profilo meno televisivo.

Laganà, Enni Paradisi & C. gli outsider del nuovo Cda

Il Fatto Quotidiano
Gia. Ros.
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E alla fine spuntò l’ outsider. Giovedì i dipendenti Rai di tutta Italia (oltre 13.000 persone) voteranno il loro rappresentante interno per il Cda di Viale Mazzini. E a sorpresa potrebbe farcela Riccardo Laganà, il tecnico di produzione che, dall’ ottobre 2011, fa le pulci all’ azienda con il suo blog IndigneRai cui ha fatto seguito, nel marzo 2015, la nascita dell’ associazione Rai bene comune. Partita in sordina, la sua candidatura ha preso quota strada facendo, andando a raccogliere molto del malcontento tra i dipendenti, specialmente tra quelli di fascia media. Secondo riservati sondaggi interni, sarebbe il favorito, seguito da Gianluca De Matteis (il candidato di Cgil, Cisl, Uil e Ugl) e Roberto Natale (Usigrai). Dei 15 candidati iniziali, già due si sono ritirati dando indicazione di voto proprio per Laganà: Emidio Grottola (altro candidato di IndigneRai) e Piero Pellegrino (sindacato Snater). Oggi è l’ ultimo giorno in cui ci si può ritirare. Sarà interessante vedere se ci saranno altre defezioni frutto di alleanze e convergenze. Siamo ormai alle battute finali della campagna elettorale e i candidati partiti come favoriti – Natale, De Matteis e Stefano Ciccotti di Adrai – stanno cercando di convincere gli altri a convergere su di loro. Tra gli outsider più corteggiati ci sono Alessandra Paradisi, protagonista di un’ ottima campagna di comunicazione, e la direttrice di Raigold, Roberta Enni. I candidati, però, lamentano la poca collaborazione di Viale Mazzini, cui hanno chiesto, ottenendoli solo nelle ultime ore, spazi comuni per gli incontri con i dipendenti e dirette streaming con le sedi sparse per l’ Italia. L’ unico a fare campagna nelle sedi regionali è stato De Matteis, con relative polemiche degli altri. Si vota tutta la giornata di giovedì, fino alle 21, via web.

Veti incrociati Lega-M5S sulle nomine Rai e 007

Il Fatto Quotidiano

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Stefano Feltri e Carlo Tecce – La lunga settimana delle poltrone si apre con l’ indicazione dei rappresentanti del Partito democratico e di Forza Italia per le commissioni parlamentari di garanzia, preludio alle scelte del governo sul Consiglio d’ amministrazione Rai e Cassa depositi e prestiti. Può sembrare il segnale di un accordo tra la maggioranza e le opposizione per nominare i presidenti della Vigilanza Rai e dell’ influente Copasir, il comitato parlamentare che sorveglia i servizi segreti. In realtà è soltanto il prologo di uno scontro politico ancora pulsante che si può concludere in due modi: o Cinque Stelle e Lega si dividono sul tema delle poltrone oppure si blocca tutto. Perché resistono due veti. Quello dei leghisti per non assegnare il Copasir a un rappresentante dem, nello specifico al renziano Lorenzo Guerini . Quello dei pentastellati che rifiutano l’ ipotesi di consegnare la vigilanza a Maurizio Gasparri di Forza Italia, il senatore emblema del conflitto di interessi di Silvio Berlusconi e firmatario da ministro di una legge che ha ingabbiato lo sviluppo televisivo in Italia. Siccome la questione riguarda i numeri e pure la politica, la soluzione costruita negli ultimi giorni colloca gli azionisti del governo gialloverde in posizioni differenti. Con la Lega che vota per Gasparri, ma non per Guerini e il Movimento che vota per Guerini, ma non per Gasparri. Il rapporto incrociato con le minoranze, sempre mercoledì, si ripropone per le elezione dei consiglieri di Viale Mazzini in Parlamento, due ciascuno tra Camera e Senato. A ogni gruppo spetta una preferenza, dunque per selezionare il secondo è obbligatorio un patto tra due gruppi: da largo del Nazareno, sede del Pd, sono pronti a condividere un nome con Forza Italia, ma i leghisti non sono disposti – in alcuna circostanza – ad aiutare i dem. Così appare assai complicato reperire la maggioranza dei due/terzi in Vigilanza necessaria per indicare il presidente del Cda Rai. Con una rottura sul pacchetto Rai e sul Copasir di mercoledì, immaginare una sintonia nel governo sugli amministratori delegati di Viale Mazzini e Cassa – appena venerdì – è inverosimile. Però le trattative non s’ interrompono e i contatti tra i partiti sono costanti. I Cinque Stelle s’ affidano al sottosegretario Stefano Buffagni , che gode della fiducia del vicepremier Luigi Di Maio e di Davide Casaleggio . Il dossier Rai lo segue anche il sottosegretario Vincenzo Spadafora , interlocutore privilegiato dei dem pure sul Copasir. I contatti del Movimento con i leghisti, invece, li cura l’ onnipresente Buffagni. Quando si parla di Lega e di nomine ci si riferisce a Giancarlo Giorgetti , sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e, in seconda battuta, Massimo Garavaglia . Il no del Carroccio al Copasir per Guerini può far saltare qualsiasi patto tra maggioranza e minoranza. Ancora ieri sera, un leghista molto ascoltato da Matteo Salvini , pronosticava lo slittamento totale delle nomine. A complicare tutto c’ è la sostanziale paralisi del ministero del Tesoro, che è l’ azionista di riferimento e il titolare formale dei poteri di nomina tanto per la Cassa Depositi e Prestiti quanto per i vertici della Rai, amministratore delegato e presidente (che verranno però scelti da Di Maio e Salvini). Le mosse del ministro Giovanni Tria risultano incomprensibili a molti: prima ha confermato quasi tutti gli uomini dello staff del predecessore Pier Carlo Padoan , incluso il capo di gabinetto Roberto Garofoli visto da Lega e M5S come espressione di vecchi assetti di potere da contestare. E ora, scaduti i termini per lo spoils system, sembra essersi pentito e ha deciso di affidare a un consigliere parlamentare, Fortunato Lambiase , la segreteria tecnica del ministero che pare destinata a gonfiarsi fino a oltre 20 persone e diventare una sorta di gabinetto parallelo. Con queste oscillazioni, Tria cerca di prendere tempo su tutto. E poiché la scelta dei vertici della Cassa Depositi e Prestiti (dovrebbe arrivare dalla Bei Dario Scannapieco ) influenza quella del direttore generale del Tesoro (ai Cinque Stelle non piace Alessandro Rivera , c’ è l’ ipotesi di Stefano Scalera ) anche a Tria va benissimo rinviare tutto. Fino a quando non si sa.

Tv e club felici, il tifoso fregato paga due volte per la Serie A

Il Fatto Quotidiano
Carlo Tecce
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Più o meno un mese, trenta giorni, settecento ore. Manca tanto, troppo, all’ inizio del prossimo campionato italiano di calcio. Per il tifoso c’ è il vuoto davanti, domeniche inutili, vacanze ostili. Eppure una data esiste, un traguardo da bramare: il 19 di agosto, le squadre in campo. E il tifoso, esausto e felice, sul divano o in battigia può godersi lo spettacolo con frittatona di cipolla, familiare di Peroni ghiacciata, tifo indiavolato, rutto libero. E una fregatura. Perché quest’ anno per guardare sempre la Roma o la Juve, la Lazio o l’ Inter servono due abbonamenti. Sky Italia trasmette sette partite di Serie A su dieci, Perform e Mediaset – dopo l’ ultimo accordo – ne offrono tre su dieci, l’ anticipo del sabato, l’ anticipo bis della domenica a pranzo, una gara a caso del pomeriggio. Per alleviare lo sconforto dei tifosi, costretti a spendere di più e a saltabeccare di qua e di là, la Lega può illustrare lo strepitoso successo del bando (non ridete troppo) per assegnare i diritti televisivi, ripetuto più volte per accontentare i famelici presidenti e l’ equilibrio del mercato italiano. Che poi, i tifosi turlupinati e dissanguati, non sono in estasi per le fortune dei presidenti? La Lega incassa 1,07 miliardi di euro a stagione, più altri 370 milioni per l’ estero, più altri 50 milioni per la Coppa Italia. Così Andrea Agnelli può retribuire con più agio Cristiano Ronaldo; Aurelio De Laurentiis può pianificare un ambizioso futuro con Carlo Ancelotti; James Pallotta può confermare i calciatori più blasonati, eccetera eccetera. Non s’ è mai capito – e adesso è un ginepraio – se il pallone può sopravvivere senza subire la prepotenza delle televisioni e se le televisioni possono sopravvivere senza interferire nel calcio. Nel duello tra i signori del pallone e i signori delle televisioni, un ambiente naturale per mediatori, furbetti, luminari spagnoli (ricordate la saga di Mediapro?), il tifoso è l’ unica vittima, stritolata dai calcoli sbagliati. Sky Italia ha la sindrome del monopolista, e sperava di pagare meno (comunque assai) per avere tutto. Mediaset (cioè Premium) sperava di pagare poco (comunque quasi zero) per avere qualcosa. Gli inglesi di Perform – i nuovi che sbarcano in Italia per elevarci al mito della visione su Internet – hanno pagato abbastanza per avere un pezzetto. Con Mediaset in tribuna, come spiegato, Sky Italia ha conquistato sette partite su dieci e Perform tre su dieci. E poi la Lega ha pregato – mica tanto – per una collaborazione fra i due concorrenti, per garantire al tifoso, già pronto per il 18 agosto, l’ intero campionato con un unico abbonamento. Il Biscione s’ è infilato tra Sky e Perform e ha stretto un patto con gli inglesi che salva Premium, inguaia gli ex nemici di Sky e condanna il tifoso. Ora Mediaset rammenta che la soluzione più innovativa era quella antica. Quando Murdoch e Berlusconi litigavano e poi condividevano quasi equamente – con Sky che spendeva almeno il doppio – la Serie A. Hanno vinto tutti o hanno perso tutti, non importa. La fregatura, quella sì, è per tutti: due abbonamenti per un campionato. Aspettando l’ inciucio di Ferragosto tra Perform e Sky Italia.

Rai, le mani M5s sul Cda Spunta la cronista «amica»

Il Giornale
PATRICIA TAGLIAFERRI
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Passa dalla piattaforma Rousseau anche la scelta dei candidati per il nuovo consiglio di amministrazione Rai, che il M5s fa scegliere ai suoi iscritti tra una rosa di cinque nomi rimasta dopo una prima scrematura dei curriculum arrivati a Camera e Senato effettuata dai vertici del Movimento. Tra questi quello di Paola Mazzola, la giornalista di Rai1 che da sempre e tutt’ ora segue i Cinque Stelle con servizi e interviste sul Tg più importante di viale Mazzini. Una circostanza questa che rischia di stridere con i tanti e ripetuti proclami di Luigi Di Maio a farla finita con la lottizzazione dentro la Rai. Anzi, l’ effetto pare essere esattamente l’ opposto. Gli iscritti potranno votare oggi dalle 10 alle 19 esprimendo una sola preferenza e i profili più votati saranno quelli che il Movimento esprimerà domani in Parlamento, chiamato ad eleggere i quattro dei sette consiglieri di sua competenza, non più eletti dalla commissione di Vigilanza Rai. I rimanenti saranno scelti due dal consiglio dei ministri e uno dall’ assemblea dei dipendenti dell’ azienda. I Cinque Stelle, c’ è scritto sul Blog, puntano a realizzare una tv pubblica dove il merito sia il principale criterio di selezione e dove lavorino «giornalisti non asserviti al partito di turno», anche se proprio la Mazzola, secondo le classiche logiche Rai, è considerata a viale Mazzini «in quota» M5s. Gli altri candidati pentastellati oggi al voto sono Beatrice Coletti, manager con varie esperienze televisive, Paolo Cellini, docente di Economia digitale alla Luiss che ha lavorato per Microsoft e Walt Disney, Paolo Favale, avvocato ed ex dirigente Rai a lungo responsabile della struttura di consulenza giuridica di viale Mazzini, Enrico Ventrice, documentarista e produttore televisivo freelance. E poi appunto la Mazzola, nota anche per un episodio accaduto nell’ agosto di quattro anni fa quando sul Blog delle Stelle Rocco Casalino, allora semplice responsabile della comunicazione del Movimento e ora anche portavoce del premier Conte, firmava un post intitolato «I servizietti del Tg1» in cui la attaccava per un servizio definito «una meschina bugia costruita ad arte per infangare il M5s». Da allora, però, di acqua sotto i ponti ne è passata, tanto che Casalino e Mazzola sono considerati ormai «molto vicini». Così, la sua presenza tra i candidati pentastellati al cda Rai non passa inosservata. «È il trionfo del conflitto di interessi, l’ apoteosi della lottizzazione politica del servizio pubblico», scrive su Facebook il deputato Pd Michele Anzaldi, chiedendosi come mai la giornalista non si sia candidata nello spazio riservato ai dipendenti Rai ma «punti ad arrivare al cda attraverso l’ indicazione della politica». Anche Forza Italia ha da ridire. «Viene spontaneo domandarsi che fine abbia fatto la bonifica della emittenza pubblica promessa dal M5s», denuncia l’ azzurro Roberto Rosso, componente della Commissione Tlc della Camera.

«Sui Mondiali Mediaset ha fatto servizio pubblico»

Il Giornale

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A ragion veduta Mediaset festeggia i risultati di questo Mondiale, dopo la finale di domenica. In un comunicato l’ azienda fornisce i riscontri avuti. «L’ ascolto cumulato di tutti i match è stato pari a 297 milioni di telespettatori, 49 milioni in più (+19,7%) rispetto all’ edizione precedente con l’ Italia in campo, Brasile 2014, trasmessa da due diversi operatori, Rai più Sky». Ecco dati d’ ascolto più significativi. Partita più vista: finale Francia-Croazia, in orario pomeridiano: 11.688.000 spettatori, share 66.58%. Partita piu’ vista in prime-time: Croazia-Inghilterra: 10.785.000 spettatori, share 47.23%. Media ascolti partite in day-time: 3.815.000 spettatori, share 30.7%. Media ascolti partite in prime-time: 7.133.000 spettatori, share 34.19%. Interessanti anche i dati digital. Le partite viste in diretta sul web e sui dispositivi mobili hanno registrato oltre 35 milioni di visualizzazioni. Circa 20 milioni di utenti unici hanno fruito dei contenuti digita con oltre 600.000 download dell’ app ufficiale. L’ amministratore delegato di Mediaset Pier Silvio Berlusconi, ovviamente soddisfatto, commenta: «Per prima cosa un caldo ringraziamento a chi il mondiale l’ ha raccontato: tutta la nostra squadra di giornalisti, operatori, tecnici e addetti agli studi che per un mese consecutivo hanno dato il meglio senza alcuna sbavatura. Bravi davvero. Perché questa avventura è stata un orgoglio per tutti noi che lavoriamo a Mediaset. E’ stato un orgoglio averci pensato e poi creduto quando tutto il sistema televisivo era scettico. E’ stato un orgoglio aver deciso in modo innovativo di portare tutti i 64 match del Mondiale in diretta nelle case degli italiani. Ed è stato un orgoglio aver fatto tutto questo, sia in Italia sia in Spagna, in maniera totalmente gratuita, senza canoni o abbonamenti. Per un editore, questa è la soddisfazione più grande: offrire un vero servizio per il pubblico».

Ora i cattivi di periferia mettono le mani su Roma

Il Giornale
Pedro Armocida
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Pedro Armocida Non è più il mare di Ostia a fare da sfondo alla seconda stagione di Suburra le cui riprese sono in corso in queste settimane a Roma. La grande novità dei nuovi otto episodi prodotti da Cattleya in collaborazione con Rai Cinema e diretti dal veterano della serie Andrea Molaioli (eccetto il 4, il 5 e il 6 ad opera di Piero Messina), è già condensata nel promo lanciato da Netflix in cui il titolo della seconda stagione, sempre ispirata all’ omonimo romanzo di Giancarlo De Cataldo e Carlo Bonini, emerge, con un gioco visivo, dagli antichi sampietrini inghiottiti nell’ oscurità. Perché il dark side della Capitale, da che Roma è Roma, risiede lì, nell’ immobilismo delle sue vestigia che però tutto muove attraverso l’ esercizio atavico del potere. Così non è un caso che la visita di ieri sul set dell’ episodio numero 7, all’ ombra incerta della suggestiva, seppur incompiuta, Vela dell’ architetto Calatrava nella zona universitaria di Tor Vergata, abbia come centro una scena in cui sono presenti contemporaneamente quasi tutti i protagonisti – Alessandro Borghi nei panni di Aureliano, Giacomo Ferrara in quelli di Spadino, Claudia Gerini/Sara Monaschi, Filippo Nigro/Amedeo Cinaglia e Eduardo Valdarnini/Lele (manca solo Francesco Acquaroli/Samurai) – e in cui la frase d’ ordine è: «Dobbiamo colpire al Centro di Roma, basta Ostia. Dobbiamo spaventare la borghesia e finire su tutti i giornali». Perché, come anticipa Claudia Gerini, «nella borghesia si nascondono tante cose, c’ è una doppia faccia con un lato apparentemente legale…». La location è quella familiare, per chi conosce la serie, perché è, diciamo così, la sala riunioni dei protagonisti più giovani che ora vogliono alzare un po’ la posta in gioco: «Se nella prima stagione – spiega Giacomo Ferrara, suo il personaggio/rivelazione di Spadino – li troviamo focalizzati a cercare il loro posto nel mondo, ora hanno capito le cose fondamentali e cercano di conquistare Roma». «Questa seconda stagione – racconta una dei due registi, Andrea Molaioli – inizia tre mesi dopo quella precedente e, come quella, ha un arco narrativo breve di una ventina di giorni che sono quelli che ora intercorrono tra il primo e il secondo turno delle elezioni del sindaco di Roma». Sapremo solo durante la messa in onda su Netflix, all’ inizio del prossimo anno, se ci sono riferimenti più o meno velati al reale ballottaggio tra Alemanno e Rutelli nel 2008 ma intanto uno dei protagonisti, Alessandro Borghi, si fa scappare che un candidato sindaco «va a cena con i Casamonica». Mentre il personaggio del politico Amedeo Cinaglia si troverà a essere – come dice Filippo Nigro che lo interpreta – «l’ ago della bilancia con la gestione di una porzione di voti che determinerà le sorti di una parte politica». Questo per far capire come la seconda stagione, scritta da Barbara Petronio, Ezio Abbate e Fabrizio Bettelli, sia molto più incentrata sulla politica rispetto la prima e che il suo mescolamento con il pianeta criminale, metta in scena perfettamente tutte le componenti di Roma Capitale e del suo tristemente noto «mondo di mezzo» alla base di Suburra e del suo interesse che si è trasformato anche nel successo della serie. Ecco dunque che tra le tante location, buona parte dei set si concentrino nel centro storico tra Palazzo Spada, Via della Conciliazione, Montecitorio, Piramide. Ma, nella torta Capitale, una fetta, larga, è sempre gestita dalla Chiesa che vedremo all’ opera anche attraverso la figura di Sara Monaschi interpretato da Claudia Gerini: «Nella prima stagione – dice l’ attrice a proposito del suo personaggio – lei ha perso un po’ tutto ma, grazie alle sue conoscenze politiche, riesce a gestire una Onlus e a entrare nel business, che capisce essere molto remunerativo, degli immigrati. È una donna sempre più assetata di potere». Totalmente nuovo rispetto alla serie è l’ altro regista, Piero Messina, che nel 2015 aveva esordito al cinema con l’ autoriale L’ attesa e ora sta preparando l’ opera seconda: «È stata un’ esperienza bella e particolare perché nei miei episodi ci sono molte scene d’ azione e sono stato quindi costretto a fare cose che non immaginavo di saper fare». Mentre Alessandro Borghi, nei panni di Aureliano Numero 8, è il veterano di Suburra avendo partecipato anche al film diretto da Stefano Sollima, il regista che in questi giorni ha debuttato ad Hollywood con Soldado: «Sono 4 anni che ho addosso il numero 8 e comincio a credere che certe cose che pensa lui, solo io le possa capire».

Cda Rai, M5S vota online i candidati

Il Manifesto

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Oggi dalle 10 alle 19 gli aventi diritto voteranno sulla piattaforma Rousseau per sceglierei candidati M5S al Cda Rai. Ma i 5S hanno fatto «una prima scrematura». Si potrà scegliere tra 5 nomi: Paolo Cellini (manager che insegna economia digitale alla Luiss e ha lavorato per Microsoft e Walt Disney); Beatrice Coletti (manager con varie esperienze tv tra La7, Sky, Fox, ex ad di Sportcast); Paolo Favale (ex dirigente Rai, a lungo responsabile del settore di consulenza giuridica); Claudia Mazzola (giornalista Tg1); Enrico Ventrice (documentarista e produttore tv). Claudia Mazzola nel 2014 era stata duramente attaccata sul blog di Grillo da Rocco Casalino- ora portavoce del premier Conte – accusata di fare «servizietti». Favale era stato licenziato dalla Rai con l’ accusa di aver diffuso informazioni riservate (la Cassazione a maggio ha accolto il suo ricorso).

Rai, siglato il patto Giorgetti-Di Maio Bianchi Clerici presidente, l’ ad ai grillini

Il Mattino
CLAUDIA MAZZOLA
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LA TRATTATIVA ROMA Accordo fatto sulle presidenze delle Commissioni di garanzia (Pd e FI hanno indicato i loro nomi), trattative febbrili sul Cda della Rai. Al Copasir blindata l’ intesa già raggiunta diverse settimane fa: a guidarlo sarà il dem Guerini. Per la Vigilanza Rai si gioca un derby interno a FI tra l’ ex ministro Gasparri e l’ ex giornalista Mediaset Barachini che avrebbe il consenso anche di Lega e M5s: Berlusconi propende proprio per quest’ ultimo, sulla linea del rinnovamento portato avanti con la nomina di Tajani a vicepresidente. Ma il patto tra maggioranza e opposizione dovrà comprendere un pacchetto che annovera le nomine anche per il Csm e la Corte Costituzionale. E soprattutto il futuro di viale Mazzini. L’ ELEZIONE Domani Camera e il Senato saranno chiamati ad eleggere due componenti per parte. FI non farà asse con il Pd. Tecnicamente le due forze d’ opposizione potrebbero eleggersi un componente a Montecitorio e un altro a palazzo Madama, ma gli azzurri giocheranno di sponda con la Lega per poi passare all’ incasso su altre poltrone. Altri due membri del Cda saranno scelti dal Tesoro, mentre un altro verrà designato dall’ assemblea dei dipendenti dell’ azienda. Al momento l’ ipotesi di un rinvio della votazione, ipotizzata dalla Lega, sembra tramontata. M5s ha fatto la sua prima mossa: oggi dalle 10 alle 19 sceglierà online su Rousseau i suoi candidati in una rosa di cinque tra le centinaia di curricula giunti a palazzo Madama e Montecitorio. Sui vertici Rai M5s e Lega stanno lavorando ad un ticket con entrambi i nomi espressi dal Mef, blindando di fatto la nuova governance giallo-verde. Ieri sera il vicepremier Di Maio e il sottosegretario alla presidenza Giorgetti hanno discusso appunto su uno schema che prevede la presidenza al partito di via Bellerio (espressa dal Cda, dovrà incassare il sì dei due terzi della Vigilanza) e l’ ad (indicato direttamente dal Mef) al Movimento 5 stelle. EN PLEIN Il Carroccio punta su Giovanna Bianchi Clerici. Un esperienza parlamentare come deputata della Lega, ma per sette anni già consigliere d’ amministrazione a Viale Mazzini e attuale componente dell’ Autorità Garante della privacy. Per il ruolo di ad, invece, da settimane si fa il nome Vaccarono (dal 2012 Country Director di Google Italy) anche se il diretto interessato si è chiamato fuori. La maggioranza giallo-verde in ogni caso potrebbe fare quasi l’ en plein nel Cda Rai (lasciando un solo membro all’ opposizione) mentre sul ruolo dell’ ad pentastellati avrebbero vinto il braccio di ferro. Di Maio vuole intestarsi la partita del nuovo corso della Rai. «La Rai che vogliamo la spiegazione sul blog sarà imparziale e indipendente». Dal punto di vista industriale «l’ obiettivo è quello di far evolvere la Rai verso un modello di moderna media company che punti sul digitale e sull’ innovazione». M5s, come si diceva, ieri ha schierato le sue pedine sullo scacchiere. Cinque nomi che verranno votati sulla piattaforma on line. Beatrice Coletti (tra le tante mansioni capo delle produzioni del Gruppo Fox, si è occupata delle startup dei canali italiani e della creazione dei canali Fox Crime e Fox Life; dirigente di TI Media come responsabile delle produzioni News e Sport di La7 Televisioni), Paolo Cellini (ha lavorato per Microsoft e Disney e in Italia come ad e dg e componente del cda di aziende pubbliche e private nei settori media/high tech e retail. Insegna Economia digitale alla Luiss), Paolo Favale (fino al 2014 nella direzione Affari Legali della Rai, negli ultimi anni responsabile della struttura Societario e Legislativo), Enrico Ventrice (ha lavorato per l’ azienda americana Global Vision Group Newsnet, che si occupa di news e produzioni televisive. Dal gennaio 2015 allo scorso marzo si è occupato della gestione del personale tecnico e dell’ organizzazione della produzione per la sede Rai di New York) e infine Claudia Mazzola (giornalista del Tg1 dal 2012, ha lavorato precedentemente per i settimanali di Rai Parlamento e per il programma Telecamere. Nell’ agosto 2014 fu presa di mira per i suoi servizi dall’ attuale portavoce del presidente del Consiglio, Rocco Casalino, che all’ epoca era responsabile comunicazione del M5s al Senato). Emilio Pucci © RIPRODUZIONE RISERVATA.

La partita Rai: Bianchi Clerici alla presidenza

Il Messaggero

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ROMA Sui vertici Rai M5s e Lega stanno lavorando ad un ticket con entrambi i nomi espressi dal Mef, blindando di fatto la nuova governance giallo-verde. La presidenza andrebbe al partito di via Bellerio: in pole c’ è Giovanna Bianchi Clerici, per sette anni già consigliere d’ amministrazione a Viale Mazzini e attuale componente dell’ Autorità Garante della privacy. Per la Cdp sono candidati Scannapieco e Palermo. Gentili e Pucci alle pag. 10 e 11.

Rai, Bianchi Clerici per la presidenza la mossa della Lega

Il Messaggero
EMILIO PUCCI
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LA TRATTATIVA ROMA Accordo fatto sulle presidenze delle Commissioni di garanzia (Pd e FI hanno indicato i loro nomi), trattative febbrili sul Cda della Rai. Al Copasir blindata l’ intesa già raggiunta diverse settimane fa: a guidarlo sarà il dem Guerini. Per la Vigilanza Rai si gioca un derby interno a FI tra l’ ex ministro Gasparri e l’ ex giornalista Mediaset Barachini che avrebbe il consenso anche di Lega e M5s: Berlusconi propende proprio per quest’ ultimo, sulla linea del rinnovamento portato avanti con la nomina di Tajani a vicepresidente. Ma il patto tra maggioranza e opposizione dovrà comprendere un pacchetto che annovera le nomine anche per il Csm e la Corte Costituzionale. E soprattutto il futuro di viale Mazzini. L’ ELEZIONE Domani Camera e il Senato saranno chiamati ad eleggere due componenti per parte. FI non farà asse con il Pd. Tecnicamente le due forze d’ opposizione potrebbero eleggersi un componente a Montecitorio e un altro a palazzo Madama, ma gli azzurri giocheranno di sponda con la Lega per poi passare all’ incasso su altre poltrone. Altri due membri del Cda saranno scelti dal Tesoro, mentre un altro verrà designato dall’ assemblea dei dipendenti dell’ azienda. Al momento l’ ipotesi di un rinvio della votazione, ipotizzata dalla Lega, sembra tramontata. M5s ha fatto la sua prima mossa: oggi dalle 10 alle 19 sceglierà online su Rousseau i suoi candidati in una rosa di cinque tra le centinaia di curricula giunti a palazzo Madama e Montecitorio. Sui vertici Rai M5s e Lega stanno lavorando ad un ticket con entrambi i nomi espressi dal Mef, blindando di fatto la nuova governance giallo-verde. Ieri sera il vicepremier Di Maio e il sottosegretario alla presidenza Giorgetti hanno discusso appunto su uno schema che prevede la presidenza al partito di via Bellerio (espressa dal Cda, dovrà incassare il sì dei due terzi della Vigilanza) e l’ ad (indicato direttamente dal Mef) al Movimento 5 stelle. EN PLEIN Il Carroccio punta su Giovanna Bianchi Clerici. Un esperienza parlamentare come deputata della Lega, ma per sette anni già consigliere d’ amministrazione a Viale Mazzini e attuale componente dell’ Autorità Garante della privacy. Dunque una figura politica e al contempo tecnica, dal profilo istituzionale come richiede il ruolo. Per il ruolo di ad, invece, da settimane si fa il nome Vaccarono (dal 2012 Country Director di Google Italy) anche se il diretto interessato si è chiamato fuori. La maggioranza giallo-verde in ogni caso potrebbe fare quasi l’ en plein nel Cda Rai (lasciando un solo membro all’ opposizione) mentre sul ruolo dell’ ad pentastellati avrebbero vinto il braccio di ferro. Di Maio vuole intestarsi la partita del nuovo corso della Rai. «La Rai che vogliamo la spiegazione sul blog sarà imparziale e indipendente a partire dalla governance e ci batteremo affinché questo corollario non venga derubricato solo a buona intenzione». La mission è «mettere la parola fine alla lottizzazione della tv di Stato, considerata da sempre un territorio da occupare e subordinare agli interessi di parte, una sommatoria delle opinioni piuttosto che un luogo di rappresentazione della diversità sociale e culturale del nostro Paese». Dal punto di vista industriale «l’ obiettivo è quello di far evolvere la Rai verso un modello di moderna media company che punti sul digitale e sull’ innovazione». M5s, come si diceva, ieri ha schierato le sue pedine sullo scacchiere. Cinque nomi che verranno votati sulla piattaforma on line. Beatrice Coletti (tra le tante mansioni capo delle produzioni del Gruppo Fox, si è occupata delle startup dei canali italiani e della creazione dei canali Fox Crime e Fox Life; dirigente di TI Media come responsabile delle produzioni News e Sport di La7 Televisioni), Paolo Cellini (ha lavorato per Microsoft e Disney e in Italia come ad e dg e componente del cda di aziende pubbliche e private nei settori media/high tech e retail. Insegna Economia digitale alla Luiss), Paolo Favale (fino al 2014 nella direzione Affari Legali della Rai, negli ultimi anni responsabile della struttura Societario e Legislativo), Enrico Ventrice (ha lavorato per l’ azienda americana Global Vision Group Newsnet, che si occupa di news e produzioni televisive. Dal gennaio 2015 allo scorso marzo si è occupato della gestione del personale tecnico e dell’ organizzazione della produzione per la sede Rai di New York) e infine Claudia Mazzola (giornalista del Tg1 dal 2012, ha lavorato precedentemente per i settimanali di Rai Parlamento e per il programma Telecamere. Nell’ agosto 2014 fu presa di mira per i suoi servizi dall’ attuale portavoce del presidente del Consiglio, Rocco Casalino, che all’ epoca era responsabile comunicazione del M5s al Senato). Per quanto riguarda le giunte a Fdi dovrebbe andare quella per le Autorizzazioni della Camera, quella per le Elezioni a Leu. A Palazzo Madama invece per la presidenza della Giunta, unificata sotto la guida di Pietro Grasso, dovrebbe andare a FI (si fa il nome di Malan). Emilio Pucci © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Ei Towers, arriva l’ Opa di Mediaset e F2i

Il Messaggero

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IL RISIKO ROMA Riparte il risko delle torri. Mediaset e F2i annunciano l’ intenzione di lanciare un’ Opa su Ei Towers, la società delle torri-antenne controllata al 40% dal Biscione tramite Elettronica industriale. L’ operazione che porterà al delisting di Ei Towers, segnerà anche la perdita del controllo dell’ infrastruttura di rete necessaria alle trasmissioni del segnale del gruppo Mediaset da parte del mondo di Silvio Berlusconi. Ieri sera i cda straordinari di Mediaset e F2i hanno approvato la complessa operazione da realizzare con una newco – 2i Towers holding – controllata al 60% dal fondo guidato da Renato Ravanelli e al 40% dal gruppo Mediaset – che lancerà l’ offerta sul 100% di Ei Towers. Il prezzo si attesta a 57 euro per azioni a fronte di una valorizzazione di 1,6 miliardi. Ieri i titoli oggetto dell’ offerta hanno chiuso a 49,35 euro, in crescita dell’ 1,6%. Advisor finanziari della newco sono Mediobanca e Banca Imi; i legali Legance, Giliberti Triscornia Associati, Pedersoli Studio legale. L’ offerta che dovrebbe partire a fine agosto, è facilitata da un finanziamento a medio lungo termine di 480 milioni messo a disposizione da Intesa Sanpaolo, Mediobanca e Unicredit. Il razionale dell’ operazione è quello di consentire a Mediaset di non consolidare il debito, di estrarre valore dall’ asset. Ma c’ è chi vede una prospettiva che rievoca in qualche modo un dejà vu. Tre anni fa Ei Towers lanciò un’ offerta pubblica di acquisto e scambio su Rai Way. L’ offerta, che prevedeva una componente in denaro e una in azioni, valorizzava la società delle torri di trasmissione della Rai 1,22 miliardi di euro, pari a circa 4,5 euro per azione. La Rai definì subito l’ Opa non amichevole. Erano i primi giorni di febbraio 2015. Pochi giorni dopo l’ operazione venne bloccata dal governo Renzi. Il decreto della Presidenza del consiglio dei ministri che dopo l’ estate 2014 aveva dato l’ ok per lo sbarco in Borsa della società, vincolava Viale Mazzini a cedere soltanto una quota di minoranza, obbligandola a mantenere almeno il 51% della società. Dietro questo vincolo normativo, in molti intravedevano uno stop politico a Berlusconi. CORSI E RICORSI L’ Opa andò in fumo. Adesso i giochi potrebbero riaprirsi anche perché i tempi sono cambiati e soprattutto Mediaset ha ceduto il controllo delle grandi manovre. Di qui la possibilità che si possa riaprire il risiko delle torri delle tlc. E perché no, Ei Towers holding potrebbe tornare all’ attacco. Un anno fa il mercato si scaldò sulle ipotesi di un’ offerta di Rai Way su Ei Towers: fu Il Messaggero a lanciare questa ipotesi di un’ offerta pubblica di acquisto e scambio da parte di Rai Way arrivata sul tavolo dell’ advisor Citi, incaricato di elaborare la proposta. Nei mesi scorsi gli analisti avevano indicato come possibile un nuovo tentativo di matrimonio anche in vista di un possibile progetto per un operatore nazionale delle torri, lanciato in quei giorni dal governo. r. dim. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

I numeri incoronano il Biscione: share al 34%

Il Messaggero

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GLI ASCOLTI ROMA Il successo è nei numeri. Mediaset ha vinto il suo Mondiale. Sono 297 milioni i telespettatori, 49 milioni in più (+19,7%) rispetto all’ edizione precedente con l’ Italia in campo, Brasile 2014, trasmessa da due diversi operatori, Rai più Sky. La finale Francia-Croazia, la partita più vista: 11.688.000 spettatori, share 66.58% (69.51% tra i 15-44enni). In prime time grande successo per Croazia-Inghilterra: 10.785.000 spettatori, share 47.23% (51.89% target commerciale). Ottima anche la media ascolti per le gare serali: 7.133.000 spettatori, share 34.19% (38.81% sul target commerciale). Interessanti anche i dati digital. Le partite Mediaset viste in diretta sul web e sui dispositivi mobili hanno registrato oltre 35 milioni di visualizzazioni. Circa 20 milioni di utenti unici hanno fruito dei contenuti digital Mediaset relativi a Russia 2018 con oltre 600.000 download dell’ app ufficiale Mediaset Mondiali FIFA 2018. «Per prima cosa un caldo ringraziamento a chi il Mondiale l’ ha raccontato: tutta la nostra squadra di giornalisti, operatori, tecnici e addetti agli studi che per un mese consecutivo hanno dato il meglio senza alcuna sbavatura. Bravi davvero. Perché questa avventura è stata un orgoglio per tutti noi che lavoriamo a Mediaset. E’ stato un orgoglio averci pensato e poi creduto quando tutto il sistema televisivo era scettico» le parole dell’ amministratore delegato di Mediaset Pier Silvio Berlusconi. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Premium, affaccio con Dazn sul campionato di Serie A

Il Sole 24 Ore
A. Bio.
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Chiusura in calo dello 0,84% per il titolo Mediaset. Piazza Affari non si è scaldata per l’ accordo con Perform che sulla sua piattaforma Dazn (da-zone la pronuncia come specificato dai testimonial Diletta Leotta e Paolo Maldini) ha l’ esclusiva su tre partite della Serie A ogni settimana, oltre alla Serie B. L’ accordo, come anticipato sul Sole 24 Ore di sabato, prevede un abbonamento unico: a 19,90 euro i clienti Mediaset Premium avranno anche il calcio di Dazn. Non con un canale, ma con una app, come Netflix. Quindi visibile su tablet, smartphone, altri device e tv smart o connesse. L’ intesa è triennale e gli abbonati di Premium che useranno Dazn saranno contati anche come abbonati alla piattaforma. A questo punto occorrerà verificare quanto l’ offerta possa disinnescare il rischio fuga da una Premium rimasta a bocca asciutta sulla Serie A, acquisita da Sky (7 partite su 10) e Perform-Dazn (le altre 3). Da verificare anche quanto l’ offerta di serie tv e cinema potrà far preferire l’ offerta combinata agli interessati al calcio rispetto alla sola Dazn che costa 9,90 euro al mese. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

I diritti connessi tutelano la democrazia

Il Sole 24 Ore
Christian Van Thillo
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Se mi dicessero che Internet potrebbe essere oscurato e che io potrei essere perseguito per aver condiviso i link di articoli con amici e familiari se dovesse passare una certa legge, sarei in prima linea per firmare la petizione che la vuole bloccare. Se mi dicessero che votare la direttiva europea sul diritto d’ autore segnerebbe la fine di Wikipedia, dei meme e di un open internet, voterei contro. Fortunatamente per tutti noi, non è stata proposta una legge del genere. Sfortunatamente, però, una campagna feroce e spesso isterica, alimentata dall’ ala radicale degli attivisti per la libertà di Internet e finanziata con 36 milioni di dollari dai giganti americani del web, vorrebbe farci credere che la proposta europea, attualmente al vaglio legislativo, di concedere agli editori il publishers’ neighbouring right, ovvero un diritto connesso per gli editori, potrebbe segnare la fine di Internet come lo conosciamo. Sciocchezze! O almeno questo è quello che troveremo su Internet se gli editori della stampa non potranno più sostenere un giornalismo professionale e fact checking, se i piccoli editori indipendenti falliranno, se gli editori della stampa non potranno più finanziare i corrispondenti che ci fanno arrivare da tutto il mondo notizie, intrattenimento, inchieste e analisi che popolano Internet con informazioni di cui noi editori siamo legalmente responsabili. È stata proposta una legge sul diritto d’ autore – questo è vero – per concedere agli editori il publishers’ neighbouring right. Attualmente, per la legge europea sul diritto d’ autore, gli editori non hanno il diritto di proteggere le loro pubblicazioni: tutti i contributi di giornalisti, fotografi, grafici e redattori non sono protetti a livello di editore. I diritti connessi renderebbero gli editori proprietari dei diritti del prodotto pubblicato finito. Negli ultimi due anni, quattro importanti commissioni europarlamentari hanno approvato il publishers’ right, riconoscendo il bisogno di questo strumento giuridico per mettere il diritto d’ autore al passo con l’ era digitale e affrontare il problema attuale di tutti quei preziosi contenuti che puntualmente vengono copiati, riutilizzati e monetizzati da terzi, senza autorizzazione né remunerazione. Ma la settimana scorsa, al Parlamento europeo, Big tech ha portato a casa un voto importante per emendare il progetto di direttiva presentato dalla commissione giuridica. È difficile lottare contro una lobby che alimenta falsità e propaganda populista. Non possiamo esprimere con abbastanza veemenza quanto sia alta la posta in gioco per il futuro della stampa europea se non avremo gli strumenti giuridici per portare le aziende online al tavolo delle trattative e vincolare a licenza i nostri contenuti, permettendoci di continuare a investire nei nostri giornalisti, free lance e fotografi. Ci auguriamo di arrivare al punto in cui copiare e monetizzare in rete i contenuti dei giornali senza licenza sarà inaccettabile, com’ è sempre stato fuori da internet. Nel frattempo, il riconoscimento del publishers’ neighbouring right agli editori sarebbe un buon punto di partenza e incoraggerebbe i negoziati più che le controversie. Più giusto sarà l’ ecosistema digitale, meglio potremo finanziare il giornalismo professionale e dare a internet il suo giusto valore. Perciò, la prossima volta che vi chiederanno di firmare una petizione contro la riforma del diritto d’ autore (cinicamente chiamata #savethelink), saprete cosa state sottoscrivendo: il diritto di rubare e approfittare degli sforzi e degli investimenti altrui e la protezione dei giganti americani di Internet. La prossima volta che Wikipedia si oscurerà e vi dirà che la fine è vicina, sappiate che Wikipedia stessa ha ammesso di sapere che le enciclopedie online sono esenti da tale direttiva e vi chiederete perché dovrebbero adottare tattiche così allarmiste e infondate, o perché compaia sempre ai primi posti su Google. Una stampa libera e indipendente è fondamentale per la nostra preziosa democrazia. Il link e l’ open internet non sono affatto in pericolo. Quello di cui invece dovremmo preoccuparci è che tipo di ecosistema vorremmo e quanto abbiamo cara la nostra stampa diversificata e indipendente in Europa. Presidente del Consiglio degli editori europei e Ceo di De Persgroep (Traduzione di Francesca Novajra) © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Lega su FB, M5S su WhatsApp: così si informano i nuovi politici

Il Sole 24 Ore
Riccardo Ferrazza
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Per informarsi sui social network i parlamentari di maggioranza usano soprattutto Telegram e WhatsApp (Movimento 5 Stelle) e Facebook (Lega), quelli di opposizione Twitter. Tutti accedono a internet più volte al giorno. Ma per avere notizie deputati e senatori pentastellati scelgono anche il Tg della 7 (il 93% lo ha fatto almeno una volta nell’ ultima settimana), quelli leghisti SkyTg24 (92%), mentre per Pd e Forza Italia la fonte televisiva di riferimento restano i telegiornali della Rai. Nel complesso il canale “all news” è la principale fonte di informazione. Il 75% attinge notizie dalla carta stampata almeno una volta a settimana passando per le rassegne, mentre Corriere della sera, Fatto Quotidiano e Sole 24 Ore sono i quotidiani più letti; gli eletti del Movimento 5 Stelle sono i lettori meno forti di giornali e il loro preferito è il quotidiano diretto da Marco Travaglio, mentre il giornale di carta più consultato dai leghisti è Libero. Sono alcuni risultati della ricerca condotta da Quorum/YouTrend e Cattaneo Zanetto & Co su un campione di 94 parlamentari della legislatura nata lo scorso marzo per capire qual è la dieta mediatica di chi è chiamato a prendere decisioni sulla vita del Paese. Anche guardando all’ online, torna quella che i curatori definiscono “discontinuità informativa” tra i gruppi parlamentari di maggioranza e opposizione: se i pentastellati portano ai primi due posti il sito del Fatto e dell’ HuffPost, quelli democratici e forzisti scelgono soprattutto Repubblica e Ansa. Se, guardando soprattutto alle preferenze in tema di carta stampata, sembra esserci una divaricazione tra le scelte dei politici in Parlamento e le vendite, torna a esserci invece una sovrapposizione tra eletti ed elettori quando si passa al capitolo dell’ affidabilità dei media: sul podio della ricerca su deputati e senatori ci sono Ansa, principale agenzia di stampa italiana (punteggio medio 8 su dieci), la britannica Bbc (7,5) e Il Sole 24 Ore (7,3); le due testate italiane sono quelle che risultavano in testa al “Brand trust scores” del Digital News Report, l’ indagine annuale Reuters Institute per lo studio del giornalismo (al terzo posto c’ era SkyTg24). Anche in questo caso si nota una diversità pentastellata: tra i quattro principali partiti M5S è l’ unico a indicare il Fatto come il più attendibile (per gli altri è invece sempre l’ Ansa). I media sono poi analizzati in base all’ indice di polarizzazione (differenza tra gruppo che considera più vicino un certo media e il gruppo che lo considera più lontano): tra quelli «trasversali» ci sono Corriere della sera e Sole 24 Ore, Dagospia, il tg condotto da Enrico Mentana e due trasmissioni della 7 (Omnibus e L’ aria che tira). C’ è poi la “vicinanza”: dalle risposte dei parlamentari i tre media più vicini al governo risultano Fatto, TgLa7 e “Non è l’ arena”, quelli più lontani Tg3, Repubblica e Foglio. Infine, le fake news: «Favoriscono le tendenze populiste?». Il 97% di dem e forzisti pensano di sì, solo il 4% di M5S e Lega concorda. www.ilsole24ore.com Approfondimenti sul sondaggio © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Ma per il cacciato Mastrapasqua nessuno gridò allo scandalo

Il Tempo
VALERIO MACCARI
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Valerio Maccari Ese alla fine Boeri facesse la fine di Mastrapasqua? Dopo il polverone sollevato dalle stime Inps inserite nella relazione tecnica del D.L. Dignità – secondo cui il decreto brucerebbe 8mila posti di lavoro l’ anno – la poltrona del presidente Tito Boeri traballa sempre di più. E l’ ipotesi di un cambio di guardia ai vertici dell’ Istituto – già auspicata dal vice premier Salvini – prende sempre più corpo. Forse non una cacciata vera e propria di Boeri, che potrebbe aprire uno scontro istituzionale con il Quirinale, ma dimissioni indotte sì. Il precedente, dopotutto, c’ è già, visto che è proprio così che è finita con il predecessore di Boeri, Antonio Mastrapasqua. Certo, i due casi sono molto diversi. Se infatti Boeri è finito al centro delle polemiche per il suo attivismo «politico», a mettere nei guai Mastrapasqua era stata invece la procura di Roma. Che, nell’ ambito di un’ inchiesta su un presunto giro di cartelle cliniche truccate e fatture gonfiate per un giro di 85 milioni di euro, nel 2014 aveva indagato il super dirigente Inps come direttore generale dell’ Ospedale Israelitico di Roma, uno degli istituti che avrebbe partecipato alla truffa ai danni del sistema sanitario nazionale. Un’ accusa gravissima per il presidente dell’ Inps, insella dal 2008, anche se la vera tegola era un’ altra: la famosa collezione di incarichi ed emolumenti sviscerata dai giornali, e che lo aveva portato a essere noto alla pubblica opinione come «mister 25 poltrone». È infatti titolare dello Studio Mastrapasqua di Roma ed è iscritto all’ Ordine dei Dottori Commercialisti di Roma, al Registro dei Revisori Contabili e all’ Ordine Nazionale dei Giornalisti Pubblicisti. Allo stesso tempo ricopre, tra gli altri, i seguenti incarichi: consigliere e vice -presidente esecutivo di Equitalia, Presidente di Idea Fimit Sgr Spa, Direttore generale dell’ Ospedale israelitico di Roma, Direttore della Ca sa di riposo ebraica. Mastrapasqua aveva rivendicato la molteplicità delle sue attività come garanzia di libertà. Qualche titolo è anche tarocco: durante lo scandalo il quotidiano Libero riesuma un caso del 1997, in cui l’ ex numero uno dell’ Inps era accusato di aver comprato, con la complicità di tre bidelli e di un’ impiegata dell’ ateneo, esami universitari mai sostenuti. Insomma reato di falsità ideologica: laurea ottenuta con l’ inganno. Nel periodo in cui il processo è giunto a sentenza, Mastrapasqua si è rilaureato, con un piano di studi diverso. E sotto la lente degli inquisitori era finita pure la moglie di Mastrapasqua, Maria Giovanna Basi le. Commercialista, anche lei collezionava poltrone: circa una ventina di collegi di sindaci, in diversi settori, dalla Rai all’ Acea. Un’ abitudine che- sottolineava all’ epoca Mastrapasqua – la legge permetteva. Per giunta, il collezionismo di incarichi dei due coniugi era una cosa nota: la passione di Mastrapasqua per le poltrone, infatti, era stata già oggetto di interrogazioni e mozioni parlamentari fin dal 2012, anche se senza alcun risultato. A pesare più degli scandali, sottolineavano i maligni, era il dissidio aperto con la politica. Fu proprio Mastrapasqua a segnalare al ministro del Welfare, Elsa Fornero, che la sua riforma avrebbe generato il fenomeno degli esodati, come puntualmente è avvenuto. Tanto è vero che, di fronte alle accuse, Mastrapasqua ha tenuto duro. E per cacciarlo definitivamente, alla fine, c’ è voluto l’ intervento del governo. Di fronte al tentativo del manager di rimanere fino all’ ultimo in sella, l’ allora premier Enrico Letta ha fatto arrivare sul tavolo del consiglio dei ministri un disegno di legge che vieta a presidenti e amministratori pubblici di ricoprire cariche in società private. Il messaggio era chiaro: se non ti dimetti, ti dimettiamo noi. Un precedente che l’ attuale presidente dell’ Inps Tito Boeri dovrebbe tenere ben presente.

Gasparri a un passo dalla presidenza

Il Tempo

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L’ ex ministro delle Telecomunicazioni Maurizio Gasparri in pole position, seguito dal giornalista, già volto Mediaset, Alberto Barachini. Entrambi in quota Forza Italia. A prendere il posto che è stato di Roberto Fico nella scorsa legislatura, ossia la presidenza della Commissione di Vigilanza Rai – una delle due di garanzia che attendono ancora le nomine – sarà uno fra questi: o l’ ex giornalista del Biscione, senatore esordiente considerato vicino all’ inner circle del leader di Forza Italia o, questa è l’ ipotesi decisamente più accreditata, l’ esperto senatore proveniente da An e già membro della Commissione nella passata legislatura. Lo «stallo» dunque (figlio dello tsunami politico che ha determinatola nascita del governo giallo -verde) sembra essere stato finalmente superato e gli incastri prevedono le due caselle mancanti assegnate ai due gruppi parlamentari più numerosi fuori dal perimetro della maggioranza: se il Pd, ufficialmente la forza di opposizione più consistente, si aggiudicherà la presidenza del Copa sir, per la Commissione che si occuperà di vigilare sull’ operato della tv di Stato toccherà alla principale forza di opposizione del centrodestra. La nomina del presidente della Vigilanza è attesa per domani, nello stesso giorno in cui il Parlamento eleggerà a scrutinio segreto i membri del Consiglio di amministrazione della Rai. Dei sette previsti dalla legge quattro saranno eletti dalle due Camere, due dipenderanno dal dicastero del Tesoro e uno sarà scelto dai dipendenti Rai. I due nomi del Movimento 5 Stelle saranno scelti dal voto sulla piattaforma Rousseau. Gli iscritti al sito potranno scegliere oggi su una rosa di nomi di esperti di comunicazione e giornalismo: Paolo Cellini, Beatrice Colet ti, Paolo Favale, Claudia Mazzola (giornalista del Tg1, protagonista qualche tempo fa di un duro attacco da parte dell’ allora responsabile comunicazione del M5s, Rocco Casalino) ed Enrico Ventrice. I restanti due dovrebbero essere appannaggio del Carroccio e del Pd (anche se c’ è chi sostiene che anche qui i dem potrebbero finire a bocca asciutta). In attesa della votazione del presidente del Cda (tra i nomi che circolano vi sono quelli di Milena Gabanelli, Ferruccio de Bortoli e Giovanni Minoli), i 5 Stelle hanno rivendicato oltre il metodo di selezione anche le proprio intenzioni sul servizio pubblico: «La Rai che vogliamo – si legge sul blog – sarà imparziale ed indipendente a partire dalla governance e ci batteremo affinché questo corollario non venga derubricato solo a buona intenzione». Ant. Rap.

La figuraccia di Fazio L’ uomo d’ oro Rai bocciato da Qualitel

Il Tempo

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Le pagelle Qualitel del primo semestre Rai sono buone, ma non per tutti. Primo della classe è Alberto Angela, con il suo «Meraviglie», seguito da Claudio Baglioni con il Festival di Sanremo e La Corrida di Carlo Conti. Non ce l’ ha fatta invece Fabio Fazio, che con il suo programma superpagato «Che tempo che fa» non è riuscito evidentemente a superare la classifica Qualitel, il sistema gestito dalla società Gfk che accerta il gradi mento dei telespettatori per i programmi Rai. Il sistema studia le famiglie per le singole trasmissioni e per le reti, dalla mattina alla programmazione notturna. Per i primi sei mesi del 2018 i dati sono in maggioranza positivi, i programmi del servizio pubblico sono stati promossi dai telespettatori. Ma dall’ elenco manca proprio «Che tempo che fa». Ce lo ricorda Dagospia. Una brutta figura per un programma per cui la Rai ha speso molto.

Biscione, quasi 300 milioni di telespettatori per le partite dei mondiali di Russia 2018

Italia Oggi

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L’ ascolto complessivo di tutte le partite dei mondiali di calcio Russia 2018, trasmesso da Mediaset, ha coinvolto 297 milioni di telespettatori, 49 milioni in più (+19,7%) rispetto all’ edizione precedente Brasile 2014, trasmessa da due diversi operatori, Rai e Sky. Edizione precedente che peraltro vedeva anche l’ Italia in campo. Sono questi i risultati raggiunti dal gruppo di Cologno Monzese. «Questa avventura è stata un orgoglio per tutti noi che lavoriamo a Mediaset», ha dichiarato ieri Pier Silvio Berlusconi, a.d. del Biscione. «È stato un orgoglio averci pensato e poi creduto quando tutto il sistema televisivo era scettico. È stato un orgoglio aver deciso in modo innovativo di portare tutti i 64 match del Mondiale in diretta nelle case degli italiani. Ed è stato un orgoglio aver fatto tutto questo, sia in Italia sia in Spagna, in maniera totalmente gratuita, senza canoni o abbonamenti. Per un editore, questa è la soddisfazione più grande: offrire un vero servizio per il pubblico». In particolare, la finale Francia-Croazia, nonostante sia stata giocata di pomeriggio, è stata seguita da 11.688.000 spettatori, con uno share al 66,58% (pari al 69.51% tra i 15-44enni). Invece la partita Croazia-Inghilterra è stata vista da 10.785.000 spettatori, share al 47,23% (51,89% sul target commerciale). Per quanto riguarda la media degli ascolti in day time sono stati 3.815.000 spettatori, con uno share al 30,7% (34,1% sul target commerciale) mentre i prime time hanno attirato l’ attenzione di 7.133.000 spettatori, con uno share al 34,19% (38,81% sul target commerciale). Infine, le partite Mediaset viste in diretta sul web e sui dispositivi mobili hanno registrato oltre 35 milioni di visualizzazioni. Circa 20 milioni di utenti unici hanno fruito dei contenuti digitali, con oltre 600 mila download dell’ app ufficiale Mediaset Mondiali Fifa 2018.

Calcio, le mosse di Sky e Mediaset

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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C’ era una volta il campionato italiano di calcio di Serie A: se volevi vedere tutte le partite ti abbonavi a Sky; se invece ti interessavano solo gli incontri delle otto più importanti squadre, ti abbonavi a Mediaset Premium. Un mondo semplice. Non è scritto da nessuna parte, però, che i tifosi abbiano il diritto divino di vedere tutte le partite in tv. In Inghilterra, per esempio, alcuni match non vengono trasmessi sul piccolo schermo e restano una esclusiva di chi va allo stadio. Allora ecco che la Lega Serie A decide di vendere i diritti tv del calcio italiano non più per piattaforma, ma per prodotto. Se li aggiudicano Sky e Perform. E adesso ci ritroviamo Sky che pubblicizza, come grande valore aggiunto, di avere sette partite su dieci per ogni turno di campionato di Serie A (prima, però, gli abbonati ne avevano dieci su dieci), e Mediaset Premium, che non si è aggiudicata nessun diritto, che prova a trattenere i suoi 1,5 milioni di abbonati proponendo film, serie tv e l’ offerta Dazn di Perform (tre partite a turno di Serie A e tutta la Serie B) solo su tv connesse al web, al prezzo complessivo di 19,90 euro al mese. Fino alla stagione 2017-2018, a un arpu (ricavi medi per abbonato) di circa 25 euro, Premium offriva invece ai suoi abbonati film, serie tv, tutta la Champions league e tutte le partite delle migliori otto squadre di Serie A. La rivoluzione di quest’ anno, quindi, ha una sicura vittima: il tifoso-consumatore. Sky presenterà la sua offerta commerciale complessiva sullo sport, e il calcio in particolare, il prossimo 23 luglio. Anche la media company guidata da Andrea Zappia farà intese con Perform, e dovrà combinare bene una proposta di prezzo che sappia considerare gli sforzi per l’ acquisto in esclusiva dei diritti tv di sette partite su dieci della Serie A (ma ai clienti interessa veramente che le partite siano in esclusiva? O interessa vedere le partite e basta?), della esclusiva della Champions League, della Europa league, dei match di Dazn da offrire solo in streaming, del decoder Sky Q. Alla fine, l’ abbonato dovrà mettere mano al portafogli e pagare più dell’ anno scorso. Mediaset ha invece già spiegato cosa intende fare: i nuovi abbonati a Premium potranno solo accedere a offerte in pay tv di film e serie (al costo di 14,90 al mese), in nome di quella trasformazione digitale delle attività a pagamento verso una modalità over the top molto leggera. Quelli che invece sono già clienti di Premium calcio, e solo loro, dal 1° agosto potranno accedere ai film, le serie, i due canali di Eurosport e gli eventi sportivi della piattaforma Dazn di Perform, pagando 19,90 euro al mese. I contenuti di Dazn, però, saranno visibili solo in streaming, quindi attraverso smart tv, tv connessi, console giochi, Apple tv, Amazon fire, Chromecast, ecc. Perciò non attraverso il solo apparecchio tv che semplicemente riceve il segnale del digitale terrestre dall’ antenna di casa. Insomma, non è una offerta Calcio per fare nuovi abbonati, non ci saranno canali Dazn nella numerazione dei canali Premium, ma è una piccola operazione per trattenere ancora qualche vecchio cliente, offrendo l’ anticipo del sabato sera (di solito, una partita di cartello), l’ anticipo domenicale delle ore 12.30, e un match della domenica pomeriggio, insieme con tutta la Serie B e, probabilmente, in prospettiva, anche la Liga spagnola e la Ligue 1 francese. Il cliente riceve un codice di accesso alla offerta Dazn, ma resta comunque legato solo a Mediaset Premium. Nel caso in cui, a fine anno, la piattaforma tecnologica di Premium passasse a Sky, Mediaset continuerebbe a essere editore dei contenuti di Premium. Si tratterà, poi, di valutare le strategie future quando scadranno i contratti con Warner, Universal per film e serie tv, o con Eurosport per i due canali sportivi (l’ accordo termina nell’ estate 2019). © Riproduzione riservata.

Perform, in dirittura d’ arrivo gli accordi per Liga spagnola e Ligue 1 francese

Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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Al momento l’ offerta di Dazn in streaming a pagamento comprende tre partite per ogni turno di Serie A e tutte le partite di Serie B del calcio italiano. Ma in dirittura di arrivo ci sono anche le intese per le esclusive della Liga spagnola, trasmessa finora da Fox sports che però ha chiuso i battenti, e della Ligue 1 francese, in precedenza su Premium di Mediaset. Si arricchisce, quindi, il menù della piattaforma Dazn di Perform, che sarà visibile su tutti i device connessi a Internet al prezzo di 9,99 euro al mese, e che verrà compresa pure in altre offerte commerciali, come quelle di Sky e di Premium. Dazn, dove Marco Foroni è vice president operations, programming and content e pure il direttore responsabile della struttura giornalistica, deve anche costruire piuttosto rapidamente la sua squadra. E’ arrivata Diletta Leotta, che sarà il volto della Serie A. E Paolo Maldini, testimonial, commenterà pure qualche big match trasmesso da Dazn. Altre caselle sono vuote. E si potrebbe pure pescare da Mediaset, dove grandi talenti come Sandro Piccinini, Pierluigi Pardo, Massimo Callegari, e rivelazioni come Giorgia Rossi, hanno appena chiuso una edizione storica dei Mondiali di calcio, con un grande successo di audience e di raccolta pubblicitaria (oltre i 90 milioni di euro). Talenti e rivelazioni che però, nei prossimi mesi, avranno pochi spazi nei quali esprimersi dalle parti di Cologno Monzese, tenuto conto che Mediaset non ha più diritti tv sportivi di rilievo almeno fino all’ autunno 2019. E in attesa di formare la sua squadra, Foroni deve anche incassare una prima brutta notizia: il fallimento del Bari calcio, che, in Serie B, rappresentava uno dei più ampi bacini di tifosi e quindi di potenziali abbonati per Dazn. Sempre in Serie B è fallito pure il Cesena. © Riproduzione riservata.

Mediaset-F2i, opa su Ei Towers

Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Mediaset e il fondo F2i alleati in un’ opa su Ei Towers, la società delle torri di trasmissione che è già controllata al 40% dal gruppo del Biscione. Con l’ operazione le due società intendono acquisire il 60% di Ei Towers sul mercato e revocare la quotazione a Piazza Affari. Per questo creeranno una newco con cui effettuare l’ acquisizione, in cui Mediaset avrà ugualmente il 40% del capitale e F2i il restante 60%. Al momento di chiudere questo giornale ieri l’ operazione non era stata ufficializzata e per questo i dettagli sono da prendere con le pinze, ma il suo valore dovrebbe essere superiore agli 800 milioni di euro più sovrapprezzo sul corso delle azioni, considerata la capitalizzazione di Ei Towers pari a 1,37 miliardi. I conti della società guidata da Guido Barbieri sono molto buoni per Mediaset e gli investitori: lo scorso anno, a fronte di ricavi consolidati per 262,9 milioni l’ utile è stato di 54,4 milioni. Una marginalità molto alta (20,7%) che ha consentito la distribuzione di un utile di 2 euro per azione. Ciò non toglie che il business delle torri è del tutto particolare nell’ assetto attuale e futuro del mercato ed è per questo che più volte Mediaset ha ribadito la razionalità di avere un operatore unico anche dopo il fallimento dell’ opas su Rai Way nel 2015. Di più, il consolidamento è un tema nell’ agenda dei maggiori player europei. Questa è una delle prime importanti mosse sulle società delle torri italiane, ma si tratta sicuramente solo un primo passaggio. Quale sia l’ obiettivo finale ufficialmente ancora non si sa, ma l’ ipotesi di mercato è di un successivo intervento di Edizione dei Benetton che la scorsa settimana attraverso la controllata ConnecT ha completato l’ acquisizione dalla spagnola Abertis del 29,9% di Cellnex, l’ operatore attivo in Europa, Italia compresa, sulle torri di trasmissione per tlc. Edizione ha come obiettivo far crescere ancora Cellnex nel Vecchio continente, anche se potrebbe essere interessata soltanto alla parte delle torri di telefonia di Ei Towers. Quest’ ultima attualmente ricava il 20% da questo settore, avendo il business maggiore nel broadcasting televisivo, ma di recente ha fatto diverse acquisizioni di piccole realtà soprattutto a livello regionale. Nel caso che il matrimonio con Cellnex fosse solo sulla parte telefonica, il passo successivo potrebbe essere un qualche accordo con la Rai. Non bisogna dimenticare, infatti, chi è F2i: ovvero Cassa depositi e prestiti (con Intesa e Unicredit ha la maggiore partecipazione). Soprattutto F2i era alleata del servizio pubblico nell’ offerta su Persidera, operatore di rete di Telecom, non andata in porto. Allora il quadro potrebbe completarsi nella direzione di un consolidamento con al centro la Rai e anzi la stessa operazione Persidera potrebbe sbloccarsi. Il quadro, insomma, potrebbe essere complesso, con un’ unica certezza: Ei Towers nella configurazione attuale non va bene per il futuro. Intanto basti vedere cosa accadrà di qui al 2022, quando parte della banda televisiva sarà destinata alle tlc e le televisioni si troveranno con circa metà delle frequenze a disposizione. Di per sé questo potrebbe non essere un problema enorme: Ei Towers non ha in pancia frequenze (le ha Elettronica Industriale, l’ operatore di rete Mediaset che la controlla), ed è vero che si ridurranno i ripetitori, asset fisici, ma è anche vero che lo spazio da gestire pur ridotto sarà più pregiato perché conterrà più capacità trasmissiva, ovvero più canali. È anche vero, però, che Ei Towers è oggi così profittevole perché praticamente ha in mano le chiavi del digitale terrestre in Italia: tutti o quasi gli operatori (tranne ovviamente la Rai), si avvalgono dei suoi servizi, ma fra 10/15 anni il digitale terrestre come piattaforma distributiva avrà ancora il valore attuale? Difficile. Ecco perché bisogna arrivare preparati già da oggi. © Riproduzione riservata.

Fieg, stretta su rassegne stampa in radio, tv e web da settembre

Italia Oggi

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La Fieg avvierà un confronto sull’ utilizzo delle rassegne stampa nelle trasmissioni radiotelevisive e sulla rete, a partire dal prossimo 1° settembre. Viene fatto salvo il rispetto del diritto di cronaca e di critica ma, lo stesso, viene rinnovata anche la sensibilizzazione dei parlamentari europei italiani sulla tutela del diritto d’ autore online. È questa una delle iniziative che ha annunciato ieri la Federazione italiana editori di giornali, dopo che si è svolto il primo comitato di presidenza con la guida di Andrea Riffeser Monti (editore di Quotidiano Nazionale Qn, Giorno, Nazione e Resto del Carlino), che ha ribadito infatti come «l’ obiettivo della federazione» sia «garantire il diritto costituzionale a informare e a essere informati attraverso norme e leggi che ricreino condizioni di fiducia e correttezza tra imprese, cittadini e istituzioni». Per il futuro dell’ editoria giornalistica, tenuto anche conto dello stato di grave crisi del settore, è pertanto necessario il pieno riconoscimento della proprietà intellettuale e la tutela, anche online, dei contenuti editoriali. Quindi Fieg contrasterà con ogni mezzo l’ utilizzo non remunerato del prodotto, anche sulle piattaforme digitali cosiddette «chiuse», come già avviato con Telegram ma proseguendo con gli altri social. Sempre secondo gli editori di giornali, alla tutela del prodotto deve seguire la sua promozione e la redditività delle aziende anche con interventi mirati a riequilibrare il mercato pubblicitario. Le politiche commerciali sul mercato pubblicitario del servizio pubblico radiotelevisivo e degli over the top, che penalizzano quotidiani e periodici e gli altri mezzi, producono distorsioni che devono essere rapidamente rimosse in favore di un riequilibrio complessivo che garantisca parità di condizioni e pieno rispetto delle regole della concorrenza. Vista poi l’ importanza della liberalizzazione della distribuzione, Riffeser ha ricordato l’ implementazione dell’ accordo Fieg-Anci per salvaguardare la rete delle edicole e il disegno di un diverso sistema di vendita, anche attraverso nuovi canali. Inoltre è stata avanzata la proposta di nuove possibilità di lavoro per un giovane per punto vendita attraverso i voucher. Infine, Riffeser ha confermato che, sulla pubblicazione degli avvisi di gara sui giornali, «l’ obiettivo della pubblicazione è informare i cittadini sull’ attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni anche per contrastare la corruzione e per favorire la trasparenza. Gli obblighi di pubblicità sui giornali costituiscono un investimento necessario per favorire la massima conoscibilità delle procedure di assegnazione e per consentire il controllo democratico e trasparente della esecuzione dei contratti pubblici».

Cda, in lizza un licenziato e una cronista del Tg1

La Repubblica

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roma Funziona un po’ come X Factor il meccanismo di selezione messo in piedi dai 5S per individuare uno/due candidati grillini da votare poi in Parlamento quando bisognerà eleggere i 4 componenti del cda Rai che devono essere indicati da Camera e Senato. Se saranno uno o due dipenderà dagli accordi con Salvini e pure con la minoranza: il Pd, per esempio, punta a riconfermare l’ uscente Rita Borioni contando sul sostegno di Forza Italia. E così, prima i vertici del M5S hanno fatto una scrematura degli oltre 200 curricula spediti a Montecitorio e Palazzo Madama; oggi, dalle 10 alle 19, toccherà agli iscritti alla piattaforma Rousseau pescare nella rosa. Composta da cinque petali, anche se ce n’ è soprattutto uno che interessa a chi di dovere: Beatrice Coletti, consulente freelance, già produttore esecutivo per Mtv Italia e amministratore delegato di Sportcast, la casa di produzione del canale tv Supertennis controllata dalla Fit. Il nome su cui il M5S ha deciso di puntare le sue carte. Gli altri quattro chiamati a sfidarsi sono: la giornalista Claudia Mazzola, che per il Tg1 segue proprio i 5S e perciò accusata dal Pd di « conflitto di interesse » , anche se nel 2015 venne tacciata dal portavoce Casalino di confezionare «servizietti » ostili; Paolo Cellini, docente di Economia digitale alla Luiss, già vicepresidente delle divisioni Internet e Games della Walt Disney; il documentarista Enrico Ventrice; l’ avvocato ed ex dirigente dell’ ufficio legale Rai Paolo Favale. Il quale, per paradosso, potrebbe essere favorito proprio dalle traversie avute con Viale Mazzini. Licenziato in tronco nel 2014 per aver criticato gli allora vertici Rai in un documento interno (finito poi sui giornali), Favale è dovuto arrivare sino in Cassazione per vedersi in qualche modo ” riabilitato”. Sia in primo grado, sia in appello i giudici gli avevano infatti dato torto, finché la settimana scorsa la Suprema Corte non ha riconosciuto l’ illegittimità del suo allontanamento, annullato quella decisione e ordinato ai giudici di esprimersi di nuovo tenendo conto di tali rilievi. Ecco perché «per me è una soddisfazione essere stato selezionato fra i papabili del cda», dice: «Ho lavorato trent’ anni in quell’ azienda, la conosco come le mie tasche, per me sarebbe una bella rivincita». – gio.vi. © RIPRODUZIONE RISERVATA Ex ufficio legale Paolo Favale è stato in Rai per quasi trent’ anni. Assunto nel 1986, esperto di questioni legali, nel 2014 gli è stato contestato di aver diffuso documenti riservati e per questo licenziato. Favale ha promosso cause civili e penali che non si sono ancora concluse.

Rai, deroga al tetto la tentazione M5S per lo stipendio del nuovo manager

La Repubblica
GIOVANNA VITALE
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Di che cosa stiamo parlando Il consiglio di amministrazione della Rai, scaduto il 30 giugno, deve essere rinnovato. È composto da sette componenti: quattro sono eletti dalle Camere (voto in programma domani), due sono nominati dal governo e uno dai dipendenti dell’ azienda. I consiglieri vanno scelti tra gli oltre duecento candidati che hanno partecipato alla selezione pubblica. Il ruolo più importante, rafforzato dalla riforma renziana, è quello del direttore generale: la nomina spetta al socio di maggioranza che è il ministero del Tesoro. I 240mila euro di legge ostacolano le trattative perché “fuori mercato” Richiesta al Tesoro di studiare una soluzione , roma Arriva alla stretta finale la partita sulle nomine Rai, il primo vero banco di prova per la squadra legastellata alle prese con lo spoyl sistem nelle grandi società pubbliche e col rinnovo delle commissioni di garanzia. D’ altra parte controllare la tv di Stato è sempre stato l’ obbiettivo di tutti i governi, e quello gialloverde non sembra far eccezione. Il più in fibrillazione appare il M5S, che per oggi ha fissato la votazione online sulla piattaforma Rousseau dei cinque candidati selezionati per il cda di Viale Mazzini e nel frattempo continua a trattare con l’ alleato sul direttore generale. L’ uomo che, dopo la riforma della governance approvata nella scorsa legislatura, avrà in mano tutte le leve del potere Rai: una casella che i 5S rivendicano con forza, a dispetto delle avance salviniane. Ma stanno incontrando un problema non da poco: il tetto al compenso stabilito per i dirigenti pubblici a 240mila euro. Una cifra bassa per chi proviene dal privato, tant’ è che alcuni dei manager contattati si sarebbero già detti indisponibili ad accettare uno stipendio molto al di sotto dei livelli di mercato. Impasse piuttosto complicata da risolvere – specie alla luce della battaglia condotta in aula contro il governo Renzi per imporre il tetto anche ai dipendenti Rai, che l’ avevano eluso – ma forse non impossibile. Tant’ è che i vertici del Movimento hanno chiesto al Tesoro, il ministero che formalmente nomina il dg, di studiare la possibilità di aggirare il limite dei 240mila euro senza però violare la legge. Si rendono conto, i grillini, che il tema è assai scivoloso, non vogliono certo passare per quelli che difendono gli “stipendi d’ oro”, dopo averli tanto criticati. Per loro l’ ideale sarebbe allora individuare una soluzione che rimanga dentro il perimetro delle norme vigenti: immaginando magari di suddividere la retribuzione in una parte fissa ( da tenere sotto il tetto) e una variabile, legata ai risultati, oppure a una qualche forma di bonus extra. Così da convincere ” i migliori” ad assumere l’ incarico. Per il quale sarebbe in discesa, perché poco convinto, il Country manager di Google Italia Fabio Vaccarono; in salita Fabrizio Salini, ex direttore di La7 e prima ancora di Sky Uno, che piace molto a Luigi Di Maio; in corsia di sorpasso, spuntato in queste ore, Vittorio Colao, che ha appena chiuso la sua carriera di ad in Vodafone, dopo un breve passaggio in Rcs. E se per la presidenza di Viale Mazzini la lista dei desideri a cinquestelle resta sempre la stessa ( Gabanelli, Freccero, De Bortoli), i giochi sembrano invece fatti per la Commissione di Vigilanza. Ieri, allo spirare dell’ ennesimo termine per depositare l’ elenco dei candidati negli organismi di garanzia parlamentare, tutti i partiti hanno risposto all’ appello. L’ accordo fra maggioranza e minoranza prevede che la presidenza della Bicamerale Rai vada a un senatore di Fi, il Copasir a un deputato del Pd, la giunta per le autorizzazioni al Senato di nuovo a Fi. Ebbene, a sorpresa, gli azzurri hanno candidato Maurizio Gasparri sia alla guida della Vigilanza, dove lui aspira ad andare, sia a quella della giunta. Il paracadute necessario nel caso in cui, alla votazione prevista per domani, l’ ex ministro delle Comunicazioni venisse impallinato. I 5S di lui non vogliono infatti sentir parlare e la Lega sta giocando di sponda, trovando però terreno fertile nella voglia di rinnovamento di Berlusconi. Che al posto del senatore ex An vedrebbe bene il giornalista Mediaset Alberto Barachini, suo fedelissimo. E c’ è già chi scommette che alla fine andrà esattamente così. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Mediaset e F2i, Opa sulle torri l’ obiettivo è la fusione con Rai

La Repubblica
SARA BENNEWITZ
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Milano Se la Rai non va a Mediaset, allora è Mediaset che va alla Rai. A distanza di tre anni dal tentativo fallito della Ei Towers che fa capo alla famiglia Berlusconi di comprarsi le torri che trasmettono la tv nazionale, l’ accordo viene replicato a parti invertite e grazie all’ intervento di F2i, il fondo infrastrutturale guidato da Renato Ravanelli e partecipato dalla Cassa depositi e prestiti. E il riassetto, non a caso succede mentre il nuovo governo di Lega e 5 Stelle dove Berlusconi non è emerso con la forza che sperava – non ha ancora nominato né il vertici in scadenza della Cdp, né quelli delle Rai, che fungono rispettivamente da finanziatori e clienti della società che fa capo al Biscione. L’ operazione si articola in tre tappe, alla fine delle quali, Mediaset, sarà in minoranza, ma probabilmente più ricca di quanto non è oggi. La prima tappa prevede che il fondo infrastrutturale F2i, con il sostegno e il benestare di Mediaset, lanci un’ Opa su Ei Towers a 57 euro ( o 1,6 miliardi), quando ieri ne valeva 49,3 ( o 1,4 miliardi), offrendo un premio del 15% sui valori di Borsa. A termine dell’ offerta pubblica, F2i sarà il socio di maggioranza, mentre Mediaset dovrebbe trovarsi con una minoranza rotonda, non inferiore al 40% da cui parte ( oscillerà tra il 40 e il 49% a seconda dell’ esito dell’ Opa). La seconda parte del riassetto prevede che, una volta che Ei Towers sarà ritirata dalla Borsa, la società venga divisa in due: le torri televisive e quelle telefoniche. Le prime – che sono la maggior parte del valore e quelle che trasmettono Canale 5 nelle case degli italiani – verranno fuse dentro Rai Way, società quotata e controllata al 65% dalla Rai. Rai Way è un’ azienda più piccola di quella dei Berlusconi dato che in Borsa vale 1,1 miliardi. Questa architettura – grazie all’ intervento del fondo partecipato dalla Cdp – garantirà che alla fine della fusione tra Ei Towers e Rai Way, il colosso nazionale delle torri televisive che nascerà dall’ operazione continuerà a essere gestita in maggioranza da investitori di matrice pubblica. Solo in Italia esistono due società di torri tv e l’ anomalia ha creato costi duplicati che, fondendo le due aziende, verrebbero eliminati a tutto beneficio degli investitori. Per questo a inizio 2015 Ei Towers aveva provato a lanciare un’ Opa su Rai Way, che era subito stata rispedita al mittente dalla Rai. La scusa, poi dimostrata infondata dai magistrati, era che lo statuto di Rai Way prevede che a controllare l’ azienda sia un socio pubblico. In realtà di fronte a un’ Opa tutto può essere cambiato se c’ è la volontà di farlo, ma per la Rai, l’ idea che la sua infrastruttura venisse comprata da una società satellite di Mediaset, era stata giudicata irricevibile, anche se l’ operazione aveva senso industriale. Oggi, grazie all’ intervento di F2i, il matrimonio può essere riproposto a parti invertite. La terza e ultima tappa del piano di riassetto del fondo della Cdp e di Mediaset prevede che dopo aver fatto nascere il monopolista italiano delle torri tv sotto il cappello della Rai, vengano valorizzate le torri telefoniche di Ei Towers. Il compratore ideale sarebbe la spagnola Cellnex, la cui quota di maggioranza è appena stata rilevata dalla famiglia Benetton. Insomma un riassetto quello delle torri di trasmissione, architettata da Mediobanca, Credit Suisse, Intesa e Unicredit, dove il pubblico si unisce al privato e dove, male che vada, Mediaset farà un doppio affare: da una parte valorizzerà le sue torri tv in un colosso tricolore pubblico delle infrastrutture; dall’ altra estrarrà valore anche da quelle telefoniche, magari mettendosi in affari con il gruppo della famiglia Benetton. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’ offerta di acquisto è di 57 euro per azione, un premio del 15% Il fondo sarà primo socio Mediaset attorno al 40% Tra gli obiettivi c’ è anche la scissione delle torri per le Tlc che potrebbero finire ai Benetton con Cellnex.

La Serie A e il collage delle tv il sabato sera è in streaming

La Repubblica
ANTONIO DIPOLLINA
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Con l’ accordo fra Mediaset e Dazn prende corpo l’ assetto definitivo del palinsesto 2018/19. Come cambiano gli scenari rispetto al passato. Guida a orari, proposte e pacchetti MILANO Calcio in tv, nel senso della imminente serie A, tutti pronti a fare calcoli, allacciare wifi, valutare offerte. Parliamo del tifoso-abbonato, quello che negli anni scorsi aveva un’ autostrada da percorrere (era Sky) o una superstrada minore ma assai soddisfacente (ed era Premium). Nella prima il 100% dei tifosi aveva tutto quello che voleva. Nella seconda la percentuale scendeva, diciamo, al 90. Ma era un bel viaggiare. Pagando, s’ intende. Un po’ meno nel secondo caso. Si cambia. Ed è meglio iniziare a fare valutazioni. Il nuovo contratto (siglato quando ancora CR7 faceva le rovesciate, ma questo è un altro discorso) ha chiamato nuovi soldi per la serie A e nuovi attori in campo. È entrata Perform (entità colossale a capitali internazionali. Per brevità: la Netflix dello sport) che offre servigi e prodotti ma solo via internet, ovvero smart tv e simili. A Perform sono andate tre partite a week end, il succoso anticipo del sabato sera, il lunch-match (pardon, la gara a mezzogiorno della domenica) e una partita tra quelle delle 15 della stessa domenica. Premium, a quel punto, si è in un primo tempo fatta da parte – peraltro rinunciando alla Champions League, che ritorna su Sky. E la medesima Sky, se parliamo di serie A, si è ritrovata così ad avere tre partite in meno, ripetiamo: una fondamentale il sabato sera, rispetto alla full-offerta a cui ha abituato negli anni i suoi abbonati. L’ altra sera è tornata in campo Premium: annunciando di aver siglato un accordo con Perform. Offrirà le tre partite di cui sopra (più l’ intera serie B, più la Liga e altre cose in arrivo) agli abbonati che decideranno di non abbandonarla: ovviamente a prezzo inferiore rispetto a prima (19.90 euro) e con l’ aggiunta, va da sé, della sua offerta di cinema e serie tv. Ma c’ è un ma: Perform, che nella sua emanazione si chiama Dazn (e ha ingaggiato Diletta Leotta e Paolo Maldini) non intende rinunciare alla sua peculiarità internet, ovvero alla app: quindi le gare si potranno vedere solo via smart tv, o computer, o playstation, o chiavette apposite – vedi Chromecast, di Google, o quella equivalente di Amazon. E fermiamoci qui, prima di ingarbugliare davvero tutto e subito. Infine c’ è Sky: che da giorni pubblicizza il suo prodotto – sontuoso comunque, con Champions (nei programmi che accompagneranno il massimo torneo arriverà Ilaria D’ Amico) ed Europa League e tutto il resto, con la serie A ma senza quelle fatali tre partite. Va da sé, anche Sky sta trattando con Dazn e a giorni si saprà: in questo caso tutto porta a pensare che l’ accordo riguarderà le tre partite, ovvero la app di Dazn, sul nuovo sistema SkyQ – con decoder a parte – che da gennaio, per dire, comprendrà anche Netflix e che è fatto apposta per queste cose. Se vi sembra complicato, sappiate che in realtà è la soluzione più lineare: ovvero l’ unica che potrà offrire la serie A full come era in passato: si accende SkyQ e si vede tutto – ammesso che l’ accordo si concluda. Chi è affezionato al vecchio decoder e soprattutto ha di meglio da fare e pensare nella vita che al bricolage del calcio-tv, avrà le sette partite, la Champions eccetera, abbonandosi ai pacchetti giusti. E chi aveva solo il vecchio televisore e la scheda di Premium? Niente calcio. Come diceva quello, il segnale che arriva – e qui parliamo dai padroni del vapore calcistico che hanno voluto tutto questo – è quello di una volta: arrangiatevi. Speriamo che scampoli di buon senso residuo, da qui all’ inizio del torneo, procedano con aggiustamenti che tengano un po’ più conto delle esigenze del pubblico. © RIPRODUZIONE RISERVATA Fino all’ anno scorso Sky aveva in programma tutto il campionato, ora trasmetterà tre incontri in meno a settimana Gli abbonati Premium avranno accesso a 114 partite, ma le vedranno su tablet o smart tv, non sul digitale terrestre Il calcio della domenica sera Il gol di Kalidou Koulibaly del 22 aprile scorso: era un posticipo serale della domenica. Con i nuovi scenari, è una delle 7 finestre che rientra nel pacchetto Sky.

Mondiali record 297 milioni in tv per Mediaset

La Repubblica
MATTEO MARIA MUNNO
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Il primo Mondiale su Mediaset, il primo senza azzurri. L’ assenza non ha fatto desistere i tifosi italiani: in 297 milioni hanno visto le 64 partite di Russia 2018. Risultato che fa ancora più rumore se paragonato al torneo precedente trasmesso in maniera alternata da Rai e Sky: 49 milioni in più (+19,7%). La più vista, manco a dirlo, è stata la finale tra Francia e Croazia, che ha tenuto incollati alla tv più di 11 milioni e mezzo di spettatori (66.58% di share). A Cologno Monzese sono diventati euforici ogni giorno di più. Già il 19 giugno, il capo dello sport Alberto Brandi, con un post su Instagram, scriveva ironico: «Sì, una pessima idea prendere i Mondiali senza l’ Italia». La griglia andava formandosi, e così anche la programmazione del Mondiale per tutti, compresi i millennial che seguivano Mbappé e Modric sullo smartphone: oltre mezzo milione di pollici ha scaricato l’ app studiata dal Biscione per l’ occasione, per non parlare dei 20 milioni di utenti unici che si sono sbizzarriti con i contenuti digital. Un’ avventura che per Pier Silvio Berlusconi è un vanto: « Un orgoglio averci pensato e poi creduto quando tutto il sistema era scettico – ha detto – e averlo fatto, sia in Italia sia in Spagna, gratuitamente, senza canoni o abbonamenti. Per un editore, questa è la soddisfazione più grande: offrire un vero servizio per il pubblico». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

Rai, l’ editto dei 5 Stelle: esclusi Santoro e Minoli

La Stampa
ILARIO LOMBARDO
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Nelle riunioni del M5S in cui si è arrivati a scegliere la cinquina per il Cda Rai che oggi andrà al voto sulla piattaforma Rousseau, due nomi sono stati particolarmente al centro dell’ attenzione, soprattutto nella prima fase. I grandi esclusi: Michele Santoro e Giovanni Minoli. I due giornalisti, un pezzo della storia televisiva e della Rai, sono stati liquidati quasi subito dal M5S. Il motivo? Lo spiega così una fonte che ha partecipato al comitato nomine dei grillini: «Perché avrebbero fatto i fenomeni , facendo tutto di testa loro». Invece nel post di ieri sul blog è scritto chiaramente che «sono stati individuati profili pronti a impegnarsi nella realizzazione della nostra visione di tv pubblica». Con la nuova legge, sui sette membri del Cda, quattro sono scelti da Camera e Senato. Due spettano al governo (il Tesoro). Uno è di nomina interna Rai. A diverso titolo hanno partecipato alla selezione la deputata Mirella Liuzzi, già firmataria della proposta di legge di Roberto Fico, il deputato Stefano Buffagni, il ministro Luigi Di Maio che ha tenuto per sé la delega alle Telecomunicazioni, l’ ex giornalista tv, oggi senatore, Gianluigi Paragone, membro della Vigilanza, mentre si è tenuto informato il portavoce del premier, grande conoscitore dei meccanismi televisivi, Rocco Casalino. Troppo strutturati, troppo autonomi, secondo i 5 Stelle, sia Minoli sia Santoro. Si potranno giocare le loro chance in Parlamento ma è difficile che soprattutto Santoro la spunterà, perché Lega e M5S hanno intenzione di spartirsi tre poltrone, di lasciare un posto a Forza Italia e nulla al Pd. «Se pensi a Netflix non puoi puntare su Santoro. Lui è il campione di un modello tradizionale di tv. Sarebbe stato un ottimo direttore di rete qualche anno fa» spiega Paragone. Ma il veto su Santoro è frutto di un rapporto che non è mai stato semplice tra i grillini e il conduttore. Tanta ammirazione ma anche grandi litigate. Santoro, che due anni fa arrivò a definire il M5S «destra pura», ha dedicato diversi editoriali critici ai grillini e ha sempre rifiutato di rispettare le condizioni poste su domande e ospiti per avere i big nel suo talk. I 5 prescelti invece sono un docente universitario, un producer, una manager che ha lavorato per una società di produzione tv, la Freemantle, che è stata tra i principali fornitori Rai. Ma c’ è anche Paolo Favale, avvocato ex dirigente Rai, che si è appena visto riconoscere come illegittimo dalla Cassazione il suo licenziamento per motivi sindacali. Infine l’ ha spuntata Claudia Mazzola, l’ inviata del Tg1 che, fonte Wikipedia «segue fin dagli esordi il M5S, diventando uno dei maggiori esperti italiani del fenomeno grillino». Nel 2014 il blog l’ apostrofò brutalmente, accusandola di «servizietti». Negli anni però i grillini hanno imparato ad apprezzarla e lei si è conquistata la stima dei vertici. Per il Pd, che parla per bocca di Michele Anzaldi, è « il trionfo del conflitto di interessi, l’ apoteosi della lottizzazione» BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Più web e produzioni interne In bilico anche Fazio e Vespa Ecco la tv pubblica giallo-verde

La Stampa
I. LOMB.
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Meno produzioni esterne. Informazione divisa dall’ intrattenimento. Apertura delle serie tv ai mercati internazionali Meno potere agli agenti. Più digitale. Per capire che Rai sarà bisogna seguire dove portano le tracce lasciate nel post pubblicato ieri sul Blog. Un vero e proprio manifesto che contiene le coordinate della tv pubblica che hanno in mente i giallo-verdi. Ma se alla Lega sembra interessare di più chi avrà in mano reti e Tg, per i 5 Stelle in ballo c’ è anche una questione di visione, di prodotto. Il modello Fico I grillini non hanno mai nascosto le proprie idee in termini di servizio pubblico televisivo. Ed è su questo che chiedono la massima adesione ai candidati per il Cda. Toccherà poi all’ amministratore delegato scelto dal ministro del Tesoro incarnare queste ambizioni. Nella confusione dei ruoli che spesso avvinghia il M5S, due settimane fa, Beppe Grillo si è augurato un solo canale Rai di Stato, senza pubblicità, e gli altri due sul mercato. Quasi nelle stesse ore Luigi Di Maio indicava in Netflix il modello per la Rai. Ma in realtà c’ è molto di Roberto Fico nelle scelte che il M5S si appresta a fare su Viale Mazzini, sulla governance come sulle indicazioni industriali ed editoriali. E a partire dal metodo anche in questi giorni, come richiesto da Di Maio, c’ è stata la massima condivisione con il presidente della Camera, ex presidente della Vigilanza, che più si è speso per una radicale trasformazione della Rai. Per esempio è di Fico la battaglia contro l’ eccesso di dipendenza dalle produzioni esterne, come dagli agenti delle star, bersaglio di una risoluzione «contro i conflitti di interesse» fatta passare in Vigilanza la scorsa legislatura. «Nella Rai del governo del cambiamento – spiega Gianluigi Paragone, oggi senatore M5S ma in passato giornalista e dirigente Rai – ci saranno meno appalti esterni e saranno sfruttare più risorse interne per le produzioni». Paragone non vuole fare nomi ma spiega che «non c’ è bisogno di affidarsi a tutte queste società che poi sono sempre le stesse e pagano le tasse dove si pagano di meno». Nel progetto di rivitalizzare l’ azienda facendole bastare le sue proprie forze, per Fico è essenziale il rispetto del tetto dei 240 mila come anche della netta e chiara divisione tra informazione e spettacolo. I grillini portano ad esempio due conduttori: Bruno Vespa e Fabio Fazio. Nessuno dei due è un interno della Rai. Entrambi hanno contratti che il M5S vuole ridiscutere alla scadenza. In questi anni Fico ha posto più volte nel mirino Porta a Porta, con la stessa domanda: «Vespa fa giornalismo o spettacolo?». Consapevole dei buoni propositi troppe volte bruciati nel passato dalla forza della consuetudine e della convenienza, Fico ha anche definito le nomine del Cda Rai «il primo vero banco di prova di questa legislatura» e ha chiesto di seguire come «unica stella polare l’ indipendenza dalla politica». I 5 Stelle assicurano di ambire a una «informazione realmente indipendente e giornalisti non asserviti al partito di turno». Ma poi dicono di puntare «a un’ informazione in cui il rigore delle notizie prevalga sui contenitori di commento». «Nessuno vuole chiudere i talk show ma ci auguriamo più notizie, più inchieste, più realtà» dice Paragone. Serie tv e digitale Da una parte l’ informazione «libera», dall’ altra «un prodotto audiovisivo di qualità, la sua fruizione su diversi dispositivi, la possibilità di commercializzarlo all’ estero». La Netflix pubblica che è il sogno di Di Maio -ma in questo caso c’ è anche lo zampino di Davide Casaleggio – è fatta di più fiction, più serie tv, autoprodotte come fa la società di streaming internazionale, e appetibili per l’ estero (l’ esempio che si fa è quello del buon successo del Cacciatore ). Prodotti che dovranno essere fruibili sul web. È questo l’ altro pilastro: la Rai come una media company che privilegia il digitale e il multimediale. Irrobustendo Rai Replay, una realtà che si è evoluta a metà secondo Milena Gabanelli che ha pronto il suo portale unico di news su cui ha lavorato prima di lasciare in polemica Viale Mazzini e che ieri ha ritirato fuori sul Corriere . Un progetto a cui guarda con grande attenzione il M5S. I. Lomb. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

I grillini votano online per il cda della Rai In corsa la giornalista criticata da Casalino

Libero

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L’ appuntamento è per oggi, dalle 10 alle 19, sulla piattaforma Rousseau. Gli iscritti al Movimento Cinque Stelle avranno una giornata per scegliere online i profili che il partito si impegna a sostenere in Parlamento per il cda della Rai. «È stata fatta una prima scrematura e sono stati individuati dei profili pronti ad impegnarsi nella realizzazione della nostra visione di tv pubblica», si legge sul blog dei Movimento. Ogni iscritto potrà esprimere una sola preferenza. Cinque i nomi fra cui scegliere: Paolo Cellini (manager ex Microsoft e Disney); Beatrice Coletti (manager con esperienze in La7, Sky e Fox); Paolo Favale (avvocato, già dirigente Rai); Claudia Mazzola (giornalista del Tg1); Enrico Ventrice (documentarista e produttore televisivo). Curiosità: una delle candidate, la giornalista Mazzola, nel 2014 era stata criticata da Rocco Casalino, portavoce M5S, per un servizio del Tg1.

L'articolo Rassegna Stampa del 17/07/2018 proviene da Editoria.tv.


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