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Sfruttiamo l’ occasione: Viale Mazzini può diventare la Silicon Valley della televisione
Vertici Rai, l’ asse gialloverde con B. escluderà il Pd
Ma quale Rai, ora sono maturi i tempi per la tv dell’ Onestà su Instagram
Juve Tv chiude e prosegue sul web
Serie B, Bkt diventa title sponsor
Chessidice in viale dell’ Editoria
Mediaset, la borsa non premia i Mondiali
Sfruttiamo l’ occasione: Viale Mazzini può diventare la Silicon Valley della televisione
Il Fatto Quotidiano
Luca Mattiucci
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Manca poco. Poi si cambia. Il Parlamento sceglierà il nuovo Cda Rai. Delle 236 candidature, però, fa specie che si parli solo dei soliti noti tra i corridoi di Viale Mazzini assieme ad assidui del Transatlantico o dei soliti ignoti. A rimanere nel silenzio sono i volti nuovi, quelli che la differenza potrebbero farla. L’ auspicio è che gli eletti arrivino, come invocato dal presidente Fico, lontano dai partiti e con una visione. Quella necessaria per non costringersi a inseguire il futuro, ma a intuirlo. Perché oltre l’ audience e i bilanci attivi rivendicati da Guelfi, da capire se meritati visto il canone obbligatorio, c’ è molto altro. C’ è un servizio pubblico che deve tornare ad avere un’ identità capace di coniugare il dialogo con i partiti, ma senza ingerenze e stando attento a che non sia l’ informazione a orientare la politica. Una Rai che crea cultura e che diventi una media company competitiva con una strategia di vera sostenibilità. Significa sviluppare piani di welfare e garantire parità di accesso. Assicurare uno scambio generazionale reale, perché la digitalizzazione non può arrivare da chi non sa utilizzare i social. Ancora, dire basta al precariato perché non si può denunciarlo nei Tg e tenerlo in casa. Investire sugli esteri perché bisogna esser con i nostri occhi lì dove il cambiamento accade. Un cambiamento che sia per tutti e punti ai servizi per non-udenti e non-vedenti. Una Rai che rendiconta come sono stati spesi i soldi delle campagne sociali. È una rivoluzione bianca che non ha bisogno di privatizzare, semmai il contrario e di più. È un’ azienda aperta alla società che destina la pubblicità per laboratori innovativi di produzioni e web. Una Silicon Valley delle telecomunicazioni che si può e si deve creare. Io per primo ci scommetto il 40% del mio compenso, perché la cultura non esclude il business, anzi. È per questo che ho lanciato la campagna pubblica #laRAIchevorrei. Non è populismo, è partecipazione. Quella vera. E forse ha ragione Guelfi, quelli bravi potrebbero stare arrivando. Chissà che non sia il tempo dei Ghibellini.
Vertici Rai, l’ asse gialloverde con B. escluderà il Pd
Il Fatto Quotidiano
Carlo Tecce
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Il Partito democratico sta per sparire dai vertici Rai. Da troppo a niente in poche settimane. Il Cda di Viale Mazzini va rinnovato entro luglio e, per la nomina dei quattro consiglieri tra Camera e Senato, lo schema – approntato dai collaboratori di Matteo Salvini e Luigi Di Maio – prevede due consiglieri in quota Cinque Stelle, uno per la Lega e uno per Forza Italia. Il criterio per la votazione è semplice, a ciascun partito spetta una preferenza in ciascuna aula parlamentare: il Movimento indica i propri candidati, leghisti e forzisti giocano assieme. Oltre al rappresentante dei dipendenti dell’ azienda, restano altri due posti – sempre condivisi dal governo gialloverde – di competenza del ministero dell’ Economia, azionista al 99,56 per cento di Viale Mazzini. Lo stesso ministero seleziona pure l’ amministratore delegato. Il presidente, scelto tra i membri del Cda, deve ottenere la maggioranza dei due terzi in commissione di Vigilanza Rai e lì l’ asse tra il Movimento e il “vecchio” centrodestra è ancora necessario per escludere i dem. Così il Pd è condannato all’ irrilevanza da un’ applicazione scientifica della riforma che, appena tre anni fa, Matteo Renzi ha plasmato per soffocare le opposizioni nella televisione pubblica. Il metodo per sottrarre Viale Mazzini al Nazareno è ispirato dall’ ultima strategia di Salvini per blandire l’ alleato a giorni alterni Silvio Berlusconi. Il ministro dell’ Interno ha proposto all’ ex Cavaliere di rinunciare alla guida della Vigilanza Rai e puntare sul Copasir, che l’ ingenuo Pd ha prenotato all’ indomani della batosta elettorale di marzo. La commissione bicamerale che sorveglia Viale Mazzini e il comitato di controllo sull’ operato dei servizi segreti spettano alle minoranze, ma l’ unica minoranza riconosciuta dai leghisti – con l’ assenso dei Cinque Stelle – è proprio Forza Italia. Per convincere Forza Italia e lo scalpitante Maurizio Gasparri che ambisce alla Vigilanza, il capo dei leghisti ha offerto a Berlusconi – il proprietario di Mediaset, interessato a non lasciare la televisione pubblica dopo un quarto di secolo – almeno una poltrona in Viale Mazzini e un coinvolgimento sul presidente. Salvini risolve due problemi con una mossa: evita ai Cinque Stelle l’ imbarazzo di sostenere Gasparri a San Macuto e scippa ai renziani uno strumento, il Copasir, per infastidire il governo. Il Nazareno fa ostruzionismo, non presenta l’ elenco dei delegati per il Comitato sui servizi segreti, ma il tempo sta per scadere – si decide martedì – e il modesto risarcimento dei gialloverdi è la Vigilanza Rai, un luogo svuotato, parecchio periferico dopo la feroce riforma di Renzi, utile a chi la presiede per ottenere qualche intervista e qualche passerella. Anche il Cda di Viale Mazzini è un orpello, l’ amministratore delegato – che potrebbe andare ai Cinque Stelle – ha un potere immenso: firma contratti fino a 10 milioni di euro e per cambiare i direttori di testata e canali chiede un parere consultivo al Cda, una formalità con una maggioranza solida, quella che i gialloverdi stanno organizzando. Il futuro di Viale Mazzini, in sintesi, dipende dal Copasir: Paolo Romani – già bruciato per la presidenza di Palazzo Madama – è il forzista favorito. Stavolta il Copasir, per prassi, dovrebbe toccare a un deputato e la Vigilanza a un senatore. Romani è un senatore. E la prassi si adegui.
Come occupare la Rai
Il Foglio
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Roma. C’ è la spavalderia dell’ antipotere che si fa potere spavaldo. E allora Luigi Di Maio vorrebbe stanare i raccomandati, far loro mostrare quei titoli di studio che lui per primo non possiede, vorrebbe censire gli epurandi della tivù di stato, premiare la delazione, eccitandosi nell’ accusa come facevano i capi plebe nel Sinedrio. Mentre Matteo Sal vini, come sempre, bada invece al sodo, e lo fa senza pubbliche ingiunzioni padronali, senza promettere sgomberi dal balcone (almeno per adesso), anche perché non serve: la Rai si adegua alle spire contraddittorie della vita con un soffio di svolazzante classicità, sempre presente e reattiva com’ è a tutte le manifestazioni dello spirito politico. E infatti il segretario della Lega, ministro dell’ Interno e vicepremier, ha già i suoi uomini dentro l’ azienda e ha pure quelli fuori, pronti a entrarci. Così dicono che il direttore renziano di Rai1, Angelo Teodoli, abbia cambiato Matteo, come moltissimi altri, e per questo sia certissimo di restare dov’ è. Mentre il nome che hanno suggerito a Salvini per la direzione generale della Rai è quello di Gianmarco Mazzi, socio dell’ agente dei vip Lucio Presta, per sei volte direttore artistico del Festival di Sanremo, uomo di destra ma amico di tutti, da Giorgio Napolitano a Roberto Benigni, Celentano e Morandi. Mazzi, che pure non sembra avere i titoli per fare il dg, è stato introdotto alla corte di Salvini dal suo concittadino veronese Gaetano Morbioli, notissimo regista di videoclip musicali ma anche consigliere tecnico negli sforzi comunicativi e propagandistici della Lega. Potrà mai accettarlo Di Maio, che già subisce l’ iperattivismo e la scaltrezza di Salvini al governo? I proconsoli del nuovo governo sono d’ altra parte molto diversi. Di Maio coltiva l’ enfasi dell’ antifaziosità, richiama la retorica del merito e del curriculum, fa temere che la sua sia l’ accusa tipica dei faziosi che denunciano la faziosità altrui, e che insomma lui possa voler rendere l’ antica e istituzionale faziosità della Rai ancora più pesante, ma lascia anche intravvedere la tentazione di imporre invece la competenza, di approfittare del momento, di scantonare da congreghe e camarille per affidarsi magari a un’ autorevolezza che non umilii la televisione dell’ identità italiana. E in questi giorni sono molti i manager contattati, i cui nomi vengono maneggiati con circospezione, chi sarà il direttore generale della Rai? Fabrizio Salini, ex direttore di La7, Andrea Castellari, amministratore delegato di Viacom Italia o Fabio Vaccarono, il country director di Google? Come sempre si affaccia, qua e là, l’ idea di spiazzare le appartenenze con la forza di un nome. Ma quella tra la Rai e la politica è una storia senza dialettica, senza superamenti, senza progresso, una ripetizione ciclica inutile: nel sistema Italia la Rai amministra un enorme capitale politico, e nessuno vuole mollare la presa. Così, sia Salvini sia Di Maio, sia la Lega sia i Cinque stelle, nei corridoi di palazzo e nelle telefonate, in realtà si muovono con la tracotanza del barbaro Brenno che, vincitore su Roma, gettò la spada sulla bilancia chiedendo più oro e pronunciando quelle due famose parole: “Vae victis”, guai ai vinti. O per dirla con Orietta Berti, che piace a Di Maio, “qui comando io / questa è casa mia”. E allora lasciare Rai3 all’ opposizione sembra un’ ipotesi impensabile, per il canale che invece pare accenda le fantasie bramose del M5s: “Abbiamo una televisione”, come il vecchio “abbiamo una banca” di diessina memoria. Mentre alla Lega, che conosce la macchina di Saxa Rubra, interessano soprattutto i Tigì regionali, adesso diretti da Vincenzo Morgante. E tutto si accompagna ovviamente all’ idea che non esistano le notizie, ma solo servizi a favore o contro, che i direttori siano dei dignitari, dei camerlenghi, che i servizi di corrispondenza si possano contrattare come alla borsa nera e che tutto debba rispondere a logiche di fedeltà personale che sono l’ eter nità di foresta della Rai. Tra una settimana scade il consiglio di amministrazione, il Parlamento dovrà a quel punto eleggere i nuovi membri del cda, e nominare i componenti della Vigilanza che a loro volta dovranno esprimere un parere sul presidente. A questo proposito è iperattivo e scalpitante il vecchio Fabrizio Del Noce, che fu il direttore berlusconiano di Rai1. E mentre Di Maio promette sorteggi “tra i migliori giornalisti del paese” (selezionati da chi, da Casalino?), Salvini si muove silenzioso e pragmatico, tessendo un nuovo inizio per la Rai. Che però è sempre uguale a se stesso.
Ma quale Rai, ora sono maturi i tempi per la tv dell’ Onestà su Instagram
Il Foglio
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Ora che Instagram ha annunciato la creazione di una piattaforma televisiva aperta a tutti, ora che ognuno di noi potrà finalmente trasformare la propria vita in un palinsesto, sono maturi i tempi per una televisione della democrazia diretta, una televisione dell’ Onestà, tutta ovviamente da rilottizzare “dal basso”. Diciamo basta a questa odiosa pratica di sbranarsi per occupare la Rai, di infilare Paragone in Cda, Gabanelli al Tg3 o Isoardi a Sanremo. Fa tanto “Novecento”. Se cambiamento dev’ essere, cambiamento sia. I giovani che hanno votato per l’ ago gnato reddito di cittadinanza la tv non la guardano più da un pezzo e nell’ immedia to futuro la guarderanno sempre meno: “Rispetto a cinque anni fa, il quaranta per cento in meno”, diceva l’ altro giorno Kevin Systrom, fondatore e amministratore delegato di Instagram, annunciando IGTV, la televisione del social network “delle foto”, come si diceva fino all’ altro ieri (qui al Foglio l’ avevamo anticipato in tempi non sospetti: le “stories” di Fedez e Ferragni erano già televisione). Lo speech politico è ormai una performance senza contraddittorio e l’ effetto bolla dei social network (quella cosa che ci fa entrare in contatto solo con chi la pensa già come noi per poi stupirci ogni volta che Salvini sale nei sondaggi) è risolto con una mossa radicale: in televisione guarderemo noi stessi e basta. Il futuro intravisto da McLuhan, Andy Warhol, Orwell e Philip K. Dick dai e dai è finalmente arrivato. Che ognuno si faccia la propria tv e si lasci stare quell’ antica glia della Rai. Invece di occuparla come nella Prima Repubblica, anziché farle inseguire le irraggiungibili mirabilie della Silicon Valley, questo è il momento per spingerla a ritrovare un austero, sacrosan to, oggi più che mai indispensabile destino di vero Servizio Pubblico. Qualcosa di alternativo alla rabbia, agli algoritmi, alle fake news, all’ egolatria digitale. L’ M5s punti tutto su “Di Maio Channel”, canale Instagram dedicato ventiquattro ore su ventiquattro a vita, opere e video del ministro dello Sviluppo economico. Le dirette Facebook sono il passato. Quelle di Di Maio poi nascono vecchie, stantie, sembrano uscite dalla Rai pedagogica. Vedi la diretta del primo giorno di lavoro, con lui che entra a Palazzo Piacentini e a voce bassa, mentre se e va a spasso tra le decorazioni di Sironi e Ferrazza, ci spiega cosa si fa in quel Ministero come un Alberto Angela della democrazia diretta. E’ ora di un restyling. Si può tentare anche col canale “M5s Adventure”, programmi di punta: “Linea Gialla”, su e giù per la penisola tra le eccellenze della “decrescita felice”, e “I Viaggi di Dibba”, anche se il (momentaneo) limite di un’ ora a video può qui in effetti essere penalizzante. Vedremo. Fatto sta che la televisione è morta ma tutti inseguono i contenuti televisivi. Da “Snap chat TV” a “Watch”, la tv del gigante digitale Menlo Park, a Amazon che si è già preso la Premier League a Apple che ha siglato un accordo con Ophra Winfrey. Poche ore prima dell’ annuncio della nuova piattaforma video di Instagram, Facebook ha diffuso la notizia che a breve sarà possibile trasformare i video in diretta in quiz interattivi a premi e game -show. Matteo Salvini, che ha iniziato col “Pranzo è servito” di Corrado, starà già buttando giù qualche idea: rifare “Affari tuoi” con le lire o “Caccia e vinci”, il primo game -show sovranista-identitario-razzista della nuova era del populismo televisivo. Andrea Minuz.
Juve Tv chiude e prosegue sul web
Italia Oggi
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Settimana prossima il club di calcio Juventus annuncerà la chiusura di Juve tv, il canale televisivo nato nel 2006 e finora ospitato sulla piattaforma Sky al 212. Nel triennio 2015-2018 Juve Tv, diretto da Claudio Zuliani, ha usufruito della strategia commerciale di Sky che, priva dei diritti tv della Champions league, aveva messo in chiaro i canali di Juventus e Roma per poter offrire ai suoi abbonati perlomeno i match di Champions in differita delle due squadre. Dalla stagione 2018-2019, però, Sky avrà nuovamente tutte le partite della Champions league, e quindi non trasmetterà più in chiaro il canale bianconero. E senza quella visibilità, tenuto conto che gli abbonati specifici a Juve tv sono pochini, perde di significato l’ iniziativa nel suo complesso. A rimetterci saranno soprattutto i tecnici e cameraman di 3zero2, casa di produzione che dal 1° giugno 2016 produceva Juve tv, subentrando a La Presse che invece aveva prodotto il canale dal 2013 al 2016. La chiusura del canale tv, tuttavia, non significa che la operazione Juve tv si chiuda qui. Proseguirà, infatti, sul web, seguendo un filone già aperto da molti club di respiro internazionale, e che nei mercati esteri hanno la maggior parte dei fan. Appassionati che possono essere facilmente raggiunti attraverso le piattaforme web, mentre il classico canale tv sposa filosofie di piattaforma un po’ più legate a un passato chiuso nei confini nazionali. Insomma, la tv tradizionale non è più la strada giusta per coccolare la base di fan sparsa nel mondo, mentre la piattaforma web è la più veloce e pure la più redditizia, visti i numeri a cui può puntare. Poiché la Juventus è la squadra più forte e con più tifosi in Italia, vien da chiedersi a questo punto se possano ancora proseguire senza indugi gli altri canali tv tematici dei club calcistici italiani, tipo quelli di Inter, Milan, Roma, Lazio o Torino. Perché se non sta in piedi la struttura costi-ricavi di quello bianconero, figuriamoci gli altri. © Riproduzione riservata.
Serie B, Bkt diventa title sponsor
Italia Oggi
PAGINA A CURA DI CLAUDIO PLAZZOTTA
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La Serie B di calcio, nella stagione 2017-2018, ha portato oltre 3,5 milioni di persone allo stadio (+15% sull’ anno precedente) e una audience monstre di 70 milioni di contatti tra dirette tv, trasmissioni e notiziari su Sky e Rai. Pure la parte digital è ben strutturata, con 3,3 milioni di fan delle pagine social dei club cadetti. Insomma, il campionato può contare su circa 10 milioni di appassionati in Italia, dei quali quattro milioni accaniti, e su una base di fan nel mondo di oltre 100 milioni di persone, di cui il 40% molto ingaggiate. Ed è probabilmente analizzando questi numeri, forti in Italia ma pure con un respiro internazionale, che è nata la partnership tra Lega Serie B (Lnpb) e il gruppo indiano Bkt, specializzato nella produzione e commercializzazione di pneumatici di grandi dimensioni per macchine agricole, movimento terra, macchinari per miniere e porti. L’ intesa, raggiunta anche grazie alla consulenza di Havas sports & entertainment, avrà una durata triennale, e Bkt diventerà title sponsor del campionato cadetto, che, quindi, dalla stagione 2018-2019 e per i successivi due, si chiamerà Serie Bkt, e non più Serie B. E l’ accordo con uno sponsor che iniziasse con la lettera B, quindi, non è casuale. Chiusa la partita title sponsor (che invece resta aperta per la Serie A, poiché Tim ha rinunciato alla partnership che durava da 20 anni), la Serie B, che, dai, continueremo a chiamare così, è impegnata sul fronte diritti tv per il triennio 2018-2021. L’ assegnazione dovrebbe avvenire il 29 giugno durante l’ assemblea dei club, e le trattative, in cui è impegnato il presidente Mauro Balata, proseguono serrate. In campo ci sono ancora Sky, il broadcaster uscente che trasmetteva la Serie B nello scorso triennio, e poi Perform, Discovery Italia, Mediaset, MediaPro, Eleven sports e MediaPro. C’ era pure Fox Italia, ma dopo l’ annuncio della chiusura del canale Fox Sports è probabile che l’ interesse per il campionato cadetto sia scemato. Tra le novità introdotte ieri dalla Lega Serie B c’ è la vendita delle dirette degli anticipi non solo in esclusiva a pagamento ma anche in chiaro. È stato reso noto ai partecipanti alla trattativa privata che la Lnpb si riserva di procedere alla commercializzazione anche di un altro pacchetto che comprende gli anticipi da trasmettere in chiaro. Ne consegue che l’ esclusiva delle gare giocate in anticipo potrà essere condivisa tra i diversi operatori che si aggiudicheranno i diritti. Il termine di presentazione delle offerte è fissato al 26 giugno. Nonostante il ricco bacino di tifosi e appassionati, una territorialità capillare e bilanciata tra Nord, Centro e Sud Italia, 22 città coinvolte e 462 partite complessive, la Serie B vale ancora poco in termini di diritti tv, circa 23 milioni di euro complessivi annui nel passato triennio, ovvero 50 volte meno rispetto al miliardo di euro annuo con cui i broadcaster valorizzano invece la Serie A. Come mai? «Il rapporto è certamente quello. Ma devo dire», spiega Paolo Bedin, direttore generale della Serie B, «che negli ultimi nove anni abbiamo quadruplicato il valore di quei diritti tv. Quindi il trend è in forte crescita. Poi, se si guarda alle seconde leghe di calcio nei principali paesi europei, quello è più o meno il valore attorno al quale ci si muove. Perché le seconde leghe valgono così poco in termini di diritti tv? Probabilmente perché non sono la killer application per i broadcaster, che non vanno a costruire il centro del loro palinsesto sportivo attorno ai match della cadetteria». La Serie B, peraltro, cinque anni fa ha introdotto le partite durante i giorni di Natale, e ha concentrato molti incontri al sabato pomeriggio, per diversificarsi rispetto alla Serie A. Sarà ancora così nella stagione 2018-2019? «Sul Boxing Day dobbiamo ragionare, visto che adesso c’ è pure la Serie A. Quanto al sabato pomeriggio», conclude Bedin, «per il momento restiamo lì, anche se la nuova Serie A si è molto diluita». © Riproduzione riservata.
Chessidice in viale dell’ Editoria
Italia Oggi
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YouTube apre a merchandising e abbonamenti. YouTube, per la prima volta, va oltre la pubblicità e consentirà ai canali di maggior successo di guadagnare vendendo merchandising e abbonamenti. Finora la possibilità era disponibile solo in fase di test e per un ristretto gruppo di utenti. Adesso le nuove opzioni saranno aperte a chiunque trasmetta dagli Stati Uniti e abbia un canale con un numero consistente di iscritti. Secondo i dati diffusi da YouTube, uno degli autori che per primo ha sperimentato la funzione (Joshua Slice, creatore di «Lucas the Spider», seguito da 2,1 milioni di iscritti) ha incassato un milione di dollari in 18 giorni. Più alta è la soglia necessaria per accedere all’ opzione in abbonamento: il canale deve avere almeno 100 mila iscritti. Prezzo per gli utenti: 4,99 dollari al mese (4,3 euro). In cambio si riceve l’ accesso a contenuti extra, riservati agli abbonati, o la possibilità di usare emoji personalizzate. Debutta poi Premiers, che funziona come una prima cinematografica. Il gestore del canale pubblica un’ anteprima, fissando ora e data in cui il video verrà pubblicato. Gli utenti potranno fissare un promemoria (che ricorderà quando il video sarà disponibile) e quindi potranno partecipare a una chat in tempo reale. Stampa parlamentare, Signore nuovo segretario. Adalberto Signore, giornalista de il Giornale, è il nuovo segretario dell’ Associazione stampa parlamentare. Lo ha eletto ieri pomeriggio il consiglio direttivo. Nella stessa riunione, Yasmin Inangiray dell’ Ansa è stata eletta tesoriere dell’ associazione. È stato così completato l’ Ufficio di presidenza, dopo le elezioni dello scorso 6 giugno. Berlinale, l’ italiano Chatrian direttore artistico dal 2020. Il giornalista e critico cinematografico torinese Carlo Chatrian sarà direttore artistico della Berlinale a partire dall’ edizione 2020. La nomina, come reso noto dal sito web della festival cinematografico di Berlino, si aggiunge a quella dell’ olandese Mariette Rissenbeek, che sarà direttrice amministrativa. Uno sdoppiamento di incarichi che segnerà la sostituzione dell’ attuale direttore Dieter Koesslich. Giornalisti, Inpgi chiede i danni ai colleghi. «Una situazione kafkiana», secondo il presidente nazionale dell’ Unci (Unione cronisti italiani), Alessandro Galimberti, è l’ azione civile per un milione di euro, avviata dall’ Inpgi, ente pensionistico dei giornalisti, nei confronti di 14 colleghi «per i loro articoli scritti a margine del processo Sopaf». Tra questi, ad aver ricevuto una richiesta di risarcimento (in sede civile per 75 mila euro in solido) ci sono anche due milanesi, Manuela D’ Alessandro, collaboratrice Agi, e Frank Cimini, che sul loro blog «Giustiziami» hanno pubblicato nel 2015 un commento critico che ha portato l’ ente a far notificare, circa due settimane fa, l’ atto legale ai due colleghi, firmato dalla presidente dell’ Inpgi Marina Macelloni. Assocarta, mercato in ripresa. La produzione dell’ industria cartaria italiana nel primo quadrimestre 2018 è cresciuta dell’ 1,5% (+3,3% le carte per usi igienico-sanitari, +2,3% il packaging, +3,9% le carte speciali, -1,1% le carte grafiche) così come il fatturato, aumentato del 6,5%, a parziale recupero dei rincari record dei prezzi delle cellulose. Quello delle cellulose è un mercato in cui i produttori sono sempre più concentrati. Lo ha affermato ieri, durante l’ assemblea annuale di Assocarta presso Civita a Roma, il presidente dell’ associazione Girolamo Marchi, parlando sull’ andamento del settore e sul suo ruolo nell’ economia circolare, oltre che nello sviluppo sostenibile. «Sotto il profilo della circolarità migliorano le performance», ha aggiunto Marchi, «con un incremento del 2,2% del consumo di carta da riciclare, prossimo ai 5 milioni di tonnellate l’ anno». La congiuntura del quadrimestre è in linea con la buona chiusura del 2017 che ha realizzato una produzione di 9,1 milioni di tonnellate di carta e cartone (+2,1%) e generato un fatturato di 7,41 miliardi di euro (+5,9%), il migliore conseguito rispetto ai livelli pre-crisi (7,7 miliardi di euro nel 2007). Agi lancia l’#Internetday 2018. Lavoro e ripresa economica, innovazione e sharing economy, informazione e disinformazione, privacy e cybersecurity, rete e intelligenza artificiale, scuola e pubblica amministrazione: l’#Internetday 2018 racconta sfide, opportunità e pericoli di una società sempre più connessa. Per affrontarli Agi-Agenzia Italia riunisce martedì prossimo, dalle ore 8.30 alle 13 nella Sala della Regina della Camera dei Deputati, i principali esponenti del nuovo governo, delle aziende e delle istituzioni coinvolte nella trasformazione digitale. Nel parterre, tra gli altri, il ministro dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali Luigi Di Maio, il presidente dell’ Agcom Angelo Marcello Cardani, l’ a.d. di Fastweb Alberto Calcagno, il ceo di Wind Tre Jeffrey Hedberg, il ministro per la pubblica amministrazione Giulia Bongiorno. Modera il direttore Agi Riccardo Luna.
Mediaset, la borsa non premia i Mondiali
Milano Finanza
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Era una grande sfida: conquistare milioni di telespettatori nonostante ai Mondiali di Russia non ci fosse l’ Italia. Vero è che nelle due precedenti edizioni (2010 e 2014), la Nazionale azzurra era uscita dopo il girone eliminatorio, ma l’ impresa per Mediaset era ardua. E invece, per ora, i risultati stanno dando ragione alla tv di Cologno Monzese che sta toccando picchi, in prima serata, superiori ai 7 milioni di ascoltatori con uno share medio della prima parte della competizione del 28% e una media di 4,3 milioni di italiani incollati davanti ai teleschermi. Dati significativi, anche se tabelle Auditel alla mano, emerge che le prime quattro partite trasmesse in prime time hanno registrato un ascolto medio inferiore del 9% rispetto ai primi match dei Mondiali 2014 trasmessi da Rai e Sky. Finora il Biscione ha raggiunto 60 milioni di individui. E soprattutto Publitalia ha raccolto oltre 80 milioni di pubblicità, superando la spesa (più di 70 milioni) per l’ acquisto delle immagini dell’ evento. A fine torneo l’ incasso da spot potrebbe lievitare a 90 milioni, ma Mediaset ha messo in piedi una imponente e costosa macchina operativa. Certo, il business della radio cresce a doppia cifra in termini pubblicitari e rappresenta una iniezione di ricavi da non sottovalutare. Ma nonostante queste good news -e in attesa dei palinsesti che saranno presentati il 4 luglio a Montecarlo- il titolo del Biscione langue a quota 2,89 euro (10,6% da inizio anno) per una capitalizzazione di 3,4 miliardi. A metà gennaio 2017, quando Vivendi ha avviato la scalata alla tv arrivando al 28,8%, le azioni veleggiavano a 4,23 euro, perché ci si aspettava una battaglia tra Silvio Berlusconi e Vincent Bolloré per il controllo. Poi la lenta e inesorabile discesa. I motivi? Finito l’ appeal per la possibile opa ci si è accorti che Mediaset di fatto non è scalabile. Inoltre, con il governo M5S-Lega e con una Forza Italia ai minimi termini, c’ è chi sostiene che Luigi Di Maio, vicepremier e ministro dello Sviluppo economico, possa prima o poi intervenire sul settore radio-tv in maniera non favorevole a Mediaset. (riproduzione riservata)
L'articolo Rassegna Stampa del 23/06/2018 proviene da Editoria.tv.