Indice Articoli
Talk e volti Rai: adesso Rete 4 sfida La7
Copyright, stop alla riforma. Il Parlamento Ue la boccia
L’ intreccio dei fondi pubblici ai giornali: come sono e saranno
La riforma del copyright si arena al Parlamento Ue
Gli editori alzano le barricate contro la «mannaia» di Crimi
La sfida della nuova Rete4 sul ring dell’ informazione
Imprese in allarme sulle difficoltà Ue a disciplinare Internet
L’ Europarlamento «boccia» le nuove regole sul copyright
Edoardo Garrone eletto alla presidenza de Il Sole 24 Ore
Strasburgo si spacca slitta a settembre la legge sul copyright
Copyright, legge rimandata a settembre
Francesco Vatalaro ha tutti i numeri per essere nel cda Rai
Liberazione delle frequenze Retecapri ricorre al Tar
Editoria, Lorusso (Fnsi): «Stop slogan, non cancellare gli aiuti a cooperative»
Copyright, resta la giungla social
Ruffini guiderà l’ ufficio stampa del Vaticano
COPYRIGHT LA CHANCE PERSA DALL’ EUROPA
“Gli avvisi dei bandi sui giornali? Indispensabili per la trasparenza”
Crimi: stop agli annunci di gare pubbliche sui quotidiani
Strasburgo si spacca sul copyright La riforma rimandata a settembre
Così i colossi del web hanno fermato la riforma del copyright in Europa
Talk e volti Rai: adesso Rete 4 sfida La7
Il Fatto Quotidiano
Gi.Ros.
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La metamorfosi di Rete 4. Con più informazione e attualità. Senza più programmi urlati, quelli con i collegamenti dalle piazze, dove il dibattito finiva spesso in rissa verbale. Come Quinta Colonna e Dalla vostra parte. La rimozione dal video – anche se rimangono sotto contratto – di Paolo Del Debbio, Maurizio Belpietro e Mario Giordano. E l’ arrivo di nuovi volti che dovrebbero assicurare sobrietà e approfondimento. Quella che un tempo era l’ emblema del berlusconismo spinto, con Emilio Fede che piantava le bandierine azzurre nel 1994, e della tv commerciale fatta di televendite e telenovela, ora cambia pelle puntando, almeno in prima serata, sull’ informazione di qualità. Un nuovo profilo – annunciato alla presentazione dei palinsesti Mediaset nel Principato di Monaco da Pier Silvio Berlusconi – che rimanda immediatamente al modello La7. Il restyling tocca anche il logo: un cerchio più stilizzato. L’ uomo su cui Mediaset punta è Gerardo Greco : una vita in Rai, dove negli ultimi anni ha guidato la Radio, sarà il nuovo direttore del Tg4 e condurrà un talk di politica e attualità in prima serata il giovedì. Da Viale Mazzini arriva anche Roberto Giacobbo , che il martedì condurrà un programma di divulgazione scientifica (alla Alberto Angela?). Da Canale 5 (dove continuerà con Matrix) giunge invece in prestito Nicola Porro , con un talk politico (forse il lunedì). Le altre prime serate vedranno impegnati Piero Chiambretti (mercoledì) e Gianluigi Nuzzi con Quarto Grado (venerdì). Ma la sfida comprenderà anche l’ arrivo di Barbara Palombelli dopo il telegiornale come anti-Lilli Gruber. “Non sarà un canale pensato contro La7, ma concorrente sì”, evidenzia Berlusconi jr. “Vogliamo andare in controtendenza e scommettere ancora su un canale generalista. La nuova Rete 4 sarà una grande sfida, non facile, per questo chiediamo tempo: i programmi avranno bisogno di un po’ di rodaggio”, osserva Maurizio Crippa, capo dell’ informazione Mediaset. Non cambierà, invece, il direttore di Rete 4, Sebastiano Lombardi. “Il day time resterà invariato, ma col nuovo prime time vogliamo allargare il target rivolgendoci a un pubblico più informato, esigente, consapevole”, spiega Lombardi. Un pubblico più elevato dal punto di vista culturale ed economico, “che finora ci ha sempre snobbato”. Nonostante Pier Silvio tolga il tema dal tavolo (“il pensiero che possa essere stata una scelta politica fa sorridere, Rete 4 cambia per motivi puramente televisivi”, dice), resta il sospetto che tutto accada anche per volontà di Silvio Berlusconi, convinto che l’ informazione trash abbia portato voti a 5 Stelle e Lega, togliendoli a FI . La sensazione, però, è che a Cologno si sia voluto sfruttare l’ occasione della sconfitta forzista del 4 marzo, e del conseguente malcontento berlusconiano, per avviare un processo cui si pensava da tempo. Altre novità in casa Mediaset, infine, sono un nuovo programma di auto e moto che si muoverà attraverso i palinsesti e l’ idea di “Casa Totti”, una sitcom sulla falsariga di Casa Vianello. “Ne ho parlato con Ilary, a me piacerebbe molto”, dice Berlusconi jr.
Copyright, stop alla riforma. Il Parlamento Ue la boccia
Il Fatto Quotidiano
Virginia Della Sala
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Riforma del diritto d’ autore: alla fine il Parlamento europeo l’ ha bocciata e se ne riparla a settembre. Ieri la plenaria di Strasburgo ha respinto, con 278 voti favorevoli, 318 contrari e 31 astensioni, il mandato negoziale proposto dalla commissione giuridica il 20 giugno. Di conseguenza, la posizione del Parlamento sarà discussa, emendata e votata durante la prossima sessione plenaria di settembre. “Mi dispiace che la maggioranza dei deputati non abbia sostenuto la posizione che io e la commissione giuridica abbiamo preparato – ha detto il relatore Axel Voss (Ppe, De) – ma fa parte del processo democratico. Torneremo sul tema a settembre con un ulteriore valutazione per cercare di rispondere alle preoccupazioni dei cittadini, aggiornando nel contempo le norme sul diritto d’ autore per il moderno ambiente digitale”. Un Europarlamento diviso a metà che ha esaudito i desideri dei big del digitale come Google e Facebook ma anche quelli di chi, di solito, li osteggia come i piccoli provider e i teorizzatori di un web senza interessi economici. Dalla Commissione Ue, ora si parla di fake news e slogan che starebbero deviando l’ opinione pubblica e denunciando rischi inesistenti. A essere contestati, nelle ultime settimane e soprattutto da esperti e associazioni che lottano per Internet completamente libera da interessi e limitazioni (da Mozilla a Wikipedia), sono due articoli della direttiva. Il primo prevede il pagamento – da parte delle piattaforme come appunto Google o Facebook – di un corrispettivo economico all’ editore ogni volta che mostrano agli utenti un link, un titolo o un estratto del contenuto di cui gli editori sono proprietari (con l’ idea di contrastare il fatto che i lettori ormai leggono solo i titoli). Il secondo prevede l’ obbligo per tutte le piattaforme di dotarsi di un software che sia in grado di filtrare i contenuti prima della loro pubblicazione per riconoscere se siano protetti o meno da copyright. Si tratta di filtri che i grandi come Youtube già hanno e che invece spaventano le attività più piccole. La misura, nelle intenzioni dell’ Ue, dovrebbe favorire i creativi minori e gli indipendenti che non possono permettersi di scovare da soli eventuali abusi sui loro contenuti. Ma il controllo preventivo è un tema delicato che, secondo i più critici, potrebbe fornire una copertura formale per eventuali censure, oltre a limitare la libera espressione come nel caso della satira che ricorre alle foto (i meme) o della critica legata a contenuti attuali e di cronaca. Così, per la complessità del tema e per l’ eterogeneità degli interessi coinvolti, ieri quasi tutti i gruppi politici si sono trovati spaccati. Tra gli italiani, il Pd – che ha votato a favore – ha comunque registrato sette no. Compatta invece FI per il sì, mentre Lega e M5S lo sono stati per il no. Se ne riparlerà a settembre, nella speranza che poi si possa chiudere l’ iter entro la fine della legislatura.
L’ intreccio dei fondi pubblici ai giornali: come sono e saranno
Il Fatto Quotidiano
Vds
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Vito Crimi è il sottosegretario, in quota Cinque Stelle, all’ editoria. In una intervista, ha rilanciato l’ intenzione di rivedere il sistema dei contributi all’ editoria in Italia: diretti, indiretti e anche quelli che arrivano ai giornali grazie all’ obbligo di pubblicazione dei bandi di gara. Ieri, il direttore di Repubblica, Mario Calabresi, ha sottolineato come i maggiori giornali d’ Italia non ricevano contributi diretti e ha rilevato che togliere l’ obbligo degli avvisi potrebbe essere un colpo alla trasparenza. Ma come funzionano questi finanziamenti e come cambieranno? Fondi diretti.Sul sito del Dipartimento per l’ informazione e l’ editoria ci sono alcuni dati, come la rata di anticipo del contributo per il 2017, che ha consentito di erogare il 42,05% del contributo dell’ anno prima. In tutto, circa 50 milioni di euro. Tra i maggiori beneficiari del fondo diretto – escludendo quindi i contributi per le realtà non profit -, ci sono Avvenire con (2,5 milioni di euro) Italia Oggi (2 milioni), Libero (2,2 milioni) , il manifesto (1,3 milioni). Gli altri sono soprattutto realtà locali: 889 mila euro al Corriere Romagna, 882 mila a Cronacaqui.it, circa 700 mila a il cittadino, almeno 440 mila al Quotidiano di Sicilia, 600mila per il Dolomiten . Infine, 337 mila per Il Foglio. Il totale fa circa 21 milioni di euro. A chi?L’ anno scorso sono state approvate le nuove regole per la distribuzione dei contributi, dati in parte come rimborso di costi e in parte in base al numero di copie vendute. Sette le categorie dei destinatari, tra cui cooperative giornalistiche, imprese editrici il cui capitale è detenuto in maggioranza o totalmente da enti senza fini di lucro, giornali di minoranze linguistiche o per non vedenti. Di conseguenza, gran parte dei principali quotidiani nazionali (salvo Libero, manifesto, Foglio e Avvenire) non vi rientrano. Indiretti.Crimi parla di agevolazioni indirette. Dal tax credit sulla carta, che ormai non c’ è più, all’ iva agevolata (i giornali pagano il 4 per cento e solo sul 20 per cento della tiratura), passando per i rimborsi telefonici e agevolazioni sui costi delle spedizioni postali. Numeri di cui, però, non si tiene alcun conto ufficiale. I bandi.In Italia c’ è l’ obbligo di pubblicare i bandi o le aggiudicazioni oltre una certa cifra sui quotidiani. Annunci che secondo alcune stime valgono circa 40 milioni di euro. La scelta del quotidiano destinatario dell’ annuncio è, però, discrezionale così come il costo che è a carico delle aziende. La richiesta arriva di solito o dalle aziende stesse o dalle agenzie che si occupano di questo tipo di annunci. Il prezzo dipende dalla grandezza dell’ annuncio (dai “moduli” che occupa”) ed è fisso, diversamente da quello della pubblicità commerciale, per la quale si può trattare o stringere accordi. Ogni quotidiano applica il suo prezzo ed è legato al numero di copie che vende. Ecco perché è complicato capire a quanto ammonti il totale. Pubblicità. Il decreto dell’ anno scorso, invece, ha introdotto – per la pubblicità commerciale – un’ agevolazione fiscale che consiste in un credito d’ imposta al 75% sugli investimenti incrementali almeno dell’ 1% rispetto all’ anno precedente sullo stesso mezzo d’ informazione. Fnsi. “Si annuncia – ha detto Raffaele Lorusso, segretario generale del sindacato dei giornalisti – l’ abolizione di contributi alla stampa che non esistono più da anni, a meno che non si vogliano cancellare gli aiuti economici riconosciuti a stampa non profit, cooperative, stampa diocesana, altra gamba del pluralismo dell’ informazione di questo Paese. In questo caso, si assume la responsabilità di cancellare un migliaio di posti di lavoro”. Le intenzioni. “Per quanto riguarda i bandi – spiega Crimi – si tratta di sottrarre le imprese a un obbligo che si rifà a un sistema di diffusione non più utilizzato, mentre per quanto riguarda il finanziamento diretto, l’ idea è iniziare a finanziare il sistema editoriale e smettere di agevolare i singoli editori che magari fanno anche dividendi tra i soci”. E il pluralismo? “Vanno tutelati i piccoli giornali, le realtà rappresentative delle comunità che altrimenti non potrebbero rimanere in piedi. Soprattutto là dove non arrivano i quotidiani nazionali”. E i finanziamenti diretti? “Confermati ma salvaguardando l’ informazione sana e rappresentativa delle realtà locali con la correzione delle storture, ovvero i fondi a tutti quei giornali nazionali che non rientrano nelle categorie che ho appena descritto”.
`Respinta la proposta della Commissione sulla protezione dei contenuti informativi on line: esultano i colossi del web
Il Mattino
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IL CASO BRUXELLES È solo una battuta d’ arresto, però la sensazione è che la normativa sul diritto d’ autore rischia di arenarsi: alla fine della legislatura non mancano molti mesi. Soddisfatti del rinvio i giganti del Web, Google, Facebook, Alibaba, innanzitutto. Molto preoccupati, invece, i difensori classici del copyright, a cominciare dagli editori che vedono i contenuti informativi circolare online senza ottenere in cambio una quota equa del valore che generano (in termini pubblicitari e di accesso ai dati). La notizia è che gli eurodeputati hanno respinto la proposta negoziale della commissione giuridica praticamente spaccandosi in due: 278 favorevoli, 318 contrari, 31 astenuti. Se ne riparlerà a metà settembre. Lo stop era quasi annunciato e negli ultimi giorni c’ è stato un salto di qualità nell’ azione lobbystica a favore delle posizioni dei colossi digitali in nome della libertà di Internet. Con un’ ondata propagandistica diffusa rivolta agli eurodeputati che ha portato al blocco dei sistemi telefonici in molti uffici del Parlamento, dei cellulari e delle email. Pressione davvero mai vista in tali dimensioni. Addirittura con minacce esplicite. «Numerosi eurodeputati hanno ricevuto gravi minacce perfino di morte», ha denunciato il capogruppo dei Socialisti&Democratici, Udo Bullmann. I NODI La partita si concentra su due articoli della normativa che ha l’ obiettivo di tutelare sia autori, titolari di diritti che non riescono a essere remunerati per la diffusione online delle loro opere, sia gli editori di giornali. Le norme riguardano essenzialmente non gli utenti finali ma le relazioni tra le piattaforme digitali (come Google e YouTube) e gli editori. L’ articolo 11 è quello che i critici (innanzitutto i giganti del Web) hanno definito come LinkTax’. In realtà non di imposta su tratta bensì di una classica remunerazione. Gli editori, indica la proposta, devono poter «ottenere una giusta e proporzionata remunerazione per l’ uso digitale delle loro pubblicazioni dai provider di informazioni». In sostanza, la pubblicazione delle prime battute di un articolo (snippet) deve implicare una licenza. L’ autorizzazione va pagata. L’ articolo 13 invece prevede che siano firmati «contratti di licenza con i proprietari dei diritti, a meno che questi non abbiano intenzione di garantire una licenza o non sia possibile stipularne». Senza un accordo scattano i filtri automatici in grado di controllare preventivamente i contenuti scaricati dagli utenti. Se c’ è una violazione del copyright, la pubblicazione viene impedita. Gli eurodeputati di Lega e M5S hanno votato contro il mandato negoziale. «È un giorno importante, il segno tangibile che finalmente qualcosa sta cambiando anche a livello di Parlamento europeo, nessuno si deve permettere di silenziare la rete», ha dichiarato il vicepremier Di Maio. Il presidente della Fieg (associazione degli editori) Andrea Riffeser Monti, che auspica una inversione di rotta delle scelte dell’ Europarlamento, ha indicato che dietro il voto di ieri «si cela il pericolo di veder prevalere, nella società civile e tra i nostri rappresentanti politici, orientamenti suscettibili di danneggiare non solo le nostre imprese, ma anche le professionalità e le competenze dei giornalisti». Per Confindustria Radio Tv lo stop dell’ Europarlamento «scrive una pagina nera nella storia del nostro Continente, destinata, se non si recupera un testo equilibrato, a umiliare la cultura, la creatività, l’ economia stessa». Antonio Pollio Salimbeni © RIPRODUZIONE RISERVATA.
La riforma del copyright si arena al Parlamento Ue
Il Sole 24 Ore
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L’ Europarlamento, riunito in plenaria a Strasburgo, ha respinto ieri (con 318 no, 278 sì, 31 astensioni) l’ avvio dei negoziati per la proposta di Direttiva sul digital single market, nota più che altro per le sue misure sul diritto d’ autore. Il testo verrà discusso alla prossima plenaria a settembre ma di fatto si tratta di una bocciatura. Esulta Matteo Salvini: «Non è passato il bavaglio alla Rete». Felice Luigi Di Maio: «Nessuno si può permettere di silenziare il web». Preoccupazione invece tra le imprese, soprattutto quelle produttrici di contenuti, per le difficoltà manifestate dall’ Europa a mettere delle regole all’ informazione su Internet. Nello stesso tempo il nuovo presidente Fieg, Andrea Riffeser Monti, ha contestato le affermazioni del sottosegretario Crimi sulla possibilità di bloccare la pubblicità di gare pubbliche sui quotidiani. a pagina 3.
Gli editori alzano le barricate contro la «mannaia» di Crimi
Il Sole 24 Ore
A. Bio.
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«Basta annunci di gare pubbliche sui quotidiani, così blocchiamo il finanziamento indiretto di 40 milioni all’ editoria». Così, con queste parole rilanciate dal “Blog delle Stelle”, il sottosegretario all’ Editoria, il pentastellato Vito Crimi rincara la dose il giorno dopo la sua intervista a La Verità. «In un colpo solo con un provvedimento di due righe avremo tre effetti: il taglio del finanziamento indiretto ai giornali; la semplificazione per la Pubblica Amministrazione e un risparmio per le imprese», continua nel suo post il sottosegretario che ricorda il meccanismo che obbliga le imprese aggiudicatrici di appalti pubblici a rimborsare l’ Amministrazione le spese per la pubblicazione degli avvisi: «E deve pagare subito, prima ancora di vedere l’ ombra di un quattrino, prima di aver stipulato contratti». Per il sottosegretario Crimi, invece, «Gazzetta Ufficiale Italiana e la Gazzetta Ufficiale Europea, liberamente consultabili da qualunque cittadino online». Un primo importantissimo nodo viene dunque al pettine in tema di editoria con l’ arrivo della compagine M5s-Lega al governo. Ma non si sono fatte attendere le repliche. Di sicuro non è stato tenero, per usare un eufemismo, il nuovo presidente della Fieg, Andrea Riffeser Monti. «Al Senatore Sottosegretario all’ Editoria, Vito Crimi, suggerisco di ascoltare la canzone “Pensa” di Fabrizio Moro: prima di rilasciare interviste, pubblicate proprio su un quotidiano di carta, ascolti chi da quarant’ anni lavora in questo settore e rappresenta la Fieg, con 8820 anni di pubblicazioni complessive dei propri associati. Poi potrà prendere le proprie decisioni, anche se sulla base di poche settimane di esperienza di Governo in questo settore. I quotidiani – ha concluso Riffeser – svolgono una fondamentale funzione sociale di tutela della Democrazia e della Legalità. Soprattutto nel campo degli appalti e delle gare pubbliche, dove si lamenta da sempre la mancanza di trasparenza sulla conoscenza delle procedure». Critico anche il segretario nazionale della Fnsi, Raffaele Lorusso: «Sull’ editoria non ci sono né atti né dichiarazioni incoraggianti. Prevale la voglia di parlare per slogan e di offrire al rancore e alla rabbia dei social un settore vitale per la democrazia e delle sue istituzioni». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
La sfida della nuova Rete4 sul ring dell’ informazione
Il Giornale
LAURA RIO
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La rivoluzione comincia dal quattro. E dall’ informazione. La più piccola delle reti generaliste di Mediaset si presenterà a settembre con un volto rinnovato. Soprattutto nelle prime serate. Roberto Giacobbo, Gerardo Greco, Piero Chiambretti, Nicola Porro, Barbara Palombelli e Pierino Chiambretti saranno i comandanti al timone dei nuovi programmi. A illustrare il profondo cambiamento di Retequattro è stato l’ altra sera a Montecarlo Pier Silvio Berlusconi nel tradizionale evento per presentare i prossimi palinsesti del Biscione. Se Canale 5 si muove nel segno della continuità con i suoi tradizionali capisaldi, da C’ è Posta per te a Grande Fratello e Italia Uno proverà a sperimentare alcuni show, Rete4, oltre a una grafica diversa, avrà cinque serate nuove, ognuna caratterizzata da un genere televisivo diverso. «Ma la nostra intenzione – mette subito le mani avanti l’ amministratore delegato di Mediaset – non è scimmiottare La7 o fare un canale contro La7, anche se ovviamente la rete di Cairo è una nostra avversaria». La rivoluzione della «cenerentola» di Cologno nasce dall’ esigenza di diversificare: «Ormai ci sono molti canali tematici dedicati a fiction e film e, quindi, era giusto destinare Rete4 a un compito e un obiettivo diverso, più generalista, con un pubblico più largo, pur restando nel solco della tradizione». Tradotto significa che il palinsesto del mattino e del pomeriggio resteranno uguali, cambierà il prime time. Dunque ecco i nuovi appuntamenti. Una serata sarà divulgativa con Freedom, oltre il confine presentato da Giacobbo, in versione meno «romanzata» e «fantascientifica» rispetto alle memorabili stagioni da lui realizzate in Rai. Una seconda sarà squisitamente politica ed economica con il talk show di Nicola Porro (che manterrà una seconda serata di Matrix su Canale 5). La terza sarà di attualità, più vicina ai temi sociali, con l’ altra new entry arrivata da viale Mazzini: Gerardo Greco, diventato anche direttore del Tg4 («in una sinergia che si riverbera su tutto il canale», come spiega il direttore di rete Sebastiano Lombardi). Nella quarta serata resterà Quarto Grado con Gianluigi Nuzzi e Alessandra Viero sempre a indagare su delitti e cronaca nera, infine la quinta sarà dedicata all’ intrattenimento con Chiambretti con uno show ancora tutto da inventare. «La mia prima volta in prima serata», commenta lui, unica star presente a Montecarlo in qualità di spassoso presentatore, «di solito mi trovate di notte o non mi trovate affatto»). Ma, prima di tutti, ogni giorno dal lunedì al venerdì, la serata sarà aperta da Barbara Palombelli che prenderà la guida di Stasera Italia, striscia quotidiana in access prime time (cioè dopo il tg serale) con temi di attualità e politica. In diretta concorrenza con Otto e mezzo di Lilli Gruber su La7. Una vera sfida tra due primedonne del giornalismo italiano. La Palombelli manterrà comunque i suoi impegni con Forum. Insomma, una squadra di presentatori dalla linea più morbida rispetto a quella portata avanti da Paolo Del Debbio, Maurizio Belpietro e Mario Giordano. Dal palinsesto sono scomparsi infatti Quinta Colonna e Dalla vostra parte e Giordano non è più direttore del Tg4. In molti hanno ipotizzato che questa scelta sia dovuta alla volontà aziendale di realizzare programmi meno «urlati», meno «populisti» perché questi ultimi avrebbero influenzato il voto elettorale. «Sono discorsi assurdi – ribatte Pier Silvio – Noi non facciamo ragionamenti politici, ma discorsi economici. Il ciclo di quei programmi ci sembrava finito e volevamo dare un volto diverso alla rete. Ma Giordano e Del Debbio sono colonne portanti dell’ azienda, fanno parte della nostra storia e continueranno a esserlo: si stanno dedicando ad altri progetti. Anche con Belpietro si potranno trovare nuove formule di collaborazione».
Imprese in allarme sulle difficoltà Ue a disciplinare Internet
Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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Il no della Plenaria del Parlamento europeo alla riforma del copyright non fa che rendere ancora più netta la distanza fra detrattori e fautori. Più che Strasburgo sembrava di trovarsi nella Avignone di papi e antipapi con tanto di minacce di morte a europarlamentari su cui il presidente Antonio Tajani ha detto di volersi occupare. E se qualcuno esulta, editori e imprese legate al mondo dei contenuti parlano di «battaglia persa» o «gran brutta giornata per la cultura europea». Non di questa opinione il Governo che ha espresso segnali di soddisfazione per bocca dei ministri e vicepremier Luigi di Maio e Matteo Salvini (si veda articolo a lato). Per quanto riguarda il mondo produttivo, alle grandi piattaforme del web si è unito il pollice in alto anche dell’ associazione delle imprese che operano sul digitale e nell’ Ict. «Siamo soddisfatti – dice Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale – di questo rinvio. Restiamo convinti che la tutela del diritto d’ autore sia uno dei pilastri della società e dell’ economia digitale. Il testo però presentava grandi aspetti di problematicità. E soprattutto l’ impostazione ci preoccupava». Per Catania il punto sta nell’ aver generato un clima «frutto di una discussione impostata come se ci fosse una sfida in atto tra detentori del copyright e grandi piattaforme digitali. L’ approccio cooperativo è possibile e auspicabile». Le imprese legate al mondo dei contenuti dal canto loro hanno invece replicato con durezza. Di «colpo durissimo da parte del Parlamento Ue al mondo della creatività italiana e continentale», parla il presidente di Confindustria Cultura Marco Polillo. «Quella di oggi – aggiunge – rappresenta una sconfitta sociale e culturale in quanto è il risultato di un’ intensa attività di lobby svolta dai giganti della rete». Il testo proposto «non prevedeva alcun bavaglio. Altrimenti ci saremmo opposti». Per Confindustria Radio Tv «la clamorosa bocciatura del testo di direttiva copyright scrive una pagina nera nella storia del nostro Continente, destinata, se non si recupera un testo equilibrato, a umiliare la cultura, la creatività, l’ economia stessa delle attività legate alla proprietà intellettuale europea». La Ue «difenda i creativi dai giganti del web», è l’ appello lanciato dalla Siae che sottolinea «l’ importanza di tutelare tutte le persone che producono cultura a vario titolo e che in maniera compatta hanno chiesto il giusto riconoscimento del valore del loro lavoro». Di decisione «estremamente negativa» parla Enzo Mazza (Fimi): «Più si sposta la questione in avanti e più si avvicina il momento delle elezioni europee. Il tutto con il voltafaccia del Governo italiano che è stato, nella scorsa legislatura, fra i fautori della direttiva e ora è tra i detrattori». «Il copyright deve essere tutelato in tutto l’ ambiente digitale – afferma dal canto suo il neopresidente Fieg, Andrea Riffeser Monti – individuando soluzioni concrete e ragionevoli, ma senza mai rinunciare all’ affermazione del principio di una equa remunerazione per i contenuti di qualità». Va giù duro, infine, Ricardo Franco Levi (Aie): «Da domani il web sarà meno libero, così come lo sarà anche la società europea. Si tratta di una sconfitta culturale, ancor prima che politica». Per Carlo Perrone, presidente dell’ associazione degli editori europei (Enpa) il risultato dell’ attività di lobby dei giganti del web è stata una «vergognosa» interferenza con il processo legislativo democratico. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
L’ Europarlamento «boccia» le nuove regole sul copyright
Il Sole 24 Ore
Alberto Magnani
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strasburgo La riforma del copyright è rimandata. In teoria a settembre, nei fatti a data da destinarsi. Il Parlamento europeo, riunito in plenaria a Strasburgo, ha respinto ieri (con 318 no, 278 sì, 31 astensioni) l’ avvio dei negoziati per la proposta di direttiva sul digital single market, nota più che altro per le sue misure sul diritto d’ autore. Il testo verrà discusso alla prossima plenaria, ma i tempi si fanno più risicati: a maggio 2019 si torna alle urne e la proposta rischia di arenarsi su nuove modifiche, senza arrivare neppure a una fase di prima lettura che consentirebbe lo “slittamento” della procedura al parlamento che sarà eletto la prossima primavera. Il respingimento è stato accolto da un boato, un segnale delle temperatura (e delle frizioni) interne agli stessi gruppi politici. A eccezione del Partito popolare europeo, più sbilanciato per la riforma, la mappa delle votazioni mostra una distribuzione trasversale di sì e no all’ interno di Socialdemocratici, Alde e altre formazioni. I voti sfavorevoli dei nostri eurodeputati coprono l’ intero arco parlamentare, da Isabella Adinolfi (Cinque stelle) a Mario Borghezio e Mara Bizzotto (Lega) , passando per Elly Schlein e Flavio Zanonato (Possibile, Liberi&Uguali). In Italia è arrivata l’ esultanza dei vicepremier Matteo Salvini («Respinto un bavaglio alla Rete e Facebook») e Luigi Di Maio («Segnale chiaro: nessuno si deve permettere di silenziare la rete»). A Strasburgo sono sempre Lega e Cinque stelle a festeggiare.«Questa è una vittoria. Nessuno contesta il diritto degli autori di essere tutelati, ma questa direttiva va discussa ed è quello che faremo a settembre» dice l’ europarlamentare Adinolfi (Cinque stelle) al Sole-24Ore, appena uscita dal voto. “Discussa” o affossata, visti i tempi? «Speriamo migliorata – risponde – Sarebbe triste perdere tutto il lavoro fatto finora. Il principio è giusto». I malumori sulla proposta di direttiva, risalente al 2016, sono stati innescati da due emendamenti approvati dalla Commissione giuridica dell’ Europarlamento lo scorso 20 giugno. Il primo, l’ articolo 11, prevedeva l’ obbligo di retribuire gli editori per i contenuti diffusi dagli operatori di rete (garantendo il diritto di «ottenere una giusta e proporzionata remunerazione per l’ uso digitale delle loro pubblicazioni dai provider di informazioni (le piattaforme già citate sopra, ndr)») Il secondo, l’ articolo 13, istitutiva quello che è divenuto noto come upload filter: un “filtro” che dovrebbe essere garantito dalle piattaforme online, come Google o YouTube, per bloccare i contenuti protetti da copyright che vengono caricati senza aver concordato una licenza. Tradotto nella pratica, si sarebbe imposto alle aziende Web di «intraprendere, in cooperazione con i detentori dei diritti, misure appropriate e proporzionate che portino alla non disponibilità di lavori o altri argomenti che infrangano il diritto d’ autore o diritti correlati». Per il fronte del no, più robusto delle attese, si sarebbe trattato solo del pretesto per avviare una “macchina della censura” a beneficio di editori e produttori, magari sotto la sorveglianza di governi e colossi tech. Per i deputati favorevoli si parlava invece di misure a tutela della creatività, come antidoto alla proliferazione indiscriminata (e gratuita) di contenuti prodotti dal lavoro intellettuale di altri. «Dobbiamo difendere la creatività degli europei» ha cercato di ripetere fino all’ ultimo Axel Voss, il deputato popolare tedesco che ha firmato la risoluzione. Nel suo mirino ci sono gli stessi «gruppi dell’ internetcapitalismo» che hanno fatto sentire il proprio peso sul voto. Su tutti aziende come Facebook Google (che ha scritto alle aziende finanziate con la Digital news initiative) ma anche interlocutori che non ci si aspetterebbe di vedere additati fra le “lobby” del Web. Una fra quelle più bersagliate di commenti è Wikipedia Italia, l’ enciclopedia online che ha scioperato contro la direttiva oscurando la sua pagina. «Anche se le enciclopedie non rientrano, bastava leggere» si lamentava già alla vigilia Laura Costa, deputata Pd. Comunque vada se ne parlerà a settembre, anche se diversi parlamentari sembrano scettici all’ idea di far approvare una direttiva – quasi – nuova in meno di nove mesi. Wikipedia, nel frattempo, è tornata online. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Edoardo Garrone eletto alla presidenza de Il Sole 24 Ore
Il Sole 24 Ore
R.Fi.
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Edoardo Garrone è il nuovo presidente de Il Sole 24 Ore. Lo ha nominato ieri il Consiglio di amministrazione dopo le dimissioni, venerdì scorso, di Giorgio Fossa. Classe 1961, genovese, cinque figli, cresciuto nel gruppo industriale di famiglia (la Erg, di cui è presidente), Edoardo Garrone arriva alla presidenza del gruppo editoriale di Confindustria dopo un lungo impegno nella vita associativa di via dell’ Astronomia. È stato, tra l’ altro, presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria nel periodo compreso tra il 2000 e il 2002 e vicepresidente per l’ organizzazione e il marketing associativo durante la presidenza di Emma Marcegaglia, dal 2008 al 2012. Più volte componente della presidenza di Confindustria e presidente del comitato tecnico (in particolare dal 2004 al 2008, dal 2012 al 2014) e componente del comitato di presidenza con delega per l’ internazionalizzazione associativa (dal 2014 al 2016). Dal 2016 è al fianco del presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia come componente dell’ advisory board dell’ associazione e presidente del gruppo tecnico internazionalizzazione associativa. Nominato ieri presidente, era già consigliere di amministrazione e membro del comitato controllo e rischi e del comitato editoriale de Il Sole 24 Ore. Come era stato per il padre, Riccardo, anche per Edoardo Garrone è sempre stato forte il legame con la città di Genova e con la squadra di calcio della Sampdoria, di cui è stato vicepresidente esecutivo e successivamente presidente. In Erg, con il fratello Alessandro, ha gestito il radicale processo di trasformazione industriale da operatore petrolifero a gruppo green di dimensione europea nel mercato dell’ energia elettrica da fonti rinnovabili, leader dell’ eolico in Italia. Oltre che di Erg, oggi Garrone è presidente del Consiglio di Sorveglianza di San Quirico, la holding finanziaria del Gruppo Garrone/Mondini, e tra gli altri incarichi svolge quello di membro della Giunta di Assonime. Tra i primi auguri di buon lavoro, «a un grande imprenditore genovese che sicuramente svolgerà al meglio questo importante incarico», quelli del presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Strasburgo si spacca slitta a settembre la legge sul copyright
Il Messaggero
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IL CASO BRUXELLES È solo una battuta d’ arresto, però la sensazione è che la normativa sul diritto d’ autore rischia di arenarsi: alla fine della legislatura non mancano molti mesi. Soddisfatti del rinvio i giganti del Web, Google, Facebook, Alibaba, innanzitutto. Molto preoccupati, invece, i difensori classici del copyright, a cominciare dagli editori che vedono i contenuti informativi circolare online senza ottenere in cambio una quota equa del valore che generano (in termini pubblicitari e di accesso ai dati). La notizia è che gli eurodeputati hanno respinto la proposta negoziale della Commissione giuridica praticamente spaccandosi in due: 278 favorevoli, 318 contrari, 31 astenuti. Se ne riparlerà a metà settembre. Lo stop era quasi annunciato e negli ultimi giorni c’ è stato un salto di qualità nell’ azione lobbystica a favore delle posizioni dei colossi digitali in nome della libertà di Internet. Con un’ ondata propagandistica diffusa rivolta agli eurodeputati che ha portato al blocco dei sistemi telefonici in molti uffici del Parlamento, dei cellulari e delle email. Pressione davvero mai vista in tali dimensioni. Addirittura con minacce esplicite. «Numerosi eurodeputati hanno ricevuto gravi minacce perfino di morte», ha denunciato il capogruppo dei Socialisti&Democratici, Udo Bullmann. LA PARTITA La partita si concentra su due articoli della normativa che ha l’ obiettivo di tutelare sia autori, titolari di diritti che non riescono a essere remunerati per la diffusione online delle loro opere, sia gli editori di giornali. Le norme riguardano essenzialmente non gli utenti finali ma le relazioni tra le piattaforme digitali (come Google e YouTube) e gli editori. L’ articolo 11 è quello che i critici (innanzitutto i giganti del Web) hanno definito come LinkTax’. In realtà non di imposta su tratta bensì di una classica remunerazione. Gli editori, indica la proposta, devono poter «ottenere una giusta e proporzionata remunerazione per l’ uso digitale delle loro pubblicazioni dai provider di informazioni». In sostanza, la pubblicazione delle prime battute di un articolo (snippet) deve implicare una licenza. L’ autorizzazione va pagata. L’ articolo 13 invece prevede che siano firmati «contratti di licenza con i proprietari dei diritti, a meno che questi non abbiano intenzione di garantire una licenza o non sia possibile stipularne». Senza un accordo scattano i filtri automatici in grado di controllare preventivamente i contenuti scaricati dagli utenti. Se c’ è una violazione del copyright, la pubblicazione viene impedita. Gli eurodeputati di Lega e M5S hanno votato contro il mandato negoziale. «È un giorno importante, il segno tangibile che finalmente qualcosa sta cambiando anche a livello di Parlamento europeo, nessuno si deve permettere di silenziare la rete», ha dichiarato il vicepremier Di Maio. Il presidente della Fieg (associazione degli editori) Andrea Riffeser Monti, che auspica una inversione di rotta delle scelte dell’ Europarlamento, ha indicato che dietro il voto di ieri «si cela il pericolo di veder prevalere, nella società civile e tra i nostri rappresentanti politici, orientamenti suscettibili di danneggiare non solo le nostre imprese, ma anche le professionalità e le competenze dei giornalisti». Per Confindustria Radio Tv lo stop dell’ Europarlamento «scrive una pagina nera nella storia del nostro Continente, destinata, se non si recupera un testo equilibrato, a umiliare la cultura, la creatività, l’ economia stessa». Antonio Pollio Salimbeni © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Copyright, legge rimandata a settembre
Il Giornale
Manuela Gatti
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Manuela Gatti Riforma rimandata a settembre. I dubbi sui contenuti, l’ attività di lobbying delle grandi società tech (ci sono europarlamentari che hanno detto di aver ricevuto anche minacce di morte) e le divisioni all’ interno dei partiti, alla fine, hanno avuto la meglio: ieri la plenaria del Parlamento europeo ha bocciato la direttiva sul diritto d’ autore in rete. Niente «retribuzione equa e proporzionata» agli editori da parte delle piattaforme che rilanciano i loro articoli (social network come Facebook e Twitter e aggregatori come Google News) e niente filtri su quelle stesse piattaforme per impedire l’ upload di contenuti coperti da copyright (su YouTube, ad esempio), per citare i due punti più discussi. Il testo che avrebbe dovuto dare il via libera al negoziato con il Consiglio Ue, per arrivare poi all’ approvazione definitiva del documento a inizio 2019, è stato rinviato alla prossima plenaria, a metà settembre, dove sarà rivisto e rimesso al giudizio dei parlamentari di Strasburgo. Ciò significa, però, che la discussione dovrebbe avvenire ad agosto, quando molti eurodeputati sono in ferie. La bocciatura, come previsto, si è giocata su pochi voti: 318 contrari, 278 favorevoli, 31 astenuti. Dalle dichiarazioni dei giorni scorsi era emerso come i gruppi politici fossero spaccati sul tema, a partire dal Partito popolare europeo, di cui pure fa parte il relatore della riforma, Axel Voss. Critici soprattutto i verdi – in particolare l’ eurodeputata tedesca Julia Reda, che ha lanciato su Twitter la campagna #SaveYourInternet, salva il tuo Internet – e i liberali, che ieri hanno festeggiato lo stop. Alla loro soddisfazione si è aggiunta anche quella dell’ Associazione nazionale stampa online, unica nel mondo dell’ editoria a schierarsi contro la direttiva, che ieri ha parlato di «un giorno di festa per i piccoli editori e per il web libero». Wikipedia Italia, che martedì e mercoledì si era oscurata per protesta, è tornata in chiaro subito dopo l’ esito della votazione. Per il resto i rappresentanti del settore dei media si sono detti delusi. «È una grande occasione mancata, hanno vinto le pressioni a difesa di un modello di rete costituito da poche società che sfruttano la loro posizione dominante a danno delle imprese creative, degli operatori minori del digitale e dei consumatori», ha commentato il presidente dell’ Associazione italiana editori, Ricardo Franco Levi. Secondo Confindustria Radio Tv ieri a Strasburgo «si è scritta una pagina nera della storia europea, destinata a umiliare la cultura, la creatività e l’ economia delle attività legate alla proprietà intellettuale». Paradossalmente, mentre nell’ Ue affonda il primo tentativo di tutelare il diritto d’ autore sul web, dall’ altro capo del mondo potrebbe arrivare una sentenza storica sull’ argomento. Il protagonista è Kim Dotcom, al secolo Kim Schmitz, l’ informatico tedesco che nel 2005 ha fondato Megaupload, sito di condivisione di file su cui gli utenti si scambiavano musica e film, che nel 2012 faceva 50 milioni di visitatori al giorno e rappresentava il 4% del traffico Internet mondiale. Ieri la Nuova Zelanda, dove Kim risiede, ha deciso acconsentire alla sua estradizione negli Stati Uniti, dove l’ imprenditore è accusato, insieme a tre ex soci, di racket e frode ai danni dei detentori di copyright sui materiali scaricati illegalmente. I quattro rischiano decenni di carcere.
Francesco Vatalaro ha tutti i numeri per essere nel cda Rai
Italia Oggi
DANIELE CAPEZZONE
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Per puro caso, ho scoperto che, nell’ elenco di coloro che hanno depositato il proprio curriculum per il cda Rai, c’ è il nome di Francesco Vatalaro. Docente universitario, esperto di telecomunicazioni, personalità indipendente, non sospettabile di partigianerie in alcuna direzione, di sicura competenza. Ci permettiamo di invitare tutti (maggioranza, opposizione, governo, gruppi parlamentari) a valutare la sua candidatura. Almeno per quattro ragioni. La prima è che stiamo parlando di uno dei massimi conoscitori italiani di tlc. Se si vuole riconcepire una missione per la Rai, il tema dovrebbe essere proprio quello di mettere i «vecchi media» radiotelevisivi in collegamento con il nuovo mondo delle telecomunicazioni. Immaginare sinergie sempre più forti, capire come i contenuti possano viaggiare e interagire su più veicoli, evitare che l’ offerta Rai resti troppo ancorata a un mondo antico (la tv generalista) fatalmente destinato a perdere terreno. La seconda è che si tratta di un esperto anche di formazione, con un approccio non statalista e non dogmatico. Per chi ancora crede (chi scrive non è nella categoria, lo ammetto) nella funzione di un servizio pubblico svolto da un soggetto a sua volta pubblico, quello dovrebbe essere un obiettivo essenziale. La terza ragione è che il professor Valataro ha dedicato una vasta attività di ricerca al tema dell’ efficientamento dei costi e delle spese. È dunque l’ uomo giusto per proporre idee e soluzioni, e anche nuovi investimenti, senza che tutto si riduca in progetti costosi e spendaccioni, a carico del contribuente. La quarta (e più importante) è una vecchia battuta che circolava in tempi di lottizzazione da prima Repubblica: «Serve un democristiano, un comunista, un socialista, e poi uno bravo». Ecco, la Seconda repubblica ha spesso eliminato l’ ultima categoria. La candidatura del professor Vatalaro offre un’ occasione per invertire la tendenza. © Riproduzione riservata.
Mediaset continua a innovare
Italia Oggi
DA MONTECARLO PAGINA A CURA DI CLAUDIO PLAZZOTTA
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Alla prima richiesta di commento alle dichiarazioni del ministro del lavoro e dello sviluppo economico Luigi Di Maio («la tv generalista è in difficoltà da anni, Rai e Mediaset devono innovarsi, auspico la nascita di una Netflix italiana»), l’ amministratore delegato di Mediaset, Pier Silvio Berlusconi, era riuscito a rispondere diplomaticamente: «Prendo le frasi dette da Di Maio come una spinta a innovare. Una spinta condivisibile e benvenuta. Certo, di Mediaset tutto si può dire, tranne che non continui a innovare. Solo nel 2018 abbiamo lanciato il canale 20, e poi Focus, fatto il restyling di Canale 5, trasmesso i Mondiali di calcio su multipiattaforma, ripensato completamente Rete 4, debuttato col nuovo ott Mediaset play (da oggi, ndr)». Ma, trascorsa qualche ora, chiacchierando attorno ai tavoli nel dopo cena, il numero uno operativo del Biscione cambia un po’ il registro. Domanda. Secondo lei un ministro dello sviluppo economico può dire certe cose? Risposta. (facendosi il segno della croce) Cosa vuole che le dica, il rischio è molto grosso. Ha 31 anni, non so cosa abbia gestito finora. Se avessero proposto a me (Pier Silvio Berlusconi, il prossimo anno, compirà 50 anni, ndr) di fare il ministro del lavoro e dello sviluppo economico, io avrei risposto: Ma siete pazzi? Però, lo sappiamo, in politica le cose vanno così D. Che poi Netflix in Italia darà da lavorare a poche decine di persone R. Guardi, credo non più di dieci persone. Parlano di queste società, tipo Facebook che avrà in Italia 20 dipendenti, o Google, che ne avrà 100, società che in Italia pagano pochissime tasse ma ci hanno sottratto quasi 3 miliardi di euro di mercato. Di Maio dice che le tv generaliste sono in crisi, e ci toglie anche le risorse pubblicitarie del comparto «scommesse». Forse non sa che per fare una Netflix italiana ci vogliono le risorse, non è che uno si alza alla mattina e taac, colpo di bacchetta magica, e nasce una nuova Netflix. Poi i 5 Stelle si mettano d’ accordo: Di Maio dice che la tv generalista è finita, Beppe Grillo, invece, propone di vendere a suon di centinaia di milioni di euro due delle tre reti del servizio pubblico. Ma allora la tv generalista è morta o no? So che Di Maio ha letto il report di Morgan Stanley. Ma i report delle banche un giorno prevedono una cosa, un giorno ne prevedono un’ altra. Nei miei documenti, tanto per dire, ho trovato un report del 1998 che recitava: la tv generalista è morta. D. Con i Mondiali di calcio i canali di Mediaset hanno avuto ascolti molto buoni. Non le fa specie, però, che dal 16 luglio tutta questa competenza della redazione sportiva andrà in soffitta perché, di fatto, potreste restare senza sport per almeno un anno? R. Potrebbe non essere così. In autunno avremo alcune partite di calcio in chiaro fra nazionali estere per le qualificazioni ai Campionati europei e alla Nations league. D. E Mediaset Premium? R. Il mercato pay non cresce in Italia. Gli eventi sportivi sono necessari per fare abbonati, lo so, ma fanno perdere soldi. Per Premium c’ è una strada tracciata, con canali di cinema e di serie tv per tutte le piattaforme. Tuttavia in queste ore ci sono dialoghi sia con Sky, sia con Perform per dare ai nostri abbonati Premium anche una offerta calcio. Credo si deciderà entro settimana prossima. D. Con Perform che tipo di trattativa è in atto? R. Diciamo che dovrebbe permettere ai nostri abbonati Premium di fruire di tutte le partite di Serie A di cui Perform ha acquistato i diritti. D. Sarebbe una novità nelle strategie Perform, che di solito privilegia il suo servizio in streaming e non cede i propri diritti ad altri broadcaster R. Però loro stanno partendo da zero in Italia, e noi potremmo dare loro una bella mano. Comunque, vediamo. Di sicuro i diritti dello sport hanno raggiunto quotazioni senza senso. La Rai ha pagato 35 milioni di euro all’ anno per i diritti tv in chiaro della Coppa Italia e 41 milioni per quelli free della partita del mercoledì di Champions. Secondo nostri calcoli, ci perderà almeno 15 milioni di euro all’ anno. Ecco, noi non possiamo ragionare così D. Però la spesa per i diritti tv dei Mondiali di calcio in Russia (poco meno di 80 milioni di euro, ndr) sembra aver dato buone soddisfazioni R. Credo che per la prima volta nella storia si faranno dei margini positivi con i Mondiali di calcio. Ma i prossimi Mondiali, dove magari si qualificherà l’ Italia, e anche sulla scorta del successo di questi del 2018, verranno aggiudicati a cifre molto più alte, si parla di 160 milioni di euro. E a quei livelli non c’ è equilibrio tra costi e ricavi. Certo, devo confessare che sogno di avere i prossimi Mondiali con l’ Italia in esclusiva su Mediaset. Qualche giorno fa passeggiavo per le strade di Santa Margherita Ligure con mio figlio, e sentivo che nelle case e nei bar tutti stavano guardando la partita dei Mondiali. Una cosa che mi ha reso orgoglioso. D. Lei parla di crisi delle pay tv. Tuttavia ci sono Disney e Comcast che stanno battagliando a suon di rilanci per comprare, tra l’ altro, pure Sky. R. È vero, si contendono gli abbonati, che interessano molto e sono un mercato interessante. Ma i conti economici delle pay tv sono un disastro. E comunque se uno come Rupert Murdoch decide di accettare di vendere la maggioranza di Fox per avere la minoranza di Disney, devono esserci validi motivi. E Murdoch, con tutto il rispetto, ha altri livelli di competenza e abilità rispetto, ad esempio, a uno come Bolloré. D. Nel comparto radio le cose vanno molto bene. Novità in arrivo? R. Abbiamo comprato quattro radio che perdevano soldi, e oggi già generano margine. Gli ascolti e i ricavi vanno bene. E abbiamo voglia di crescere. © Riproduzione riservata.
Chessidice
Italia Oggi
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Sole 24 Ore, Edoardo Garrone presidente. Il cda del gruppo ha nominato Edoardo Garrone presidente. Garrone è anche presidente del consiglio di sorveglianza di San Quirico (Holding finanziaria del Gruppo Garrone/Mondini) e presidente del gruppo Erg. Annalisa Monfreda alla direzione di TuStyle. A partire da lunedì prossimo Annalisa Monfreda, direttore dei settimanali Donna Moderna e Starbene, assumerà anche la direzione di Tustyle. Contestualmente Paola Salvatore, attuale vicedirettore di Tustyle, estende le proprie responsabilità con la nomina a fashion director di Donna Moderna e Starbene. Con questo assetto organizzativo Tustyle, Donna Moderna e Starbene avranno un presidio trasversale: da un lato, grazie a specifiche competenze editoriali, verrà arricchita l’ offerta di contenuti moda proposti ai lettori dei tre settimanali; dall’ altro, sarà possibile valorizzare il rapporto con gli interlocutori del mercato pubblicitario. Timvision con Eurosport Player, da sabato il Tour de France. I clienti Tim, da domani al 29 luglio, potranno seguire tutte le tappe live e il duello Froome-Nibali su Timvision con Eurosport Player, quando e dove si vuole da casa e in mobilità. Iab Italia alle istituzioni governo: un mercato digitale equo e competitivo. Agire su fisco, tutela dati personali e concorrenza per riequilibrare un settore che ha un indotto di 80 miliardi di euro e 600 mila persone impiegate. Sono le istanze emerse ieri dall’ incontro organizzato da Iab Italia presso la Camera dei deputati. Ruffini (TV2000) a capo del Dicastero Comunicazione Vaticano. Papa Francesco ha nominato Prefetto del Dicastero per la Comunicazione Paolo Ruffini, finora direttore di TV2000, la rete televisiva della Conferenza Episcopale Italiana. Ruffini succede a monsignor Dario Edoardo Viganò, che si è dimesso lo scorso marzo per il caso della lettera «tagliata» di Benedetto XVI. Ruffini è stato fra le altre cose direttore di Rai 3 e di La7.
Stampa, raccolta a -8,2%
Italia Oggi
MARCO LIVI
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Continua il calo degli investimenti in comunicazione sulla carta stampata. Secondo i dati dell’ Osservatorio Stampa Fcp relativi al periodo gennaio-maggio 2018, il fatturato pubblicitario del mezzo stampa in generale ha registrato una diminuzione dell’ 8,2% raggiungendo i 362,6 milioni di euro di raccolta. In particolare i quotidiani nel loro complesso hanno avuto un andamento negativo sia a fatturato (-7,9%, a quota 227,3 milioni di euro) che a spazio (-1,0%). Per quanto riguarda le singole tipologie, la commerciale nazionale ha evidenziato un -7,4% a fatturato e un +4,8% a spazio, la commerciale locale un -4,4% a fatturato e un -1,5% a spazio, la legale un -23,8% a fatturato e un -11,5% a spazio. La tipologia finanziaria ha segnato un +1,1% a fatturato e un +3,5% a spazio, mentre la classified ha ottenuto un -5,7% a fatturato e -16,5% a spazio. I periodici hanno mostrato un calo sia a fatturato (-8,7%, a quota 135,3 milioni di euro) sia a spazio (-2,1%). I settimanali hanno registrato un andamento negativo a fatturato del 7,3% (raggiungendo i 72,8 milioni di euro) e positivo a spazio dell’ 1,6%. I mensili hanno avuto una flessione del 7,8% a fatturato (pari a 59,8 milioni di euro) e del 4,8% a spazio. Le altre periodicità hanno chiuso il periodo con una diminuzione del 43,0% a fatturato (pari a 2,7 milioni di euro) e del 24,9% a spazio. © -Riproduzione riservata.
Liberazione delle frequenze Retecapri ricorre al Tar
Italia Oggi
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Retecapri ha fatto ricorso al Tar contro il nuovo piano delle frequenze varato dall’ Agcom che prevede la riduzione degli spazi di trasmissione delle televisioni in preparazione della cessione della banda 700 alla telefonia mobile di quinta generazione. L’ emittente di Costantino Federico si unisce così con un ricorso autonomo a Mediaset e Cairo Communication che si sono ugualmente rivolte al tribunale amministrativo per bloccare il processo di liberazione delle frequenze, seppure con argomenti diversi. Retecapri, in particolare, ha fatto ricorso contro la delibera 137/18/Cons che ha avviato il procedimento. Il gruppo, il cui operatore di rete è la Premiata Ditta Borghini & Stocchetti di Torino, sottolinea come il nuovo piano nazionale abbia ridotto della metà le frequenze a disposizione delle emittenti nazionali, da 20 a 10. Agli operatori che hanno un solo multiplex ne spetterebbe mezzo, semplificando, da condurre insieme con un altro soggetto, in via dell’ assegnazione di diritti d’ uso di capacità trasmissiva non di frequenze. I canali trasmissibili dovrebbero essere però gli stessi o quasi grazie al passaggio al digitale terrestre di nuova generazione. «L’ abbandono dell’ attuale canale 57 Uhf e l’ eventuale sostituzione con capacità trasmissiva ridotta rispetto a quella odierna, consentirà a Retecapri di formulare una richiesta di risarcimento danni che fin d’ ora si preannunciano non inferiori a 31 milioni di euro, vale a dire l’ equivalente al corrispettivo richiesto in precedenza per l’ assegnazione della licenza di operatore di rete in ambito nazionale su frequenza Uhf», ha fatto sapere l’ emittente, ricordando come già nella precedente assegnazione Retecapri «è stata oggetto di forte discriminazione», in quanto la frequenza assegnatagli era di qualità inferiore (trasmissione in Kfn che abbisogna di più canali per raggiungere la copertura nazionale) rispetto a quelle assegnate a Rai, Mediaset e Persidera (trasmissione in Sfn-Single Frequency Network che consiste invece in un solo canale), e ulteriormente compromessa dalle limitazioni subite per interferenze provenienti da Stati della ex Jugoslavia, Svizzera e Francia. «Senza contare», conclude la nota, «la mancata assegnazione di un secondo multiplex pur avendo Retecapri, al pari di un altro operatore, titoli per analoga autorizzazione». © Riproduzione riservata.
Editoria, Lorusso (Fnsi): «Stop slogan, non cancellare gli aiuti a cooperative»
Il Roma
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ROMA. «Il Movimento 5 Stelle abolirà l’ assurdo pedaggio che ancora grava sulle imprese italiane rappresentato dall’ obbligo di annuncio sulle testate giornalistiche di bandi e gare della Pubblica amministrazione». Lo scrive il sottosegretario con delega all’ Editoria in un intervento pubblicato dal Blog delle stelle. «I quotidiani vengono scelti a discrezione dell’ Amministrazione. Questi spazi costano. Costano tanto, anche migliaia di euro ciascuno. E più sono grandi, più costano. Più grande è la tiratura dei giornali e più costano. Insomma seguono le logiche della pubblicità. E cosa fanno le Amministrazioni per risparmiare? Riducono i testi e scrivono in box piccolissimi. O almeno, così facevano una volta, quando le spese di pubblicazione erano a carico dello Stato. Oggi sapete chi paga? Pagano le imprese e i professionisti», sottolinea Crimi. Sulle vicende dell’ editoria interviene il segretario generale della Fnsi, Raffaele Lorusso, a margine della sesta edizione del Festival della Comunicazione “Controsenso” in Abruzzo. «Sull’ editoria non ci sono né atti né dichiarazioni incoraggianti. Prevale la voglia di parlare per slogan e di offrire al rancore e alla rabbia dei social un settore vitale per la democrazia e delle sue istituzioni – spiega -. Si annuncia l’ abolizione di contributi alla stampa che, ove il sottosegretario Crimi non se ne fosse accorto, non esistono più da anni, a meno che non si vogliano cancellare gli aiuti economici riconosciuti a stampa no profit, cooperative editoriali, stampa diocesana, altra gamba del pluralismo dell’ informazione di questo Paese».
Copyright, resta la giungla social
Italia Oggi
LUIGI CHIARELLO
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Per il momento il web resta la giungla e non si pongono limiti alla veicolazione di contenuti e opere creative altrui. Specie tramite i social network. Ieri l’ Europarlamento ha respinto la proposta di direttiva europea sul copyright (2016/0280), cioè per l’ aggiornamento delle leggi nazionali sul diritto d’ autore nell’ era digitale. Il mandato negoziale proposto dalla commissione giuridica parlamentare, il 20 giugno scorso, è stato bocciato direttamente dall’ assemblea, riunita in sessione plenaria a Strasburgo, con 278 voti a favore del mandato, 318 voti contrari e 31 astensioni. Il regolamento del Parlamento europeo prevede, infatti, che se almeno il 10% dei deputati si oppone all’ avvio di negoziati con il Consiglio Ue, sulla base del testo votato in commissione, si deve procedere a una votazione in seduta plenaria. Martedì scorso, entro mezzanotte, il numero di deputati necessario aveva presentato le proprie obiezioni. Di conseguenza, il testo licenziato dalla commissione giuridica è approdato in aula ed è stato bocciato. A questo punto, la proposta di riforma tornerà in gioco a settembre, sempre in Europarlamento. Dove potrà essere emendata. Poi, il nuovo testo, corredato di mandato negoziale col Consiglio Ue, sarà votato nuovamente, sempre in plenaria e sempre a Strasburgo, nei giorni compresi tra il 10 e il 14 settembre. Se il testo emendato di riforma dovesse ottenere il via libera degli eurodeputati, a quel punto la proposta di direttiva tornerebbe al vaglio del Consiglio Ue. Ora, stante le posizioni maturate fino ad oggi sul testo, qualora le modifiche apportate in Europarlamento dovessero essere minime o marginali, è molto probabile che il Consiglio europeo darà luce verde. Se, invece, la riforma dovesse risultare stravolta, la strada si farà più complicata, perché risulterebbe indigesta al Consiglio. A quel punto, sarà piuttosto difficile arrivare ad un compromesso, in quanto saremmo a ridosso delle elezioni europee, in calendario dal 23 al 26 maggio del 2019. I nodi mai sciolti. A generare le maggior tensioni sono stati due articoli, nel dispositivo, l’ 11 e il 13. Andiamo con ordine, partendo dal secondo. La rete «neutrale» o lo scudo diffuso al copyright? Il nodo sono le sempre più frequenti violazioni del diritto d’ autore su internet. La nuova proposta di direttiva sul copyright nel mercato digitale prevede un maggior filtro dei colossi del web. Google e Facebook su tutti In sostanza, questi sarebbero chiamati ad assumersi più responsabilità sui controlli e a essere più incisivi nel limitare contenuti diffusi in rete dagli utenti. In base a nuovi obblighi a cui dovrebbero soggiacere. E con il rischio che i gestori di social network si trasformino, a loro volta, in censori, decidendo arbitrariamente quali informazioni possano circolare e quali no. Ma torniamo al mero articolato. In particolare, con l’ articolo 13, si punta a far ricadere i contenuti liberamente postati dai cittadini nel recinto oggi delimitato dai contratti sui diritti d’ autore siglati tra titolari del copyright e colossi che forniscono servizi sul web. Di conseguenza, per gli utenti della rete sarebbe la fine della cosiddetta neutralità. Di contro, gestori di servizi online come YouTube non potrebbero più sorvolare sulle reiterate violazioni al copyright. Non solo. La direttiva mira anche a tutelare il «diritto degli autori di contenuti audiovisivi a una giusta remunerazione»; attraverso l’ affermazione di questo principio nella normativa Ue, l’ articolato punta a sostenere i reclami degli autori quando il ricavo derivante dalla diffusione delle loro opere sul web non sia reputato adeguato. Stop alle condivisioni selvagge o libera circolazione delle idee? L’ articolo 11 della proposta di direttiva, invece, ha finito col mettere l’ un contro l’ altro due schieramenti opposti. Da una parte gli editori e i produttori di contenuti, che non accettano più la cannibalizzazione del valore prodotto dal lavoro delle loro redazioni e la riduzione della notizia a mera commodity di scarso valore, per via della libera condivisione e veicolazione di articoli e contenuti di tipo giornalistico sui social network. Dall’ altra, i teorici della libera circolazione delle news senza se e senza ma, che ritengono gli interessi delle imprese editoriali cedevoli rispetto alla circolazione dei contenuti. Il dispositivo presente nella proposta di direttiva introduce, infatti, il diritto degli editori a esigere una remunerazione dai colossi del web, per ogni articolo fagocitato e diffuso in rete. O, in alternativa, il rilascio di licenze d’ utilizzo agli stessi big della rete, dietro pagamento di un canone concordato, a seguito di una negoziazione tra le parti. E, in caso di violazione degli accordi, la proposta di direttiva prevede anche meccanismi di reclamo e di risoluzione delle controversie © Riproduzione riservata.
Ruffini guiderà l’ ufficio stampa del Vaticano
Libero
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Paolo Ruffini è il nuovo prefetto del dicastero della Comunicazione del Vaticano. Lo ha nominato Papa Francesco. Ruffini finora è stato direttore della tv dei Vescovi, Tv2000. Classe 1956, prende il posto che fu di mons. Dario Viganò, che lo scorso 21 marzo si è dimesso in seguito al pasticcio sulla pubblicazione della lettera «personale e riservata» che Benedetto XVI gli aveva inviato e che era stata letta solo parzialmente. Ruffini, laurea in Giurisprudenza presso la Università di Roma La Sapienza, è sposato e ha alle spalle una lunga carriera giornalistica: ha lavorato al Mattino, al Messaggero, ha esperienza anche nel settore radiofonico: Giornale Radio Rai, Canale Gr Parlamento, Radio 1, Inblu Radio e nella televisione: Rai3, La 7 e Tv2000. Ruffini è il primo laico a ricoprire questo ruolo. Il Dicastero che andrà a dirigere Ruffini comprende Radio Vaticana, il Centro Televisivo Vaticano, il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali; la Sala Stampa della Santa Sede, il Servizio Internet Vaticano, il Servizio Fotografico e, più di recente, Libreria Editrice Vaticana e Tipografia Vaticana e ha anche dato vita al portale Vatican News. riproduzione riservata Paolo Ruffini.
COPYRIGHT LA CHANCE PERSA DALL’ EUROPA
La Stampa
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I grandi scrittori del passato, Dante, Ariosto, il Tasso, non si arricchivano dal successo delle loro opere, mendicando spesso il sostegno di un patrono aristocratico, «Una canaglia che ti aiuta in cambio di adulazione» confermò amaro, nel 1755, Samuel Johnson. Solo nel 1710 scrittori e studiosi ricevettero protezione con lo Statuto di Anna, prima legge sul diritto d’ autore del Parlamento inglese, regnante la regina Anna. Ci volle poi la Convenzione di Berna, 1886, perché il lavoro intellettuale venisse riconosciuto, pian piano, da 140 Paesi. Il Parlamento europeo ha dunque perso un’ occasione, rinviando a settembre, dopo un voto negativo di misura, la riforma del copyright digitale. A leggere della vicenda, sembrerebbe che da una parte ci fossero i Paladini del Libero Web, opposti ai Baroni del Contenuto. Così, direi più da militante dei blog Grillo-Casaleggio che da vicepresidente del Consiglio della Repubblica italiana, l’ ha messa l’ onorevole Luigi Di Maio: «La rete sta correndo un grave pericolo. E il pericolo arriva direttamente dall’ Europa e si chiama riforma del copyright». In realtà la rete non corre alcun pericolo, malgrado le proteste delle grandi piattaforme, e Wikipedia non sarà censurata o costretta agli spot pubblicitari. Si tratta solo di verificare, per esempio su YouTube per i filmati caricati dagli utenti o sui motori di ricerca per i testi condivisi, che il contenuto diffuso online non sia soggetto a copyright. Il tema sembra astratto, ma è crocevia del nostro tempo. Dove i giornali locali son morti, vedi il caso di tante cittadine americane, lo spirito della comunità è presto avvizzito, cristallizzandosi in astio reciproco. Certo, la polarizzazione delle democrazie non è solo legata all’ informazione, ma – come dimostrano gli studi dei professori Lee Shaker, Portland University, Jennifer Lawless, American University, Danny Hayes, George Washington University – dove le voci di dibattito equanime cedono il passo alla disinformazione digitale, politica, impegno civile e qualità della vita decadono in fretta. Le piattaforme, i giornali, le riviste, gli editori, possono trovare nella riforma del copyright, ferma al 2016 un’ epoca digitale ormai remota, comuni basi di sviluppo e accordo, nel business e nelle società in cui operano, come con garbo osserva il presidente dell’ Associazione editori, Ricardo Franco Levi. L’ amministratore delegato di Alphabet, Eric Schmidt, uno dei padri di Google, riconobbe nel 2009: «Abbiamo l’ imperativo morale di compensare i giornali per i profitti perduti». L’ accordo quadro non è ancora stato trovato, malgrado intese tra Google e vari Paesi, contratti con testate locali Usa e il programma digitale Dni, e l’ impasse al Parlamento europeo non aiuta. Quanto all’ ostilità corrente nel governo italiano contro la libera informazione tutelata dalla Costituzione, vedi roboanti bordate del sottosegretario Crimi contro inesistenti «sussidi» alle testate e per il taglio della pubblicità, il presidente Conte, con un suo repentino intervento, dovrebbe scioglierla d’ autorità. Giornalisti ed editori non sono senza colpe, con ritardi sull’ innovazione e la richiesta di informazione aperta e globale. Ma, in Europa come in America, abbiamo scoperto, con sorpresa di tutti, che un giornale è network unico, capace di far vivere insieme persone, istituzioni, società. Il Canada ripensa ora a forme di difesa dell’ informazione, non con «sussidi», ma con politiche industriali congrue. Lo Stato del New Jersey va nella stessa direzione, perché il rispetto del copyright, e un mercato davvero trasparente, non sono tutela ai bilanci dei media, sono investimento coraggioso nel futuro della democrazia. Facebook riotta.it BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
“Gli avvisi dei bandi sui giornali? Indispensabili per la trasparenza”
La Stampa
LUI. GRA.
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Sui giornali italiani, che già non navigano nell’ oro, sta per abbattersi un colpo da 40 milioni di euro all’ anno: il governo pensa di eliminare l’ obbligo di pubblicizzare a pagamento gli annunci di gare e bandi pubblici sulla carta stampata. L’ obbligo di legge ha lo scopo di garantire che le informazioni riguardanti le gare circolino il più possibile fra i potenziali operatori interessati, e non di finanziare i giornali, ma di fatto assicura agli organi di stampa un flusso costante di risorse pari a 40 milioni annui (secondo i calcoli del governo), sui quali il sistema italiano dell’ informazione è abituato a contare; togliere quei soldi a giornali che (in certi casi) sono già sulla linea di galleggiamento potrebbe risultare fatale. Però il governo ha avanzato quest’ ipotesi attraverso il sottosegretario all’ Editoria, il pentastellato Vito Crimi. In un video sul Blog delle Stelle, Crimi dice che la misura che ha in mente «abolirà un assurdo pedaggio che ancora grava sulle imprese italiane. In un colpo solo, con un provvedimento di due righe avremo tre effetti: 1) taglio del finanziamento indiretto ai giornali, 2) semplificazione nelle procedure della pubblica amministrazione, 3) risparmio per le imprese». L’ intento punitivo nei confronti dei giornali viene citato come prima fra le tre motivazioni. Al telefono con «La Stampa», Andrea Riffeser Monti, che da pochi giorni è presidente della Fieg (l’ associazione degli editori italiani di quotidiani e periodici), nega che gli annunci dei bandi sui giornali siano qualificabili come una forma impropria di finanziamento della carta stampata, e ne rivendica l’ utilità: «Sono indispensabili a permettere che tutti gli imprenditori potenzialmente interessati vengano a sapere delle proposte dello Stato e degli enti pubblici, altrimenti gli appalti si riducono a un giochino riservato a pochi». E a Crimi che sostiene che gli annunci sui giornali di carta sono inutili, perché tutto si può leggere online o in Gazzetta Ufficiale, Riffeser ribatte che «in Rete questi annunci possono essere visti da tutti o da nessuno. Certe dichiarazioni da parte di esponenti del cinquestelle mi sembrano in antitesi con la loro battaglia per la trasparenza». Riffeser lamenta oltretutto la mancanza di consultazione: «Noi editori abbiamo dato la disponibilità a parlarne, invitiamo il governo ad ascoltarci prima di prendere provvedimenti». Il presidente della Fieg si esprime anche sul rinvio della riforma del copyright all’ Europarlamento di Strasburgo: «Prendo atto di un voto che ha rallentato un iter legislativo molto importante in materia. Mi auguro un’ inversione di rotta nella prossima votazione a settembre. Il diritto d’ autore deve essere tutelato in tutto l’ ambiente digitale, senza mai rinunciare al principio di una equa remunerazione per chi produce contenuti di qualità». lui. gra. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
Crimi: stop agli annunci di gare pubbliche sui quotidiani
La Stampa
FRANCESCA SCHIANCHI
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«Basta annunci di gare pubbliche sui quotidiani: così blocchiamo il finanziamento indiretto ai giornali di 40 milioni», anticipa trionfante il sottosegretario all’ Editoria Vito Crimi, M5s, dal blog delle stelle. Il suo primo provvedimento nel nuovo ruolo sarà quello: fine dell’ obbligo per la Pubblica amministrazione di diffondere dalle pagine dei giornali annunci di bandi e gare, «assurdo pedaggio» che «ancora grava sulle imprese italiane». Lancia l’ allarme per il «disprezzo per la libera stampa» LeU con il capogruppo Federico Fornaro; reagisce la Fnsi, il sindacato dei giornalisti, con il segretario generale Raffaele Lorusso che vede prevalere «la voglia di parlare di slogan e offrire al rancore e alla rabbia dei social un settore vitale per la democrazia». Rabbia e rancore verso i giornalisti stuzzicati in questi anni dal M5S, con continui attacchi, campagne su finanziamenti pubblici in realtà ormai aboliti per le maggiori testate ma molto utili per appiccicare addosso l’ etichetta di casta, critiche anche volgari («vi mangerei per il solo gusto di potervi vomitare», tra le ultime gentilezze dispensate da Grillo): non a caso, sotto il post del sottosegretario, dall’ elettorato grillino è un tripudio di commenti «bravissimo» e «benissimo», ma fate anche di più, «non fermatevi qui». E infatti il sottosegretario non ci pensa nemmeno a fermarsi qui: «Tutto il sistema va rivisto», ha annunciato, e pazienza se, come sottolinea lui stesso, la questione non faceva parte del famoso contratto di governo gialloverde. Propositi utili a migliorare il settore e garantire un’ informazione libera e corretta, ci mancherebbe. Non c’ è motivo di pensare che ci sia un pregiudizio. O forse uno piccolo piccolo, emerso cinque anni fa quando, al suo ingresso in Parlamento, l’ allora capogruppo al Senato Crimi venne registrato mentre si sfogava contro i giornalisti che «mi stanno veramente sul ca». Poi però si scusò. E nel frattempo si sarà sicuramente ricreduto. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
Strasburgo si spacca sul copyright La riforma rimandata a settembre
La Stampa
LUIGI GRASSIA
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Il Parlamento europeo ha rinviato a settembre la riforma del diritto d’ autore, che era stata dibattuta in termini molto aspri. Non si è trattato di un «no» definitivo, perché un secondo voto è già calendarizzato, ma quella di ieri non è una decisione salomonica: gli avversari delle nuove norme sul copyright cantano vittoria, avendo guadagnato altro tempo, mentre gli editori dei giornali e coloro che vogliono tutelare la sopravvivenza della carta stampata lamentano altri mesi in cui i giganti di Internet potranno continuare a impadronirsi gratis degli articoli dei giornali, per poi esporli nei loro aggregatori di notizie. Durissima la reazione di Carlo Perrone, presidente dell’ Enpa (la federazione europea degli editori di giornali): «È vergognoso che un pugno di potenti con interessi particolari riesca a cavarsela usando strategie fondate sulla paura e su affermazioni false ed esagerate che interferiscono con il processo democratico». Il riferimento è in particolare alle voci secondo cui ai privati sarebbe stato proibito di accedere gratis agli articoli, mentre in realtà gli editori intendono far valere i loro diritti economici solo nei confronti dei colossi del web. Da notare che a Strasburgo non si votava direttamente una legge europea, ma qualcosa di più blando e indiretto, cioè una mozione di avvio di negoziati fra Europarlamento, Consiglio e Commissione Ue sulla proposta di direttiva di riforma del copyright. Eppure neanche questo passo intermedio è stato compiuto. Sulla carta le dichiarazioni di voto dei gruppi parlamentari avrebbero dovuto garantire il passaggio della mozione, visto che a favore c’ erano i due gruppi maggiori, cioè i popolari e i socialdemocratici, mentre a voler votare contro erano (essenzialmente) le ali estreme e i populisti. Tuttavia si è vista poca disciplina di gruppo, le famiglie politiche sono risultate non solo opposte fra loro, ma anche spaccate al loro interno, e il risultato sono stati 318 no, contro appena 278 sì (e 31 astenuti). La maggioranza che ha votato il rinvio della riforma è piuttosto ampia e non è detto che a settembre le cose cambino. In Italia si dicono soddisfatti i due vicepremier del governo giallo-verde, Luigi Di Maio e Matteo Salvini. «Oggi è un giorno importante, il segno tangibile che finalmente qualcosa sta cambiando, perché nessuno si deve permettere di silenziare la Rete», ha esultato Di Maio, mentre Salvini ha rivendicato «il «bavaglio alla Rete e a Facebook che è stato respinto a Strasburgo anche grazie al no della Lega. Non ci fermeranno». Dopo il voto in aula a Strasburgo il relatore del provvedimento, il popolare tedesco Axel Voss, ha denunciato chi «diffonde deliberatamente “fake news” sui contenuti della proposta di riforma del copyright e agisce nell’ interesse delle grandi piattaforme online». Secondo il leader dei socialisti Udo Bullmanl contro la mozione di riforma c’ è chi è arrivato a lanciare «gravissime minacce, persino di morte». Il presidente dell’ Europarlamento, Antonio Tajani, parla di «pressioni inaccettabili» e preannuncia «indagini severissime» chiamando in causa anche le autorità giudiziarie. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
Così i colossi del web hanno fermato la riforma del copyright in Europa
La Repubblica
ALBERTO D’ ARGENIO
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Dal nostro corrispondente BRUXELLES « Negli ultimi giorni gli eurodeputati hanno ricevuto gravi minacce, anche di morte». È Udo Bullmann ( Spd), capogruppo dei Socialisti e democratici a Strasburgo, a spiegare la portata della battaglia – e dei mezzi utilizzati per vincerla – che si è consumata ieri all’ Europarlamento. Con 318 voti a 278 (31 gli astenuti) l’ aula ha rinviato a settembre la riforma del copyright, la direttiva europea scritta per obbligare le multinazionali americane del web ( Google, Facebook e Youtube) a riconoscere un giusto compenso a editori e produttori per usare i loro contenuti grazie ai quali realizzano lauti profitti in pubblicità e raccolta dati. Così il testo approvato dalla commissione giuridica dell’ Eurocamera dopo l’ estate sarà riaperto, con la possibilità di emendarlo. Quel che ne uscirà sarà poi negoziato da Commissione, Consiglio (governi) e Parlamento Ue con una scadenza sempre più stringente: la fine della legislatura segnata dalle europee del maggio 2019. Negli ultimi mesi le lobby Usa hanno messo in campo ingenti mezzi per influenzare il legislatore Ue. Dalle minacce di morte ( il presidente dell’ Europarlamento, Antonio Tajani, ha annunciato un’ inchiesta), alle centinaia di telefonate e lettere degli elettori ai deputati pilotate dall’ industria tech. Diversi parlamentari hanno rivelato anche il tentativo di contattare i propri figli per convincerli a influenzarli. E ancora, dal finanziamento di atenei e gruppi di esperti fino alla diffusione di fake news virali come l’ imposizione di una link tax a danno degli utenti o il divieto di linkare contenuti (le stesse argomentazioni usate nei giorni scorsi da Wikipedia, peraltro esentata dalla direttiva, non corrispondevano al testo approdato in aula). La direttiva con l’ articolo 11 si limita a riconoscere il diritto degli editori di negoziare con i colossi americani – già sotto accusa sul fronte fiscale e per l’ utilizzo dei dati degli utenti – un giusto compenso per l’ uso delle loro notizie. Stesso discorso per le piattaforme come Youtube sul versante audio e video ( articolo 13). Per la Commissione Ue una norma cruciale anche per salvare l’ informazione indipendente e il corretto svolgimento della vita democratica nel continente. Prima del voto Tajani ha chiesto ai deputati di non farsi condizionare dalle pressioni, ma diversi eletti hanno spiegato di essersi mossi in quel clima di intimidazione da settimane denunciato pubblicamente ( la socialista Roziere, la verde Trupel, il liberale Cavada) o riservatamente. Festeggia però il governo gialloverde, con Di Maio che parla di stop « al bavaglio della rete» e Salvini che aggiunge: «Non ci fermeranno». Risponde Carlo Perrone, presidente l’ Associazione degli editori europei e azionista del gruppo Gedi, parlando di «vergognosa interferenza con il processo legislativo tramite argomenti esagerati e falsi da parte di chi prospera rubando contenuti » . Aggiunge Marco Polillo, numero uno di Confindustria cultura Italia: «Cultura e creatività hanno subito un colpo durissimo » . Al coro si è unito il vicepresidente della Commissione europea, Andrus Ansip: « Finiamola con gli slogan delle lobby e cominciamo a cercare soluzioni». Ma a settembre sarà difficile che i due fronti, in un clima polarizzato, trovino un compromesso in aula, con il rischio che il testo ne esca stravolto. Sul fronte italiano Lega e M5S hanno votato contro, si è invece spaccato il Pd mentre Fi si è schierata compatta a favore. Più o meno spaccate anche le famiglie politiche continentali – vuoi per convinzione, vuoi per le pressioni – anche se a determinare il voto sono stati i 90 franchi tiratori del Ppe, che aveva annunciato un voto favorevole alla direttiva. Se anche a settembre l’ aula dovesse riuscire a congedare un testo coerente, facile immaginare tattiche dilatorie per farlo cadere insieme alla legislatura nel successivo negoziato tra governi e istituzioni Ue. Anche da parte dell’ esecutivo gialloverde, che ha cambiato la storica posizione italiana schierandosi contro la norma. © RIPRODUZIONE RISERVATA
L'articolo Rassegna Stampa del 06/07/2018 proviene da Editoria.tv.