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Rassegna Stampa del 27/06/2018

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Indice Articoli

Copyright, Di Maio: “Se non cambia, no alla direttiva Ue”

Ilfattoquotidiano.it, giugno record per utenti e raccolta

Rai, la sfida tra Lega e M5S per il dg e i telegiornali

Senza progetti si muore. I “nuovi” non pensino solo ai posti da spartire

Viale Mazzini, arrivano i barbari. Ecco chi trema (e chi ci spera)

Tv contro internet per colpire i giornali online

Direttiva Ue copyright, le imprese contestano il piano del Governo

La contromisura di Di Maio? Mezz’ ora al giorno su internet

Olanda, furgone contro la sede del «Telegraaf» «Gesto voluto»

Facebook resuscita la carta E lancia il magazine”Grow”

Class Editori, il consiglio di amministrazione approva il piano industriale 2018-2021

Italia-Europa, scontro sul web

Copyright Ue, attacco di Di Maio

Intesa Fieg-Google, ok di Crimi

Esce il magazine «Link» sulla rinascita della fiction italiana

«Bisogna tutelare la proprietà intellettuale e fermare la pirateria, ma ci vuole tempo»

I punti I giganti del web e i diritti dell’ editoria

Scontro Di Maio-Ue sui diritti d’ autore “No alla riforma”

Copyright, Di Maio: “Se non cambia, no alla direttiva Ue”

Il Fatto Quotidiano

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“Un grave pericolo”: così ieri il vicepremier e ministro del Lavoro, Luigi di Maio, ha definito la riforma del copyright che dovrà essere discussa all’ Europarlamento nei prossimi mesi. Un pericolo che passa attraverso “due articoli che potrebbero mettere il bavaglio alla rete. Ci opporremo con tutte le nostre forze, a partire dal Parlamento europeo e, se la dovesse rimanere così siamo anche disposti a non recepirla”. Il presidente dell’ Europarlamento, Antonio Tajani, ha replicato senza mezzi termini. “Mi auguro che la posizione del vice primo ministro Di Maio – dice – sia una posizione personale e che l’ Italia non segua una strada piena di errori perché farebbe un danno enorme all’ occupazione e alle imprese italiane. Non possiamo più tollerare che la creatività sia sfruttata per arricchire i giganti del web”, ha aggiunto. Il riferimento è alle controversie della norma: un articolo prevede l’ introduzione di una link tax, una tassa sui link, da corrisponder ai titolari (editori) dei contenuti che vengono condivisi suelle piattaforme online (con titolo e anteprima). L’ altro, l’ introduzione di un filtro automatizzato in grado di riconoscere l’ eventuale pubblicazione di contenuti protetti da copyright.

Ilfattoquotidiano.it, giugno record per utenti e raccolta

Il Fatto Quotidiano

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Il sitodel Fatto Quotidiano è il terzo quotidiano online con un milione e 780 mila utenti unici ogni giorno (secondo il dato medio dei primi dieci giorni di rilevazione). Sono i primissimi dati diffusi da Audiweb 2.0 e si riferiscono a giugno 2018. Il sito del Fatto ha registrato una crescita costante arrivando a un totale di oltre 182 milioni di pagine viste a maggio 2018, secondo i dati di Audiweb Census, con una crescita del 50% rispetto all’ anno precedente. Anche sul fronte della raccolta pubblicitaria il sito sta ottenendo ottimi risultati con un progressivo a maggio del +15%, ma con un ultimo trimestre (marzo-maggio) al +34%: risultati ottenuti anche con la collaborazione di Moving Up, l’ azienda specializzata in digitalizzazione che sta collaborando con l’ editore. “Il digitale ci propone sempre nuove sfide – spiega Monica Belgeri, manager Marketing & Advertising di Editoriale Il Fatto – legate da un lato al cambio di fruizione dei contenuti da parte degli utenti, che si stanno sempre più spostando verso un utilizzo massiccio del mobile, e dall’ altro alle innovazioni tecnologiche con cui lavora il mercato pubblicitario”.

Rai, la sfida tra Lega e M5S per il dg e i telegiornali

Il Fatto Quotidiano
Gianluca Roselli
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Il problema sono i nomi. La Lega li ha, i 5 Stelle no. Parliamo di Rai. Anche qui tira aria di spartizione tra i due partiti di governo, con occupazione quasi totale degli incarichi. O almeno così vorrebbe la Lega. Tra i due partiti il braccio di ferro per decidere chi guiderà la Rai è già iniziato e non è escluso che alla fine, per non danneggiarsi a vicenda, per Viale Mazzini venga fuori una soluzione “alla Giuseppe Conte”. Ovvero un nome per la direzione generale non legato a nessuno dei due partiti. Un uomo azienda, o di prodotto, come si suol dire. Il problema è che i nomi che girano per il ruolo di dg – che con la nuova legge avrà poteri più ampi – arrivano tutti dall’ orbita salviniana: ad esempio quello di Gianmarco Mazzi, socio di Lucio Presta (cosa che costituisce un ostacolo), sei volte direttore artistico del Festival di Sanremo. Altri nomi che rimbalzano sono quelli di Fabio Vaccarono (country director di Google), l’ ex direttore de La7 ora in Stand by me (la società di Simona Ercolani) Fabrizio Salini, l’ ad di Viacom Italia Andrea Castellari. Identikit che assomigliano a quello di Antonio Campo Dall’ Orto, il dg scelto da Matteo Renzi per rivoluzionare la Rai e poi sfiduciato dallo stesso Pd. A destare attenzione pure l’ invio del curriculum per il Cda da parte di Dario Fruscio, manager (ex Eni, eccetera) da sempre vicino alla Lega bossian-maroniana. “Ho mandato il Cv da solo, non ho sentito nessuno”, spiega lui. Per la presidenza, invece, si pensa a un nome di grido, più noto al pubblico, come Carlo Freccero, Milena Gabanelli o Ferruccio De Bortoli. L’ aria che tira tra Salvini e Di Maio, dunque, è quella di mettersi d’ accordo su un manager terzo come dg e una figura di alto profilo come presidente. Sul cda, invece, l’ idea è non fare prigionieri e prendersi 6 consiglieri su 7 (l’ ultimo è quello eletto dai dipendenti di Viale Mazzini) con l’ unico dubbio se lasciare o meno uno strapuntino a Forza Italia, se non dovesse avere la presidenza della commissione di Vigilanza sulla Rai. Poi, in autunno, toccherà a un altro capitolo caldo, quello di reti e tg. E sull’ informazione Salvini punta molto: “I Tg Rai sono vecchi. In queste settimane sto vedendo un’ opera di disinformazione a reti quasi unificate”. Le voci che arrivano da Via Bellerio descrivono il seguente schema: Tg1 governativo e istituzionale, Tg2 vicino alla Lega, Tg3 vicino al M5S . Per la prima volta dalla sua nascita, dunque, il partito erede del Pci dovrebbe sloggiare dalla terza rete. Uno schema alternativo, invece, vedrebbe un Tg1 istituzionale filo-grillina, il Tg2 alla Lega e il Tg3 vicino al centrosinistra. L’ importante, per Salvini, è che un telegiornale sia sensibile alle sue posizioni. Ma si sa che al leader della Lega preme molto anche il ruolo dei Tg regionali, ora diretti da Vincenzo Morgante. La battaglia per la guida di viale Mazzini nel prossimo triennio è ormai nel vivo.

Senza progetti si muore. I “nuovi” non pensino solo ai posti da spartire

Il Fatto Quotidiano
Roberto Faenza
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“Oggi la televisione è morta. Ho ricevuto un telegramma dall’ ospizio: funerali domani. Distinti saluti”. Scriveva così Albert Camus nel romanzo Lo Straniero. Ho sostituito la parola “mamma” con “televisione”, per il resto sembra di assistere al balletto sulle nomine Rai. A breve la tv come l’ abbiamo conosciuta non esisterà più. La sua fine è decretata dall’ assenza di un progetto, mai espresso dai governi, interessati solo a perpetuare il loro dominio. Pare che volino coltelli tra Lega e 5 Stelle. Assisteremo alla lottizzazione di sempre o al cambiamento auspicato a corrente alternata? A che servono centinaia di curricula inviati per il Cda senza una missione da seguire? Anche oggi l’ assillo sembra essere la spartizione dei Tg, anziché occuparsi di quanto va in onda. Per non parlare di un vero piano aziendale che nessun governo ha mai varato, preferendo la melina. La Rai è l’ azienda più assurda del mondo, la sola che si regge su un Cda formato da una maggioranza e da un’ opposizione. Accade così che se il direttore generale propone una cosa, gli amministratori si dividono tra sostenitori e oppositori a seconda della casacca indossata. È come se in Fiat Marchionne proponesse l’ auto elettrica e i consiglieri l’ etanolo. Si è lasciata l’ azienda deperire alla mercé di predatori esterni. I risultati sono palesi: circa 13.000 dipendenti umiliati, molti dei quali costretti a timbrare il cartellino senza una reale occupazione. Le sole parti sane dell’ azienda appaiono le Teche, gli apparati tecnologici, una parte delle sigle sindacali, qualche redazione indipendente e RaiCinema, senza la quale film italiani non ne vedremmo quasi più. Gridano vendetta gli appalti esterni per mansioni che potrebbero essere svolte all’ interno. Avendo la tv commerciale e quella pubblica obiettivi diversi, uno si aspetterebbe programmi e contenuti diversi. Invece sono diventati sempre più simili. Se è così, perché pagare il canone? “Ho scoperto che con o contro la televisione, si possono vincere o perdere le elezioni”, diceva De Gasperi. È ancora vero? Pasolini considerava la tv il veicolo principe “per la diffusione della menzogna”. Leonardo Sciascia la definiva “l’ oppio dei popoli”. Norberto Bobbio pensava che ne derivasse una società “naturaliter di destra”. Ascoltando Salvini a proposito dei Tg da espugnare, il rischio è che lo diventi ancora di più. Nessuno dei nuovi governanti si pone la domanda cosa significhi fare televisione. Sinora ha trionfato rivolgendosi agli spettatori in modalità easy: tranquillizzando e semplificando. Oggi non è più così: chiunque dice ciò che vuole in una gigantesca marmellata che amalgama e confonde. I nuovi consiglieri saranno consapevoli della mutazione? Mentre nulla si sa di cosa pensi la Lega, i 5 Stelle tergiversano. Non vorrei imitassero la sinistra, che all’ opposizione tuonava contro la Rai e al governo indossava i panni del peggior lottizzatore. Non contano più le idee di Beppe Grillo, che dalla Rai ha subito le più feroci censure? Nel 2014 la tacciò di essere “la maggiore responsabile del disastro politico ed economico di questo Paese. Dove c’ è la televisione, non c’ è la verità. Mai!”. Più di recente ha detto che “le trasmissioni fanno cagare, tranne le solite eccezioni. La Rai è in stato prefallimentare merita di fallire”. La posizione del M5S è questa? Roberto Fico, quando era a capo della commissione parlamentare di Vigilanza, ha detto che il canone va pagato. Un po’ stupisce che i 5 Stelle, maestri del web, non leghino il futuro dell’ azienda a Internet. Se arriveranno a guidare il Cda e non vorranno rotolare, ci dovranno pensare.

Viale Mazzini, arrivano i barbari. Ecco chi trema (e chi ci spera)

Il Fatto Quotidiano
Danile Martini
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Alla Rai sono i giorni del ripensamento febbrile. Alla vigilia delle nomine che quasi sicuramente rivolteranno l’ azienda come un calzino, ancora non è stato avvistato qualcuno fasciato nella bandiera dei 5 Stelle (ammesso possa servire a qualcosa) come accadde un secolo fa a Piero Vigorelli che si mostrò per i corridoi bardato da capo a piedi con il vessillo di Forza Italia per celebrare la vittoria di Silvio Berlusconi alle elezioni. E neanche è stato sentito qualche altro vantare adesioni alla Lega fin dai tempi in cui si fregiava dell’ indicazione Nord. Negli uffici dei capi ognuno, per quel che può, cerca piuttosto di dimostrarsi contrito nel tentativo improbo di scolorire il passato spingendosi addirittura fino al limitare della critica (“L’ avevo detto sarebbe finita così”) per gli eccessi di una stagione considerata, ora che è tramontata, insopportabilmente e sfacciatamente renziana. “Una Rai di raccomandati” ha provocatoriamente sintetizzato il vice premier Luigi Di Maio (5 Stelle) a Porta a Porta di Bruno Vespa proponendo, sempre per provocazione, di “fare un censimento”. Valutazione e intenzione in parte confermate e in parte corrette da Giancarlo Magalli che alla Rai c’ è da una vita, conosce ogni anfratto e si vanta di essere uno dei pochi ad aver varcato il portone senza spinte: “Il censimento forse sarebbe pericoloso, ma un buon 20 per cento è raccomandato di sicuro”. E forse nel calcolo pecca per difetto in un’ azienda dove, come raccontò una volta Ettore Bernabei , le raccomandazioni erano almeno 20 mila l’ anno. Tra i dirigenti di prima fascia e i direttori dei telegiornali, la maggioranza cerca di nascondere il piede un tempo dorato e oggi marchiato da cui ha ricevuto la spinta. A cominciare dalla capa dei capi, la presidente Monica Maggioni , inviata di esteri e giornalista di peso, scelta dopo un tete-à-tete in tv da Matteo Renzi in persona come autorevole rappresentante della nuova era televisiva governativo-creativa la cui esecuzione concreta era affidata nelle mani del direttore generale Antonio Campo Dall’ Orto . Stagione che già un anno fa aveva avuto un primo scossone con le dimissioni di Dall’ Orto, annesso rimpastone e ingresso di nuovi protagonisti: i renziani della seconda ondata. Al posto di Campo Dall’ Orto fu promosso il direttore del Tg1, Mario Orfeo , giornalista con un curriculum gradito dai padroni Rai di allora, soprattutto per la rodata militanza aziendale preceduta da un’ altrettanto lunga fase da direttore del Messaggero e del Mattino di Francesco Gaetano Caltagirone , editore apprezzato dai renziani. Come in una catena di Sant’ Antonio, Orfeo promosse alla direzione del Tg1 il suo giornalista di fiducia, Andrea Montanari , ovviamente renziano pure lui, ripescato dopo la fugace apparizione ai Giornali Radio, ma che in precedenza era stato il vice dello stesso Orfeo. Al suo posto ai Gr subentrò Gerardo Greco , ex conduttore di Agorà che ora, vista la mala parata incombente sulla filiera, ha deciso di passare armi e bagagli alla concorrenza accettando la direzione del berlusconiano Tg4. La direzione del Tg2 a Ida Colucci è invece di più antica data. Fu scelta subito dal nuovo consiglio di amministrazione Rai renziano ora in scadenza e veniva spinta su quella poltrona dalla logica del patto del Nazareno: giornalista parlamentare e dei Palazzi romani in sintonia con Berlusconi, le venne affidato il ruolo di lenire e rassicurare il centrodestra allora a trazione berlusconiana. Al Tg3 Luca Mazzà ci arrivò invece due anni fa con le gloriose ferite del combattente renziano guadagnate in battaglia contro i dubbiosi infedeli: per difendere Renzi litigò a sangue con l’ ex vice direttore di Repubblica, Massimo Giannini , che come conduttore di Ballarò si rifiutava di baciare la pantofola al capo del governo. Fu sufficiente per ritenerlo abile e idoneo per sostituire Bianca Berlinguer a cui fu affidata una striscia e un serale di consolazione. Tra i direttori di rete quello di Rai1, Angelo Teodoli , forse ancora non sa se rallegrarsi o dolersi per il nuovo corso incipiente. Agli occhi del centrodestra ha il merito di aver dato ampio spazio sul Due a Virus di Nicola Porro . Ma era il centrodestra di stampo berlusconiano, quello sbagliato nell’ era di Salvini. In piena armonia da patto del Nazareno, Teodoli ha preso il posto di Andrea Fabiano , che era stato individuato dai renziani come il giovane rampante, emblema del nuovismo al potere. Fabiano ora dirige Rai2. A Rai3 c’ è Stefano Coletta , dipinto come una mosca bianca. Di lui dicono sia più bravo che raccomandato. Possibile? Tra i giornalisti di prima fila uno dei pochi che si mostra per quel che è, senza camaleontismi, Gennaro Sangiuliano , vicedirettore del Tg1, indicato come candidato a tutto il candidabile potendo vantare una fruttuosa frequentazione con Matteo Salvini non smentita dal diretto interessato. E sarà proprio Salvini il dominus del ribaltone Rai, forse più del collega di Di Maio, grazie all’ eterogenesi dei fini e alla riforma Rai voluta da Renzi che sposta dal Parlamento al governo il potere di scelta e di nomina. Insieme a Sangiuliano l’ altro che dalle retrovie di Night Tabloid in seconda serata su Rai 2 potrebbe essere fiondato sulla ribalta è Alessandro Giuli , giornalista vigorosamente di destra al Foglio e a Tempi.

Tv contro internet per colpire i giornali online

Il Fatto Quotidiano
Peter Gomez
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La libertà di internet non è sotto attacco solo a Bruxelles. Nuvole nere si allungano sulla Rete anche in Italia dove, come ha raccontato Business Insider, il garante per le comunicazioni sotto la spinta dei lobbisti di Mediaset e Rai ha aperto un’ istruttoria su Audiweb 2.0, il nuovo sistema di rilevazione grazie al quale viene finalmente misurato il numero esatto di utenti dei singoli siti web. Così mentre la Commissione europea tenta di far approvare norme sui diritti d’ autore che, se non modificate, finiranno per dare ai gestori delle piattaforme social un enorme potere-dovere di censura preventiva sui contenuti da pubblicare, da noi le tv vanno alla guerra contro i giornali online. A spingerle alla battaglia sono i dati sul numero reale di persone che usano ogni giorno la rete per informarsi. Non appena i nuovi sistemi di rilevazione sono entrati in funzione è stato dimostrato che anche nel nostro Paese i siti internet sono ormai competitivi rispetto alle reti televisive. A inizio giugno, per esempio, repubblica.it ha registrato una media di 3.068.184 utenti unici al giorno, il corriere.it 2.359.683 e ilfattoquotidiano.it 1.694.330. Numeri da programma di prima serata che nel medio periodo finiranno per far perdere alle emittenti quote importanti del mercato pubblicitario. Per capire le cifre in gioco basta guardare cosa è accaduto lo scorso anno quando le tv hanno incassato 3,7 miliardi di euro, mentre gli editori online si sono dovuti accontentare di soli 456milioni, che salgono a 2,4 miliardi se si considerano anche i motori di ricerca e i social (controllati però da multinazionali). Nel resto di Europa, dove internet viene da tempo correttamente “pesato”, le proporzioni sono invece inverse. Si investe più sul web e meno sulle tv (nelle cinque nazioni più grandi 27 miliardi contro 20). Ovviamente se pure in Italia le risorse pubblicitarie destinate all’ online aumentassero, aumenterebbe anche il pluralismo dell’ informazione. Perché fare oggi l’ editore sul web è un mestiere che rende molto poco in proporzione agli investimenti richiesti. Anzi, per dirla tutta, è un’ attività che spesso va in perdita. Un problema che non hanno le vecchie tv nostrane avvantaggiate dalle leggi e dai canali prefissati sui telecomandi (le reti che stanno ai primi posti vengono viste di più). Ecco perché quella che si sta combattendo all’ Agcom è una battaglia di libertà che riguarda tutti i cittadini. Formalmente l’ autorità per le comunicazioni vuole capire se conteggiando il numero di visitatori venga violata la loro privacy e se non vengano utilizzati illegittimamente i cosiddetti big data. Inoltre l’ Agcom vuole verificare se ci si trovi di fronte a clic fasulli generati da robot. Una questione di fatto inesistente visto che i robot sono facilmente individuabili e che i primi a controllare la veridicità del traffico sono proprio gli inserzionisti. Ad avviare l’ indagine è stata Benedetta Liberatore, responsabile della direzione contenuti audiovisivi e descritta come particolarmente legata al consigliere Agcom in quota Forza Italia, Antonio Martuscello (sopra in foto), ex parlamentare, ex sottosegretario e soprattutto ex dirigente di Publitalia, la concessionaria di pubblicità del Biscione. Da tempo le tv auspicano, nemmeno troppo velatamente, che la misura del traffico internet passi in capo ad Auditel: la società che da anni quantifica tra polemiche e interrogativi quello televisivo. E oggi sperano che l’ indagine Agcom diventi il grimaldello per arrivare all’ agognata e totalmente illiberale meta.

Direttiva Ue copyright, le imprese contestano il piano del Governo

Il Sole 24 Ore
Andrea Biondi
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«Faremo tutto quello che è in nostro potere per contrastare la direttiva sul copyright al Parlamento europeo, e qualora dovesse passare decideremo se recepirla o meno». Parole pesanti quelle del ministro del Lavoro e Sviluppo economico Luigi Di Maio, dette ieri intervenendo all’ Internet day organizzato dall’ Agi a Montecitorio. Dichiarazioni che, si è subito capito, avrebbero colpito un vespaio, soffiando sul fuoco di un tema rovente, quello del diritto d’ autore alle prese con un digitale che sta mettendo in discussione abitudini d’ uso, ma anche modelli di business legati alle produzioni intellettuali. Per questo le aziende del settore hanno risposto in maniera tranchant. Tutto discende dal via libera della commissione Giuridica dell’ Europarlamento alla direttiva europea sul copyright nel Digital Single Market, ora attesa al voto dell’ Assemblea plenaria la prossima settimana. Gli articoli 11 e 13 del testo hanno fatto subito da detonatore. Il primo (battezzato, in fondo sbrigativamente ed erroneamente, “link tax”) prevede per le piattaforme l’ obbligo di pagare gli editori per la pubblicazione dei cosiddetti snippet: titolo e prime righe di articoli. L’ articolo 13 richiede a piattaforme di largo utilizzo (YouTube o Instagram ad esempio) di installare dei filtri (upload filter) che impediscano di caricare materiale protetto da copyright. Entrambi sono stati bollati da Di Maio come «due articoli che potrebbero mettere il bavaglio alla rete». Sul piede di guerra Siae, Aie, Fimi e Confindustria Cultura, che hanno chiesto un incontro urgente al ministro. Di «profondo stupore e preoccupazione» per le dichiarazioni di Di Maio ha parlato il presidente di Confindustria Cultura, Marco Polillo. «Se confermate si tratterebbe di un attacco al cuore dell’ Industria italiana dei contenuti culturali e più in generale alla tutela della proprietà intellettuale», ha aggiunto. «Non possiamo credere che un governo del cambiamento possa essere contrario all’ innovazione anche in questa materia. Ci sembra contraddittorio conservare uno status quo che favorisce le grandi imprese del web a scapito degli autori e degli editori del nostro Paese», ha detto il presidente Aie Ricardo Franco Levi. Duro anche il presidente Fimi (industria musicale) Enzo Mazza: «Se queste sono le posizioni del Governo, allora risultano a favore di Google e Facebook: saranno infatti queste piattaforme a beneficiare dell’ incredibile voltafaccia dell’ Italia». Una levata di scudi netta a tutela della «terza industria per numero di occupati – dice il presidente Siae, Filippo Sugar – con 880mila occupati diretti e oltre 1 milione se consideriamo anche gli indiretti e un valore economico di oltre 50 miliardi di euro». Un settore che potrebbe avere un aumento «di decine di migliaia di posti di lavoro se solo riuscisse a contrastare minacce come value gap e pirateria». Senza dubbi a favore dell’ industria culturale si schiera anche il presidente dell’ Europarlamento Antonio Tajani: «Vogliamo difendere autori e artisti dallo strapotere delle piattaforme che sfruttano le opere senza una giusta remunerazione e non possiamo più tollerare che la creatività sia sfruttata per arricchire i giganti del web». Per Tajani «senza un’ azione decisa per preservare la nostra creatività a soffrire sarà tutta l’ economia del continente». © RIPRODUZIONE RISERVATA.

La contromisura di Di Maio? Mezz’ ora al giorno su internet

Il Giornale
FRANCESCO BORGIA
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L a lotta alla povertà? È a portata di mouse. Parola di Luigi Di Maio. Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico ha una ricetta semplice. Iniziamo a far navigare tutti su Internet, intende dire, il resto vien da sé. Il vicepremier grillino immagina «uno Stato che interviene e fornisce gratuitamente una connessione di almeno mezz’ ora al giorno a chi ancora non può permetterselo». Una mezz’ ora d’ aria cibernetica per tutti o, come qualcuno l’ ha già maliziosamente ribattezzato, il cosiddetto «bonus Youporn». Le parole del leader grillino arrivano proprio nel corso dell’ Internet day. Di Maio ha partecipato infatti alla presentazione del quarto rapporto Agi-Censis, dal titolo L’ insostenibile leggerezza dell’ essere digitale nella società della conversazione, portando ricette semplici e dal sicuro effetto mediatico. Non ha solo auspicato un intervento dello Stato in favore di chi non è nelle condizioni di permettersi un traffico giornaliero sulla Rete di 30 minuti ma si è anche augurato che l’ accesso alla Rete sia, prima o poi, libero e che diventi un diritto inalienabile dei cittadini. Fatto che però, osservano i più maliziosi, deve essere preceduto dall’ acquisto di uno smartphone, di un tablet o almeno di un computer da tavolo (magari di seconda mano). Per cifre non certo irrisorie. C’ è chi prova anche a fare i calcoli. A monetizzare quella mezz’ ora. Quanto costa? Siamo sopra o sotto le cinquanta euro l’ anno? Lo stesso popolo della Rete resta perplesso sul come e sul quando questo slogan fatalmente propagandistico possa tradursi in realtà operativa. E mentre blog e giornali on line titolano sulla possibile introduzione della «connessione di cittadinanza», ecco arrivare la seconda idea del vicepremier. «La Rete è davanti a un pericolo: quello della riforma del copyright. Per me l’ Unione Europea dovrebbe puntare sull’ educazione e non su provvedimenti come la link tax, che sarebbe una tassa bavaglio». Per poi lanciare la sfida a Bruxelles: «Se dovesse passare al Parlamento europeo questa direttiva sul copyright non è detto che la recepiremmo». Gettando chi vive di copyright nel più profondo stupore e nella più cupa preoccupazione. «È un attacco al cuore dell’ industria culturale italiana» tuona Marco Polillo, presidente di Confindustria cultura italia. Altrettanto stupito si mostra Ricardo Franco Levi dell’ Aie (Associazione italiana editori). «Non possiamo credere – commenta Levi – che un governo del cambiamento voglia difendere lo status quo che favorisce le grandi imprese del web a scapito degli autori e degli editori del nostro Paese». Ancor più critico Enzo Mazza che a nome della Federazione dell’ industria musicale aggiunge: «È chiaro che se queste sono le posizione del governo allora queste risultano a favore di Google e Facebook». E per chiudere la giornata delle idee, il ministro dello Sviluppo economico ha confessato ai cronisti a Montecitorio: «La nostra economia è un unicum e se i dazi servono per proteggere i nostri prodotti, è giusto parlarne». Con buona pace dell’ Europa.

Olanda, furgone contro la sede del «Telegraaf» «Gesto voluto»

Il Giornale

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Secondo la polizia, si tratterebbe di un gesto intenzionale. Nella notte tra lunedì e ieri un furgone, un Caddy Volkswagen bianco, si è schiantato contro la vetrata della redazione di uno dei quotidiani più diffusi nei Paesi Bassi, il De Telegraaf, nella periferia di Amsterdam. In un video diffuso dal giornale si vede il mezzo sbattere per due volte contro la vetrata. Poi l’ autista è sceso, ha dato fuoco al furgone ed è fuggito a bordo di un altro veicolo, guidato da un complice che lo aspettava in strada. Le fiamme, alte 14 metri, hanno causato molti danni al palazzo ma non ci sono stati feriti. L’ edificio, che ospita la sede principale del quotidiano della destra olandese, era quasi vuoto. Il fatto arriva a pochi giorni da un episodio analogo accaduto giovedì scorso, quando un missile anticarro è stato lanciato contro la sede del settimanale Panorama, sempre nella capitale. Per quel fatto è stato arrestato un 41enne. Secondo la polizia locale e i procuratori, «una delle ipotesi è che l’ incidente sia legato ai recenti articoli sulla criminalità organizzata». «Noi non ci lasciamo intimidire», ha replicato il caporedattore Paul Jansen, mentre il primo ministro Mark Rutte ha definito il caso «uno schiaffo alla stampa libera e alla democrazia olandese». «Il suo governo è vigile e vigila», ha aggiunto in un tweet. Le autorità hanno comunicato che sono al vaglio misure di sicurezza supplementari per proteggere il Telegraaf e gli altri media olandesi.

Facebook resuscita la carta E lancia il magazine”Grow”

La Stampa
CHRISTIAN ROCCA
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Un nuovo magazine. Di carta. Edito da Facebook. Sì, avete letto bene, il gigante dei social network che più di ogni altro ha contribuito a colpire e in molti casi ad affossare l’ industria editoriale globale, sia in termini di diffusione delle notizie sia di raccolta pubblicitaria, ha appena lanciato una sua rivista cartacea di lifestyle con tanto di direttore, art director e redazione. Il magazine di Facebook si chiama Grow , come «crescita», da non confondere però con il Grow americano che invece è un magazine sulla coltivazione della cannabis. Per ora, forse anche per evitare imbarazzi con l’ omologo americano, è distribuito soltanto nel Regno Unito e nei paesi nord europei, ma prossimamente anche in Italia. In copertina c’ è un ritratto del barbuto e tatuato direttore creativo di H&M, Oscar Olsson, definito nel titolo «l’ uomo che sussurrava ai millennial». Dentro ci sono articoli sul boom tecnologico del Medio Oriente, sulla scena tech di Parigi, su una grande azienda di alcolici riconvertita alla distillazione artigianale, sulla crescita dei marchi di nicchia. Insomma tutto l’ armamentario di ordinanza di una rivista hipster contemporanea. Facebook che diventa editore, anche se laterale e senza fanfara, è una di quelle notizie che un antico motto giornalistico considera del tipo «uomo morde cane» ovvero una notizia per eccellenza, a differenza di quelle banali «cane morde uomo», non soltanto per il ruolo svolto dall’ azienda di Mark Zuckerberg in questi anni di rivoluzione digitale, ma anche perché si è sempre rifiutata di essere considerata una media company, ovvero una produttrice di contenuti giornalistici, nonostante i due terzi degli adulti americani si informino attraverso i social media. Facebook spiega però che il suo magazine non è un magazine, malgrado sotto la testata si legga «quarterly magazine for business leaders» e nonostante la stessa definizione sia contenuta nell’ editoriale di apertura del numero. Grow, dicono i responsabili di Facebook, è lo strumento di carta di un elaborato progetto di marketing cominciato tre anni fa con una serie di eventi e poi arricchito da una pagina Facebook, un blog e ora anche dal magazine non magazine di carta che viene inviato a selezionati business leader europei e distribuito nelle lounge degli aeroporti e delle stazioni. In autunno, inoltre, è prevista una partnership con la rivista Vanity Fair . I magazine corporate sono da tempo una realtà editoriale consistente, con le aziende che si producono in proprio le riviste in modo da comunicare con i clienti e i dipendenti senza la mediazione dei media tradizionali, ma Facebook non è una compagnia aerea che si fa la rivista di bordo né un’ azienda vinicola che vuole esportare i suoi prodotti in Cina. Facebook, appunto, è una media company che non è una media company, esattamente come il suo magazine non è un magazine. BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Class Editori, il consiglio di amministrazione approva il piano industriale 2018-2021

Italia Oggi

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Il consiglio di amministrazione di Class Editori spa ha approvato ieri all’ unanimità il nuovo piano industriale 2018-2021 conseguente al conferimento del 67,48% di Gambero Rosso e al mutamento del modello di business. Il conferimento di Gambero Rosso ha determinato i seguenti effetti positivi sul bilancio consolidato pro forma del gruppo Class: un fatturato pro forma al 31.12.2017 che sale da 66,16 milioni a 82,65 milioni di euro; un ebitda proforma al 31.12.2017 da -7,97 milioni a -4,36 milioni. Anche la tendenza del primo trimestre 2018 evidenzia il beneficio apportato dal Gambero Rosso sia dal punto di vista del fatturato sia con riferimento all’ ebitda che per il gruppo Class al 31.03.2018 è stato pari a -0,775 milioni e che con il conferimento di Gambero Rosso si avvicina a un sostanziale pareggio. Il conferimento ha altresì consentito di completare il cambiamento di modello di business, passando da vendita di contenuti in edicola e abbonamenti e vendita di pubblicità, anche a ricavi per l’ utilizzazione dei contenuti ai fini di erogare servizi alle aziende e agli individui. Infatti, con il conferimento, Gambero Rosso apporta una spiccata professionalità in questa direzione, in particolare per l’ area Food e Wine, completando le altre F caratteristiche del made in Italy già presenti in Class Editori e cioè Fashion, Furniture, con la decisiva competenza nel Finance. Il nuovo piano rispecchia naturalmente il nuovo modello di business e si basa su quattro pilastri: 1) Integrazione delle strutture di Class Editori e Gambero Rosso con efficienza in più settori: pubblicità; produzioni televisive; amministrazione e finanza; sistemi informativi; presenza all’ estero e in particolare in Cina; creazioni di community in fasce di livello medio alto. 2) Sviluppo del settore educational, in cui ambedue le società sono presenti (Class Editori nel settore assicurativo e del risk management; Gambero nei master e nei corsi professionali, in totale 14 mila iscritti). A ciò si aggiunge l’ associazione temporanea di impresa paritetica costituita con Pegaso, leader dell’ università telematica, per l’ organizzazione di 74 tra master e corsi di perfezionamento attraverso la costituzione di Class Academy, di Milano Finanza Business School e ItaliaOggi Business School. 3) Realizzazione insieme a Xinhua News Agency, maggior gruppo multimediale cinese controllato direttamente dallo stato, della piattaforma Belt and Road di informazione, analisi, consulenza, big data per consentire alle aziende italiane di cogliere la straordinaria opportunità del progetto nuova via della seta. Domani, 28 giugno, si terrà la presentazione della piattaforma durante il convegno Belt and Road, in Borsa Italiana. 4) Riorganizzazione delle attività televisive all’ interno della controllata Telesia, la quale, già leader della Go Tv ha l’ opportunità di entrare nel mercato delle grandi pianificazioni pubblicitari televisive (pari a 3 miliardi di euro all’ anno) grazie all’ innovativo sistema WeCounter di rilevamento dell’ audience, mentre è in programma il rinnovo di Auditel, per rilevare la total audience. In virtù del nuovo modello di business e dei suoi quattro pilastri, il piano industriale quadriennale, comprendente la partecipata ItaliaOggi, ha i seguenti target al 2021: fatturato 117 milioni di euro, Ebitda 19,7 milioni di euro. Con il piano approvato e con l’ attuazione già avvenuta dell’ operazione Gambero Rosso, molto importante per il completamento del nuovo modello di business, viene assicurata una positiva evoluzione economica, finanziaria e patrimoniale del gruppo.

Italia-Europa, scontro sul web

La Stampa
MARCO BRESOLIN
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Per l’ Europa non c’ è più tempo da attendere: le regole sul copyright vanno aggiornate. Non si può continuare con un quadro normativo anacronistico, che non tiene conto dello sviluppo della Rete. Ma sul «come» intervenire per cambiare le regole del gioco è in corso uno scontro tra due visioni diametralmente opposte. Da un lato c’ è chi sostiene la necessità di fissare paletti precisi per porre fine all’ anarchia normativa che nell’ era del web lascia i diritti d’ autore senza un ombrello protettivo. Dall’ altro c’ è chi, nel nome della libertà della Rete, considera questo intervento una sorta di censura. Tra i primi c’ è sicuramente il Parlamento europeo. O meglio, la sua commissione Affari giuridici che la scorsa settimana ha dato il via libera alla nuova direttiva sul copyright. Un testo che ora dovrà passare all’ esame della plenaria per l’ approvazione finale, e poi negoziato con le altre istituzioni Ue. Ma il nuovo esecutivo italiano è pronto a dare battaglia. Il vicepremier Luigi Di Maio ha annunciato che gli eurodeputati M5S contrasteranno la direttiva nell’ aula di Strasburgo e, in caso di insuccesso, «l’ Italia è pronta a non recepirla». Di parere totalmente opposto il presidente del Parlamento Ue, Antonio Tajani: «Mi auguro che l’ Italia non segua questa strada. Bisogna difendere gli autori e gli artisti dallo strapotere delle piattaforme che sfruttano le loro opere senza una giusta remunerazione». Anche Confindustria si dice «profondamente stupita e preoccupata» dalle dichiarazioni di Di Maio, «un attacco al cuore dell’ industria italiana». Mentre Riccardo Franco Levi, presidente dell’ Associazione italiana editori, sottolinea che «il diritto d’ autore è un diritto fondamentale per le persone, è la base della libertà degli autori e della loro indipendenza economica dai potenti». Il primo punto contestato riguarda quella che Di Maio chiama «tassa sui link». In realtà gli utenti non saranno chiamati a pagare alcuna tassa e il provvedimento «non impatterà in alcun modo su di loro e sulla libertà della Rete» dicono gli eurodeputati Pd. L’ articolo 11, in sostanza, prevede la protezione dei «diritti connessi» legati per esempio ai contenuti giornalistici. Facciamo un esempio: quando si cerca una notizia su Google appare il link di un sito di informazione, sotto il quale ci sono il titolo dell’ articolo e un piccolo estratto del testo. Ecco, secondo la direttiva, Google dovrebbe pagare all’ editore della testata i diritti per lo sfruttamento di quel contenuto. Le associazioni di editori si battono da anni per veder riconosciuto questo diritto e un quadro normativo europeo è certamente lo strumento migliore per avere maggiore potere negoziale. Dall’ altro lato, però, i piccoli editori protestano perché i motori di ricerca portano loro molto traffico e quindi temono che queste norme possano privarli di una «vetrina». Fa discutere anche l’ articolo 13, che impone alle piattaforme online di dotarsi di una sorta di «filtro» per intercettare la pubblicazione di contenuti multimediali che violano il copyright. Per Di Maio – che ieri ha anche promesso «mezz’ ora di internet gratis al giorno per chi non se lo può permettere» – «non possono essere le multinazionali a decidere cosa può essere pubblicato e cosa no». BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI.

Copyright Ue, attacco di Di Maio

Italia Oggi
MARCO LIVI
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La nuova legge sul copyright è un «grave pericolo» per la rete e per questo il governo italiano farà tutto quanto in sui potere per contrastarla al Parlamento Europeo e qualora dovesse passare deciderà «se recepirla o meno». Lo ha detto ieri il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, intervenendo all’ Internet day 2018-rapporto Agi-Censis. «Questo provvedimento», ha aggiunto Di Maio, «ci riporterebbe indietro di 20 anni. Il governo italiano non può accettare passivamente questo. Le nostre soluzioni non passano per i bavagli». Di Maio è entrato nel merito della direttiva parlando anche di una sua proposta che riguarda Internet, diritto primario: «immagino uno Stato che garantisca almeno 30 minuti di connessione gratuita al giorno a chi non può permetterselo». Le norme contestate dal ministro sono contenute negli articoli 11 e 13 del progetto di direttiva di riforma del diritto d’ autore approvato dal comitato affari legali del Parlamento Europeo la scorsa settimana. Il primo articolo si rivolge ai cosiddetti aggregatori di notizie (per esempio Google News), stabilendo un diritto ancillare per i frammenti di contenuto giornalistico (gli snippet) per utilizzare i quali sarà richiesta una licenza dell’ editore. Una norma che i critici hanno ribattezzato link tax. L’ articolo 13, invece, rivolto ai fornitori di servizi di condivisione di contenuti online, rende le piattaforme direttamente responsabili delle violazioni del copyright da parte dei loro utenti, spingendoli verso la creazione di filtri che monitorano tutti i caricamenti di contenuti. Secondo Di Maio, il primo articolo prevede un diritto per gli editori di autorizzare o bloccare l’ utilizzo digitale delle loro pubblicazioni introducendo anche una nuova remunerazione, mentre con il secondo articolo «praticamente deleghiamo a delle multinazionali il potere di decidere cosa debba essere o meno pubblicato, cosa è giusto o sbagliato, cosa i cittadini devono sapere e cosa non devono sapere». In difesa della direttiva, la risposta delle associazioni degli autori e degli editori. La il presidente della Siae, Filippo Sugar, ha chiesto un incontro con il ministro per «un confronto costruttivo sui contenuti della direttiva sul copyright all’ esame del Parlamento Europeo». L’ industria creativa e culturale italiana, si legge in una nota Siae, è una delle più importanti risorse del nostro Paese: è la terza industria per numero di occupati, con 880 mila occupati diretti (oltre un milione se consideriamo anche gli indiretti) e un valore economico di oltre 50 miliardi di euro. Un settore strategico per l’ Italia che potrebbe avere un incremento di oltre il 50% di fatturato e di decine di migliaia di posti di lavoro per il Paese se solo riuscisse a sfruttare tutte le opportunità e a contrastare le minacce come il value gap e la pirateria. Il value gap è il divario tra quanto viene generato dai contenuti creativi in rete e quanto viene restituito a chi ha creato quei contenuti. I principali beneficiari del value gap sono gli intermediari tecnici, tutte aziende non italiane, che nell’ ultimo decennio hanno assunto modelli organizzativi e funzioni diverse: motori di ricerca, aggregatori di contenuti, social network, servizio cloud pubblico e privato. «La proposta di direttiva», ha sottolineato Sugar, «indica come strada maestra la collaborazione tra piattaforme, titolari dei diritti e società degli autori ed editori, insieme a una maggiore trasparenza per il riconoscimento delle opere e informazioni puntuali sulle utilizzazioni», ha concluso il presidente di Siae. Il presidente dell’ Associazione italiana editori (Aie), Ricardo Franco Levi ha detto che il diritto d’ autore «è un diritto fondamentale per le persone, è la base della libertà degli autori e della loro indipendenza economica dai potenti. E lo è anche per gli editori e per le centinaia di migliaia di persone che lavorano nelle industrie creative nel nostro Paese. Pensare che ciò non debba valere sul web non è molto diverso dal pensare che i ragazzi che consegnano cibo su un motorino non debbano avere diritti né un’ assicurazione contro gli infortuni». «Da questa contraddizione, e dalla ripetuta disponibilità all’ ascolto che il governo ha dichiarato in questi giorni», ha concluso Levi, «siamo fiduciosi che un dialogo con le industrie creative del Paese possa portare a un superamento dell’ equivoco». Marco Polillo, presidente di Confindustria Cultura Italia, ha detto che se le dichiarazioni di Di Maio fossero confermate «si tratterebbe di un attacco al cuore dell’ Industria italiana dei contenuti culturali e più in generale alla tutela della proprietà intellettuale, su cui l’ Italia è da sempre paladina e convinta sostenitrice, avendo firmato numerosi Trattati Internazionali in materia. Opporsi alla Direttiva Ue sul copyright significa stare dalla parte delle multinazionali del web, gli Ott che, grazie anche alla loro pressante lobby, hanno costruito un impero e monopoli sull’ utilizzo improprio di contenuti altrui». © Riproduzione riservata.

Intesa Fieg-Google, ok di Crimi

Italia Oggi
GIANFRANCO FERRONI
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Per promuovere nell’ era del digitale un approccio innovativo per la stampa italiana, l’ accordo tra Fieg, la Federazione italiana editori giornali, e Google «è la migliore risposta possibile», secondo il sottosegretario di stato con delega all’ editoria Vito Crimi. «(In)formare in digitale. Verso una relazione costruttiva per l’ editoria», il convegno organizzato dagli stessi Fieg e Google unitamente a I-Com, ospitato ieri mattina nella Coffee House di Palazzo Colonna ha visto come protagonista Crimi che, sottolineando il ruolo positivo della Fieg nel dar vita all’ intesa con il colosso del web per sostenere la crescita del settore editoriale nel digitale, ha detto: «Le istituzioni erano assenti, è stata un’ iniziativa autonoma». Alla base c’ è «l’ aver compreso che non basta la monetizzazione ma bisogna pensare a nuovi modelli per tutelare chi produce contenuti di qualità». Per Crimi, «quando le cose accadono anche a prescindere dalla nostra volontà di fermarle, è meglio governarle, meglio esserci. Questo non vuol dire sopprimerle o opprimerle ma navigare in questo percorso». Secondo il sottosegretario «a tutelare il diritto di chi produce contenuti di qualità non basta la monetizzazione, dobbiamo pensare a nuovi modelli. Anche perché la rete consente a chiunque di produrli. Pensiamo agli youtuber, quanto si può definire la loro una produzione di qualità? Chi monetizza i propri contenuti con milioni di utenti va tutelato a no? Chi dice che uno youtuber è un professionista? Lo si fa sulla base del numero di utenti? Della qualità? E chi la valuta? Non è semplice individuare ciò che va tutelato con la parola qualità». Ecco quindi che torna protagonista il ruolo dei regolatori. «Come legislatori e istituzioni dobbiamo affrontare le naturali tensioni tra titolari di diritti contrapposti e non possiamo pensare sia un tema di facile soluzione. Bisogna navigare tra la tentazione di un’ eccessiva regolamentazione e un’ eccessiva tendenza a lasciar fare ai soggetti coinvolti in piena autonomia», ha sostenuto Crimi. «In contesti così complessi credo che le istituzioni debbano agevolare l’ iniziativa di autoregolamentazione vigilando affinché la stessa non travolga quei soggetti che non hanno la forza di far valere i propri diritti». Senza dimenticare che «oggi un editore conosce poco dei comportamenti dei propri lettori, mentre Google conosce tanto del comportamento dell’ utente. Questo scambio di informazioni ha una valore anche se non è economicamente quantificabile. È il miglior valore aggiunto che può essere fornito agli editori». «Nella nuova veste di sottosegretario con delega all’ editoria tengo in massima considerazione il rispetto del diritto di partecipazione, il confronto di tutti i soggetti interessati per cercare di tracciare tutti insieme la direzione verso la quale il sistema dell’ informazione e l’ editoria dovrà evolversi, con scadenze abbastanza lunghe da consentire agli attori di adeguarsi», ha continuato Crimi. «Negli ultimi decenni in questo settore c’ è stata una concentrazione di cambiamenti pari a tutti quelli avvenuti fino ad allora. Con l’ avvento della rete e lo scambio peer to peer si è trasformato quello che era un settore ristretto ai titolari dei diritti e agli utilizzatori diretti in una questione che ha interessato miliardi di persone. L’ errore iniziale è stato guardare con miopia al tema, utilizzando le stesse regole che c’ erano in precedenza». Da parte del presidente Fieg Maurizio Costa «partecipazione e autoregolamentazione sono i due perni fondamentali su cui si è basata questa collaborazione tra Fieg e Google, un accordo che per risultati indotti, nel triennio, potrebbe valere 40 milioni di euro. Nonostante l’ impegno e i progetti realizzati, la situazione attuale è ancora fortemente sbilanciata: nel settore dell’ informazione online i ricavi sono precipitati del 50% tra il 2007 e il 2017. Google si è dichiarata subito disponibile a dialogare con noi, ma non abbiamo riscontrato lo stesso successo con altri interlocutori, ad esempio Facebook. Altro punto focale derivante da questa collaborazione per gli editori, è la possibilità di disporre dei dati degli utenti e dei lettori. Credo sia solo attraverso il confronto e la realizzazione di progetti concreti, come l’ abbonamento alle testate online, o il pensare a un network di pubblicità premium per gli editori che pubblicano contenuti di qualità, che si potrà arrivare a gestire la situazione nel modo giusto». E per il presidente Emea partnerships Google Carlo D’ Asaro Biondo, «questo accordo serve innanzitutto a far percepire agli operatori della stampa dei validi business model, si basa su tre pilastri: sostenere i ricavi di abbonamento, regolamentare il copyright, vietare la presenza della pubblicità su siti che operano fuori dalla legalità. Dopo due anni, il progetto ha già portato a un consistente risultato, confermato dai numeri: il focus sulla distribuzione dei contenuti editoriali via mobile ha portato all’ uso dell’ edicola digitale di Google News da parte di 83 edizioni di 22 editori. Sono state create più di 180 sessioni di formazione per quanto riguarda gli strumenti analytics, lavoro che ha coinvolto oltre 800 rappresentanti di 22 editori. Per quanto riguarda la formazione su tutela dei diritti e innovazione, quasi 2 mila giornalisti hanno ricevuto la preparazione adeguata con oltre 70 corsi di formazione. Più di 140 rappresentanti di editori hanno partecipato alla Digital Transformation Academy, evento organizzato con Talen Garden e che si è rivelato un successo. Oltre il 70% degli editori Fieg usano la piattaforma Trusted Copyright Removal Program di Google per proteggere i propri contenuti online». Il presidente dell’ Istituto per la Competitività (I-Com) Stefano da Empoli ha affermato che «l’ accordo tra Fieg e Google è un unicum in Europa, che non vuole nascondere la polvere sotto il tappeto ma creare le condizioni migliori per affrontare le sfide di oggi, che rischiano di travolgere l’ industria editoriale. Che poi ci si riesca rimane da vedere ma non mi pare ci siano alternative al dialogo costruttivo tra media e Internet company».

Esce il magazine «Link» sulla rinascita della fiction italiana

Libero

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«Link. Idee per la televisione», il magazine fondato da Mediaset e dedicato alla cultura televisiva, torna in libreria per raccontare la rinascita della fiction italiana. Nel nuovo numero c’ è l’ intervista al «capo sceneggiatore» di Gomorra e La mafia uccide solo d’ estate, Stefano Bises, alla produttrice de I Medici, Sara Melodia, passando per le opinioni dei più importanti «commissioner» di fiction, come Eleonora Andreatta di Rai, Nils Hartmann di Sky e Daniele Cesarano di Mediaset.

«Bisogna tutelare la proprietà intellettuale e fermare la pirateria, ma ci vuole tempo»

Il Messaggero

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MILANO «I diritti di proprietà intellettuale meritano protezione, il problema è che le nuove tecnologie complicano questa missione in misura esponenziale. Non è la prima volta né l’ ultima che si sceglie una strada drastica per proteggere questo settore, tanto vasto quanto complesso da regolamentare», afferma Giovanni Buttarelli, Garante europeo della protezione dei dati. Proprio ieri il Parlamento Ue ha chiesto al suo organismo un parere urgente e vincolante in merito alla normativa sul copyright da consegnare entro lunedì. «Analizzeremo la questione e lo faremo con mente serena, senza farci tirare per la giacchetta», afferma Buttarelli. In Europa la cultura fattura 554 miliardi di euro, in Italia oltre 50 miliardi. Eppure non ha protezione. «La rete è un sistema aperto. Viviamo in un mondo di network di trasmissioni, di segnali cifrati o a pagamento ma l’ evoluzione tecnologica ha permesso di superare qualsiasi barriera con abbonamenti pirata. Purtroppo questa dinamica tra legittima protezione dei diritti di autore e di chi naviga in rete è destinata a proseguire, questa non è ancora l’ ultima parola. Crescono le app, i motori di ricerca, ora ci confrontiamo con l’ intelligenza artificiale. La stessa creatività però deve essere messa al servizio di chi esige tutela. Così abbiamo da una parte il diritto di proprietà intellettuale e dall’ altra lo sfruttamento economico: ebbene, il secondo va bilanciato con il primo». A infiammare il dibattito sono soprattutto i punti 11 (proprietà intellettuale) e 13 (la censura) della direttiva in discussione. «Noi esprimeremo un parere proprio su questi due articoli, considerando anche il loro iter tormentatissimo dato che la proposta è partita nel 2016. Ma attenzione, questo non sarà il primo voto e nemmeno l’ ultimo, bensì il via libera al Parlamento per avviare il negoziato sulla questione. E’ una bozza che non deve essere considerata come finale e non è neanche detto che in ragione della diversità delle proposte si raggiunga un risultato prima dello scioglimento legislatura europea». Intanto però sono stati messi dei punti fermi: i diritti intellettuali si pagano. «Gli editori devono vedere tutelata la loro parte creativa rispetto a chi fa business, che sono i motori di ricerca. D’ altro canto affidare alle piattaforme un potere di questo tipo, ovvero selezionare i contenuti per i quali deciderebbero di pagare una quota, potrebbe portare a una non completezza delle informazioni. Ad esempio i motori di ricerca potrebbero pagare alcuni contenuti prediligendoli ad altri in ragione della connessione con messaggi pubblicitari da veicolare. Oppure, alla fine, potrebbero decidere di pagare una tassa fissa per tutti». Un equilibrio difficile. «Analizzeremo con scrupolo l’ articolo 13 per verificare se queste misure di filtraggio possano portare a delle forme di monitoraggio degli utenti non consentite. Capire sul piano tecnologico quali siano le alternative. La mia sensazione è che non si sia investito a sufficienza in sistemi di protezione che permettano di risolvere il problema da un punto di vista tech. Un paio di esempi che potrebbero essere attuati: bloccare i contenuti a disposizione di soggetti titolari degli espropri, non rendere più visibili software quando è scaduto il permesso di prova». Quale dovrà essere l’ orientamento finale della direttiva? «Il dibattito va fatto nel suo complesso, non solo sugli articoli 11 e 13. Noi li analizzeremo per verificare come la norma viene applicata, se tutela la proprietà intellettuale e al contempo non violi diritti dei consumatori e degli abbonati che portano contenuti in rete. Valuteremo il contesto generale e verificheremo se la direttiva è sufficientemente precisa. Perché la Corte di giustizia è inflessibile nel pretendere che norme riguardanti principi importanti non presentino ambiguità». Claudia Guasco © RIPRODUZIONE RISERVATA.

I punti I giganti del web e i diritti dell’ editoria

La Repubblica

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I punti I giganti del web e i diritti dell’ editoria 1 Nessuna tassa Il testo della riforma impone ai big della Rete di pagare i diritti senza introdurre alcuna tassa o limitazione per gli utenti. 2 Più forza agli editori L’ articolo 11 crea il diritto che permetterà agli editori di presentarsi con più forza negoziale di fronte alle piattaforme Internet e di chiedere la remunerazione per l’ utilizzo degli articoli raccolti dai motori di ricerca come Google e dai social come Facebook. 3 Piattaforme responsabili L’ articolo 13 della riforma crea la responsabilità legale in capo alle piattaforme come Youtube. Dovranno prevedere dei filtri capaci di individuare il caricamento di video o immagini protetti dal diritto di autore. Le piattaforme saranno costrette a pagare un equo compenso per i contenuti che pubblicano.

Scontro Di Maio-Ue sui diritti d’ autore “No alla riforma”

La Repubblica
ALBERTO D’ ARGENIO
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Di che cosa stiamo parlando Giovedì 5 luglio il Parlamento europeo sarà chiamato a votare la riforme del copyright nell’ Unione. Un testo che permetterebbe a editori e produttori di incassare un giusto compenso dai giganti della Rete come Google e Facebook, che oggi utilizzano le loro opere senza pagarle. Dal nostro corrispondente BRUXELLES Lobby, propaganda, pratiche poco trasparenti e improvvisi cambi di casacca. A Bruxelles si gioca la grande battaglia sul futuro dell’ informazione in Europa. Tra otto giorni il Parlamento Ue sarà chiamato a votare la direttiva sulla riforma del copyright, testo intorno al quale da mesi si combatte un duro scontro tra l’ industria digitale americana, capeggiata da Google e Youtube, e gli editori e le case discografiche del Vecchio Continente. Oggetto del contendere: il diritto appunto in capo agli editori a vedersi riconosciuto il pagamento delle royalties da parte delle piattaforme Internet che oggi sfruttano i loro prodotti guadagnano miliardi di euro grazie a pubblicità e raccolta dati. Il testo che sarà sottoposto alla plenaria di Strasburgo imporrebbe invece ai big della Rete di pagare i diritti senza introdurre alcuna tassa o limitazione per gli utenti, a differenza di quanto fatto circolare dai colossi della Silicon Valley. La proposta di direttiva è stata sfornata dalla Commissione Ue nel settembre 2016. Il suo inter a Strasburgo però è stato travagliato, ma la scorsa settimana la commissione Giuridica dell’ Europarlamento ha approvato il testo con 14 voti a favore e 9 contrari, uno scarto minimo. Adesso tocca all’ aula, dove i numeri sono ancora più risicati. Gli articoli più controversi sono l’ 11 e il 13. Il primo crea il diritto che permetterà agli editori di presentarsi con maggior forza negoziale di fronte alle piattaforme Internet e chiedere la remunerazione per l’ utilizzo degli articoli che vengono raccolti dai motori di ricerca come Google e dai social come Facebook. Il secondo invece crea la responsabilità legale in capo alle piattaforme attive come Youtube – fino ad oggi considerate mere bacheche – costringendole a pagare un compenso equo per i contenuti che pubblicano. Ieri Luigi Di Maio che ha detto di star pensando alla possibilità « di fornire mezz’ ora al giorno di rete gratis a chi non se lo può permettere » – è intervenuto sul tema affermando: « Faremo il possibile per contrastare la riforma del copyright, un bavaglio per la Rete. Se dovesse passare potremmo non recepirla». Tesi – che cozza con l’ obbligo di adeguarsi alle regole Ue – alla quale ha risposto la Commissione europea, impegnata anche a difendere la tenuta democratica grazie al giornalismo indipendente: «Non c’ è nessuna censura o tassa per gli utenti». Per il presidente dell’ Europarlamento, Antonio Tajani, «si tratta solo di difendere i diritti di autori e artisti dallo strapotere delle piattaforme che sfruttano le loro opere senza una giusta remunerazione. Mi auguro che questa sia una posizione personale e non del governo, altrimenti a soffrirne sarebbe l’ industria italiana a vantaggio dei giganti americani, gli stessi che non pagano le tasse nel nostro continente » . Spiega invece Carlo Perrone, presidente dell’ Enpa, l’ Associazione degli editori europei, e azionista di Gedi: « La divulgazione tra utenti rimarrebbe libera, qui si tratta di riconoscere agli editori dei giornali gli stessi diritti di cui già godono l’ industria cinematografica e televisiva » . Di Maio ha anche parlato di « lobbisti che si muovono all’ interno dell’ Ue senza dire a nessuno cosa fanno». Accusa che non sembra trovare riscontro con quanto vissuto negli ultimi anni a Bruxelles. L’ industria tech dispone di ingenti risorse e ha scatenato una lobby a tutto campo per bloccare le nuove regole: dal finanziamento di atenei pronti a sostenere le loro tesi, a quello di associazioni di diverse categorie fino a promesse di investimenti avanzate ad alcuni governi. Giusto ieri Financial Times parlava di una mail dalla quale emergeva che Google spingeva alcuni editori da lei sostenuti a schierarsi contro la direttiva. Non solo, negli ultimi giorni gli eurodeputati sono stati bombardati da migliaia di mail firmate da elettori dei loro collegi rintracciati e istruiti dalle multinazionali grazie ai big data che li esortavano, anche con metodi spicci, a votare contro il testo. Si spiega anche così la fake news della Link Tax, la notizia virale dell’ arrivo di una tassa a carico degli utenti per fruire o condividere le notizie e i video su Internet. Non stupisce dunque che il voto in aula all’ Europarlamento sia in bilico. Capofila dei contrari i Verdi, orientati dalla deputata tedesca Julia Reda eletta tra i Pirati, partito anti- copyright. In favore della direttiva il Ppe, anche se polacchi e cechi sono in bilico. Spaccato il Pse, con Pd, francesi e spagnoli a favore, il Labour incerto e i tedeschi contro. Idem tra i Liberali e Conservatori, tanto che ago della bilancia potrebbero essere i Tories britannici. Se tra otto giorni il testo dovesse passare, partirebbe l’ ultimo negoziato tra Commissione, Parlamento e Consiglio ( i governi) per arrivare al compromesso finale. Ma il cambio di casacca italiano potrebbe annacquarlo visto che Roma, con Madrid, Parigi e Lisbona, era tra le capitali più favorevoli alle nuove norme. © RIPRODUZIONE RISERVATA.

L'articolo Rassegna Stampa del 27/06/2018 proviene da Editoria.tv.


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