Indice Articoli
Il prossimo dg Rai, l’ identikit di Fabrizio Salini e una vecchia profezia
Tv e operatori in guerra con Giggimo
Si apre il capitolo Rai tra appetiti e improvvisazione
De Agostini azzera il debito con Igt Per manager e azionisti arriva il bonus
Riffeser alla guida della Fieg «La stampa possa contare sul sostegno del governo»
Fieg, Riffeser Monti presidente
Chessidice in viale dell’ Editoria
Riffeser Monti è il nuovo presidente degli editori
Perform tratta con i broadcaster
Diritto d’ autore, Wikipedia tenta il blitz
Wikipedia in sciopero per il web gratis
Diritto d’ autore, Wikipedia si oscura La Ue: «La direttiva non li riguarda»
Riffeser nuovo presidente della Federazione editori
Riffeser Monti è il nuovo presidente degli editori giornali
Il prossimo dg Rai, l’ identikit di Fabrizio Salini e una vecchia profezia
Il Foglio
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Roma. Diceva un vecchio ritornello dei primi anni Duemila, a metà tra la statistica e la predizione magica, che le rivoluzioni in Rai si fanno sempre in luglio (forse per l’ imminenza delle vacanze, commentavano allora gli osservatori, convinti che nei Palazzi si cercasse di risolvere la questione delle poltrone televisive nei giorni calmi di canicola, più lontano possibile dai riflettori). E caso ha voluto che la concomitanza neo -governativa gialloverde e il calendario delle scadenze (cda della tv di stato in primis) facciano sì che la prossima, annunciata rivoluzione -rinnovo in Rai rispetti in parte la profezia del luglio che piomba sulle scrivanie con i dossier -poltrone (per i direttori di rete e di tg potrebbe esserci slittamento a settembre). E se ci sono da fare le nomine vuol dire che gli identikit sono stati già fatti, motivo per cui, in questi giorni, in Viale Mazzini, a Saxa Rubra, in mensa e nei bar e ristoranti del quartiere Prati, si cerca di capire, tra colazione, pranzo e cena, quanto ci sia di vero e quanto di non vero nel totonomi, in particolare attorno alle figure del direttore generale e del presidente, visto anche lo squilibrio Lega-M5s rispetto alle truppe già schierate (la Lega ha più anni di esperienza Rai alle spalle e più uomini già “ro dati”). Ed ecco che un sussurro prende forma, ricorrente nelle previsioni: “Fabrizio Salini”. E’ il nome dell’ ex direttore de La7 (prima dell’ arrivo di Andrea Salerno), anche ex manager Discovery e Fox, poi direttore generale di Stand by Me, la società di produzione fondata da Simona Ercolani, autrice televisiva di successo (e a un certo punto anche regista – in senso mediatico – di una Leopolda renziana). Ma prima ancora del sussurro, e in contemporanea con l’ uscita di altri nomi, tra cui quelli di Fabio Vaccarono di Google Italia e di Carlo Freccero, le fantasie e le elucubrazioni si concentrano sul profilo, ed è un puzzle in cui il nome di Salini pare in qualche modo incastrarsi: dev’ essere uomo di azienda, ma che sappia di tv, uomo di management, tanto atteso decreto sul lavoro contiene poche misure ad alto impatto occupazionale, concentrandosi principalmente su quelle a costo zero: stretta sui contratti a termine e multe a chi delocalizza. Devo dire la verità: da ex ministro del Lavoro mi aspettavo più coraggio e meno ideologia. Le norme sui contratti a termine piacciono alla Cgil ma non vanno bene: rischiano di causare la perdita di posti di lavoro regolari. Combattere la precarietà è giusto, ma bisogna colpire il lavoro nero, non le forme contrattuali regolari che garantiscono l’ applicazione ma di lunga esperienza (“onde evitare un effetto Raggi in Rai“, dice un insider). Non dev’ essere necessariamente un interno, ma non deve essere lontano dai media. Né deve essere compromesso con un partito, ché i Cinque stelle, a cui la Rai interessa anche nel quadro di un bilanciamento di poteri con la Lega, continua a dire quello che diceva qualche giorno fa Mirella Liuzzi, deputata M5s: “Per il M5s le nomine ubbidiranno esclusivamente al merito e non alle cordate di partito: le quote 5 stelle non delle tutele fondamentali del lavoratore. Il decreto ha già scatenato un coro di critiche da parte del mondo produttivo, preoccupato dal rischio che la reintroduzione di vincoli per i contratti regolari prevista dalle nuove norme porti come conseguenza una ripresa del contenzioso davanti ai tribunali e quindi si trasformi in più costi e più incertezza per le imprese. Che fare? L’ assenza di Salvini al consiglio dei ministri che ha approvato il decreto mi induce a sperare che in sede di conversione il parlamento sappia correggere le sbandate pentastellate. Ad esempio reintroducendo – almeno in agricoltura – i voucher, quel prezioso strumento regolatorio creato da Marco Biagi (e cancellato da Renzi) che abbinava la flessibilità alle necessarie tutele. Forza Lega, ascolta la voce di chi lavora e produce! Stay tuned. esistono e allo stesso modo strampalati appelli per affidare a determinati personaggi la direzione del Tg1 sono quanto di più lontano dal principio di indipendenza dalla politica che deve essere osservato. Le scelte saranno equilibrate e intelligenti, a differenza di quanto fatto da chi ci ha preceduto… non ci saranno consiglieri, direttori o vicedirettori appartenenti ad aree politiche”. E il cinquantaduenne romano Salini è laureato in Scienze Politiche ma dalla politica è cresciuto lontano, e cioè in mondi mediatici internazionali: dal 2003 al 2011 ha ricoperto il ruolo di Vice President -Head of Entertainment Channels per Fox International Channels Italy prima di arrivare a Sky Italia, dove ha diretto Sky Uno e l’ offerta di Sky Cinema. Nel 2012 è entrato nel cda di Switchover Media, occupandosi del lancio dei due canali in chiaro visibili sul digitale terrestre Giallo e Focus. Tornato in Fox Italia come amministratore delegato, dal 2015 all’ estate scorsa ha diretto La7, rete che il M5s non ha mai considerato nemica e in cui Salini aveva la responsabilità di palinsesti, contenuti e offerta multimediale. E quando, nel periodo di fuoco dei talk -show La7, c’ era chi, dalla Rai, ne criticava la lunghezza da “lenzuo lata” (e Salini rispondeva: “Facciamo programmi lunghi quando vale la pena di farli”), c’ era anche chi, presso l’ entourage dell’ ex dg Antonio Campo Dall’ Orto, lo avrebbe voluto vedere già direttore di Rai2 o di Rai3. Marianna Rizzini.
Tv e operatori in guerra con Giggimo
Il Tempo
MANUEL FONDATO
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Manuel Fondato L’ atomica del divieto di pubblicità dei bookmakers era nell’ aria ma è deflagrata lunedì in tarda serata con tutta la sua dirompenza. I danni sono solo stimati ma tutti sono concordi nel definirli «enormi», le contromosse ancora in embrione, ma ci saranno. L’ impatto ha colpi to non solo le squadre di calcio ma anche le tv. Basti pensare che sono infatti ben 120 milioni all’ anno utilizzati per fare pubblicità attraverso lo sport. In Serie A ben 11 squadre su 20 hanno un partner commerciale legato al mondo delle scommesse. Per anni la Bwin ha sponsorizzato tutto il campionato di Serie B, prima di trovare accordi anche con Milan e Inter. La Snai è legata alla Roma, Betfair alla Juventus, Planetwin365 al Napoli ed Eurobet a Lazio, Cagliari, Udinese, Sampdoria e Genoa. Anche le televisioni intascano soldi importanti dalle agenzie di scommesse, le pubblicità fruttano infatti ben 70 milioni di euro all’ an no. Intascando meno le varie televisioni saranno anche disposte a spendere meno per i diritti TV. Come riportato da Agipro, il prodotto calcio aumenta (o diminuisce) di valore in base alle pubblicità che genera. «Il betting, ovviamente quello regolamentato, su SportItalia incide il 15% sul fatturato totale- si sfoga con Il Tempo il Ceo dell’ emittente Michele Criscitiello- Io personalmente non scommetto ma dirigo un canale settoriale che si occupa di sport che vive sull’ automotive e il betting, considerato che le nostre fasce commerciali non raccolgono i pannolini ad esempio, o la pasta, perché ovviamente stiamo parlando di argomenti con un target. È una roba assurda vietare il betting regolamentato, anche perché nei confronti dell’ Unione Europea ci spiazza e ci porta con punti in meno rispetto a quelli che sono i competitor europei. Secondo questo principio si dovrebbe vietare anche il vino bianco, perché c’ è il rischio che qualcuno si ubriachi e provochi danni. È una roba che non ha un senso e soprattutto, secondo me, l’ idea di Di Maio alla base era una buona idea, ovvero regolamentare il tutto, ma quando uno vieta dalla sera alla mattina tutto non può mai essere un decreto apprezzato, perché per quanto mi riguarda basta vedere oggi il comunicato della Lega». L’ organo che governa i campionati ha infatti espresso preoccupazione per l’ iter legislativo e le conseguenze sui club. Nel comunicato si legge inoltre come la Lega ritenga questa misura un incentivo al «gioco sommerso e clandestino». Dal fronte tv, non trapela ancora alcuna posizione ufficiale ma «off records» l’ irritazione per il decreto Di Maio è montante e la naturale conseguenza saranno una serie di azioni legali, confermate anche da Criscitiello: «Noi già siamo allineati con quell’ iniziativa che hanno definito Logico, che noi già per sensibilizzazione della campagna abbiamo messo gratuitamente in onda, proprio perché crediamo in quello che facciamo. Ci siamo esposti anche giornalisticamente, come SportItalia non ho la forza di essere come Sky e Mediaset, ma sicuramente ogni forma di iniziativa è già al vaglio degli avvocati. Se passa questo decreto togliere il betting a SportItalia significa che almeno il 20% dei dipendenti rischia il posto di lavoro, perché o vado a rubare o mi invento un nuovo fatturato, cosa che al momento non posso fare. Allora significa che abbiamo contato sempre su delle cifre consolidate e per cui si è lavorato per farle crescere e dalla sera alla mattina ci tolgono questa possibilità. È un problema non solo per me ma per il dipendente, perché se ci lamentiamo che perdiamo i posti di lavoro qualcuno dovrebbe an che spiegare che questo è un provvedimento contro l’ impresa. Se devo pagare 30mila euro a dipendente al lordo e mi viene a mancare il 25% del fatturato, devo eliminare il 25% dei dipendenti. Quindi o fallisco o vado a rubare. Se lo Stato vuole fare una cosa del genere deve trovare i fondi per mantenere le emittenti».
Si apre il capitolo Rai tra appetiti e improvvisazione
Il Manifesto
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In tale contesto, si bisbiglia che il Partito democratico, virtualmente estromesso dalla gestione della Rai grazie alla legge orchestrata dallo stesso Matteo Renzi, otterrebbe il contentino della presidenza della vigilanza. Quest’ ultima, a differenza di quanto ha scritto su la Repubblica di ieri il pur sem pre informato Sergio Rizzo, non ha più tra i suoi poteri l’ elezione del consiglio di amministrazione che spetta ora alle assemblee di camera e senato. Tuttavia, e qui i dubbi di Rizzo sono fondatissimi, la longa manus berlusconiana non è affatto scontato che intenda recedere. Posto che la Lega (quanta acqua è passata sotto i ponti dal bel progetto dell’ allora sottosegretario Marano nel 1994, prefigurante la rottura con Forza Italia) pare occuparsi- per adesso – d’ altro, le ultime dichiarazioni di Beppe Grillo e di Luigi Di Maio sulle televisioni vanno lette non nella loro articolazione letterale, bensì nel fondamentale sottotesto: il capitolo della Rai si è aperto nell’ agenda penta stellata, a prescindere dai desiderata dei contendenti di vecchio conio. Se si volesse dare un giudizio sulle parole pronunciate, la diagnosi sarebbe purtroppo semplice. Improvvisazione colpevole. Il proclama dall’ Hotel in cui Beppe Grillo è uso scendere a Roma sull’ assetto del servizio pubblico è un grottesco déjà vu: cessione di due reti ai privati e mantenimento nella sfera di viale Mazzini di un solo canale a spiccata vocazione culturale senza pubblicità. Per chi abbia solo messo il naso nelle vicende dei media italiani è un vec chio ritornello. Privatizzare l’ azienda pubblica in tutto o in parte è sempre stato l’ obiettivo delle linee liberiste, delle vecchie destre, di qualche sacerdote di rito «blairiano» della sinistra. In particolare, l’ aspirazione di cedere al mercato Rai1 e Rai2, passando per la strada di equiparare i tetti di affollamento di spot ai più elevati limiti delle stazioni commerciali, ebbe persino un momento di gloria. Mentre era in discussione presso l’ ottava commissione del senato la riforma del sistema (il ddl «maledetto» 1138, affossato) che valorizzava la presenza pubblica, c’ era un lavorio dietro le quinte per organizzare cordate di im prenditori disponibili ad inghiottirsi due reti. In verità, allora come in altre omologhe circostanze, il capitalismo italiano mostrò uno dei suoi lati deboli, l’ essere inadeguato ad agire nei meandri della società dell’ informazione. Dove non erano riusciti Mondadori o Rusconi, dopo la terribile magra della vicenda Telecom, di fronte al flop di Cinecittà Studios, chissà come e con quali salvadanai entrerebbero in scena patron dell’ era cognitiva: volenti o nolenti subalterni all’ impero del biscione. Così, le dichiarazioni sul blog 5Stelle del vicepremier Luigi Di Maio sulla crisi della televisione tradizionale a vantaggio di Netflix e di ipotetiche versioni italiane della piattaforma che distribuisce in rete film e serie meritano una correzione. I dati tratti da una ricerca di Morgan Stanley parlano di crescita della società nordamericana, fino al 20% del consumo. Mettiamo il caso. Si elude, però, l’ amara verità. La vecchia televisione generalista rimarrà prevalente nel pubblico di massa, mentre gli strumenti specializzati coltiveranno nicchie rilevanti, ma di élite. Serie A e serie B. E’ questa la strategia del governo? Uno vale uno, ma non davanti al video?
De Agostini azzera il debito con Igt Per manager e azionisti arriva il bonus
Il Sole 24 Ore
Laura GalvagniMarigia Mangano
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L’ ultima mossa risale a qualche settimana fa quando con un’ operazione finanziaria strutturata, in gergo un variable forward, il gruppo De Agostini si è assicurato a un prezzo più o meno certo (attorno a 28,25 dollari) la vendita di un 9% di Igt. Un pacchetto rotondo, del valore di mezzo miliardo e che a fine operazione garantirà al gruppo di Novara di centrare due obiettivi: conservare una presa salda sui diritti di voto (59%) pur facendo cassa grazie alla discesa nel capitale della società dei giochi dal 50,72% al 41,79%; e azzerare in un colpo solo il debito nella capogruppo De Agostini spa, che a fine 2016 era pari a 582 milioni. L’ operazione rappresenta una tappa chiave per la holding controllata dalle famiglie Boroli Drago e si inserisce in un percorso, avviato nel 2013, che ha ridisegnato il profilo del gruppo in termini di valore delle partecipazioni, focalizzazione e mission. In che misura lo dice l’ evoluzione stessa del net asset value di De Agostini che tra fine 2012 e il 2017, come peraltro certificato anche da un esperto indipendente, è cresciuto di quasi un miliardo. Un dato, quest’ ultimo, che ha rappresentato la base per procedere alla distribuzione di una remunerazione “extra” ai manager. Complici alcuni contratti di opzione siglati sul 10% della De Agostini da una società denominata “Investendo due” che alle guide operative, Lorenzo Pellicioli e Paolo Ceretti, e ad alcuni rami della famiglia azionista hanno garantito un maxi assegno di oltre 52,6 milioni di euro. Staccato, peraltro, dalla De Agostini spa. E a breve lo schema potrebbe essere replicato. I capitoli Igt e Dea Capital La “cessione” di 18 milioni di titoli Igt attraverso un variable forward è innanzitutto una novità assoluta per l’ Italia. Lo strumento, poco utilizzato anche all’ estero, è molto simile a un collar, poiché combina l’ acquisto di un’ opzione put e la vendita di un’ opzione call con prezzi di esercizio disallineati. Questo meccanismo permette alla holding di fissare un valore minimo delle azioni e allo stesso tempo di beneficiare di un futuro apprezzamento del titolo. Quel che più preme, però, è che con questa manovra la capogruppo De Agostini porterà a zero la propria esposizione finanziaria. Un riequilibrio di portafoglio volto a perseguire un’ altra finalità, ossia quella di sviluppare le linee di business esistenti. Premessa del collar è infatti un altro elemento cruciale della futura strategia del gruppo: il portafoglio della De Agostini può ritenersi “stabilizzato”. Il perimetro Nessun nuovo investimento, dunque, è previsto nei prossimi anni piuttosto l’ impegno di manager e soci è tutto volto a far crescere quello che già appartiene a Novara: l’ editoria, il settore media, il mondo dei giochi e delle scommesse, la finanza e la più recente Dea Capital. Un gruppo da 5 miliardi di ricavi e oltre 3 miliardi di net asset value. Tra tutte le partecipazioni quella che ha cambiato maggiormente fisionomia negli ultimi anni è Dea Capital: da holding di partecipazioni a piattaforma di gestione, leader in Italia. Ciò grazie soprattutto al ruolo cruciale che riveste nel settore dei fondi immobiliari: 43 in tutto per oltre 9,5 miliardi di asset in gestione. Tra cui quelli finiti recentemente alla ribalta delle cronache per i legami con Luca Parnasi, quotista a sua volta di una delle iniziative ex Idea Fimit, oggi Dea Capital Real Estate. Come questo giornale ha già avuto modo di raccontare molto ruota attorno all’ iniziativa Ecovillage di Marino, sviluppo immobiliare firmato da Parnasi e finito in un fondo Dea Capital. Da lì sarebbe poi scaturita la trattativa attorno allo stadio della Roma. Trattativa culminata in una bozza di accordo tra la Eurnova di Parnasi e Dea Capital Real Estate che puntava alla gestione dello sviluppo tramite un fondo supportato da investitori internazionali. Ora quella stessa bozza è stata messa da parte e al momento non è dato sapere quale evoluzione avrà. I compagni di viaggio Di certo, il ruolo di Roma e di Milano è stato centrale per lo sviluppo dei fondi immobiliari targati Dea, non foss’ altro perché assieme le due città valgono quasi 7 miliardi di asset, 3,3 miliardi sul Lazio e 3,6 miliardi sulla Lombardia. Se all’ immobiliare si sommano i fondi alternative, 2,2 miliardi in tutti, la piattaforma Dea Capital vale 11,7 miliardi di asset in gestione. E di una parte di questi, soprattutto quelli legati al mattone, Dea Capital è anche sponsor con investimenti complessivi per 170 milioni. Tra gli altri grandi investitori, oltre a enti e fondazioni, ci sono poi Generali e Intesa Sanpaolo, il Leone vale circa il 3% del nav (leggermente meno di un anno fa complice il fatto che nel 2017 sono stati raccolti dal sistema Dea 1,5 miliardi di euro dei quali il 75% con passaporto straniero) mentre Ca’ de Sass l’ 1,75%. Non solo. Con l’ istituto guidato da Carlo Messina i rapporti si sono fatti recentemente ancora più stretti grazie a un’ iniziativa comune nel mondo delle spac. Dopo il debutto con Crescita, che ha realizzato la business combination con Cellularline, è stata quotata IdeaMi, promossa con Banca Imi: 250 milioni (40 milioni dai due partner) da destinare a una società target della media industria italiana ancora in fase di individuazione. Questo, considerato che Dea Capital capitalizza 400 milioni ed è a sconto sul nav del 20%, abbinato al sistema dei giochi (Igt) ha portato in casa De Agostini circa 1 miliardo di nav in più: si è passati infatti dai 2,23 miliardi di fine 2012 ai 3,12 miliardi del 2017. Ed è su queste premesse che soci e manager sono andati a raccogliere i benefici dell’ attività svolta. I “bonus” ad azionisti e manager Grazie a un’ operazione datata 2013, il 2017 è stato un anno particolarmente ricco per manager e per alcuni esponenti della famiglia Boroli Drago. Il riferimento è a una scatola, denominata Investendo due, che ha siglato cinque anni fa una serie di opzioni put e call su un rotondo pacchetto di titoli della De Agostini spa. Investendo due è partecipata da Marco Drago attraverso Blu Acquario Prima S.p.A (38,75%), Lorenzo Pellicioli attraverso Flavus Srl (38,75%), Roberto Drago attraverso Erredi Invest S.p.A. (5,64%), Pietro Boroli attraverso Vis Value Partecipazioni Srl (3,95%), Paolo Ceretti attraverso Cerfin Srl (11,97%), e B&D Holding di Marco Drago e C. S.a.p.A. (0,95%). Questo veicolo ha sottoscritto negli ultimi anni due aumenti di capitale della De Agostini . Il primo, datato 29 luglio 2013, a fronte di un versamento di denaro di 6,5 milioni ha consegnato alla società 2,4 milioni di azioni di categoria C a Investendo. Il secondo, più recente, ha portato altri 2,5 milioni di titoli De Agostini spa a fronte del pagamento di poco di 6,9 milioni di euro. A giugno dello scorso anno, però, una parte di quelle opzioni put sono state esercitate. E così Investendo Due ha ceduto a De Agostini spa quei 2,4 milioni di titoli sottoscritti quattro anni prima. A che prezzo? Il corrispettivo è stato di 24,12 euro per azione, sulla base della relazione di un esperto indipendente. Che spalmato sul pacchetto azionario si è tradotto in un assegno secco di 58,4 milioni e in una plusvalenza secca di 52 milioni interamente distribuita. Nel portafoglio di Investendo Due restano altri 2,5 milioni di titoli e altrettante opzioni su quel pacchetto. Che, si immagina, saranno esercitate in tempi stretti, magari a valle dell’ approvazione del bilancio 2018. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Riffeser alla guida della Fieg «La stampa possa contare sul sostegno del governo»
Corriere della Sera
SERGIO BOCCONI
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Prima di tutto sottolinea «le sfide che ci attendono» e la necessità di una «condivisione» sui «cambiamenti da mettere in atto, necessari e improcrastinabili per poter garantire i posti di lavoro, il ricambio generazionale e soprattutto il rispetto dell’ articolo 21 della Costituzione». È l’ esordio programmatico di Andrea Riffeser Monti, alla guida di Poligrafici Editoriale, che ieri è stato eletto presidente della Fieg, la Federazione italiana degli editori. L’ assemblea lo ha nominato all’ unanimità. Succede a Maurizio Costa, il quale lascia l’ incarico dopo aver svolto il numero massimo di mandati previsti dallo statuto, salutato da un lungo applauso: riconoscimento del suo appassionato impegno nell’ attività federale rivolto, in anni di grande trasformazione, alla salvaguardia di un sistema di regole e in particolare della protezione e remunerazione del copyright. E il primo «buon lavoro» al nuovo presidente arriva dalla «controparte», da Raffaele Lorusso, segretario generale della Fnsi, il sindacato dei giornalisti: «La sua esperienza contribuirà a tener vivo il confronto su criticità e riforme necessarie per il rilancio del sistema». Riffeser Monti, che sarà affiancato dai due vicepresidenti eletti dal consiglio federale, per i quotidiani Francesco Dini (Gedi) e per i periodici Giuseppe Ferrauto (Cairo editore), si è detto «onorato di essere stato scelto» a guidare la federazione «in un periodo di grande difficoltà di tutta l’ economia che tocca in modo particolare il nostro settore. Ha poi definito necessario «aprire molteplici tavoli con istituzioni, enti e categorie che si interfacciano con il nostro mondo». E, per «garantire pluralità e libertà di stampa», è «fondamentale accrescere la penetrazione politica, culturale e diplomatica, in Italia e anche negli altri Paesi. Per affermare la propria indipendenza e autorevolezza la stampa deve poter contare sul sostegno di governi e istituzioni italiane». Ha quindi ricordato che «all’ estero la stampa è molto più finanziata che in Italia. In Francia vengono garantiti decine di milioni alla France press e ai giornali dai 3 ai 7 milioni per rafforzare la voce del Paese nel mondo. I giornalisti italiani all’ estero sono le nostre sentinelle. Se chiudiamo le sedi internazionali perdiamo le nostre voci». Gli editori «non sono contro giornalisti, poligrafici, distributori ed edicolanti, ma è finita la fase dell’ abbondanza». Fra i punti in agenda, in continuità con Costa, il riconoscimento integrale del copyright, che va tutelato anche sul digitale.
Fieg, Riffeser Monti presidente
Italia Oggi
ANDREA SECCHI
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Andrea Riffeser Monti è il nuovo presidente della Fieg, la Federazione italiana editori di giornali. Il vicepresidente e a.d. di Poligrafici Editoriale è stato eletto ieri all’ unanimità dall’ assemblea dell’ associazione, dopo l’ indicazione verso il suo nome già avuta dal comitato di presidenza e il lavoro fatto negli scorsi mesi dal comitato dei saggi che aveva indicato la necessità di avere un presidente scelto fra gli associati. Riffeser Monti succede a Maurizio Costa che ha guidato la Fieg per due mandati, il massimo consentito dallo statuto. Il Consiglio Federale ha poi nominato Francesco Dini e Giuseppe Ferrauto rispettivamente vicepresidente per i quotidiani e vicepresidente per i periodici. Nel programma di Riffeser per la Federazione degli editori ci sono vecchi cavalli di battaglia dell’ editore, dalla liberalizzazione della distribuzione dei giornali, alla necessità di contratti più flessibili ed economici. Ma Riffeser, nel suo nuovo ruolo, ha allargato gli obiettivi anche alle alleanze degli editori con banche e altre istituzioni, alla necessità di una web tax e dell’ utilizzo adeguato dei dati degli utenti a fini pubblicitari. «Sono onorato di essere stato scelto a guidare la Fieg in un periodo di grande difficoltà di tutta l’ economia che tocca, in particolar modo, il nostro settore», ha dichiarato con una nota Riffeser Monti. «Le sfide che ci attendono ci stimolano ad aprire molteplici tavoli di confronto con le istituzioni, gli enti e tutte le categorie che si interfacciano con in nostro mondo. Vogliamo tenere aperti questi tavoli di lavoro fino a quando non saranno consolidati rapporti di condivisione su tutti i cambiamenti da mettere in atto, cambiamenti assolutamente necessari e improcrastinabili per poter garantire i posti di lavoro, il ricambio generazionale e, soprattutto, il rispetto dell’ articolo 21 della Costituzione Italiana». Nel dettaglio, il programma di Riffeser parte proprio dall’«introduzione di condizioni contrattuali che garantiscano economicità e flessibilità rispetto alle attuali» e dall’ intervento sugli istituti economici e normativi per raggiungere una complessiva riduzione del costo del lavoro e delle sue dinamiche incrementali». Inoltre il presidente ha come obiettivo misure che agevolino l’ inserimento di nuove risorse per favorire il ricambio generazionale. Un pensiero anche all’ istituto di previdenza dei giornalisti: «intervenire sull’ Inpgi, affrontando il deficit ingestibile e senza prospettive di risanamento». Il capitolo sulla modernizzazione della vendita dei giornali è poi piuttosto ampio. Riffeser vuole intervenire sulla legge sull’ editoria «per riequilibrare le norme che penalizzano la vendita dei giornali e ne frenano la liberalizzazione». L’ editore è da sempre fautore di una vendita il più possibile diffusa dei giornali per facilitare l’ acquisto e punta anche a «potenziare il sistema di consegna a domicilio attraverso nuovi canali distributivi multiservizi», e di un «accordo con il sistema bancario per trasformare le filiali in punti informativi, rafforzando la funzione di educazione finanziaria dei quotidiani». In parallelo, sicuramente per evitare che le rivendite tradizionali si riducano sempre più, nel programma si parla di «ribadire il concetto di edicola come presidio territoriale con funzione di servizio pubblico, modificandone la forma giuridica ed inserendo nuove funzionalità di utilità per il territorio (stampa di certificati, vendita di biglietti, presentazione di domande, servizi igienici, punti di primo soccorso con presenza di defibrillatori, ecc…)». Oltre che sul garantire spazi equilibrati per i partiti per assicurare un’ informazione completa e imparziale, Riffeser lavorerà anche per mantenere l’ obbligo di pubblicazione sulla carta stampata della pubblicità legale e finanziaria. Infine, tutta una sezione del programma è dedicata alla «Tutela e valorizzazione del prodotto editoriale». Si sottolinea come il copyright deve essere tutelato anche nel web e in tutto l’ ambito digitale e si parla di «un diverso utilizzo dei dati degli utenti (Ott), anche ai fini pubblicitari», facendo riferimento agli over the top. Riffeser spingerà inoltre per l’ introduzione della web tax e sulla «promozione di un nuovo modello di remunerazione delle rassegne stampa», tema su cui la Fieg si è già mossa con gli accordi di Promopress. Infine il neopresidente promette un riequilibrio della distribuzione delle risorse pubblicitarie, «attraverso l’ introduzione di limiti di affollamento e tetti di raccolta per radio e tv (questi già esistenti e probabilmente da inasprire secondo il programma, ndr) e incentivi di natura fiscale per la carta stampata». Raffaele Lorusso, segretario generale della Federazione nazionale della Stampa italiana ha augurato buon lavoro a Riffeser Monti: «la sua esperienza e la profonda conoscenza del settore maturate alla guida di uno dei più importanti gruppi editoriali italiani contribuiranno a tenere vivo il confronto sulle criticità e sulle riforme necessarie per il rilancio del sistema e, auspicabilmente, a dare impulso alla trattativa per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro giornalistico», mettendo alla base «il rafforzamento dei diritti di tutti i giornalisti, siano essi lavoratori dipendenti, precari o autonomi, nella consapevolezza che il ruolo dell’ informazione professionale è essenziale per la crescita dell’ opinione pubblica e la tenuta delle istituzioni democratiche». © Riproduzione riservata.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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Copyright Ue, relatore: dalle grandi piattaforme una campagna di fake news. L’ offensiva lanciata contro la proposta dell’ Europarlamento sui diritti d’ autore online è «una campagna di fake news organizzata dalle grandi piattaforme». Lo dice il relatore del provvedimento, il popolare tedesco Axel Voss. «Le parole chiave sono macchina di censura e filtro gli upload», ha spiegato Voss in una dichiarazione, sottolineando che la nuova normativa ha un impatto solo sul «5% dell’ internet globale» colpendo unicamente le piattaforme che «pubblicano contenuto protetto da copyright facendo soldi con i click senza dare il minimo contributo». Secondo Voss, inoltre, è «inaccettabile» che il sistema dei media stia diventando «dipendente dalle piattaforme». Ieri per protestare contro la normativa sul copyright Wikipedia italiana ha oscurato le pagine, sostenendo che «tale direttiva, se promulgata, limiterà significativamente la libertà di Internet» e «Wikipedia stessa rischierebbe di chiudere». Dalla Commissione europea è però arrivata la replica: «Wikipedia non rientra nell’ ambito di applicazione della proposta della Commissione sul copyright. L’ articolo 13 riguarda i servizi che danno accesso a grandi quantità di contenuti protetti dal diritto d’ autore, che sono stati caricati da utenti che non hanno diritti su tali contenuti». Wpp, l’ ex ceo Sorrell in trattative per acquisire MediaMonks. Martin Sorrell sarebbe in trattative per acquisire la società olandese MediaMonks, cercando di mettere a segno la sua prima operazione da quando ha lasciato le redini del colosso pubblicitario. A riportare la notizia il Financial Times. Secondo quanto riportato da Crispin Odey, un manager di un fondo hedge pronto a supportare il deal di Sorrell, le trattative sarebbero ancora in corso. MediaMonks è stata fondata nel 2001 e produce campagne pubblicitarie digitali per Audi, Mercedes-Benz e Lego. Anche Wpp sarebbe però interessata alla sua acquisizione. Cinema, raccolta maggio a -6,7%. Secondo l’ Osservatorio Fcp-Associnema (Federazione concessionarie pubblicità) a maggio il fatturato pubblicitario delle sale italiane è stato di 1.034.000 euro, con un decremento del 6,7% rispetto allo stesso mese del 2017. Per il periodo gennaio-maggio, i dati evidenziano un fatturato totale di 7.637.000 euro, con un incremento del 31,2% rispetto al corrispettivo dell’ anno precedente. Per il presidente Fcp-Associnema Fabio Poli «le oltre 2.400 sale delle Concessionarie Fcp-Associnema si preparano a una stagione estiva contraddistinta dall’ uscita di diversi blockbuster, che non mancheranno di valorizzare l’ offerta pubblicitaria». Google, gli sviluppatori delle app per Gmail possono leggere le mail degli utenti. Google permette a centinaia di sviluppatori software di esaminare centinaia di milioni di email di utenti Gmail che si sono iscritti ai loro servizi, ha rivelato il Wall Street Journal. Un anno fa Google aveva annunciato di voler interrompere la pratica di vagliare automaticamente le informazioni nelle mail dei suoi utenti per personalizzare la pubblicità, in modo da assicurare una maggior privacy. Tuttavia ha continuato a lasciare questa possibilità a quelle app usate dai suoi utenti Gmail per aggiungere funzionalità. In tal modo gli sviluppatori di queste app possono vedere le email delle persone e i loro dettagli privati, inclusi i destinatari, gli orari di invio e anche i messaggi veri e propri.
Riffeser Monti è il nuovo presidente degli editori
La Stampa
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Definire una nuova immagine della stampa, con una relazione più stretta con i lettori, e tutelare il suo ruolo centrale nella società sancito dall’ art 21 della Costituzione. Sono gli obiettivi del nuovo presidente della Fieg, Andrea Riffeser Monti, eletto per acclamazione dall’ assemblea della Federazione degli editori. Riffeser Monti, che succede a Maurizio Costa, ha spiegato di non voler perder tempo e di voler aprire, già prima della pausa estiva, tavoli con le altre associazioni per affrontare i temi ancora aperti. «Spero di riuscire a imprimere un’ accelerazione con la nuova squadra della Fieg e confrontandomi con il nuovo governo che deve ancora prendere le misure», ha spiegato. «All’ estero la stampa è molto più finanziata che in Italia. In Francia vengono garantiti decine di milioni alla France Press e ai giornali dai 3 ai 7 milioni per rafforzare la voce del Paese nel mondo. I giornalisti italiani all’ estero sono le nostre sentinelle, se chiudiamo le sedi estere perdiamo le nostre voci». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
Perform tratta con i broadcaster
Italia Oggi
CLAUDIO PLAZZOTTA
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La piattaforma Dazn di Perform, come anticipato ieri da ItaliaOggi, si appresta ad acquistare i diritti tv della Liga spagnola di calcio per l’ Italia, rilevandoli in esclusiva per le stagioni 2018-2021 dopo una trattativa con MediaPro. E Perform, come spiegato finora in incontri riservati da Jacopo Tonoli, chief commercial officer del gruppo, non ha alcuna intenzione di rivendere questi diritti alle pay tv di Sky o di Mediaset. È invece disponibile a cedere la sua app a tutte le piattaforme interessate, ovvero gli ott di Sky (Sky Q, Now tv, al limite Sky go), Mediaset (Infinity, al limite Premium play) ecc., per accelerare così la sua penetrazione in Italia e offrire ai tradizionali broadcaster la possibilità di presentare ai propri abbonati un palinsesto più completo. Le operazioni di Perform in Italia, peraltro, da settembre verranno guidate da Veronica Diquattro, che si appresta a lasciare Spotify, di cui è managing director Southern Europe, e dove era entrata nel 2012 dopo un biennio in Google. Di sicuro il break even di Dazn sulla Penisola è a medio-lungo termine. Il mercato italiano è complicato, i consumi sono fermi, i diritti tv costano molto, gli abbonamenti alla pay tv, però, non decollano. Tanto per dire, l’ operatore Eleven sports, che ha un modello di business molto simile a Dazn, ha provato a dare una occhiata ai vari bandi per i diritti tv dello sport in Italia, ma ha preferito mantenere un basso profilo, conservando solo la Serie C di calcio (2,90 euro a partita), la Serie D, il volley, la pallanuoto ecc., e spingendo di più su mercati come il Portogallo o il Regno Unito, dove Eleven sports ha, per esempio, strappato l’ esclusiva sulla Liga spagnola, e concentrandosi maggiormente sui cosiddetti E-Sports (i videogame) per i Millennials. In Italia, come anticipato, Perform ha già investito 193 milioni di euro all’ anno per l’ esclusiva su tre partite di Serie A di calcio a turno (l’ anticipo del sabato sera, il match domenicale delle 12,30, e uno dei tre incontri della domenica pomeriggio), cui sommare 22 milioni di euro all’ anno più bonus per l’ esclusiva della Serie B di calcio, e, si stima, circa 15 milioni di euro all’ anno per la Liga spagnola (che, obiettivamente, ha un suo appeal finché durano Messi e Ronaldo, ovvero non ancora per molto). Un totale, quindi, di 230 milioni, cui sommare una decina di milioni di euro per la produzione delle partite di Serie A e B (e Dazn, molto probabilmente, produrrà lo stretto necessario, senza tanti Calcio Show) e altri 15-20 milioni per le spese di pubblicità e marketing. Siamo oltre i 250 milioni di euro di costi fissi all’ anno. Un abbonamento da 9.99 euro al mese, per Dazn, significa 8 euro netti al mese di ricavi, ovvero circa 100 euro netti all’ anno da ciascun abbonato. Solo per coprire i costi, quindi, la piattaforma di streaming a pagamento dovrà raggiungere in Italia 2,5 milioni di abbonati. Che sono tanti, per un mercato come quello della Penisola dove Netflix (e stiamo parlando di Netflix) si attesta attorno al milione di abbonati, e nel quale Premium, con la potenza di fuoco e l’ aggressività commerciale di Mediaset, non è riuscita a sfondare. Peraltro, la proposta editoriale di Dazn, pur a soli 9,99 euro al mese, è ancora piuttosto scarsa rispetto agli standard ai quali è abituato il pubblico italiano. Che, finora, poteva avere tutte le partite di Serie A su Sky, o tutti gli incontri delle migliori otto squadre su Premium. Chiaro, quindi, che questo primo giro di Dazn sarà una sorta di prova, un investimento, un esperimento per testare il mercato italiano. In attesa dei prossimi bandi per i diritti tv della Serie A e della Champions league 2021-2024 che saranno pronti tra poco, appena 18 mesi, a inizio 2020. Intanto Perform chiuderà accordi con Sky affinché i possessori del nuovo decoder Sky Q possano scaricarsi la app di Dazn (un po’ come faranno con quella di Netflix dal 2019), pagando l’ abbonamento alla offerta ott ma restando nell’ ambiente Sky: in questo modo Sky è felice, poiché completa l’ offerta e trattiene i clienti nella propria customer experience; e pure Dazn è contenta perché accede in modo rapido agli oltre 100 mila clienti di Sky Q. Stessa cosa verrà fatta da Perform con le altre piattaforme ott presenti in Italia, dal milione di clienti TimVision ai 300 mila di Infinity (Mediaset), i 200 mila di Now Tv (Sky) o, magari, con le offerte in mobilità di Sky Go e Premium Play riservate agli abbonati Sky e Premium. © Riproduzione riservata.
Diritto d’ autore, Wikipedia tenta il blitz
La Stampa
EMANUELA MINUCCI
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A poche ore dal voto al Parlamento di Strasburgo sulla direttiva che riscrive le norme sul copyright, Wikipedia tenta il blitz. Per convincere i deputati italiani a non votare il provvedimento, ieri ha polemicamente oscurato il sito. Alla vigilia del giorno decisivo sul destino del diritto d’ autore – si voterà domani – i giganti del web temono di venire sconfitti in aula e il sito italiano dell’ enciclopedia on line gioca quest’ ultima carta: si ferma per protesta 72 ore, invitando i propri fruitori a farsi sentire fisicamente con i deputati italiani. Immediata da Bruxelles la replica a una presa di posizione che, esaminando le ricadute della nuova direttiva, appare strumentale. «Wikipedia e le enciclopedie online, infatti, sono “automaticamente escluse” dai requisiti imposti dalle nuove regole Ue sul copyright in via di discussione – spiegano dall’ Europarlamento -, la stessa eccezione è ugualmente prevista dalla posizione adottata in Consiglio dagli Stati membri». Una portavoce della Commissione Ue sottolinea che, anche con l’ utilizzo di contenuti di parti terze, come le foto, «Wikipedia e altre enciclopedie online non ricadrebbero nell’ ambito della proposta della Commissione». Molto dura la reazione dell’ Enpa, l’ associazione europea degli editori dei quotidiani, che parla di «inaccettabili campagne fuorvianti»: «La posizione di Wikipedia contro la riforma sul copyright – sostiene il presidente Carlo Perrone – dimostra che il voto all’ Europarlamento va ben oltre il copyright e riflette un dibattito più profondo che oltre alla libertà di stampa investe anche il funzionamento delle nostre democrazie, minacciate non solo attraverso la sostenibilità economica della stampa, ma anche da inaccettabili campagne condotte dalle piattaforme per influenzare gli europarlamentari». L’ Enpa ricorda come la direttiva che andrà al voto giovedì «non tocchi direttamente realtà come Wikipedia, ma ha lo scopo di ribilanciare l’ ecosistema digitale dominato dalle piattaforme». Ribadisce Perrone: «La scelta di oscurare la propria pagina e le spiegazioni addotte per il gesto sono un altro tentativo puramente in malafede per gettare discredito su una direttiva proposta per riequilibrare un ecosistema digitale dominato dalle piattaforme». E sempre queste piattaforme, accusano gli editori europei, «sono state particolarmente attive nell’ utilizzo di mezzi insidiosi per evitare questa riforma che li spingerebbe a ottenere licenze con i detentori dei diritti per l’ utilizzo dei lavori protetti da copyright». Quanto alle specifiche argomentazioni sostenute da Wikipedia Italia sulle conseguenze della riforma Ue, gli editori europei le smentiscono una per una. Per esempio, è falso che diventerà impossibile condividere un articolo sui social o trovarlo sui motori di ricerca: la bozza di riforma Ue, infatti, «stabilisce un diritto per gli editori (articolo 11.1a) che esclude in modo specifico gli usi da parte di individui e i link dall’ ambito di questo diritto». E se il portavoce di Wikimedia Italia Maurizio Codogno, titolato a parlare a nome di Wikipedia, spiega che il sito non si è mobilitato solo per salvare sé stesso, ma per difendere la Rete libera, ieri anche su Twitter alla voce #wikipedia erano in netta maggioranza i commenti in favore della nuova direttiva che tuteli tutti gli operatori dell’ intelletto. In ogni caso il voto previsto giovedì all’ Europarlamento non riguarda il testo legislativo finale, ma solo la posizione dell’ Europarlamento e il suo mandato ad avviare i negoziati con gli Stati membri e la Commissione Ue. Sarà solo nell’ ambito di questi futuri negoziati – davvero cruciali, in quanto è qui che devono essere conciliate le posizioni spesso divergenti o comunque non interamente coincidenti tra le tre istituzioni – che si può arrivare, se viene trovato un accordo, al testo legislativo definitivo. Fra gli articoli più importanti per chi produce contenuti e vuole tutelarli, quello numero 11: stabilisce che gli editori possano esigere un pagamento da chi condivide una notizia pubblicata, anche in forma di link o citazione. Grazie a questo articolo condividere un link al sito di un quotidiano potrebbe richiedere un accordo formale con quel quotidiano, e un pagamento. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.
Wikipedia in sciopero per il web gratis
Il Giornale
Manuela Gatti
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Manuela Gatti Da un lato ci sono i sostenitori della rete libera e gratuita che promettono battaglia e Wikipedia che, per protesta, oscura il sito italiano. Dall’ altro ci sono i gruppi editoriali, che restano tiepidi e non prendono posizione. In mezzo, i colossi del web, a partire da Google, che stanno facendo lobbying insistente sugli europarlamentari per convincerli a non far passare la direttiva. Una parola è al centro della discussione: copyright. Verte proprio sulla tutela del diritto d’ autore su internet il pacchetto di norme che domani il Parlamento Ue si troverà a votare in seduta plenaria. Se sarà approvato entrerà in vigore entro l’ inizio del 2019, mandando in pensione il web come l’ abbiamo conosciuto finora. Se in meglio o in peggio, è tutto da vedere. Gli articoli più rivoluzionari, e per questo più criticati, sono due. Il primo, il numero 11, stabilisce che gli editori debbano ricevere «una remunerazione equa e proporzionata» da parte degli aggregatori di notizie e dei social network che rilanciano gli articoli di giornale sulle proprie piattaforme. Questo significa che Google News o Facebook, per citare i provider più popolari, dovranno pagare le testate giornalistiche per poter pubblicare gli snippet degli articoli, cioè l’ estratto di due righe con titolo e foto che segue il link del pezzo. Il diritto decadrebbe dopo cinque anni dalla pubblicazione. Nulla cambierebbe per gli utenti, che potrebbero continuare a condividere gli articoli sui propri profili. Bruxelles, in una nota, ha spiegato che si tratta di un modo «per non privare i giornalisti del giusto compenso per il loro lavoro». Gli scettici sostengono però che si rischia di limitare il pluralismo dell’ informazione, favorendo i grandi gruppi editoriali a scapito dei più piccoli e dei blogger. Inoltre, la stragrande maggioranza dei clic ai siti di news arriva dai motori di ricerca e dai social network: non comparirvi più significherebbe perdere circa l’ 80 per cento del traffico e, quindi, dei ricavi. A questo proposito ieri è intervenuto anche il garante europeo per la Privacy, Giovanni Buttarelli, che all’ agenzia di stampa Agi ha detto che in tal caso si porrebbe «un problema di completezza dell’ informazione e delle fonti di informazione». Di parere contrario è il presidente dell’ Associazione europea editori giornali, Carlo Perrone. Intervistato da La Stampa, ha spiegato che l’ approvazione della direttiva è necessaria «per la libertà di stampa» e per dare ai contenuti editoriali la stessa tutela che già esiste per l’ industria cinematografica e musicale. L’ altro punto su cui si è scatenata la polemica è l’ articolo 13, secondo cui le piattaforme di condivisione dei contenuti (e qui ci si rivolge soprattutto a YouTube) diventerebbero direttamente responsabili delle eventuali infrazioni di copyright causate dai contenuti pubblicati dagli utenti. In questo caso i provider dovrebbero attrezzarsi con filtri in grado di bloccare sul nascere i contenuti illeciti. È proprio contro questa proposta che ieri Wikipedia è stata oscurata in Italia – ogni comunità linguistica decide per sé – nonostante, come hanno spiegato da Bruxelles, l’ enciclopedia online non venga toccata dalla direttiva perché si tratta di un’ organizzazione senza scopo di lucro. A protestare, però, sono stati anche i 70 ricercatori – tra cui l’ inventore del web Tim Berners-Lee e l’ informatico Vint Cerf, considerato tra i padri di internet – che hanno scritto una lettera al presidente del Parlamento Ue Antonio Tajani, parlando di «minaccia imminente al futuro della rete globale». Non resta che attendere il voto di domani, che si prospetta tutt’ altro che scontato date le divisioni all’ interno dei partiti e gli esiti incerti del lobbying di Google.
Diritto d’ autore, Wikipedia si oscura La Ue: «La direttiva non li riguarda»
Il Messaggero
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IL CASO/2 ROMA Si riaccende il dibattito sulla direttiva europea che riguarda il copyright e che verrà votata domani dal Parlamento Ue. La protesta più clamorosa arriva da Wikipedia Italia che oscura le sue pagine per sensibilizzare gli utenti su un provvedimento che «limiterà significativamente la libertà di Internet». Il sostegno ai volontari dell’ enciclopedia online arriva dal sottosegretario con delega all’ editoria Vito Crimi, mentre già la scorsa settimana il vicepremier, Luigi Di Maio, ha giudicato la riforma un «bavaglio alla rete». Ma l’ Europarlamento puntualizza che Wikipedia e le altre enciclopedie online sono «automaticamente escluse» dal provvedimento. «Vogliamo poter continuare», si legge sul volantino che appare su tutte le pagine del sito, «a offrire un’ enciclopedia libera, aperta, collaborativa e con contenuti verificabili. Se la direttiva fosse approvata, potrebbe essere impossibile condividere un articolo di giornale sui social network o trovarlo su un motore di ricerca. Wikipedia stessa rischierebbe di chiudere». Il fondatore dell’ enciclopedia Jimmy Wales giudica la direttiva «disastrosa». La protesta si concentra sull’ articolo 11 del provvedimento, la cosiddetta link tax, e sull’ articolo 13 che prevede filtri automatici per l’ approvazione di ciò che gli utenti pubblicano in Rete. B.L. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Riffeser nuovo presidente della Federazione editori
Il Messaggero
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NOMINE ROMA Ieri l’ assemblea della Federazione italiana degli editori ha eletto all’ unanimità Andrea Riffeser Monti nuovo presidente. Successivamente si è riunito il Consiglio federale che ha proceduto alla definizione degli organi relativi. Francesco Dini e Giuseppe Ferrauto sono stati nominati rispettivamente vicepresidente per i quotidiani e vicepresidente per i periodici. Il Comitato di presidenza sarà composto dai presidenti delle diverse categorie di quotidiani e periodici, dai consiglieri incaricati per i diversi settori di attività e dalle personalità del mondo editoriale indicati dal nuovo presidente. LA SFIDA DIGITALE «Sono onorato – ha dichiarato Riffeser – di essere stato scelto a guidare la Fieg in un periodo di grande difficoltà di tutta l’ economia che tocca, in particolar modo, il nostro settore. Le sfide che ci attendono ci stimolano ad aprire molteplici tavoli di confronto con le istituzioni, gli enti e tutte le categorie che si interfacciano con in nostro mondo. Vogliamo tenere aperti questi tavoli di lavoro fino a quando non saranno consolidati rapporti di condivisione su tutti i cambiamenti da mettere in atto, cambiamenti assolutamente necessari e improcrastinabili per poter garantire i posti di lavoro, il ricambio generazionale e, soprattutto, il rispetto dell’ articolo 21 della Costituzione». E per garantire la pluralità e la libertà di stampa, ha proseguito Riffeser, «ritengo sia fondamentale accrescere la penetrazione politica, culturale e diplomatica, in Italia ma anche negli altri Paesi». Riffeser assume la guida della Fieg dopo la gestione deludente di Maurizio Costa che, nonostante abbia svolto il numero massimo di mandati previsti dallo statuto, non ha portato novità concrete alle ragioni degli editori. L’ esperienza e la profonda conoscenza del settore maturate alla guida di uno dei più importanti gruppi editoriali italiani – la società Poligrafici – consentiranno a Riffeser di imprimere alla Fieg un passo più dinamico sia nelle relazioni con il governo sia nell’ ambito della sfida digitale che sta profondamente trasformando il mondo dell’ informazione. L. Mar. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Riffeser Monti è il nuovo presidente degli editori giornali
La Repubblica
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ROMA L’ assemblea della Federazione Italiana Editori Giornali ha eletto Andrea Riffeser Monti come nuovo presidente, con un voto all’ unanimità. Riffeser Monti succede a Maurizio Costa che lascia la presidenza dopo aver svolto il numero massimo di mandati. Subito dopo, il consiglio federale ha nominato vice presidenti Francesco Dini (per i quotidiani) e Giuseppe Ferrauto (per i periodici). Riffeser Monti punta ad «aprire molteplici tavoli di confronto con le istituzioni, gli enti e tutte le categorie» che si rapportano con il mondo dell’ editoria. Obiettivo di questo confronto è trovare un punto di «condivisione su tutti i cambiamenti» che sono «necessari e improcrastinabili» per garantire l’ occupazione, il ricambio generazionale e una piena libertà di stampa.
L'articolo Rassegna Stampa del 04/07/2018 proviene da Editoria.tv.